domenica 31 maggio 2020

Non è cosa di dopodomani


Sto aspettando che la bandiera della rivolta nera garrisca sulla cupola del Campidoglio a Washington.

Solo il possibile può diventare realtà, quante volte devo ripetere una simile ovvietà? Nel novero delle attuali possibilità non rientra l’effettiva emancipazione collettiva degli afro-americani. Ciò potrà avvenire solo nell’ambito di un’emancipazione generale della società e dunque con la transizione ad un sistema economico, sociale e statuale su basi diverse da quello odierno. Non è cosa di dopodomani.

Le rivolte dei neri americani, pur sacrosante, potranno rosicchiare ancora qualche concessione più formale che sostanziale sui cosiddetti diritti civili, cosa non disprezzabile, ma, come ho scritto sabato scorso, tali concessioni non potranno esuberare i rapporti sociali borghesi, ossia andare oltre una legalità che tollera le mille violenze quotidiane che ovunque una società di classe giudica necessarie per mantenere il proprio dominio.

*

I pochi rimasti tra i viventi che hanno letto Il dottor Živago, il corposo romanzo di Borìs Pasternak, credo ricordino nitido il racconto drammatico della carica dei dragoni a danno di pacifici manifestanti. Ad ogni modo, chi non avesse letto il libro può rifarsi al film omonimo ove il concitato episodio della carica di cavalleria è reso in modo spettacolarmente efficace.

Nella realtà storica la scena si riferisce a ciò che successe dopo il 17 ottobre 1905, quando fu pubblicato il cosiddetto Manifesto col quale lo zar accordava la costituzione, cioè in un’asciutta giornata di gelo di novembre, quando fu indetta a Pietroburgo una grande manifestazione, dalla Barriera Tver’ a via Kalùžskaja. Non fu quella la prima carica repressiva e nemmeno la più cruenta e drammatica di quel fatidico 1905.

All’inizio di quello stesso anno, precisamente il 19 di gennaio, secondo il nostro calendario, ossia il 6 del giuliano, si celebrò nella capitale russa, come ogni anno, la festa della benedizione dell’acqua, alla quale partecipò con particolare pompa la corte zarista, sul ghiaccio della Neva e sotto una tenda appositamente predisposta. Tradizionalmente venivano sparate delle salve di cannone. Improvvisamente la tenda fu colpita da proiettili a mitraglia. Non fu mai chiarito come si fosse potuto sparare a quel modo.

Bisogna ricordare che in Russia negli ultimi decenni del XIX gli ambienti più tranquilli e riformisti avevano avanzato richieste in favore di riforme costituzionali e amministrative, ma invano. Per contro, date le resistenze al cambiamento da parte dell’autocrazia zarista, s’erano susseguiti attentati che avevano portato all’assassinio di uno zar, di diversi ministri e di vari importanti personaggi.

Tre giorni dopo l’accennata Epifania, una domenica, una numerosa manifestazione guidata dal pope Gapon, con croce ortodossa in una mano e un ritratto dello zar nell’altra, voleva raggiungere il palazzo d’inverno per presentare al monarca una petizione degli operai del gruppo aziendale Putilov: si trattava di quei diritti sindacali e civili fondamentali che nelle democrazie occidentali s’erano più o meno ottenuti da un pezzo: libertà di parola, garanzia del diritto di riunione, di sicurezza personale, rappresentanza popolare, parità di diritti davanti alla legge, imposte progressive, istruzione obbligatoria a spese dello Stato, riduzione dell’orario di lavoro, salario minimo, diritto di sciopero e altre misure di tutela dei lavoratori.

Gli industriali di Pietroburgo furono concordi nel respingere le richieste dei lavoratori e il ministro delle Finanze indirizzò una nota al ministro degli Interni, definendo estremamente pericolosa la situazione, e un’altra allo zar, nella quale giudicava necessario utilizzare la forza per porre fine allo sciopero. A tale scopo furono radunati nella capitale numerosi reparti di truppe, artiglieria compresa.

Un reggimento della Guardia imperiale, aprendo il fuoco, impedì ai dimostranti pacifici e disarmati guidati da Gapon di giungere sino al palazzo d’inverno. Vi furono varie migliaia di morti. Quell’episodio fu ricordato come la “domenica di sangue”. Tra gli arrestati vi fu anche Massimo Gorkij. Quarantottore dopo fu proclamata a Pietroburgo la dittatura militare, a capo della quale fu posto il generale Dmitri Feodorovich Trepov.

Chi era davvero Trepov, quali le sue origini e il significato del suo nome? Che cosa successe nella reggia di Peterhof, la sera stessa in cui fu assassinato il granduca Sergio, cognato dello zar Nicola II? A quale gioco si accinse, dopo cena e su un divano lo zar con l’altro suo cognato, il granduca Aleksandr Michajlovič Romanov? Una cosa da non credere se non ci fosse stata raccontata a suo tempo, expresiss verbis, da un ospite di riguardo di quella serata, vale a dire dal principe Federico Leopoldo di Prussia, fratello del re di Prussia e imperatore di Germania, Guglielmo II. Si può scandagliare Internet ma non si troverà nulla al riguardo. Tutto ciò a un prossimo post.


sabato 30 maggio 2020

Cleptomani



C’è un italiano, un tedesco, un francese e a volte un inglese o un americano, più raramente è presente un “negro” o un cinese, chiamati in tal caso a rappresentare il genere Africa e Asia, come se questi continenti fossero due principati dell’Europa. È così che cominciano certi tipi di barzellette tradizionali che hanno lo scopo di esaltare la scaltrezza e l’arguzia dell’elemento nazionale nostrano, caricando invece di mende, vere o presunte, i comportamenti dei personaggi “foresti” messi a confronto nel racconto.

Questo tipo di barzellette sono merce corrente in ogni paese del mondo, muta solo la composizione dei soggetti nazionali eletti a protagonisti. Le più perfide barzellette contro gli italiani le ho ascoltate in Francia, le più cattive e stupide si raccontano in Austria. Quelle scozzesi con oggetto gli inglesi sono le più divertenti e corrosive che io conosca. E viceversa.

