domenica 31 maggio 2015

Letture stimolanti


L’intestino felice, Sonzogno, opera della 25enne tedesca Giulia Enders, quattro edizioni in un mese e 50.000 copie vendute.

Ebbene sì, ammetto e non me ne vergogno: ignoro quali siano correntemente i libri più venduti e il nome dei loro autori. Questa mia tendenza a scollegarmi dai fasti editoriali del presente è forse in parte riconducibile anche a fattori di natura senile, e ciò potrebbe trovare conferma nel fatto, apparentemente paradossale ma ben noto in geriatria, che di libri e autori del passato rievoco finanche minuzie con felicità mirandolesca.

Tuttavia ritengo di dover considerare altra causa ben più cogente di quella. Segnatamente, per parlar chiaro, questo mio totale disinteresse per le pubblicazioni odierne ritengo trovi il suo fondamentale motivo nello splendido stimolo che mi conduce con cronometrica regolarità al cesso, non meno che la linearità cartesiana del mio disegno evacuativo nel quale taluni critici potrebbero rintracciare, senza sforzo, un indubbio significato artistico come già accadde per l’indimenticato Manzoni Piero.

Nella specie, trattasi di materiale di qualità mediamente fine e compatta che potrebbe aprire a riconoscimenti di ciliegia susina e verzure di stagione, e tuttavia posso negare che esso arricchisca un entusiasmante olfatto, anche quando unito a effluvi prodotto di cioccolato fondente. E perciò, checché se ne possa dire in giro, smentisco a tale riguardo e a fortiori ratione notizie su un finale piacevolmente balsamico.

* * *

Un buio ancora più nero


Qualunque possa essere il risultato delle urne, esso sarà assolutamente ininfluente, sotto ogni punto di vista. Dovesse il Pd perdere anche tutte le regioni. Dovesse vincere chiunque, fosse pure il sedicente partito comunista di Marco Ferrando. Per la gente comune, per chi ha un lavoro precario, un sussidio di disoccupazione, per chi non ha nemmeno quelli, per chi tira a campare con una pensioncina, le elezioni non porteranno in ogni caso alcuna novità che possa riguardarli tangibilmente.

Il debito pubblico ci vede prigionieri delle consorterie finanziarie internazionali non meno della Grecia. Come Stato nazione siamo e saremo ancor più uno “staterello sbatacchiato” tra l’egemonia tedesca e la crisi di sistema. Germania e Francia hanno già detto no alla revisione del trattato di Lisbona e Renzi ha presentato un documento in cui l’Italia si offre spoglia di qualunque resideua autonomia nazionale.

L’unico risultato elettorale che potrebbe avere un qualche significato politico, in un paese come l’Italia, sarebbe un’astensione di massa, oltre il 50 per cento. Non sarà così. Alla fine dei conti, bene o male, stipendi pubblici e pensioni vengono accreditati regolarmente, e ciò è la sola cosa che tiene in piedi il sistema. Qui, in Grecia, ovunque.

Se andrà bene solo un 40 per cento circa non si recherà al voto. E ciò è già molto, ma non basta. Il fatto che i talk televisivi non funzionino più non ha alcuna importanza, ciò che importa è che essi continuino a esserci, a raccontarci fesserie e a distrarre quella residua massa di teleutenti che ancora nutre qualche apparente interesse per la politica e le cose di questo mondo. Apparente poiché la realtà sta da tutt’altra parte.


È quel 30 per cento del paese (più l'altro 30 d'inconsapevoli totali) che fa la differenza, che va a votare e voterà fino allo stremo. Non perché ci crede, poiché in fondo ha sfiducia nel sistema come qualsiasi altro, ma perché ha paura del salto di binario. Nulla potrà sconfiggere questa paura se non un attacco ancora più duro a ciò che resta del welfare e alle condizioni di vita complessive, dunque un buio ancora più nero.

