venerdì 30 aprile 2010

Stigmatizzatori vaticani


L’Osservatore romano pubblica un intervento del segretario generale della Conferenza episcopale italiana, il vescovo Mariano Crociata, alla riunione della Commissione presbiterale italiana:
Senza dubbio c'è stata una evoluzione nella sensibilità sociale, che ha portato da un lato ad una più netta e condivisa percezione della inaudita gravità della pedofilia e dall'altro all'esigenza di una totale trasparenza nella individuazione e nel contrasto di comportamenti e responsabilità.
Tradotto per i non presbiteri: se prima potevamo stuprare impunemente e senza che i fatti emergessero pubblicamente suscitando scandalo e clamore, ora la musica è cambiata, c’è stata un’evoluzione, c’è più attenzione verso i nostri comportamenti criminali e le alte gerarchie vaticane non sono disponibili a farsi sputtanare in questa materia e in questo modo. Quindi precisa:
La questione educativa è a suo modo interpellata dai gravi e tristi episodi di pedofilia che hanno coinvolto alcuni ecclesiastici e hanno suscitato una vasta eco mediatica. Probabilmente siamo ancora condizionati dalla impressione suscitata dal flusso continuo di notizie e commenti. Tuttavia, sia pure consapevoli della delicatezza e della complessità del tema, dobbiamo cercare di condurre una riflessione pacata e il più possibile oggettiva. Il rischio è quello delle estremizzazioni e degli unilateralismi: da una difesa per partito preso e dalla giustificazione assolutoria al colpevolismo e al giustizialismo. Bisogna anzitutto correggere, tra i tanti, un luogo comune ricorrente, che vorrebbe il magistero ecclesiastico fino all'altro ieri tollerante verso certe pratiche, quando invece la condanna esplicita della pedofilia non è cosa di oggi, ma va ricondotta almeno a documenti del 1922 e del 1962, che ne stigmatizzavano in maniera inequivocabile la natura criminosa e aberrante. Chi ha favorito atteggiamenti di indulgenza o pratiche di rimozione non ha mai applicato direttive di Chiesa, ma semmai le ha tradite, stravolgendo la doverosa riservatezza in complice copertura.

E la recente Delictis Gravioribus, cioè l’espresso assoggettamento delle cause di pederastia al segreto pontificio, pena la scomunica?

 

Naturalmente questi lupi travisati da pastori sono tutt’altro che turbati dalle loro malefatte, ma solo dallo scandalo e dal discredito (pernicioso anzitutto per le casse!), tanto sono abituati abusare nei corpi e nelle coscienze dei bambini loro affidati. Mentono spudoratamente i custodi della menzogna più durevole e spregiudicata della storia. Essi sanno di godere ancora dei privilegi e delle protezioni accordate da un sistema marcio che ha bisogno di assicurare la sopravvivenza degli uomini a spese della loro vita. Perciò si permettono impunemente di far riecheggiare i loro latrati striduli della maledizione divina che terrorizza ancora larghe masse instupidite ed espropriate. Di questi infami non possiamo essere complici silenti, perciò non dobbiamo concedere loro il minimo spiraglio di tregua.

«La superiorità dei sistemi autoritari»


« […] il commercio e lo stesso ciclo economico dei paesi europei non sono l'uno indipendente dall'altro». Se è per questo il ciclo economico europeo non è indipendente nemmeno da quello mondiale. Certo che per arrivare a queste conclusioni, in un articolo per i Sole 24ore di oggi a firma di Carlo Bastasin, bisogna dominare la materia, cioè la teoria economica. Ma il nostro esperto fa anche un’altra rivelazione a beneficio dei lettori: «Così perfino la politica di competizione commerciale della Germania richiede che altri paesi in deficit acquistino le esportazioni tedesche».  Queste conclusioni Bastasin le trae subito dopo aver scritto: «I greci chiedono aiuto per i loro conti, non possono salvarsi da soli e così mettono a rischio anche i nostri interessi, quindi dobbiamo aiutarli. Ma ecco la bugia: i conti dei greci erano falsi e la loro impossibilità di aiutarsi da sé è parsa quindi anch'essa una finzione, quindi non dobbiamo aiutarli. Sia perché devono presentare i conti giusti, sia per ragioni morali». E se questo discorso vale per la Grecia, crede di aver capito il lettore, dovrebbe far agio anche per il Portogallo, la Spagna e (perché no?) per l’Italia. Quindi resta da spiegare a chi la Germania dovrebbe vendere i propri carri Leopard, i sottomarini, le automobili, i farmaci, ecc. ecc.. Sull’argomento ho già detto qui .
Nell’àmbito capitalistico questi problemi, lo dimostra la storia del Novecento, non si possono risolvere se non temporaneamente. Invece di prenderne atto (e come potrebbe?) la borghesia riscopre la solita scorciatoia: «Come avvenne con il fallimento di Lehman anche la crisi in Grecia pone uno scomodo interrogativo sull'adeguatezza della democrazia di fronte a fenomeni finanziari violenti, incontrollabili e indifferenti ai perimetri nazionali della politica. La scarsa capacità di analisi del problema greco, delle sue complesse interazioni e infine la debole capacità di decisione testimoniano l'imbarazzo e la lentezza delle democrazie in Europa. Dall'Asia arrivano già le osservazioni di chi ritiene che l'impasse europea sia una prova della superiorità dei sistemi autoritari».
Quindi, secondo Bastasin (che non scarta l'ipotesi autoritaria, tutt'altro), nei momenti decisivi il capitale dovrebbe essere libero di scegliere, di volta in volta, la forma politica adeguata alla fase di ciclo, poiché le contraddizioni immanenti al sistema rendono «critica la convivenza tra democrazia e mercato». Non è nuova come teoria e nemmeno ben suggerita ma ha il merito della chiarezza.
Il capitalismo non può esistere senza espansione, per motivi di valorizzazione e quindi perché deve far fronte alla caduta tendenziale del saggio del profitto. L’accumulazione capitalistica avviene attraverso un aumento continuo della composizione organica del capitale sociale: il rapporto fra la parte costante (i cosiddetti mezzi di produzione) e la parte variabile (lavoro) si sviluppa con un movimento decrescente della parte variabile (v) rispetto a quella costante (c). Non si tratta di una teoria, bensì di una legge di processo che agisce con la forza di una legge di natura. Si giunge così ad una diminuzione del saggio generale del profitto, in quanto il plusvalore cresce sempre meno del capitale complessivo (c+v). Tutto ciò è spiegato, in dettaglio, in poche pagine e con esemplare chiarezza, nella terza sezione del Terzo Libro de Il Capitale, critica dell’economia politica.