In ambienti sociali un po’ più scelti non si raccontano in genere di queste barzellette e si preferiscono amene storielle caratteristiche di quell’elemento di curiosità che rende così attraente la storia più minuta. Tuttavia anche in tal caso il modo canzonatorio nel quale sono recitate raggiunge obiettivi più sottilmente denigratori. Per esempio, molti anni fa ho ascoltato una storiella che aveva a oggetto i rumeni e la loro inclinazione alla cleptomania.

La sera stessa del suo arrivo a Bucarest, il nuovo ambasciatore francese fu invitato dal ministro degli Esteri rumeno a un ricevimento di benvenuto presso il dicastero dalle cui alte finestre si può ammirare la chaussée Kiselëv che attraversa la capitale. Durante la serata, brillante e animata, dopo qualche brindisi l’ambasciatore nota che gli manca l’orologio con la catena d’oro. Una perdita che lo affligge perché l’uno e l’altra sono oggetti molto belli e preziosi. È imbarazzato e non sa che partito prendere. Percorrendo la grande sala dove si tiene il ricevimento, egli nota che la sua splendida catena è finita sul panciotto di un signore che gli è stato presentato poco prima quale generale XY, ministro della Difesa.

Dopo qualche esitazione, l’ambasciatore si risolve di comunicare la sua scoperta al padrone di casa, cioè al ministro degli Esteri. Calmissimo, questi gli dice: “Laissez-moi faire, j’arrangerai cette petite affaire”. Dopo un po’, il ministro degli Esteri ritorna con l’orologio e la catena. Il derubato lo ringrazia calorosamente, e chiede tuttavia se la restituzione del maltolto non sia stata preceduta da una penosa spiegazione. “Oh, non – risponde l’egregio ministro –, mon collègue ne s’en est pas aperçu”!

Che questo fatto sia potuto realmente accadere presso il Ministero degli Esteri a Bucarest è cosa palesemente inverosimile, tuttavia queste storielle tratteggiano spesso un qualche elemento di verità.

Nonostante l’helicopter money, anzi per quello



Vorrei scribacchiare qualcosa sugli “incidenti” razziali occorsi in questi giorni in America. Minneapolis è molto più lontana di Hong Kong, e anche di Marte, pianeta com’è noto abitato dai marziani, i quali ci scrutano con potenti occhi artificiali. Perché non colgono questo favorevole momento per invaderci? Credo ci stiano pensando, e però a trattenerli da una simile impresa è la valutazione che la conquista del nostro pianeta malato sarebbe per loro più un problema che un vantaggio.

Tutti giungono a vedere le motivazioni apparenti di questa rivolta americana, ma quanti sono disposti a vedervi le motivazioni reali? Ciò indurrebbe a un approccio molto diverso e pericoloso per gli assetti del sistema vigente. Basterebbe togliere la parola “neri” e sostituirla con altre, a scelta, e allora l’esercizio teorico della critica della società presente, mediaticamente parlando, prenderebbe la forma della critica delle situazioni sociali reali, diventando un’effettiva critica del sistema, ossia prendendo atto che i cosiddetti diritti civili sono mantenuti entro una legalità che tollera le mille violenze quotidiane che ovunque una società di classe giudica necessarie per mantenere l’ordine costituito.

Non è più di moda e soprattutto remunerativo, lo so, perché si tratterebbe di andare alle radici della contraddizione economica e sociale, che nessuna legge giuridica potrà far venir meno opponendosi alle leggi più fondamentali sulle quali si basa una società di classe. Non ha importanza se si tratti di Minneapolis o di Hong Kong, così come di qualunque altro posto di questo nostro pianeta, di qualunque altra situazione storica. E non serve che ogni mattina il padrone telefoni al direttore del suo giornale perché questi sappia che cos’è meglio dire e pubblicare e in quali forme e rilievo.

Oggi siamo arrivati al punto, sotto l’aspetto dello sviluppo storico, cioè tecnologico, mercantile e sociale, in cui sempre più i popoli prendono alla lettera la propaganda del capitalismo contemporaneo, quella che accompagna il messaggio delle merci e che fa apparire sempre più come arbitrari e non necessari gli attuali rapporti sociali di produzione. Basta farci caso.

Le persone non vogliono più rimanere prigioniere delle forme arbitrarie con cui è rivestita l’immagine del loro bisogno. La migliore immagine della menzogna dell’abbondanza per tutti è divenuta verità ancor più evidente durante questa pandemia, e lo sarà anche e soprattutto dopo, nonostante l’helicopter money e paradossalmente in forza di esempi come quello. La produzione delle merci, non appena cessa di apparire per ciò che essa in realtà non è, diventa contestabile in tutte le particolari forme che essa assume. Il lavoro stesso, il nobile sudore, non è più rispettato come un tempo quale mirabile feticcio. L’ultima ratio dei rapporti sociali tradizionali sta andando, progressivamente e per vari motivi, in frantumi.

giovedì 28 maggio 2020

Spigolature di storia



La nascita di Aleksej Nikolaevič, portò una gioia incontenibile nella corte dei Romanov. Era arrivato finalmente il tanto atteso maschio, l’erede al trono, lo tsarevich. Già alla prima poppata fu nominato capo di un reggimento finlandese di guardie del corpo, di un reggimento di fucilieri siberiano, atamano di tutti i reggimenti di cosacchi e contemporaneamente à la suite di due reggimenti della guardia e di quattro di linea. Il merito si vede fin dalla nascita. Sua mamma, la zarina Alessandra Feodorovna, come premio era stata nominata capo di un reggimento di dragoni. Il bimbo ebbe come padrini l'imperatore Guglielmo II e il re Edoardo VII, suoi parenti.