sabato 30 maggio 2015

Non possiamo riconoscere loro alcuna attenuante


«Ma le truffe esistono in ogni ambito del mercato. Non fanno lo stesso scalpore le ripetute truffe ai danni di banche ed istituti parabancari, o semplici truffe ai danni dei consumatori, benché queste allo stesso modo implichino – anche – perturbazioni nei sistemi di formazione dei prezzi (sia il costo dei prestiti, che dei beni acquistati magari con tali prestiti), ma qualitativamente la questione è molto simile. Dopo aver, in parte, ridimensionato il quadro, appare esagerato aggrapparvisi per questionare la validità del “modello capitalistico” sottostante. Il modello resta il più funzionale per l’emersione di prezzi che incorporino al meglio le informazioni disponibili. La sanzione dei comportamenti illeciti (lesivi dei rapporti contrattuali) è semplicemente parte dei meccanismi di correzione del sistema, necessari proprio in conseguenza delle manchevolezze della natura umana che emergono in qualsiasi contesto.»

Così è scritto ne Il Sole 24ore con la profondità che è propria degli apologeti del sistema. Le truffe e la corruzione sono così divenute – se perpetrate da parte delle banche – delle “manchevolezze”, della cui responsabilità ovviamente risponde la “natura umana”. È l’occasione che fa l’uomo ladro, cosa ci volete fare. E, del resto, i “comportamenti illeciti” meritano sanzione solo perché “lesivi dei rapporti contrattuali”.

venerdì 29 maggio 2015

Giù, in ginocchio


Milioni di votanti troveranno delle sufficienti motivazioni per recarsi ancora alle urne, per l’ennesima volta farsi coglionare e così fornire nuovo alimento alla mistificazione democratica.

E, del resto, che fare altrimenti? Per esempio smetterla di drogarsi di promesse spergiure che sappiamo benissimo non potranno essere mantenute nemmeno per sbaglio. Alle masse interessa in definitiva racimolare quel tanto che basti loro per mettere qualcosa nel carrello della spesa. La redistribuzione dei redditi avviene in senso orizzontale come confermano anche gli ultimi dati fiscali: per le classi proprietarie lo Stato rappresenta solo lo strumento per difendere i loro interessi. Per il resto essi vedono l’iniziativa pubblica come la morte, come il comunismo; per sua essenza queste classi sono incapaci di vedervi qualunque differenza.

Il gregge è chiamato a votare a favore o contro Zaia e quell’antipatica della Moretti; a favore o contro Caldoro e quel simpaticone di De Luca, con l’appoggio di un certo Ciriaco De Mita. Insomma, un motivo o una scusa per votare si escogita sempre. Tanto, se non voti fanno ugualmente quello che vogliono. Bravi, questo è un argomento sempreverde e contro il quale non vale opporre nulla. Un po’ come quei filistei assai scettici che si recano in chiesa: non si sa mai, dicono. E giù in ginocchio che il parroco prima ti benedice e poi di sevizia. Per la politica politicante è lo stesso gioco.

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giovedì 28 maggio 2015

Vai Stiglitz, vai ...



Già, non c'è legge che possa indurre il capitale a non perseguire il suo unico e sacrosanto scopo: massimizzare i profitti. E però vai Stiglitz, fai valere tu la volontà politica, rompigli il culo a quelli come Marchionne, dagli un bel calcio sui denti a quelli della Morgan Stanley. Anche noi tifiamo per la moglie-candidata molto più progressista di Bill, così progressista che non guarda in faccia a nessuno quando c'è da incassare finanziamenti dalle corporation.

La responsabilità della crisi? La testa degli uomini


Nel modo di produzione capitalistico per aumentare la quota di plusvalore il capitalista ha da percorrere una strada maestra, ossia deve innanzitutto ridurre il costo del lavoro e aumentarne lo sfruttamento (*). Riducendo il famigerato “costo del lavoro”, cioè riducendo la parte retribuita del lavoro e aumentandone quella non retribuita, il lavoro viene svalorizzato e così ogni singola merce contiene meno valore e cala anche di prezzo.