Una volta Gianni Riotta rispondendo a una mia mail ha scritto: "il mondo s'è evoluto dal grande Marx". Non c'è dubbio che in questo tipo di evoluzione predominano i caratteri regressivi, specie tra  gli apologeti del capitale.

giovedì 29 aprile 2010

Una, molte, nessuna


Nei sistemi sociali dove prevale una sola religione, è inevitabile il dispotismo; dove ce ne sono due a contendersi il primato, per esempio in India, è inevitabile lo scontro tra fanatici; laddove di religioni ce ne sono trenta e nessuna prevale, la superstizione e il fanatismo, intrinseci ad ogni credenza di questo tipo, non sono scongiurati, ma se non altro vengono diluiti e meglio gestiti. Invece un posto dove la religione costituisca, per libera scelta, un fenomeno sociale trascurabile, possiamo solo immaginarlo: sotto tutti gli aspetti una società civile molto diversa da tutto ciò che abbiamo sperimentato.

mercoledì 28 aprile 2010

Capra e crauti


Oggi il manifesto, che festeggia il suo 39°, pubblica un articolo di Pavlos Nerantzis dal titolo: L’altro salvataggio: fregate da Parigi, sottomarini da Berlino. L’articolo è piuttosto generico (meglio di niente) sui rapporti commerciali di Atene relativi agli armamenti. Di questo ho scritto, in dettaglio, 50 giorni or sono  [*] .
Più in generale, in merito alla crisi finanziaria attuale, bisogna osservare che la Germania, con l’introduzione dell’euro a bischero sciolto, credeva di aver risolto gran parte dei suoi storici problemi, ma è stato come dare una Ferrari a chi può permettersi a malapena una bicicletta. Berlino era convinta di poter vendere (anche a credito) all’infinito le proprie merci in cambio di valuta forte (euro). Ma la Grecia, a parte le belle spiagge, gli ulivi e le capre, ha ben poco altro da offrire. Idem per il Portogallo e anche per la Spagna. Era evidente, per chi volesse intendere bene, che il margine d’indebitamento concordato (3% del PIL) non avrebbe potuto reggere a lungo, dato lo squilibrio della bilancia dei pagamenti con l’estero. Va aggiunto un altro fatto, e cioè che non puoi chiedere a chi ha ricevuto in regalo una Ferrari di correre a 30 all’ora.
La Germania, l’Europa, gli Usa, il mondo capitalistico, stanno rivivendo, al di là dei fenomeni di circostanza, gli stessi problemi, la stessa crisi, la stessa impasse, degli anni Trenta, aggravati da un'enorme leva finanziaria.

N.B.: la più esposta di tutti, per quanto riguarda i crediti, è la Svizzera.

martedì 27 aprile 2010

Archimede


Scrive il blog forma mentis:
io dico solo che per i Greci si potrebbe fare un'eccezione, e cioè, visto e considerato che Pitagora era siciliano, di porre la Grecia sotto la tutela di Tremonti come già accadde ai tempi dei romani e liberarla dalle cure della contabilità per riconsegnarla alla gloria della metafisica.
Dopo Scalfari (vedi post del 25 aprile) che confonde Marsala con Calatafimi, non c’è più da sorprendersi.
Quanto alla Grecia, è in atto un braccio di ferro finto con la Germania. Se i titoli greci e portoghesi sono spazzatura, quelli italiani cosa sono? Portando a zero il deficit statale (70mld annui), quindi tagliando il debito del 5% all’anno (90mld), dovremmo ridurre le spese correnti di almeno 150mld annui (facendo cifre tonde, ovvero considerando che nel frattempo calerebbe anche l’interesse sul debito) per almeno 10-12 anni per ritrovarci con un deficit ridotto al 60% del PIL attuale. Cose che non hanno nessuna seria probabilità di esistere. E invece il debito continua a crescere, anno dopo anno. Fino a quando? È evidente che nel medio e lungo periodo il pericolo di eruzioni vulcaniche paventato da Bertolaso, a confronto, è una quisquilia.

