giovedì 3 marzo 2011

Le pagine migliori



Il dibattito politico, cioè televisivo, langue, declina, s'ammoscia (in senso tecnico). Per fortuna c’è il cugino libico di Mubarak perché della nipote marocchina non se ne può più. A dimostrazione che ciò che infine conta non sono i comportamenti suini del presidente del consiglio, le dittature e le torture, ma lo share.
Parliamo d’altro. Nel PCI c’erano le correnti, ma poi le decisioni si prendevano, magari a denti stretti, all’unanimità. Era il centralismo democratico di un partito che leninista non lo era stato mai. C’era un progetto, per quanto riformistico, quindi delle idee e un relativo sentito impegno. E l’esempio. Nelle DC era uguale, nel senso che c’erano le correnti e in ogni corrente l'etichetta di un’idea e anzi molti cannoli siciliani e babà napoletani, senza contare i panettoni meneghini. A tenere insieme il comitato d’affari domocristiano era, appunto, la gestione del potere e del business. Il tutto in un quadro internazionale ben noto, dove gli Usa e la Nato avevano bisogno di stabilità, anche a costo di qualche strage e simili.
Poi il quadro internazionale cambiò, quindi mutò ancora e oggi il mappamondo continua a girare ma a ben vedere sulla scena mondiale si va a ricalco, ancora con le cannoniere nel Mediterraneo e ovunque serva, per ristabilire l’ordine (il solito).
In Italia, nel frattempo, c’è stata una rivoluzione. Antropologica, dicono. Sarà, ma il mio vicino di casa era uno schifoso fascista anche prima di votare Lega.
Dalle stanze del PCI e dalle sacrestie della DC è nato, dopo lungo e tormentato (si dice così) percorso edipico (suona bene), un nuovo soggetto politico (sedicente). Il Partito democratico. Che già dal nome, come per una volta sostiene giustamente D’Alema, si capisce cos’è. Un nulla. Un partito diviso sul nucleare, sulla privatizzazione dell’acqua, sul biotestamento, sulla fecondazione assistita, sulla scuola, sui rapporti col sindacato, con quelli con i partner politici e perfino con Berlusconi o Gheddafi. Personalismi, rivalità, gelosie, veltronismi, ma sulle banche sono d’accordo. Ne vorrebbero una tutta loro. O almeno una poltrona di sindaco a cranio, un protettorato locale.
Ciò che li tiene insieme, indiscutibilmente, è l’antiberlusconismo. Senza di esso ognuno andrebbe, come molti hanno già fatto e continueranno a fare, per la sua strada, cioè quella del mercato dei seggi. Uno stile di vita che in Italia non configura l’oltraggio al pudore.
Sull’altra sponda non siamo messi meglio se perfino il loro Vate dà le dimissioni da ministro. Il berlusconismo era nato per iniziativa di un simpatico ragazzo della periferia milanese, studi da privatista e una laurea in chiacchiere con lode, un papà funzionario di filiale bancaria (l’unica filiale della Banca Rasini), un periodo un po’ oscuro e affari sempre opachi. Poi la grande idea, un po’ illegale, ma che funziona: le televisioni private che trasmettono su tutto il territorio nazionale, dove dà spazio al pensiero critico di Umberto Smaila. Quindi compra il Milan e lo affida al suo antennista di fiducia. Fino a quando i debiti accumulati superano gli attivi e il patrimonio. Allora fonda un partito, insieme a un certo Dell’Utri, e decide di prendere il posto, per il nostro bene, del suo ex padrino politico, Benedetto Craxi, emigrato nel frattempo in Tunisia. Il resto lo fa un certo Umberto Bossi, lombardo anche lui, ma con un curriculum migliore: Radio Elettra, una laurea in medicina (fasulla) e poi tanta passione per la politica. Tutta quella che ci vuole per vivere a sbaffo promettendo la secessione, il federalismo, padroni in casa nostra, il parlamento a Mantova e il confine della padania poco oltre il Po.
E queste sono le pagine migliori della storia. Poi un abbozzo di morale si trova sempre.

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