venerdì 4 marzo 2011

Intervista a Muhammad



Il dibattito politico, cioè la rappresentazione televisiva di quello che dovrebbe essere tale dibattito, ieri sera ha finalmente battuto un colpo che si è avvertito, netto e distinto, dalla Valtellina a Tripoli, tanto per non ripetere la classica frase pseudo napoleonica. La novità sta in poche parole dette da Pierluigi Bersani: «È da un anno che, zitti zitti, stiamo lavorando ad un programma, per mettere a punto quelle 5 o 6 cose importanti che c’è da fare per raddrizzare l’Italia».
Andando dalle parole ai fatti, un certo Tosi, sindaco di Verona, un furbetto che si vede lontano chilometri che ha l’ambizione di diventare un grosso furbo, ha replicato a Bersani sulla questione dell’immigrazione e delle “rivoluzioni” del Nord Africa: «Ma in concreto, voi del Pd, cosa proponete di fare?». Chiedere in concreto a un segretario di un partito liberale italiano cosa intende fare su simili questioni, è un po’ come chiedere a un prete dei suoi rapporti con la masturbazione.
E allora, visto che i maggiorenti della politica non sanno a che santo rivolgersi, e in considerazione che essi non possono ammettere pubblicamente che la politica estera e quella dell’immigrazione non è decisa né dall’Italia e nemmeno a Bruxelles, bensì in altre sedi, ho pensato bene, per farmi un’idea più chiara, di rivolgere qualche domanda ad un operaio edile di un cantiere qui vicino a casa mia, un muratore del Maghreb. La riporto così come è avvenuta, senza troppo riguardo per la forma.
Naturalente il suo nome è Muhammad. Gli chiedo: «Ma cosa sta succedendo dalle tue parti?». Mi guarda stupito della domanda, poi risponde: «Ho telefonato a casa, è tutto tranquillo, tutto a posto. Ma manca il lavoro, se no non sarei qui. Per farmi venire qui devono farmi mancare il lavoro a casa mia. Sono furbi, dicono che non ci vogliono, però in questo cantiere siamo quasi tutti di noi, i vostri sono pochi. E poi i prezzi, sono diventati troppo alti anche da noi». E la rivoluzione? «Nel mio paese, nel paese dove abita la mia famiglia non è successo niente. Noi abbiamo della terra, ma quello che produciamo non ci è pagato. Allora scambiamo tra di noi quando non siamo costretti a vendere la terra». «Ma voi – osservo – avete il gas, il petrolio, enormi ricchezze». Ride: «A quanto vendiamo noi il gas all’Italia, a chi vanno quei soldi? Noi regaliamo il gas, vendiamo il petrolio a 1 o 2 euro al barile alle multinazionali occidentali che lo rivendono a 90 o 100 euro. Noi non contiamo niente, e anche l’Opec non conta niente, deve fare quello che gli dicono». «Quello che gli dicono chi?». «Ma come chi, quelli che prendono e vendono il gas e il petrolio». «Sì, d’accordo, ve lo pagano poco, però si tratta comunque di un bel mucchietto di soldi». Mi guarda serio: «Ma a chi vanno? A poche famiglie, a pochi clan. Noi siamo costretti a comprare quasi tutto dall’Europa, anche quello che produciamo noi, viene poi reimportato dall’Europa, dall’Italia. L’olio d’oliva, per esempio, nelle nostre città viene venduto quello spagnolo, ma le olive sono le nostre, non so se mi hai capito». «E poi – gli osservo amaro – comprate un sacco di armi». Scuote la testa: «No, no, noi non compriamo armi, sono i politici che le comprano, e sai bene perché, e poi c’è corruzione su tutto …».
Pierluigi Bersani sa benissimo queste cose e molte, moltissime altre. Ma cosa può fare un liberale, uno che ha scommesso sulle sorti magnifiche e progressive di questo sistema? Un politico che ritiene questo mondo il migliore dei mondi possibile, magari con qualche miglioria, giusto un ritocchino qui e là prima delle elezioni?

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