Destinati ai compiti decisivi


Di Alberto e Giovanni Pirelli, padre e figlio, ho scritto qui e poi qui, in occasione della recensione di Sergio Luzzatto al libro biografico di Tranfaglia. Nell’articolo di Luzzatto è detto che Giovanni Pirelli è stato il 18 aprile 1942 ad Auschiwitz, in visita agli stabilimenti industriali.
Domenica scorsa, sempre sul Sole 24ore, il figlio di Giovanni, Francesco Pirelli, scrive dolendosi dell’accostamento del padre con le vicende della deportazione degli ebrei, senza peraltro precisare, a suo dire, che Giovanni era «sicuramente ad Auschiwitz, dove si ferma poche ore [ma] non visita il campo dei deportati».
Scrive inoltre Francesco Pirelli: «Dalle lettere alla famiglia […] si rileva che mio padre prende amaramente conoscenza di come i tedeschi trattino gli ebrei già a gennaio del 1942. […] questo periodo in Germania e, subito dopo la campagna di Russia (parte il 1° luglio del 1942) sono per mio padre l’inizio di un lungo processo che lo porterà a unirsi ai partigiani […]».
Risponde Sergio Luzzatto: «quello stesso Pirelli che nel gennaio 1942, scrivendo da Berlino al padre Alberto, effettivamente lamentava la barbarie dei tedeschi di Hitler, “ancora ben simili ai Germani di Tacito” soprattutto “nei riguardi degli ebrei”, cinque mesi più tardi (e dopo aver visto Auschiwitz) poteva dirsi impaziente di contribuire da par suo alla campagna di Russia: “Sogno di realizzare quel tipo di guerra come ho sempre desiderato, con dei reparti freschi e bene attrezzati, impiegati nel quadro generale della strategia tedesca, destinati ai compiti decisivi della guerra”».
Luzzatto prosegue poi con delle considerazioni, a mio avviso, un po’ imbarazzate e di circostanza. A mia volta rilevo: Giovanni Pirelli non aveva notizia, soprattutto stando in Germania, di quanto era avvenuto e stava avvenendo in Polonia e nell’Est Europa? Non aveva mai sentito parlare dei pogrom nazisti contro gli ebrei (esempio quello del 9 novembre – diciotto brumaio – 1939)? Non sapeva forse, da manager, che tra i “compiti decisivi della guerra” vi era anche quello della produzione della gomma sintetica ad Auschiwitz cui collaborava la Pirelli? Non si chiese chi lavorasse in quegli stabilimenti? Non si pose alcuno scrupolo per quanto riguarda la guerra di aggressione alla Russia? O piuttosto attese la sconfitta per compiere quel “processo che lo porterà a unirsi ai partigiani”?
Certo, Giovanni Pirelli ebbe modo in seguito di riscattarsi, ma c’è da osservare, più in generale, come l’anticomunismo delle classi dominanti faccia sempre premio su qualunque altra considerazione e atrocità. Ieri, oggi, sempre.

lunedì 26 aprile 2010

Conventional Prompt Global Strike



Dopo lo “storico” accordo firmato recentemente a Praga tra Barack Obama e Medvedev per la riduzione dell’arsenale missilistico, si apprende che il presidente Usa ha dato il via alla realizzazione del programma, già impostato da Bush, che consentirà agli Usa il pre-emptive defense, ovvero un’azione preventiva di tipo convenzionale (anche in assenza di un attacco “imminente”), rapida e risolutiva nei confronti di ogni possibile minaccia. Si tratta di un programma molto complesso che prevede in un primo tempo la modifica di 24 SLBM (Submarine Launched Ballistic Missile) Trident rimpiazzando le testate nucleari con esplosivo convenzionale. Ma il fiore all’occhiello del programma prevede un velivolo da crociera denominato HCV (Hypersonic Cruise Vehicle), un mezzo ibrido in grado di decollare dalla pista di una qualsiasi base militare, salire a quote superiori a Mach 10 per circa 9mila miglia e poi colpire grazie ai suoi sensori bersagli di qualsiasi genere in tempi inferiori alle due ore. Si sta anche lavorando ad un CAV (Common Aero Vehicle), una sorta di “aliante” che una volta raggiunta una quota idonea sulle spalle di un razzo vettore, si sgancerebbe planando poi a velocità ipersoniche verso il bersaglio terrestre.
Di questo articolato progetto ne accenna anche l’Osservatore romano di oggi sparando la notizia di una “superbomba”. Il Vaticano in questo periodo ha il dente avvelenato con gli Usa, chissà perché. Il giornale dei preti definisce sarcasticamente Obama come un “"sognatore" di un mondo libero dalla minaccia atomica”, chiudendo dicendo che “la superbomba potrebbe diventare la sua discutibile eredità alla causa della non proliferazione nucleare”.

Dinosauri


Al suo risveglio, Berlusconi era ancora lì.

domenica 25 aprile 2010

Il direttore


Gianni Riotta, direttore pro tempore de Il Sole 24ore, scrive oggi un lunghissimo editoriale in cui, come al solito, cita un po’ tutti. Questa volta non si tratta di filosofi, condottieri, scrittori ed  esperti di lingua inglese amici suoi. La rassegna riguarda il palcoscenico politico nostrano: da Berlusconi a Fini passando per Bossi e da Veltroni a Bersani evocando lo spettro di Moro; ma l’icona a cui accende una candela, Riotta la trova come solito in Tremonti. Una specialità ormai. Naturalmente rende omaggio alla Marcegaglia e a coloro che gli pagano lo stipendio, chiudendo con una citazione di cortesia per Napolitano. Decine di migliaia di battute in cui non dice assolutamente nulla poiché parla bene di tutti, salvo ripetere un vecchio truismo: servono le riforme, speriamo che qualcuno se ne prenda cura.

* * *


Calatafimi
Il fatto più evidente dell'attuale situazione consiste nel disfacimento diventato sempre più rapido in questi ultimi mesi del sentimento di unità nazionale. Mentre si celebra proprio oggi la ricorrenza del 25 aprile 1945, cioè la liberazione dal nazifascismo e l'inizio della democrazia e della storia repubblicana (giugno 1946) e mentre si celebrerà il 5 maggio l'impresa garibaldina, l'imbarco dei Mille a Quarto, il loro sbarco a Calatafimi (Eugenio Scalfari, la Repubblica, 25-4-2010).