Aleksej Nikolaevič soffriva di emofilia (aplogruppo mitocondriale H) trasmessagli, da parte di madre, dalla bisnonna, la defunta regina Vittoria, che ne era portatrice sana (*). I medici di allora si comportarono come i medici di oggi, non avendo un farmaco specifico per la cura della malattia, provvedevano empiricamente, cioè sperimentando terapie con i farmaci allora disponibili.  Tra questi, l’acido acetilsalicilico. Loro non lo sapevano, ma era come prescrive dello zucchero a un diabetico. Infatti l’acido acetilsalicilico favorisce la fluidificazione del sangue e dunque ha effetti anticoagulanti.

mercoledì 27 maggio 2020

Pagliacci



L’Inps comunica che per il bonus € 600, riferito al mese di aprile e che doveva essere erogato entro lunedì scorso, per i lavoratori dello spettacolo le cose andranno per le lunghe poiché il diritto alla seconda indennità è subordinato alla verifica dell’assenza di un rapporto di lavoro subordinato al 19 maggio scorso. Si parla di settimane.

È noto che con la cultura non si mangia e del resto gli artisti danno il meglio di sé quando tirano la cinghia.

lunedì 25 maggio 2020

Questa nostra piccola patria



L’Austria per l’Italia costituisce un corridoio fondamentale per il transito delle merci e degli approvvigionamenti energetici. I neo asburgici di Vienna si fanno forti di questa posizione strategica per le loro reiterate provocazioni verso l’Italia. Per il resto, l’Austria è solo un Länder tedesco, che deve obbedire.

La Germania ha ben presente la condizione dell’Italia, del suo debito e degli enormi problemi strutturali che si trascinano irrisolti da decenni, il tutto aggravato dalla epidemia virale e tutto ciò che n'è conseguito. Un’Italia troppo debole non conviene al capitale tedesco. Berlino non ha opzioni tra cui scegliere, ma un solo nome disponibile come capo del nuovo esecutivo. Il quesito è: con quale maggioranza parlamentare? Si vedrà in autunno, quando anche i più recalcitranti dovranno scegliere.

La Lega non ha alcuna possibilità di governare di nuovo finché sarà guidata da Matteo Salvini e dal suo entourage di economisti anti-euro. Pertanto non resta che l’attuale maggioranza per un nuovo governo oppure le elezioni, improbabili ma non impossibili. La natura vaga ed incerta  del movimento grillino, non aiuta. L’incognita vera riguarda però la tenuta sociale. Molto del futuro, non solo di questa nostra piccola patria, dipenderà da ciò che accadrà nei prossimi sei mesi.

domenica 24 maggio 2020

Ecco spiegato perché in Veneto ...



Repubblica, non il giornalino di classe.

Ma quale Zaia e Crisanti, tamponi qui e tamponi là.
Non pronunciamo le doppie.
Resta il mistero Sardegna.

venerdì 22 maggio 2020

La pronipote del cameriere



Scrivevo ieri che i monarchi attuali potrebbero discendere da antichi servi, così come degli schiavi moderni potrebbero contare tra i loro avi degli antichi re.

Juan Carlos di Borbone, l’ex re di Spagna che tutti conosciamo, è figlio di Giovanni di Borbone, il cui nome completo era Juan Carlos Teresa Silverio Alfonso de Borbón y Battenberg, il quale era a suo volta figlio terzogenito di  Alfonso XIII di Borbone e Vittoria Eugenia di Battenberg.

Eugenia di Battenberg era a sua volta la discendente di uno dei camerieri al servizio del conte Heinrich Brühl, già paggio di Augusto il Forte monarca della Sassonia, elevato poi a primo ministro. Brühl viveva nello sfarzo più assoluto: quando Federico il Grande entrò a Dresda trovò nel palazzo abitato dal primo ministro 800 vesti da camera, 1500 parrucche e 2000 paia di scarpe.

giovedì 21 maggio 2020

[...]


Svezia 10.302.984 abitanti (2019). Morti a ieri con covid-2: 3.871; percentuale sulla popolazione: 0,037. Per milione di persone: 381.

Svizzera: 8.530.100 abitanti (2017). Morti a ieri con covid-2: 1.893; percentuale sulla popolazione: 0,022. Per milione di persone: 240.

Stati Uniti: 329.311.764 abitanti (2019). Morti a ieri con covid-2: 93.806; percentuale sulla popolazione: 0,028. Per milione di persone: 287.

Giappone: 126.440.000 abitanti (2019). Morti a ieri con covid-2: 784; percentuale sulla popolazione: 0,0006. Per milione di persone: 6.

Brasile: 210.147.125 abitanti (2019). Morti a ieri con covid-2: 19.038; percentuale sulla popolazione: 0,009. Per milione di persone: 92.

Italia 60.359.546 abitanti (2018). Morti a ieri con covid-2: 32.330; percentuale sulla popolazione: 0,053. Per milione di persone: 512.

Lombardia 10.088.484 abitanti (2019). Morti a ieri con covid-2: 15.664; percentuale sulla popolazione: 0,15. Per milione di persone: 1.553.

Cornuto, disse il bue all’asino.

L’antenato sopra l'albero


“Faremo dei figli … Porci che ci lasceranno morire di fame.”
M. Yourcenar, Quoi? LÉternité, p. 293.


Prendo spunto da un commento a un mio post recente, nel quale un lettore dubitava che tra Adriano Collini e Cosimo Alessandro Collini, segretario copista di Voltaire, vi possa essere qualche grado di parentela. La questione dei cognomi, delle parentele, delle ascendenze e discendenze, è assai complicata e c’è bisogno di studio al riguardo.

In tredici anni di scuola, dalle elementari al cosiddetto esame di maturità, mai durante le lezioni di storia un’ora o anche solo mezz’ora è stata, a mia memoria, dedicata alla genealogia. Certo, si raccontava del susseguirsi delle dinastie, e che un tal principe sposò una talaltra principessa, e che da quel matrimonio, sempre di ragione e mai d’amore, nacque un figlio, magari un Federico II, che poi ebbe il ruolo storico che sappiamo. Tuttavia mai vi fu un accenno alla genealogia come ad una scienza in sé. Forse taluno di voi che qui legge è stato più fortunato di me.