Se però svalorizzo il lavoro in rapporto al capitale, con ciò cade il saggio del profitto attorno al quale gira tutto il Barnum del capitalismo. È una questione aritmetica, non un costrutto ideologico. Posso vedere aumentare la massa assoluta dei profitti ma non in proporzione al capitale investito. Un bel problema, dunque.

mercoledì 27 maggio 2015

La prima ragione del grande casino


Altro che nuovo ordine mondiale, le tensioni, il disordine e la violenza stanno rivelando uno scenario per il XXI secolo dove non vige più alcuna norma comune se non la legge del più forte. Il presente e il futuro ci spaventano poiché tutto ciò che abbiamo conosciuto in termini di sicurezza e stabilità individuali e collettive appartiene al passato. Gli stessi Stati nazionali non sono più in grado di garantirsi unitariamente come tali. Siamo a un cambio d’epoca di cui non riusciamo a cogliere molte delle implicazioni dei processi in atto. Abbiamo a che fare con frammenti di realtà, il resto non possiamo decifrarlo anche perché sprovvisti della necessaria curiosità che sola potrebbe fornirci qualche codice d’accesso.

Ciò che condanniamo non lo conosciamo, e ciò che approviamo ci guardiamo bene dal conoscerlo effettivamente. Del resto, di politica, che non sia solo un prendere posizione, pochi s’interessano e sono ancor meno quelli che sbirciano di politica internazionale. Ecco dunque che l’adesione della nostra coscienza spettatrice a tutto ciò che ci viene sommariamente e propagandisticamente raccontato diviene pressoché totale. Vale forse un esempio di raffronto tra la nostra epoca e quella precedente: quelli che allora si dicevano contro il fascismo andavano in Spagna a combatterlo, oggi ci aspettiamo che il “nemico” siano sempre gli altri a sfidarlo.

Ad ogni buon conto, per rendere ancora una volta le cose commestibili al senso comune, dirò che il problema dei problemi consiste nel fatto che il capitalismo americano ed europeo non riesce da molto tempo ormai a produrre profitti in casa, vale a dire una massa di profitti proporzionale agli investimenti, e perciò ha dovuto e deve andare all’estero. Questa è stata la prima ragione del grande casino nelle nostre società e da qui è venuta la più forte spinta a quella che chiamano globalizzazione. La classe dei proprietari che possiede anche gli Stati ha fatto in modo che essi raggiungessero degli accordi per i quali le imprese potessero realizzare i loro scopi demolendo o riducendo le antiche barriere.

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martedì 26 maggio 2015

L’unità sindacale che piace a Renzi: l’agenzia di viaggio



Ha dunque ragione Giuliano Ferrara quando, sorridendo beffardo, denuncia che i dati sulla disoccupazione sono gonfiati perché esiste molto lavoro nero? Come se dovessimo rallegrarci di tale situazione di meno disoccupati e più schiavi senza contratto. Anzi, prevalentemente si tratta di schiave, di decine di migliaia di donne che lavorano in agricoltura nelle condizioni che sono descritte in questa eccellente inchiesta. Da ciò che emerge, quindi, non si tratta nemmeno di lavoro nero, bensì regolarizzato, ipersfruttato e truffaldino. Non ho nulla contro le fragole, che hanno pure un bel colore, e nemmeno contro l’impiego delle gibberelline, ma a me fanno venire l’orticaria per più di un motivo. E non solo le fragole, naturalmente. Anche Ferrara e quelli come lui. Queste situazioni di sfruttamento all’osso sono molto più diffuse di quanto si dice, non solo in agricoltura, ma anche nell’edilizia e nelle manifatture più varie.

Per quale motivo dovrebbe essere preferibile un sistema sociale come questo a un sistema dove ognuno ha un lavoro regolare, tutelato e retribuito, dove non esiste la disoccupazione e le condizioni di lavoro e il suo prezzo non sono decise tra il padrone e il caporale? Il motivo è molto semplice: in tal caso non sarebbero più necessari i padroni e i caporali, e i Ferrara e i Renzi per guadagnarsi da vivere dovrebbero lavorare.

lunedì 25 maggio 2015

L'intimo arcano


È la “sinistra” in festa per il grande successo elettorale: l’immancabile braccio alzato con il pugnetto chiuso, qualcosa di rosso sullo sfondo e magari anche nell’intimo. Ieri in Grecia, oggi in Spagna e, chissà, forse un giorno sarà così anche qui da noi. Fino a quando il gregge va a votare compatto o quasi, i grandi poteri economici possono stare tranquilli: non accadrà nulla che possa mettere in discussione il loro dominio.