Il loro 25 aprile


Nel paese dove abito, ma per fortuna non ci sono nato, la cerimonia ufficiale per il 25 aprile, festa della liberazione dai nazi-fascisti, cioè festa anti-fascista e partigiana, avviene tutti gli anni davanti al monumento ai caduti di tutte le guerre (tranne i caduti della guerra partigiana), dove viene posto un palco con microfono, installata una tribunetta e fatta suonare una banda.
Gli inni degli alpini precedono la cerimonia: quello del Piave e poi tutti gli altri. Di canzoni partigianie manco a parlarne. Se chiedi ragione del fatto, ti rispondono che dipende dal maestro della banda; se chiedi al maestro, ti risponde che lui esegue gli ordini.
Gli alpini, rispettabilissimi per molti motivi, con questa festa non c’entrano nulla.  Le unità alpine durante il II conflitto mondiale hanno combattuto sul fronte italo-francese, su quello greco-albanese, in Yugoslavia, e soprattutto in Russia. Incontestabilmente dalla parte dei nazi-fascisti. È vero che dopo la ritirata di Russia molti alpini si sono rifiutati di aderire alla RSI, che non pochi parteciparono alla guerra di liberazione, ma si tratta di scelte individuali, come quelle di molti altri che alpini non erano. Perciò trasformare la festa della liberazione in una specie di raduno dell’ANA è sbagliato e antistorico.
Dopo gli inni di apertura, segue la consueta allocuzione del sindaco. Il giornalista del quotidiano locale mi dice: «Vediamo se anche quest’anno eviterà di pronunciare le parole Resistenza e Partigiani». Gli rispondo: «Scommessa già vinta». Il sindaco tocca tutti i punti della più bassa e generica retorica patriottarda, non dimentico del futuro radioso che attende le comunità padane non appena, tra poco, il federalismo fiscale diverrà realtà. Intanto il locale ras del PDL, un ex insegnante da vent’anni baby pensionato, nel vedermi sibila: «Rossi merde». Ha il pallino per le argomentazioni molto articolate. Gli rispondo per sintesi mostrandogli il dito medio.
Dopo l’allocuzione, i ragazzi delle scuole intonano la cosiddetta canzone di Nassirya (Nasiryya, Iraq). La cerimonia è finita e tutti s’intruppano ordinatamente per la santa messa, con alla testa i labari degli Alpini e dell’Ass. naz. combattenti. Mi avvio verso casa, la nausea agli irti colli e un boccolo di rosa rossa in mano per la mia bella.

sabato 24 aprile 2010

Il Federale


Chi ha vinto il secondo conflitto mondiale sconfiggendo in Europa il nazifascismo? Gli Alleati. Chi erano? Anzitutto gli Usa, intesi come gli Americani. Quindi i Britannici, intesi come Inglesi. Eppure risalivano l’Italia anche truppe indiane, francesi, marocchine, canadesi e polacche. E italiane. E i partigiani francesi, italiani, yugoslavi, polacchi, albanesi, greci, russi, eccetera? Inessenziali. Come si può sostenere che un solo combattente, un solo caduto, una sola vittima, possa considerarsi inessenziale in quella lotta?
E i Russi? L’Armata rossa impegnava milioni di soldati della Wermacht, migliaia di aeri della Luftwaffe, diverse divisioni di SS, cioè la maggior parte delle forze armate del Drittes Reich e dei relativi alleati. Senza l’Armata rossa nessuna controffensiva alleata avrebbe potuto avere sicuro successo in Europa. Perciò sostenere che l’Italia è stata liberata (dal fascismo e dai nazisti, è bene ricordarlo!) solo grazie all’intervento degli Alleati americani ed inglesi, rappresenta anzitutto una semplificazione. Se poi tale “argomento” è collegato strumentalmente alla ricorrenza del 25 aprile, si tratta di falsificazione.

Les liaisons dangereuses

"Quando ero ancora un semplice sacerdote e per un certo tempo all'inizio del mio episcopato - ha confessato il presule - ho abusato sessualmente di un giovane dell'ambiente a me vicino. La vittima ne è ancora segnata. Nel corso degli ultimi decenni, ho più volte riconosciuto la mia colpa nei suoi confronti, come nei confronti della sua famiglia, e ho domandato perdono. Ma questo non lo ha pacificato. E neppure io lo sono".

Chiaro che è sotto ricatto, altrimenti col cazzo che, dopo trent'anni, da vescovo, si sarebbe autodenunciato. Comunque i contribuenti belgi gli pagheranno regolarmente la pensione.

Riposizionamenti

«C'è qualcosa che unisce infatti De Benedetti, Ferrara, Montezemolo, Fini, Paolo Mieli e non pochi altri personaggi di rilievo del milieu politico-editoriale italiano. Ed è la convinzione che l'attuale assetto bipolare non abbia più benzina in corpo».

Giovedì scorso scrivevo: Il potere reale ha bisogno di creare qualcosa di alternativo, di decente e presentabile, al centro.
Non ci vuole né acume e nemmeno fantasia per capirlo.
E il 17 aprile in riferimento a Berlusconi: Gli si profila davanti un orizzonte di potere illimitato. Molto dipenderà dall’atteggiamento dei poteri internazionali. E anche dalla Confindustria, non tutta coesa, al di là delle sceneggiate alla parmigiana, nel conferirgli il potere assoluto.

Ai poteri forti, non solo italiani, la modificazione del quadro istituzionale potrebbe non andare bene.  Per gli affari (di tutti i tipi) lo status quo è la condizione migliore. E poi un'Italia stabile istituzionalmente e forte come paese non è gradita né in Europa, né in altri circoli.