Del resto le attente e puntigliose ricostruzioni événementielles non vanno più di moda da quando Fernand Braudel è stato frainteso; ritenute come noiose vanitates dai “pigri, dagli ignoranti e dai venditori di fumo”, come scrive Franco Cardini. Così capita, soggiunge lo storico fiorentino, che chi si occupi degli intimi particolari della storia, venga “definito un dilettante da esponenti di quella genìa di vanitosi plagiari che allo scader di ogni anno sfornano puntuali il loro best sellers e che troppo spesso pontificano di cultura dai piccoli schermi, doverosamente straosannati e strapagati dall’intellettuale opinion maker di turno”.

Con ciò non voglio sostenere che la scienza genealogica possa rivelarci l’essenza dei processi storico-sociali, non è questo il suo compito, o che essa possa superare di per sé l’isolamento dei singoli fatti nella ricostruzione degli avvenimenti. Del resto l’ossessione specialistica è un limite di ogni ambito scientifico, come possiamo costatare in questo nostro particolare frangente, laddove la scienza che studia i virus e le epidemie è diventata parte del problema se non il problema stesso, e non solo perché abbiamo ascoltato opinioni e valutazioni tra loro molto discordanti da parte di cosiddetti scienziati.

Un tempo eravamo molti di meno, per esempio in Italia, attorno al Mille, non più di 5 milioni di individui, quasi tutti analfabeti, dispersi per infiniti borghi, casali e pievi, realtà dunque piccole, dove si nasceva e si moriva senza troppe preoccupazioni statistiche. Oggi siamo circa 60 milioni, in proporzione quasi con lo stesso numero di analfabeti. Veniamo ora alle parentele, tanto per dire al lettore di cui sopra come già in premessa sia complessa la faccenda.

Se due sono i genitori, quattro sono i nonni, otto i bisnonni, sedici i trisnonni, trentadue i quadrisnonni, sessantaquattro i cinquisnonni, centoventotto gli esavoli, e così via. Per ogni generazione che si risale il numero raddoppia, così che, risalendo di dieci generazioni (un arco di tempo di circa tre secoli, dunque dalla morte di  Luigi XIV od oggi) avremo, allineati al medesimo livello, cinquecentododici ottavoli, vale a dire cinquecentododici ascendenti, tra maschi e femmine, a ciascuno dei quali corrispondono una famiglia con una propria storia e un’area geografica di appartenenza!

Se risalissimo indietro al ‘400, potremmo scoprire di avere circa 131.072 sedecavoli (si chiamano così). A ciascuno di noi corrispondono 1.048.576 diciannovesimi nonni. Un nostro ventiseiesimo nonno non sarebbe altro che uno dei nostri 134.217.728 nonni. Porca Eva, andando all’indietro così arriviamo ai miliardi!

Se tornassimo indietro di 900 anni, ciascuno di noi avrebbe un miliardo di antenati. Questo in linea strettamente aritmetica, cioè teorica. Ma 900 anni fa sulla terra non c'erano un miliardo di persone. Com'è possibile che ciascuno di noi abbia avuto un miliardo di antenati. Che fine hanno fatto?

Nella realtà storica il discorso cambia: se abbiamo due genitori e la popolazione mondiale è ora di circa 7 miliardi, il calcolo aritmetico finora esposto porterebbe a stimare che la generazione precedente contava 14 miliardi, senza contare i nonni! Qualcosa non quadra.

Dobbiamo tener conto che non tutti siamo figli unici e che la maggior parte di noi ha dei fratelli, delle sorelle e dei cugini. Le unioni tra consanguinei, specie un tempo, erano molto frequenti, ossia la norma. Ecco dove sta l’errore (*). 

Risalendo indietro nel tempo per generazioni il numero degli esseri umani complessivo diminuisce invece di aumentare, perché ogni coppia di genitori fa in media più di due figli. La ragione principale è che negli alberi genealogici di ognuno di noi ci sono persone che sono anche negli alberi genealogici degli altri. Ad esempio, io e mio cugino abbiamo ognuno quattro nonni. Tuttavia mio papà e quello di mio cugino sono fratelli, avevano gli stessi genitori. Pertanto io e mio cugino, insieme, non abbiamo otto nonni, ma solo sei, perché due sono gli stessi. Ecco, più si risale nel tempo, più parenti abbiamo in comune con chiunque altro sul pianeta.
 
Ciò dimostra una volta di più che la matematica, scienza esatta, va maneggiata con precauzione quando si ha a che fare con qualsiasi tipo di dinamica sociale (non siamo una colonia di topi come credeva Malthus). 

Matematizzare significa semplificare, ridurre la complessità alla semplicità. I fenomeni complessi e irriducibili non sono matematizzabili. La logica dialettica, ad esempio, non è matematizzabile. La comprensione del “mondo”, la sua soluzione, non può essere una questione di matematica come si sostiene continuamente, bensì di logica dialettica. 

Per quanto riguarda l’ereditarietà, così ci mettiamo il cuore in pace in famiglia, è bene ricordare che i figli possono ricevere caratteristiche fisiche e intellettuali indifferentemente dal padre o dalla madre, da entrambi i genitori, oppure, escludendo i genitori, direttamente da antenati più remoti dell’uno o dell’altro. Tuttavia anche sul ruolo dell’ereditarietà bisogna andarci cauti: nella formazione dei caratteri psichici individuali l’influence du milieu è spesso più decisiva che l’eredità biologica.  

Non ricordo più chi osservò che i monarchi attuali potrebbero discendere da antichi servi, così come degli schiavi moderni potrebbero contare tra i loro avi degli antichi re. Personalmente gli alberi genealogici di grandi e piccoli personaggi mi affascinano, tuttavia rilevo che spesso si tratta di alberi morti.

