L’Italia, l’ho già scritto e lo sappiamo bene tutti, rinuncia a difendere i propri interessi ancora una volta per obbedire al diktat atlantico. Si fa scrupolo di dichiarare che i suoi cacciabombardieri fanno il loro lavoro in Afghanistan, cioè sganciano bombe, lanciano missili e mitragliano, ma nel caso libico non ha nessuna reticenza ad affermare che i suoi aerei sorvolano la Libia armati e pronti ad uccidere e distruggere. Anzi, ha chiesto insistentemente di non fare da affittacamere, di non essere trattata come una semplice maîtresse, ma di recitare la parte che le riesce meglio: la puttana.
Del resto con la Libia l’Italia ha un conto sempre aperto: nonostante la batosta di Adua, insistette per tenersi l’Eritrea ed espandersi in Somalia, quindi, giusto 100 anni or sono, dichiarò guerra all’Impero turco, anzi alla sua carcassa. Senza troppi infingimenti voleva consolidare la sua penetrazione economica in Libia e invece il padrone turco non ci stava. È vero che l’Italia, soprattutto il meridione, aspettava strade, ferrovie ed infrastrutture, che solo l’1% della popolazione emigrante sceglieva le colonie italiane, ciò nonostante il governo d’allora, con il solito servilismo dei media, lanciò l’idea che la Libia fosse la soluzione dei nostri problemi.
Naturalmente si fecero le cose improvvisando, con uno stato maggiore dell’esercito più attento alla lucentezza dei propri stivali che al resto (il “problema” degli attendenti si presentò grave fino al 1971). Con l’idea tipica di tutti gli aggressori che la faccenda sarebbe durata poco, del resto contro i beduini … Anche l’orografia venne tenuta in gran conto: in Cirenaica ci sono dei rilievi in vicinanza del mare di alcune decine di metri e arrivano addirittura sopra i 200 metri nel retroterra, fino al Tibesti. La costa della Tripolitania, dal confine tunisino a Misurata, è in prevalenza piatta, così come quella, brulla e sabbiosa, della Sirtica fino a Bengasi. E chi meglio degli Alpini può destreggiarsi su tale terreno, ideale per gli scarponi dolomitici e dove il mulo è tipico?
Ed infatti parte il gruppo d’artiglieria Susa che arriva sul suolo libico il 12 ottobre, seguito giorni dopo dal gruppo Mondovì, dai battaglioni Saluzzo e Fenestrelle. Non mancano naturalmente i bersaglieri, che arrivano dopo e subiscono una dura sconfitta a Sidi Messri-Sciara Sciat. Solo allora si comprenderà che la questione presenta qualche difficoltà imprevista. S’inviano rinforzi, naturalmente soprattutto truppe alpine: i battaglioni Ivrea e Edolo, per esempio, ma anche il gruppo d’artiglieria da montagna Vicenza. Del resto in Libia ci sono anche gli altipiani, e poi non erano lontani dalle vette delle piramidi.
Naturalmente gli alpini si comportano con onore nei combattimenti che seguono (c’è più sangue che vino nella loro storia), anche se con non poche difficoltà e perdite. Latitano, come al solito, i rifornimenti, soprattutto l’acqua. Certo, partire da Feltre o da Saluzzo per andare a morire, chissà poi perché, di sete a Kasr el-Leben, dev’essere una domanda che più d’uno si dev’essere posta. Gli alpini si ritirarono e la guerra arrancò fino a quando non venne l’idea di occupare Rodi. Il 18 ottobre 1912 fu firmato il trattato di Ouchy che sanciva la pace fra Italia e Turchia e stabiliva la cessione della Libia all’Italia, così come le isole del Dodecaneso e di Rodi.
La guerriglia in Libia continuò guidata da molti capi tribù che non accettarono la “pace”. Gli alpini continuarono a morire in Africa contro i ribelli, almeno fino al 6 ottobre 1913, quando iniziarono i primi rimpatrii. La situazione rimase instabile per decenni e la repressione italiana si fece più aspra, causando complessivamente la morte di 100mila libici su una popolazione di 800mila. Di triste memoria i campi di concentramento italiani. Una pacificazione del territorio si ottenne soltanto nel 1931 con l’esecuzione del capo dei ribelli Omar Mukhtar.
I salariati italiani ottennero con tale conquista notevoli benefici economici: non serviva più produrre nel meridione d’Italia alcuni prodotti agricoli perché questi venivano importati dalla Libia a minor prezzo. Questo favorì l’emigrazione italiana che preferiva l’America o il Marocco francese. Le colonie senza colonizzatori si dimostrarono una concessione quanto mai onerosa alle motivazioni colonialistiche italiane e i capitali che l’Italia dirottò sul suolo Libico per dare il via alle opere necessarie alla colonizzazione crearono i noti ritardi nello sviluppo delle aree come il Sud o gli Appennini. Inoltre circa 50mila italiani furono espulsi per rappresaglia dall’Impero turco e le relazioni commerciali fra i due paesi subirono pesanti perdite, senza contare il boicottaggio che l’Italia subì per aver intrapreso una guerra di conquista. Tale lezione non servì a nulla, perché negli anni Trenta l’Italia ripeté del pari gli stessi errori. Che nel 2011, in occasione del centenario, diventano orrori.
Della serie: sappiamo farci del male da soli, grazie!
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