Per quanto questi movimenti politici possano porsi come rappresentanti delle cosiddette istanze delle classi proletarie, cosa peraltro tutta da dimostrare, essi non escono dai limiti del pensiero borghese e della politica borghese fino a quando ne accettano il gioco. E del resto puntano anch’essi alle riforme, a un’ulteriore espansione delle forze produttive sotto la bandiera dell’occupazione e della crescita nel momento in cui i rapporti di produzione strozzano la ripresa del ciclo virtuoso. E tuttavia, come ho scritto qui infinite volte, siamo a un cambio di passo della storia del capitalismo e della sua crisi.

domenica 24 maggio 2015

Il "nuovo" che ci attende


I giovani d’oggi, della cui mediocrità sazia non mancano cospicui esempi dovunque si guardi, si sentono sciolti dal debito che hanno con le vecchie generazioni, convinti che il mondo attuale sia una creazione del mercato, cioè del capitale, al quale con reverenza e obbedienza riconoscono di essere la base virtuosa su cui poggia la libertà, da quella del bisogno a quella “digitale”.

Il benessere di cui oggi godiamo per secoli è stato solo sognato, esso è il frutto del lavoro e del sacrificio di generazioni di proletari, benché oggi tale benessere si sia trasformato in metabolismo consumistico. Dal canto suo, la borghesia ha tratto dallo sfruttamento del lavoro cospicui profitti, e ogni volta che si è sentita minacciata nella sua idea di società, cioè del suo ruolo dominante, non si è fatta scrupolo di fomentare guerre e fascismi che hanno segnato il XX secolo come il più tragico della storia dell’umanità.

E se oggi la condizione personale dei giovani è di disagio, se il loro stato d’animo soffre, ciò non è causa di quel welfare di cui godono i più anziani come si vuol credere (*). A molti sfugge la natura strutturale delle contraddizioni da cui genera la crisi e il suo significato in termini di lotta di classe. Non vedono come i proprietari del mondo approfittino della crisi per smantellare diritti e tutele spacciati per insostenibili e anacronistici poiché contrari ai concreti interessi del grande capitale.

Nella loro mediocrità garantita dalla soddisfazione dei bisogni consumistici, le nuove generazioni non sanno superare il senso d’impotenza che le pervade, riscoprendo il ruolo essenziale del conflitto politico che la sconfitta del sedicente comunismo ha rimosso dall’orizzonte dell’iniziativa antagonista. Perciò nuove e ciclopiche catastrofi ci attendono.



(*) Qui non si vuole disconoscere lo scandalo di taluni privilegi, che però in linea di massima non riguardano i ceti sociali proletari.

I sonnambuli


«Vi furono isolate espressioni di entusiasmo sciovinista per la guerra che si apriva, ma si trattò di eccezioni. Il mito secondo cui gli uomini europei colsero volentieri l’opportunità di sconfiggere un nemico odiato è stato ampiamente smentito. Per la maggior parte delle persone, quasi ovunque, la notizia della mobilitazione rappresentò un profondo choc, un fulmine a ciel sereno. E più ci si allontanava dai centri urbani, meno le notizie della mobilitazione sembravano essere comprese dalle persone che si apprestavano a combattere, a morire, a rimanere mutilate o a perdere un congiunto nella guerra che si stava aprendo. Nei villaggi della campagna russa regnava un “silenzio attonito” rotto soltanto dal suono di “uomini, donne e bambini che piangono”. A Vatilieu, una piccola comunità nella regione delle Alpi del Rodano, nel Sud-est della Francia, i braccianti e i contadini vennero richiamati nella piazza del paese dalle campane che suonavano a stormo. Alcuni, accorsi direttamente dai campi, avevano ancora in mano i forconi.

“Cosa può significare? Cosa ci accadrà?”, chiedevano le donne. Mogli, figli, mariti, tutti erano sopraffatti dall’emozione. Le mogli si aggrappavano alle braccia dei loro uomini. I bambini, vedendo le madri in lacrime, cominciavano anche loro a piangere. Intorno a noi, solo allarme e costernazione. Una scena inquietante.