(*) È l’errore che compie Luca Sarzi Amadè nel suo L’antenato nel cassetto, Mimesis, 2015, p. 41 e ss., dal quale sono tratte le cifre riportate. Non si tratta di un errore di calcolo, bensì di impostazione del problema.

mercoledì 20 maggio 2020

Parenti serpenti



Così titolò quel suo bel film Mario Monicelli.

Il duca Luigi Filippo II d’Orléans, padre del futuro re dei francesi Luigi Filippo, durante la grande rivoluzione, della quali fu a suo modo uno dei suscitatori, si schierò con i giacobini, facendosi chiamare Citoyen Égalité.

Al processo contro Luigi XVI, essendosi i parlamentari espressi con assoluta parità di verdetti, il suo fu il voto decisivo per la condanna a morte di suo cugino, che d’altra parte lo aveva sempre sdegnato. Tale voto disgustò profondamente Robespierre, il quale disse al riguardo: “Era l'unico membro dell’Assemblea che avrebbe dovuto fermamente ricusare questa proposta”.

Al Citoyen Égalité non gliene venne un gran bene poiché a sua volta fu decollato il 6 novembre 1793. Secondo Wikipedia in tale occasione mostrò “a detta dei testimoni un notevole coraggio”.

Io non potei essere testimone diretta dellevento poiché fui decapitata tre giorni prima del sedicente Citoyen Égalité, vale a dire il 13 brumaio dell’anno II, quando il nuovo calendario non era in vigore che da poco più di una settimana. Ad ogni modo vedo di offrire alla sua vicenda un po’ di dettaglio storico enogastronomico.

Prima di salire sulla fatidica carretta, Luigi Filippo ordinò tre dozzine d’ostriche (immagino quelle di Marennes-Oléron), una bottiglia di vino (avrei proposto ovviamente del Chablis des Jacobins). Si presentò alla ghigliottina à la mode: in marsina verde con panciotto di piqué bianco, calzoni gialli e stivali lucidissimi. Indubbiamente fu un uomo che seppe vivere e morire da par suo. Almeno così lo descrive Carlyle, il grande storico inglese.

*

A proposito di eleganza. Quando Voltaire, a Potsdam, venne in urto con suo grande protettore, re Federico II di Prussia, questi fece arrestare un suo segretario, un certo Villaume. Il segretario comparve davanti al monarca prussiano in un abito elegantissimo. Il re gli chiese ragione di ciò: com’è che vi presentate in un abito così splendido, con i polsi così belli, come un jabot così distinto? Il segretario rispose con disinvoltura: “Voilà comment Monsieur de Voltaire aime à habiller ses gens”.

Federico II assunse Villaume a suo servizio, o almeno così la raccontò un suo nipote in servizio nell’esercito prussiano. In realtà, da una lettera di Voltaire sembra che a servizio del re di Prussia come copista fosse andato uno dei figli di Villaume (**).

(*) Villaume  fu uno dei copisti meno conosciuti di Voltaire, mentre è molto noto come suo altro copista Cosimo Alessandro Collini.

(**) Voltaire, Oeuvres completes, Charles Furne Editeur, Paris, 1838, vol. XI, p. 728.

martedì 19 maggio 2020

La “recessione Roosevelt”




La notizia: 500 miliardi a fondo perduto, dei quali tra 80 e 100 andrebbero all’Italia. A decidere oggi e nel prossimo futuro sono soprattutto loro, il rinnovato tandem franco-tedesco (chi altro sennò, i nostri ministri?). Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia insistono perché vengano emessi solo prestiti rimborsabili e nessuna sovvenzione.

L’Austria dovrebbe ringraziare anche l’Italia se, a suo tempo, non le fu tolta Klagenfurt per darla agli slavi.

I 500 miliardi graverebbero sul bilancio UE del 2021-2027, e seguono il pacchetto d’interventi da 540 miliardi varato nell’aprile scorso, che consente ai paesi interessati di prendere in prestito denaro a condizioni più favorevoli di quanto molti governi sarebbero in grado di fare da soli. Non è detto che a queste somme non se ne possano aggiungere in futuro delle altre.

Antonio Tajani s’è lamentato che sono pochi spicci, e, “leggendo i documenti”, ha ravvisato che “c’è una spinta orientata a tutelare gli interessi di Germania e Francia”. Ma chi è Tajani, quello che “Mussolini ha fatto qualcosa di buono per il suo paese”?

La differenza rispetto alle invocate obbligazioni “corona” è che la responsabilità solidale per il debito è limitata alla portata delle garanzie dell’Unione, e dunque non si tratta di una Gemüsesuppe indigesta a molti Stati con un rapporto debito/pil molto più basso del nostro.

Tutto ciò deve avvenire “sulla base dei programmi di bilancio dell’Unione europea e in linea con le priorità europee”. Sarà la bontà della spesa a fare la differenza, e viene in mente il caso di Alitalia ed è forte la tentazione di “prender l’armi e contro un mare di triboli e combattendo disperderli”.

Il rischio concreto d’inflazione c’è, ma è meglio una modica inflazione che una severa recessione. Più in generale, ancora una volta può soccorrere la storia. Anche i bimbi della quinta elementare, almeno quelli di una volta, sapevano che cosa era successo con la crisi del 1929, con la “recessione Hoover”. Non moltissimi, anche tra gli adulti di oggi, sanno invece che cosa avvenne negli Usa nel 1937-’38 con la “recessione Roosevelt”.

Nel 1936, le spese governative dell’ordine di 4,1 miliardi di dollari (di allora) avevo fatto sì che l’economia continuasse ad andare avanti, mentre gli agricoltori, i veterani e i dipendenti della Works Progress Administration spendevano i sussidi, l’indennità e gli assegni dello zio Sam. Una stimolazione del mercato interno che aveva dato e continuava a dare i suoi frutti, anche in termini di consenso politico, posto che Roosevelt alle elezioni aveva sbaragliato tutti gli avversari.