venerdì 23 aprile 2010

Ancora sul Vicario di Cristo


L’Osservatore romano di oggi riporta un articolo di Raffaele Alessandrini dal titolo La cattiva coscienza di chi accusa Pio XII e dal sottotitolo ancor più eloquente e programmatico: La spartizione della Polonia del 1939 e i silenzi consapevoli degli Alleati di fronte alla tragedia della Shoah. L’articolo prende avvio con una denuncia precisa, ovvero:
«[…] il disinteresse per gli ebrei e il loro consapevole abbandono da parte degli Alleati nonostante fossero pienamente al corrente dei piani hitleriani di "soluzione finale". Lo ha ricordato anche un ampio servizio di Claude Weill su "Le Nouvel Observateur" del 4-10 marzo 2010 […]».
Quindi l’affondo: «Ora è indubbio che gli Alleati conoscessero da tempo la mostruosa realtà della Shoah come pure la sua entità. […] Henry Morgenthau junior, ministro del Tesoro statunitense durante la guerra, disponeva di prove sufficienti per dire che fin dall'agosto del 1942 a Washington si sapeva che i nazisti avevano progettato di sterminare tutti gli ebrei dall'Europa e che "solo l'incapacità, l'indolenza e gli indugi burocratici dell'America impedirono la salvezza di migliaia di vittime di Hitler" mentre, oltre Atlantico, "il Ministero degli Esteri inglese si preoccupava di più di politica che di carità umana"».
Tutto questo per dire che «vi fu solo un'unica autorità mondiale a levare alta la voce e a incitare gli uomini di buona volontà alla riconciliazione e al dialogo:  "Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra!"». Un’autorità morale che però rimase silente quando, sotto le proprie finestre, venivano condotti ai treni e poi ai lagern gli ebrei romani. Si tratta del solito cantico del tutti colpevoli nessun colpevole, tanto meno chi tuonò genericamente contro la guerra, dimenticando di chiamare per nome e cognome chi l’aveva scatenata e i suoi complici, residenti al Quirinale e a Palazzo Venezia!
Quindi scrive: «Le maggiori potenze d'Europa, Inghilterra e Francia, che avevano tenuto un contegno inerte e perfino acquiescente di fronte all'Anschluss (l'annessione dell'Austria del marzo 1938) e all'invasione della Cecoslovacchia - prima la conquista dei Sudeti, poi, nel marzo 1939, fu la volta della Boemia e della Moravia - non si discostarono dalla loro condotta passiva». Nessuna menzione al fatto che quando Hitler si prese la Cecoslovacchia, la devota e cattolica Polonia, nel suo piccolo, partecipò al banchetto hitleriano, annettendosi la zona della città di Cieszyn. Per non dire poi della spartizione postbellica della Slesia e Pomerania, dello svuotamento di città tedesche, le razzie e gli stupri, l’occupazione delle terre ucraine, ecc.. Insomma, la Polonia patì l’indicibile, ma non fu solo vittima innocente.
Il passo più interessante dell’articolo è il seguente:
«Ma ciò che veramente risulta al vertice delle preoccupazioni di Papa Pacelli è […] che un avvicinamento germano-sovietico avrebbe portato non solo alla guerra in Europa, ma che, in caso di uno scontro portato dalla Germania alle altre potenze del continente, vi sarebbe stato alla fine il bolscevismo a rivestire le parti del tertius gaudens che, tenutosi inizialmente ai margini del conflitto, avrebbe potuto godere dei vantaggi della situazione intervenendo al momento opportuno ai danni degli altri due contendenti sfiancati dalla lotta per imporsi definitivamente sull'Europa».
In cima alle preoccupazioni di Pacelli c’era anzitutto l’anticomunismo (ne ho accennato qui).

Decreto legge di ringraziamento



Stop alle ruspe: salvate le case abusive fino a dicembre 2011. Poi il condono.
Un decreto legislativo per salvare l’edilizia abusiva in Campania. Compresa Ischia e la zona di Casal di Principe, dove le ruspe avrebbero dovuto entrare in azione entro pochi mesi. Invece no, l’abusivismo campano sarà salvo e potrà proliferare almeno fino al 31 dicembre 2011, come richiesto dal neo governatore della regione, il Pdl Stefano Caldoro. In attesa di una legge regionale di condono. È quanto prevede la bozza di decreto legislativo che il Consiglio dei ministri dovrà esaminare nella prossima riunione. Si tratta di una «cambiale elettorale» - come l'hanno definita le opposizioni - che il governo paga alle cosche del malaffare, ai raiss dell'abusivismo, e ai tanti proprietari illegali che, da Napoli a Maddaloni, da Ischia a Forio, Torre del Greco o Casapesenna, a giorni se la sarebbero dovuta vedere con le ruspe inviate dal Coordinamento regionale anti-abusivismo e dalla Procura. Lo stop, spiga il decreto, interesserà "solo" 600 abusi realizzati prima del 31 marzo 2003 e le demolizioni disposte da sentenza penale per case destinate a prima abitazione.
Questa la notizia tratta dal manifesto di ieri. C’è da aggiungere che il decreto salva anche il “giudicato”. Il TG3 mostrava ieri sera la ministra Carfagna in campagna elettorale che diceva ai proprietari “minacciati”: fateci vincere, poi sistemeremo tutto.

giovedì 22 aprile 2010

Autorappresentazione


Si pensa e si scrive che il vero problema, il tema forte che ci attanaglia, non è tanto l’economia (troppo difficile per essere compresa), la frode del lavoro precario, dei bassi salari, l’inerzia della burocrazia, i tempi biblici della giustizia, et similia. No, il problema centrale, dirimente, quello che schiaccia politicamente il centro-sinistra regalando voti alla Lega e agli elementi più reazionari, è anzitutto quello dell’immigrazione, della paura che esso fomenta. Un problema quotidiano che ci riguarda tutti, una preoccupazione che ci coglie appena usciamo sul nostro pianerottolo e che ci accompagna.
Il problema immigrazione c'è, esiste, e Sarkozy ha raccolto i frutti della rivolta nelle banlieue francesi diventando presidente. Ma la questione dell'immigrazione è ancora in Italia un problema in parte mediatico. Primo, perché i “barbari” non abitano quasi mai nella porta di fronte alla nostra. Secondo, perché a raccogliere le mele e le fragole, se non ci fossero i barbari, i negri, i levantini, non andrebbero certo gli studenti di Ca’ Foscari. Che poi rumeni, albanesi e marocchini vengano visti diffusamente con fastidio e allarme (magari perché ti propongono con insistenza di acquistare una borsetta o un paio d’occhiali) è pur vero ma non è la vera e principale causa del declino dei partiti (salvo la Lega che incrementa). L’astensione dal voto, la disaffezione, non riguarda solo le località “infestate” dai barbari, prigioniere della paura. Il flop delle ronde padane ne è testimonianza lampante. Gli omicidi mediaticamente più eclatanti sono quelli di Novi Ligure, Cogne, Erba, Garlasco, Perugia, ecc.. C’è un altro motivo, più semplice o se si vuole più semplicistico, ma non meno vero che riguarda il declino del centro-sinistra e dei partiti in generale: la mancanza di una prospettiva dichiarata, di un orizzonte condiviso, quello che si chiama programma politico. Ovvero, di contro, la sfiducia nella solita minestra riscaldata, rancida. Di cui fa parte certamente quel buonismo che ti dice che un accampamento di rom vicino a casa non è un problema, ma soprattutto quell'alterigia ancien regime che ti dice che pagare le tasse “è bellissimo”.
Il fenomeno Berlusconi, in declino ma non morto, è stato analizzato ampiamente. La Lega invece ha ancora un progetto credibile e lo sa vendere, fatto anzitutto di federalismo e anti-fiscalismo verso uno stato ingordo e dissipatore, quindi il celodurismo e l’aura pragmatica. Si tratta di un bluff, come sempre in politica, ma intanto governa.
La sinistra non ha perso oggi o ieri, ha perso decenni or sono. Il suo cemento era un progetto alternativo di società, il suo modello le regioni “rosse”. È un iceberg che si sta sciogliendo, lentamente, ma inesorabilmente.
Il potere reale ha bisogno di creare qualcosa di alternativo, di decente e presentabile, al centro.