Un viaggiatore inglese avrebbe ricordato la reazione a cui assisté in un paesino cosacco nella regione degli Altaj (Semipalatinsk, oggi Semej, in Kazakistan) quando una “bandiera blu” tenuta alta da un cavaliere e alcuni squilli di tromba che suonavano l’allarme portarono la notizia della mobilitazione. Lo zar aveva parlato, e i cosacchi, forti della loro straordinaria vocazione e tradizione militare, “ardevano dal desiderio di combattere contro il nemico”. Ma chi era il nemico? Non lo sapeva nessuno. Il telegramma che ordinava la mobilitazione non forniva alcun particolare. Le voci abbondavano. In un primo momento tutti immaginavano che la guerra fosse contro la Cina: “La Russia si è spinta troppo avanti in Mongolia, e la Cina ha dichiarato guerra”. Poi, circolò un’altra voce: “È con l’Inghilterra”. Per un po’ di tempo, fu questa l’idea che prevalse.

Solo dopo quattro giorni la verità si fece strada, e nessuno ci credette.»


(Christopher Clark, I sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla grande guerra, Laterza, p. 598)

sabato 23 maggio 2015

Ti spiego perché sei disoccupato e tale resterai


Ormai passiamo più tempo a contatto con le macchine che con gli altri esseri umani. C’è il rischio che le macchine sostituiscano gli esseri umani? La domanda è malposta, come sempre quando si ha a che fare con l’ideologia corrente. Il problema non è la tecnologia, ma i rapporti sociali in cui opera.

Facciamo l’esempio, che va di moda, della robotica nel processo di produzione industriale. La sostituzione del lavoro umano con quello delle macchine non sarebbe un problema laddove la sostituzione avesse come obiettivo principale la liberazione dell’uomo dal lavoro della fabbrica. Per contro l’impiego delle macchine in un sistema in cui la produzione ha un unico ed esclusivo scopo, cioè la produzione di plusvalore, diventa un problema.

Il problema, contrariamente alle apparenze, non è la tecnologia, ma il rapporto contraddittorio che essa viene ad assumere nell’ambito dei rapporti di produzione capitalistici. Nell’introdurre nuove macchine, lo scopo del capitale non è quello di migliorare le condizioni dell’operaio e fargli risparmiare fatica (naturalmente gli ideologi borghesi su queste questioni vanno a nozze, ci ricamano sopra. Del resto essi devono pur meritarsi il prezzo della loro servitù al sistema). Scopo del capitale è di ridurre la parte retribuita del tempo di lavoro e aumentare quella non retribuita, quindi accorciare il tempo di lavoro necessario per la produzione di una merce, ridurne il valore, ergo il suo prezzo (*). In definitiva, ciò comporta un prolungamento del tempo di lavoro assoluto della giornata lavorativa complessiva, concetto questo ben chiaro ai padroni ma che è controproducente divulgare sic et simpliciter presso il volgo.

venerdì 22 maggio 2015

Una classe intrinsecamente criminale


Le cinque più grandi banche del mondo sono state multate per la manipolazione dei tassi di cambio, un fatto che evidentemente viene ritenuto dall’opinione pubblica, a sua volta manipolata dai media controllati dallo stesso potere finanziario, non suscettibile di riprovazione quanto il tagliare la gola a qualcuno. I fatti contestati non sono stati perseguiti come reato criminale, con l’aggravante dell’associazione a delinquere, ma puniti come una qualsiasi infrazione amministrativa. Verranno, si pensi, licenziati otto dipendenti delle banche.