Roosevelt, dopo la rielezione del 1936, divenne, anche emotivamente, restio ad accettare nuovi disavanzi del bilancio, e dunque decretò una forte riduzione dei programmi governativi di assistenza ai lavoratori e altre categorie, nel tentativo di limitare il deficit federale e di pareggiare il bilancio, in tal modo sperando di evitare le spese per maggiori interessi e la comparsa dell’inflazione, temuta soprattutto dalla Federal Reserve, che aveva aumentato le riserve obbligatorie negli ultimi sei mesi, riducendo in tal modo la massa monetaria.

Roosevelt dimostrò troppa ansia per la moneta e sottovalutò l’impatto delle sue decisioni sull’economia reale, sulla quale in definitiva poggia tutto il circo sociale, non solo quello borghese. In tal modo inflisse a milioni di americani, dall’autunno del 1937, le sofferenze economiche di una nuova recessione, che prese il suo nome. Il 19 ottobre, in una terrificante replica del 1929, i prezzi delle azioni crollarono a Wall Street. Gli investitori svendettero 17 milioni di azioni, le quali scesero in breve tempo del 50%. L’occupazione diminuì del 23% nell’industria manifatturiera, il reddito nazionale del 13% e la produzione di beni durevoli come le automobili e gli elettrodomestici scese del 50%. Si ebbe un aumento dei 500% delle liste di richiesta di assistenza della Works Progress Administration.

Ancora una volta aumentò il numero di bambini denutriti e quello delle famiglie indigenti costrette a frugare nei bidoni delle immondizie dei ristoranti nella speranza di trovare cibo. Ecco quali disastri possono condurre delle scelte di politica economica sbagliate. Roosevelt nell’aprile 1938 chiese al Congresso tre miliardi di stanziamenti per la Works Progress Administration e per la Public Progress Administration, che divennero 3,75 miliardi in autunno (elezioni per il Congresso).

Tutto ciò non debellò la recessione, ci sarebbe voluto ben altro, ma impedì alla recessione di peggiorare ulteriormente. L’economia continuò a tirare avanti faticosamente fino a quando non arrivò un forte aumento delle spese militari dopo il 1940. Roosevelt, keynesiano prima di Keynes, ridiventò suo malgrado keynesiano dopo Keynes.

Le spese in disavanzo avevano dimostrato la loro efficacia, pur limitata. Comunque non sono un rimedio risolutivo alle contraddizioni del modo di produzione capitalistico, tantomeno quando debito pubblico e privato raggiungono livelli abnormi come oggi.

Notarelle ansiogene



Le classi politiche di ogni dove sono in crisi. È una crisi che riguarda il personale politico, le idee e le strategie, le forme della rappresentanza. Lo stacco netto con le leadership del secondo dopoguerra è evidente, il confronto impietoso. Persino in paesi come l’Italia dove la classe politica di governo non ha mai brillato per chiarezza degli obiettivi generali, salvo quello della conservazione del proprio potere.

Eppure le linee guida di una buona politica sono semplici da indicare, molto meno da seguire: implementare le migliori tecnologie, diminuire i costi ed espandere il mercato, abbassare le spese generali dello Stato. Anche se queste linee guida fossero state davvero perseguite nel nostro paese, come anche in altri, non si è tenuto abbastanza conto delle disuguaglianze sociali che si andavano approfondendo e dei paradossi che accompagnavano gli indubbi progressi.

Insomma, sarà banale ribadirlo ma le cause della crisi sono ben più profonde. L’enorme progresso tecnologico, l’apoteosi elettronica degli ultimi trent’anni, non solo non ha sciolto le contraddizioni sociali e culturali alla base del capitalismo, ma le ha aggravate e le sta esasperando sempre di più. Gli aspetti più rimarchevoli sono la disoccupazione di massa e la promozione del cretinismo, sia generale che di selezione.

lunedì 18 maggio 2020

L'improvvisa morte di Léon Gambetta



Non a molti il nome di Léon Gambetta dirà qualcosa. La sua vicenda politica e umana fu abbastanza singolare. Suo nonno era emigrato da Genova per Cahors, capoluogo del dipartimento del Lot. Suo padre, nato anch’egli in Italia, parlò per tutta la vita un francese con spiccato accento italiano. Aveva un negozio di erbe officinali con l’insegna “Au port de Gênes.

Léon (1832-1882), per quanto benestante, ebbe sempre un aspetto da bohémien. Gli mancava l’occhio destro, causa un incidente da giovane. Aveva fatto il suo apprendistato politico, da studente, al café Procope, il più antico caffè di Parigi e forse d’Europa. Più tardi, diventato avvocato e passato dalla riva sinistra della Senna a quella destra, si era esibito come un oratore al café Madrid. Aveva una voce stentorea che attirava a sé, la sera, un circolo di uditori ammirati.

Dopo Sedan, Gambetta, che era stato un oppositore di Napoleone III, leader degli Irréconciliables (*), divenne per i francesi non solo un patriota, bensì il patriota per antonomasia. Deputato dal 1869, fautore di quelle “riforme economiche che toccano la questione sociale” (**), era l’uomo che dapprima si era opposto alla guerra con la Prussia, ma dopo, caduto Napoleone, aveva sostenuto sino all’ultimo la guerra a coltello contro i tedeschi, campione della “guerre à outrance”. Sepolto per sua volontà a Nizza, il suo cuore nel 1920 è stato trasferito al Pantheon di Parigi.

Fu con Jules Favre (un altro personaggio di cui forse dirò in un prossimo post) uno dei fautori della Terza Repubblica.

Quella di Léon Gambetta fu una brillante carriera politica interrotta precocemente dalla sua improvvisa morte. Wikipedia, nella versione italiana, non dice come trovò la morte, e la Treccani sostiene che, “feritosi accidentalmente a una mano, morì per una successiva complicazione”. Non andò precisamente così e sulle cause della sua morte fiorirono racconti romanzeschi. Più dettagliata ma non accurata è la versione francese di Wikipedia, di cui mi avvalgo solo in parte.