mercoledì 21 aprile 2010

Aviaria



«Il Papa alle vittime: ho sofferto con voi».
Ragadi?
* * *
Pensavo fossero estinti, memoria di altri tempi, è invece questa mattina ne ho incrociato uno che deciso e irato ha detto: «Lei non sa chi sono io!».
* * *
Aula universitaria, presenti una trentina di studenti. Domanda estemporanea: qual è la capitale della Colombia? Nessuna risposta esatta. Unica consolazione: nessuno si è azzardato a chiedere l’aiutino. La risposta più curiosa: Canberra. Pericoloso indagare.

martedì 20 aprile 2010

Il lupo e il pelo


Anche l’Osservatore romano celebra, a modo suo, il centenario della morte di Mark Twain. Lo fa con un articolo di Giuseppe Fiorentino, molto misurato e reticente quanto basta sullo specifico, cioè sull’atteggiamento assunto dallo scrittore in merito alla religione cristiana.
Il suo fragile equilibrio è stato presto compromesso e con il trascorrere degli anni lo scrittore, complici le non felicissime vicissitudini della sua vita, è inesorabilmente scivolato verso un pessimismo totale. Il già scarso affetto mostrato verso la vita e verso gli uomini ha via via lasciato spazio all'amarezza e l'ironia è stata sostituita da un acido sarcasmo. Ne sono prova le centinaia di aforismi lasciatici dal vecchio Mark Twain. Fulminanti piacevolezze del tipo:  "Alla fine comparve la scimmia e tutti compresero che l'uomo era vicino. E fu proprio così. La scimmia continuò a svilupparsi per cinque milioni di anni e quindi si trasformò in uomo, almeno in apparenza".
Ed infatti si dimentica di dirci da dove ha tratto questa citazione: Lettere dalla Terra (Letters from the Earth) di cui ho parlato ieri, riportandone alcuni brani. Insomma i preti vorrebbero apparire ciò che non sono e che non potranno mai essere, liberi dai loro pregiudizi.

* * *
Sempre sull’Osservatore c’è un articolo che riporta alcuni passi dell’intervista rilasciata dal direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, a Sussidiario.net. Eccone un brano:
C'è oggi - ha osservato ancora de Bortoli - "un nichilismo imperante che spesso e volentieri dà contro il cristianesimo. Anche nella polemica sul tema, purtroppo triste, della pedofilia c'è una parte della società italiana che assiste da spettatrice non interessata, qualche volta annoiata e qualche volta compiaciuta, a questa disputa che vede il Papa e la Chiesa accerchiati, per molti motivi. Naturalmente, anche per errori commessi". Tuttavia, "La Lettera pastorale ai cattolici d'Irlanda ha un peso rivoluzionario. La Chiesa è chiamata al risarcimento e sta facendo la sua parte, ma sono convinto che sia ancora oggi oggetto di una crociata", che è "dettata da pregiudizi e interessi. Penso con sofferenza alla quasi totalità dei preti che fanno il proprio mestiere ma che probabilmente, oggi, escono di casa con un timore in più. Non è giusto, perché la pedofilia riguarda tutta la società".
Ha ragione De Bortoli, la pederastia riguarda tutta la società, ma essa, quando scoperta, va denunciata e perseguita dalle autorità. La Chiesa invece ha coperto tutti i casi dei quali ha avuto notizia e anzi si è fatta spesso complice, trasferendo i criminali da una parrocchia all’altra. E persevera ostinata nel non voler ammettere i propri crimini di omissione e favoreggiamento, chiamandoli “peccati”.

Samuel Langhorne Clemens


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Domani, cento anni fa, il 21 aprile 1910, moriva Samuel Langhorne Clemens, uno dei più importanti scrittori degli Stati Uniti e di un’intera epoca della letteratura americana. Come romanziere, umorista, e saggista, è stato una voce assolutamente straordinaria, del calibro di Hawthorne, Melville e Whitman.
I suoi lavori sono caratterizzati da un linguaggio semplice e diretto, ricco di ironia, improntati ad una profonda conoscenza della complessità razziale, regionale e di classe della vita degli Stati Uniti. Non c'è dubbio che questo aveva molto a che fare con l’ampiezza delle proprie esperienze di lavoratore manuale.
Nato nel 1835 nel Missouri, allora uno stato schiavista, Samuel Clemens ha lavorato come tipografo, giornalista, minatore e  pilota di battelli a vapore; visse in diversi momenti a St. Louis, Cincinnati, New York City, Philadelphia, San Francisco, Buffalo, nel Connecticut, nel "selvaggio west" del  Nevada, e, naturalmente, su e giù per il Mississippi River, negli anni prima della guerra civile. Tali esperienze hanno informato anche il suo capolavoro, Le avventure di Huckleberry Finn.
Mark Twain, questo il suo pseudonimo, si muoveva liberamente in diversi mondi sociali, acquisendo conoscenze sulla vita e le tribolazioni di schiavi, artigiani, pionieri, cercatori. Viaggiò anche in Europa, quindi ebbe contatti con l’élite intellettuale del tempo, sia in ambiente scientifico e letterario, ma anche in ambienti socialisti e pure in quelli aristocratici. Sia come scrittore e figura pubblica, Twain fu un critico di prim’ordine: “Le mie simpatie sono quelle di un rivoluzionario, per nascita, esperienze e di principio. Io sono sempre dalla parte dei rivoluzionari, perché non c’è mai stata una rivoluzione senza che non ci sono state condizioni oppressive e inaccettabili contro le quali ribellarsi". Divenne il principale avversario dell'imperialismo americano e delle sue atrocità nelle Filippine. Le sue opere sono state censurate in varie occasioni, anche sotto la presidenza Reagan nelle biblioteche pubbliche.
* * *
 
