Patetici. Un ex avvocato esperto in garbugli fiscali che da grande, se solo gli dessero retta, vorrebbe recitare la parte di Hjalmar Schacht; un ex sindacalista e poi politico, oggi pensionato gaudente, che vorrebbe dare un salario minimo garantito anche a chi un lavoro non ha mai cercato di farlo; il più grande ex giornalista italiano vivente che si fa vanto, senza dirlo esplicitamente, di due o tre cose apprese leggendo un opuscolo del 1848; infine un direttore di quotidiano in s.p.e. che passa più tempo a interrogare lo specchio che in redazione.
Questi affettati signori hanno scoperto, da un lato e sostanzialmente, che il capitale fa i propri bisogni dove gli pare, generando crisi e ineguaglianza (*); dall’altro, conseguentemente, che nonostante tutto la lotta di classe è un fatto. La sintesi è stata che il capitalismo è entrato in una sua nuova fase, tacendo tuttavia sul fatto che le forze cosiddette autoregolatrici del sistema, vantate fino a ieri, si sono rivelate per quel che sono sempre state: un mito. Tutto questo starebbe succedendo ora, sotto i nostri occhi, e non almeno da un secolo a questa parte. Certo, l’elettronica ha reso tutto più veloce, e più imponente, ma non è che all’epoca del telegrafo tutto questo non succedesse.
Davanti alle coste libiche oggi ci sono le cannoniere americane e inglesi, la Francia minaccia bombardamenti. L’Afghanistan è nelle stesse condizioni di oltre un secolo fa. I migranti non attraversano più l’Atlantico come un tempo, affogano nel disperato tentativo di passare il Mediterraneo. Anche la posizione di dominio delle banche non è una novità. Di nuovo c’è il protagonismo di nuove potenze nazionali e, soprattutto, l’assenza di qualsiasi organizzazione politica del proletariato, sia a livello nazionale che internazionale.
Ma dallo spettacolo televisivo non potevamo aspettarci di più della solita razione di balle.
(*) Del resto è stato stupefacente apprendere, sia pure implicitamente, non tanto da un ex comunista bensì da un ministro dell’economia, che il sistema finanziario altro non è che l’organo di centralizzazione del capitale che, da un lato, agisce come molla della produzione capitalistica, cioè dello sfruttamento del lavoro altrui, e dall’altro lato come “il più colossale sistema di gioco e di imbroglio, che limita sempre più il numero di quei pochi che sfruttano la ricchezza sociale” [Il Capitale, Libro III].
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