Léon Gambetta era legato da oltre dieci anni sentimentalmente a madame Léonie Léon,  sposata ma da lungo tempo separata dal marito. Si era innamorata nel 1870 di Gambetta ascoltando una sua travolgente orazione dalla galleria del Corps Législatif (secondo impero). Gambetta avrebbe voluto sposarla, ma ella, cattolica, non volle contrarre un secondo matrimonio sinché il primo non fosse stato annullato dalla Santa Sede, ciò di cui non v’era possibilità alcuna.

Nel novembre 1882, la coppia si trovava nella modesta villetta di Gambetta, des Jardies a Ville d’Avray (ora museo, in Avennue Gambetta, già rue du Chemin Vert, a pochi passi dalla stazione ferroviaria Sèvres-Ville d’Avray). Gambetta si ferì maneggiando un piccolo revolver. Il proiettile partito accidentalmente penetrò nel palmo della sua mano e nell’avambraccio.

Questo fatto diede adito a sospetti e fiabe da parte della stampa, soprattutto d’opposizione, che ci ricamò a lungo. Immaginiamoci una Dietlinde Charmelot d’allora che prepara il piatto con le sue domandine a risposta suggerita e un Sallusti che c’inzuppa avido il pane. In realtà, mentre era a letto a causa di questa ferita, a Gambetta si riacutizzò l’infiammazione del peritoneo, questa volta con esito fatale. Il celebre professor Charcot, nella sua diagnosi, rilevò che la causa della peritonite era da attribuirsi a un carcinoma già in metastasi. Gambetta morì il 31 dicembre 1882. Fu eseguita autopsia.

(*) Eugenio Di Rienzo, Napoleone III, Salerno editrice, p. 505.
(**) Ib., pp. 514-15.

domenica 17 maggio 2020

[...]



Telefonate all’Ama



Caro Mantellini, non bisogna stupirsi più di tanto per quel manifesto. In Italia si legge poco, ma si produce molta immondizia editoriale.

*

Si conobbero sul finire del secolo prima, a Parigi. Lui era un giovane segretario di legazione presso l’ambasciata imperiale di Germania; lei una donna sposata di circa 40 anni, l’età celebrata da Balzac. Il marito viveva separato dalla moglie, dunque non era terzo in quella relazione, contrariamente al consorte di madame de Warens nelle Confessioni di Rousseau.

Il giovane segretario e la contessa si erano trovati senza particolare passione, e così dopo alcuni mesi si separarono senza dolore. Diradarono le visite, si addormentò a poco a poco anche la corrispondenza.

Una trentina d’anni più tardi, quando l’ex segretario d’ambasciata era da tempo divenuto cancelliere del Reich, una notte sognò di lei. Sognava di rado, ma quella notte ella gli apparve dinanzi viva e inconfondibile. Gli si rivolse con naturalezza:

“Enfin je vous revois. Il y a bien longtemps que nous ne nous sommes plaus vus. Pourquoi ne m’avez-vous jamais écrit? A moi qui vous aimais bien?”.

Il cancelliere, non senza imbarazzo, le rispose con franchezza:

“J’ai eu tort, très tort, ma chère amie. Mais si je ne vous ai pas ecrit, je ne vous ai pas oublièe.”

Ella gli tese la mano e dileguò, così come dileguano in Omero le figure sognate, in un’aura lieve.

Il mattino dopo, seduto alla sua scrivania della Cancelleria, prese un foglietto dal blocco e scrisse rapido: “Ufficio cifra. Avvertire il corriere di questa sera per Parigi che ho da consegnare una lettera”.

Dopo pranzo, il cancelliere apprendeva da un quotidiano parigino appena giunto che la contessa D. era morta il giorno prima. Informava il giornale che la contessa “lasciava un vuoto sensibile nel gran mondo parigino, dove Ella era stata circondata da molta simpatia e dalla considerazione di tutti”.

Il cancelliere non si era mai occupato di spiritismo, non avrebbe mai creduto nell’occultismo e in certe teorie e pratiche bislacche. Tuttavia aveva letto Schopenauer, il quale aveva scritto a riguardo dei sogni sia nella sua opera principale, Il mondo come volontà e rappresentazione, sia nel Parerga e Paralipomena.

Se vi viene da chiedervi che cosa ha scritto Schopenauer a proposito dei sogni, per saperlo potete telefonare all’Ama di Roma. Vi manderanno una copia dei suoi scritti.

sabato 16 maggio 2020

Come i crucchi


La loro "soluzione" e far restare le cose come stanno.
Eppure si tratta delle elementari conquiste della rivoluzione borghese di secoli fa.
Quelli che gli danno retta sono l’incarnazione dell’ipocrisia di un ordine feudale.


Parliamoci chiaro, non è facile governare un paese diseguale e sbrindellato, a tratti ancora premoderno, come l’Italia. Specie in una situazione com’è quella attuale. Un paese dove tutti sono contro tutti, dove il lavoro in nero è diffuso ovunque e quasi la norma in certe regioni del sud. Dove le regole che valgono in un posto sono nulle in un altro.

Quanto a coloro che ci governano, non si saprebbe da chi scappare più lontano. Per affidarsi a chi poi? Non ne usciremo bene e non solo perché c’è capitata questa cosa del virus. Ci vorrebbe una brusca sterzata per evitare il fosso, l’occasione c’è ma non se ne farà nulla, o non abbastanza. Per un milione di motivi.

I mali sono antichi, e alcuni così profondi da diventare irredimibili. Il sud, per esempio, lo vediamo allontanarsi sempre più. Possibile che popolazioni che quando sono immigrate hanno contribuito in massa e in modo decisivo allo sviluppo economico del nord del paese, non siano in grado di scrollarsi di dosso una condizione di arretratezza, non solo economica, che colloca talune di quelle regioni del sud tra le ultime in Europa?