Estratti dal libro: Lettere dalla Terra (Letters from the Earth), Liberlibri, Macerata 2004, € 10,00. Per l’Autore la religione è una delle prove incontrovertibili della vocazione umana alla stupidità:

Parliamo della razza umana, che ha molte doti simpatiche e accattivanti. È forse la più meschina di tutte le invenzioni di tutti gli dèi, ma non lo ha mai sospettato. Non v’è nulla di più delizioso dell’ingenua e presuntuosa esaltazione che la razza umana fa di se stessa: senza ombra di vergogna o di modestia, l’umanità sostiene di essere l’opera più nobile di Dio.
Sul terreno morale l’uomo distingue sempre fra se stesso e il proprio Creatore: esige che i suoi simili osservino un codice morale molto rispettabile, ma non disapprova la totale mancanza di morale del suo Dio.
[...] l’uomo, soavemente e sinceramente, si autodefinisce «la più nobile creatura di Dio». È l’assoluta verità. E non che questa sia un’idea nuova: l’uomo ne parla da secoli e vi ha sempre creduto, senza che mai nessuno ci abbia riso sopra. Come se non bastasse, l’uomo è convinto di essere il beniamino del Creatore, crede che il Creatore sia orgoglioso di lui e persino che lo ami, che abbia una vera passione per lui, che vegli la notte per ammirarlo (pensate un po’!), che lo protegga e lo tenga lontano dalle sventure. Prega il Creatore, e crede che egli lo ascolti.
E qui debbo darvi un altro colpo: l’uomo è convinto di andare in Cielo! Ha addirittura maestri stipendiati che glielo insegnano e gli dicono anche che esiste un inferno, un fuoco eterno in cui brucerà […].
La prima volta che la Divinità scese sulla Terra, portò la vita e la morte; la seconda volta portò l’inferno. […] Ad un certo momento, Dio si accorse che la morte era stata un errore, nel senso che era insufficiente […] bisognava comunque trovare il modo di perseguitare il morto anche oltre la tomba. La Divinità meditò sulla questione, senza successo, per quattromila anni; ma non appena scese sulla Terra e diventò cristiano, la sua mente si illuminò, e seppe cosa doveva fare … Inventò l’inferno e ne promulgò l’esistenza.
[...] è proprio Gesù Cristo che ha inventato e proclamato l’inferno! […] Se è vero che la palma della malvagità va indubbiamente a Gesù, inventore dell’inferno, Dio era cattivo e duro abbastanza anche prima di diventare cristiano […].

lunedì 19 aprile 2010

Sincere e impreviste

Le lacrime, sincere e impreviste, valgono più delle parole: il pianto del Papa a colloquio con le vittime maltesi di preti pedofili colpisce i media che raccontano l’episodio con ampiezza e toni pacati.



In realtà ha pianto solo quando ha visto il più carino .....

Tutto il tempo necessario


Kabul. Entro la fine dell'anno, la Nato vuole vedere concreti progressi in Afghanistan, dove la situazione ristagna. È il portavoce dell'Alleanza Appathurai a sottolineare tale esigenza. "Resteremo tutto il tempo necessario perché la nostra missione abbia successo, ma non potrà essere per sempre" ha dichiarato il portavoce, ribadendo che entro il 2010 in Afghanistan dovranno essere compiuti progressi tangibili anzitutto sul versante della sicurezza.
L'Osservatore Romano, 18 aprile 2010
Ed infatti:
L'esercito americano ha chiuso il fortino nella valle di Korangal, in Afghanistan. In termini di vite umane era costato 42 soldati e centinaia di feriti. Molto sforzo per nulla, perché la valle nella provincia orientale di Kunar, desertica e spopolata, restava e resta saldamente in mano taleban nonostante l'impiego di risorse materiali e umane. Non è l'unico avamposto sigillato: nel 2007 e nel 2008, spiega il New York Times, due fortini e una base satellitare sono stati chiusi nella valle di Waygal in Nuristan e nel 2009 due ne son stati chiusi, sempre in Nuristan, nell'area di Kamdesh. Con la base di Korangal sono state abbandonate anche altre cinque basi satellitari. Qualcuno (oltre ai giornali americani) se n'è accorto?
Il manifesto, 17 aprile 2010

* * *
La posizione geografica dell’Afghanistan e la particolare natura del suo popolo conferiscono al paese una rilevanza politica che, nell’ambito degli affari dell’Asia centrale, non sarà mai troppo sottolineata. La forma di governo è la monarchia, ma l’autorità di cui il sovrano gode sui suoi turbolenti e focosi sudditi di tipo personale e molto indefinita. Il regno è diviso in province, ciascuna controllata da un rappresentante del sovrano, il quale raccoglie le tasse e le invia alla capitale. Gli afghani sono coraggiosi, intrepidi e indipendenti; si occupano esclusivamente di pastorizia e agricoltura, rifuggendo il commercio e gli scambi che sdegnosamente lasciano agli indù e ad altri abitanti delle città. Per loro la guerra è un’impresa eccitante e una distrazione dalla monotonia delle abituali attività. Gli afghani sono divisi in clan, sui quali i vari capi esercitano una sorta di supremazia feudale. Soltanto un odio irriducibile per l’autorità e l’amore per l’indipendenza individuale impediscono loro di diventare una nazione potente; ma questa stessa irregolarità e incertezza nell’azione li rende pericolosi vicini, capaci di essere sballottati dai venti più mutevoli o istigati da politici intriganti che eccitano astutamente le loro passioni.
Friedrich Engels, voce Afghanistan, in The New American Cyclopædia, v. I, 1858, estratto.

domenica 18 aprile 2010

«120 casi di violenza, ma il codice canonico ci obbliga al segreto»


 
IL GIUDICE DELLA CURIA 
intervista di Iaia Vantaggiato – inviata de il manifesto a La Valletta

Che qualcosa di poco chiaro stesse accadendo nei suoi dormitori e nelle aule delle sue scuole, la Chiesa cattolica maltese doveva essersene già accorta nel 1999 quando diramò la direttiva «On cases of Sexual Abuse in Pastoral Activity» e chiamò il giudice Victor Caruana Colombo a investigare sui casi di pedofilia. Su delega esplicita dell'arcivescovo di Malta e di quello di Gozo.

Giudice, quanti anni di lavoro e quanti casi?

Sette anni di lavoro, dal '99 al 2006. 49 i casi di pedofilia di cui mi sono occupato, diciannove dei quali ancora pendenti. A questi vanno aggiunti i casi di violenze sessuali tra adulti. Nel complesso parliamo di 120/125 casi.

A Malta i reati di violenza sessuale e di pedofilia sono competenze delle corti ordinarie. Quale il suo ruolo, quindi?

Definiamole indagini parallele, una penale e l'altra ecclesiastica. La chiesa ha la facoltà di investigare e di decidere per suo conto. Ma si tratta di decisioni che nulla hanno a che fare con la giustizia penale. Quanto a me, mi limito a riferire alle autorità ecclesiastiche.

Insomma: voi fate un'indagine, accertate che un certo sacerdote si è macchiato del crimine di pedofilia ma non siete tenuti a denunciarlo alla polizia.

È un articolo del Codice Canonico. Siamo tutti tenuti al segreto.

Dunque esiste un archivio segreto della curia in cui questi casi vengono gelosamente custoditi da anni.

Esatto. Tuttavia vorrei precisare che, almeno per quanto mi riguarda, ho sempre consigliato alle vittime di rivolgersi anche alle autorità civili. Nella maggior parte dei casi, però, sono state le stesse vittime a chiedere che tutto rimanesse coperto. A volte mi dicevano: «Collaboriamo con voi solo a condizione che nulla arrivi alla polizia».

Cos'è che faceva partire un'indagine?

Una lettera privata, la segnalazione del vescovo o di un superiore, la denuncia della stessa vittima.

Dopodiché qual era il suo compito?

Appena ricevevo un rapporto lo notificavo alla vittima e al presunto abusatore chiedendo loro di presentarsi di fronte alla commissione che - oltre a me - comprendeva un giudice minorile, uno psicologo e un prete.

È mai capitato che di fronte a un caso accertato di abuso la chiesa maltese abbia rimosso un sacerdote?

Non posso e non voglio rispondere su casi specifici.

Neanche dirci se tutti i casi di abuso da lei trattati si siano consumati nell'orfanotrofio di St. Joseph?

Io mi sono occupato di tutto il territorio maltese, non solo di St. Joseph.

Quindi anche delle suore domenicane che in un convento di Gozo usavano violenza - non sessuale ma sempre violenza - contro i bambini?

Quel convento non esiste più.

Vuol dire che quelle suore sono state sospese?

Questo proprio non saprei dirlo.

Il segretario di stato Bertone ha detto che la pedofilia è legata all'omosessualità e non all'obbligo del celibato. Un'affermazione che corrisponde alla sua esperienza?

Un'affermazione che, se non sbaglio, lo stesso padre Lombardi ha smentito o perlomeno corretto il giorno dopo. Comunque non credo che esista una connessione tra pedofilia e omosessualità.

Le nuove «Linee guida» pubblicate sul sito del Vaticano rappresentano secondo lei un passo avanti nella lotta contro la pedofilia all'interno della Chiesa?

Ancora non le ho lette con attenzione e sono curioso di capire se ci sono delle differenze rispetto al documento del 2003. Di certo, con queste direttive, commissioni come la nostra non avranno più motivo di esistere visto l'obbligo di denuncia all'autorità civile.

Sì, ma solo in quei paesi nei quali questi reati sono di competenza dell'autorità civile. Non in Italia, tanto per fare un esempio.

Le ripeto ancora che non le ho lette con attenzione.

Andrà a messa domani col papa?

Con mia moglie.

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A proposito di direttive, il “giudice” intervistato afferma che alla luce di quelle del 2003 ciò che conta “è un articolo del Codice Canonico. Siamo tutti tenuti al segreto”. E le cosiddette nuove direttive? “Ancora non le ho lette con attenzione e sono curioso di capire se ci sono delle differenze rispetto al documento del 2003”. Poi soggiunge: “con queste [ultime] direttive, commissioni come la nostra non avranno più motivo di esistere visto l'obbligo di denuncia all'autorità civile”. Quindi, finora, tale obbligo non c’era. Inoltre, in queste risposte c’è palese una contraddizione: nella gerarchia delle fonti viene prima il codice canonico o le letterine vaticane?

Ad ogni buon conto, l’abuso sessuale sui minori è un reato. Non denunciarlo è omissione. Coprire chi l’ha commesso è favoreggiamento. Nei casi particolari non è da escludersi il concorso. Perciò le direttive, le tendenze sessuali, il celibato, la sociologia, la medicina, il peccato, l’incontro con le vittime, il perdono, la penitenza, le statistiche, eccetera, non c’entrano nulla in tema di reati e di responsabilità.

I giudici hanno tutti gli elementi e l’obbligo di intervenire, di incriminare tutti gli Obersturmbannführer coinvolti.