Diventa sempre più difficile lottare nell’arena mondiale con un braccio sano e l’altro monco, specie in situazioni di crisi acuta come l’attuale. Un esempio: dopo decenni di tante chiacchiere non s’è riusciti, non s’è voluto, dare certezza di diritti a decine di migliaia di braccianti, di brave persone ridotte in schiavitù, e questo perché economicamente conveniva e conviene. Non solo ai caporali, non raccontiamoci balle. E se il prezzo dello sfruttamento è basso per una categoria di lavoratori, è al ribasso anche per le altre. E questo vale anche per i diritti.

S’è presa la palla al balzo del virus per rimediare, va bene, vedremo con quali effetti. E questo discorso della regolarizzazione non vale, ovviamente, solo per il sud e per agricoltura, allevamento, zootecnia, pesca, ma anche per il lavoro domestico, quello delle cosiddette badanti e le colf. Dunque ci riguarda tutti, dalle Alpi ai Peloritani, perché non è più possibile continuare con questo medioevo. Vorrà dire che pagheremo un po’ di più la salsa di pomodoro e le arance, e un po’ di più chi ci toglie l’incomodo di assistere i nostri vecchi. Alla fine un equilibrio si trova sempre e tra qualche anno potremmo vantarci di essere civili e moderni. Come i crucchi. Forse.

venerdì 15 maggio 2020

La Venere Pandemia



La prassi delle anticipazioni di notizie riservate fatte filtrare alla stampa ha antecedenti numerosi e storicamente anche famosi. Un caso esemplare è quello del giornalista boemo Henri Oppert (o Opper), naturalizzato francese col nome di Henri Blowitz (nome mutuato dalla sua città natale, oggi in repubblica Ceca), il quale fu corrispondente dalla Francia del Times, pagato a peso d’oro dal proprietario del giornale, John Walter III, quello che introdusse l’omonima stampa su rotativa dopo che fu trovato un procedimento che permetteva la stereotipia curva (ma questa è tutt’altra avvincente storia).

Ciò che riguarda la vicenda di Henri Blowitz si trova in internet, e ciò che non si trova lì, potete leggerlo qui di seguito. Riguardo le vicissitudini di Blowitz, prima di diventare giornalista, è rimarchevole che egli fu precettore nella casa di un commerciante di Marsiglia, dove riuscì a conquistare il cuore della madre del suo allievo, pur non essendo certo un Adone (com’è evidente dalla foto che qui segue).

giovedì 14 maggio 2020

Catechismo



Non ho alcuna voglia e intenzione di commentare il decretone e di come si poteva fare sicuramente meglio e prima, salvo rammentare che si tratta di 55 miliardi che dovranno scontare, sommati al pregresso, soprattutto le generazioni più giovani e in special modo i soggetti economicamente meno dotati. Invocare il coronavirus e la cinica sorte non varrà come esorcismo. Bisognerà inventarsene un altro, di sudore e lacrime. 

*

Ricordo i pomeriggi di catechismo presso il patronato della parrocchia. Arrivavamo infreddoliti, tanto che appoggiavamo le mani direttamente sulla stufa in terracotta e le ritiravamo solo quando si scottavano. A tenere le lezioni c’era una suora d’aspetto corpulento e però bonaria. Spesso, oltre a catechizzare, doveva occuparsi di stirare della biancheria. Stendeva una coperta sopra la cattedra, recuperava con insospettabile agilità le braci necessarie dalla stufa, e cominciava la sua messa. Spiegava, interrogava, stirava, ricapitolava. Poi quando sotto il ferro da stiro finivano degli enormi mutandoni, ridevamo tutti. Lei sorrideva, complice. Era una rarità quella suora, anzi, un unicum della sua specie.

La suora, della quale con un po’ do rammarico non ricordo il nome, mi prese a benvolere, anche perché sapevo raccontare, senza tralasciare alcun dettaglio, le parabole evangeliche e alcuni racconti dell’antico testamento. Questi ultimi erano i miei preferiti, li leggevo la sera da una Bibbia illustrata. Mi affascinavano soprattutto le fiabe di re David, di Sansone e di re Salomone. Dal canto suo la suora ci raccontò più volte che già sotto l’imperatore Augusto, che proprio in quel periodo conoscevamo a scuola, era stata annunciata la nascita di Gesù. Questa cosa m’intrigava non poco, quanto la famosa stella cometa e i magi alieni.

E infatti, come seppi dopo, la convinzione che il Cristo fosse stato annunciato ad Augusto dalla Sibilla del Campidoglio, aveva dominato per tutto il medioevo. La Scolastica ravvisò nella IV Ecloga di Virgilio un presagio della nascita del redentore.

Ultima Cumæi venit iam carminis ætas;
magnus ab integro sæclorum nascitur ordo.
Iam redit et virgo, redeunt Saturnia regna,
iam nova progenies coelo demittitur alto.

In realtà, questa strofa è un garbato panegirico di Virgilio, lusingatore nelle relazioni con gli uomini potenti, come del resto lo fu il suo amico Orazio. Al suo alto protettore, Gaio Asinio Pollione, dedicò le Egloghe III, IV e VIII, e questi versi si riferiscono sicuramente alla nascita del figlio del console Pollione. Del resto il signor Publio Virgilio era morto nel 1969 BP e le prime fiabe su Gesù datano almeno di un secolo dopo, tanto che Giuseppe Flavio di tale grandioso evento non ne parla.

Ancora una volta c’e da osservare che nemmeno la più accesa fantasia è in grado, non solo di prevedere, ma nemmeno di sospettare le conseguenze che nel corso del tempo possono riconnettersi a questo o a quell’evento contemporaneo, sia esso ritenuto sul momento importante o insignificante. E ciò vale anche nel caso volutamente travisato di questo innocente omaggio virgiliano alla nascita di un bimbo di cui conosciamo solo che fu certamente figlio di sua madre e forse di un console romano.