Tanto per dire, JP Morgan Chase&Co ha la più vasta capitalizzazione di mercato e il suo hedge fund è il più grande degli Stati Uniti, con 53,5 miliardi di dollari in attività. Pagherà una multa di 550 milioni, un’inezia. Va precisato che queste banche hanno potuto aggiustare i tassi di cambio di un mercato che sfiora i 5 mila miliardi di dollari di valori movimentati con margini, su variazioni anche minime, enormi.

giovedì 21 maggio 2015

Oddio, come m'annoiano le "astrazioni"


Com’è a tutti ben noto, ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne sognino le nostre fantasie. A noi queste cose di cielo e di terra spesso ci appaiono più astratte e lontane di quanto in realtà esse non siano, ma se non vogliamo rimestare nello spazio ideologico borghese la solita merda riguardo alla nostra condizione, dobbiamo fare i conti con le leggi che le governano, se non altro per smascherare le logiche che ce le impongono.

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L’aumento imponente del capitale costante, l’espulsione sempre più marcata dal ciclo produttivo di quello variabile, porta a un risultato non voluto ma ineluttabile: l’aumento della povertà è l’unico meccanismo macroeconomico efficiente su cui il sistema punta per tamponare la crisi.

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Non si parla più solo di spostamento di addetti da un settore all'altro (ad esempio, dall'agricoltura all'industria o dall'industria ai servizi e al terziario) ma proprio di una presenza umana nei meccanismi di produzione di beni e ricchezze che verrà drasticamente ridotta, quindi sarà molto più sporadica, discontinua, mutante, liquida e sostanzialmente non più in grado di garantire la perpetuazione del meccanismo con cui il vecchio capitalismo funzionava: quello basato su lavoro e produzione, corrispondente retribuzione, quindi consumo, che produceva profitto, il quale reinvestito portava a nuova produzione e così via all'infinito.

Così scrive Gilioli nel suo blog, citando tra l’altro “Fabio Chiusi sulla visione dell'imprenditore e analista della Silicon Valley Martin Ford, il quale nel suo ultimo libro "La crescita dei robot" arriva a proporre «qualche forma di reddito minimo» non per idealismo socialista bensì "da destra", cioè per salvare il capitalismo”. Di ciò si preoccupa questa gente, di “salvare il capitalismo”, di perpetuare la schiavitù del lavoro salariato; non più nelle antiche e faticose forme, ma in quelle più attuali, quasi asettiche, quelle dell’epoca dell’elettronica e dei robot. Finta alternativa dove il conflitto tra lavoro e capitale scompare.

mercoledì 20 maggio 2015

Il voto che costò la vita a 670mila


Le elezioni politiche del 1913 si svolsero il 26 ottobre e il 2 novembre (ballottaggi). Furono le prime elezioni a suffragio universale maschile (introdotto nel 1912), con collegio uninominale e maggioritario. Gli iscritti alle liste erano 8.672.000 ma votarono solo in 5.100.615, ossia il 58,8 per cento. Il partito socialista italiano ottenne il 17,2 per cento dei voti ma solo il 10 per cento dei seggi, quindi 52 su 508. I socialisti riformisti di Bissolati (espulsi dal PSI l’anno prima tra l’altro per il sostegno dato alla spedizione militare in Libia) ottennero 19 seggi, e 8 ne ottennero i socialisti indipendenti. Complessivamente 79 seggi, ossia il 15,5 dei seggi complessivi, con 1.151.419 voti, pari al 22,57 per cento dei voti validi. A trionfare furono giolittiani e cattolici (patto Gentiloni) che sommando i loro voti ottennero il 51,8 e una larga maggioranza dei seggi.

Un anno e mezzo dopo, nella notte del 20 maggio, scrive La Stampa, si apprende che a Roma “i treni speciali per gli ambasciatori sono pronti”. Le truppe di cavalleria, appiedate, hanno provveduto a isolare palazzo Chigi, sede dell’ambasciata dell’Austria. Il Giornale d’Italia riferiva che anche l’ambasciatore turco era pronto a lasciare Roma. In mattinata Piazza Colonna è circondata dalla folla che attende l’ingresso dei deputati alla Camera. Nelle scuole gli studenti hanno fatto “patriottiche manifestazioni”, e molte officine sono “disertate per gioia nazionale”.

Quel 20 maggio 1915, la Camera approvava il passaggio dei poteri straordinari al governo di Antonio Salandra in caso di guerra. Questo voto fu il preludio per la dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria. Presenti 482 deputati, il governo ebbe 407 voti favorevoli, 74 contrari, un astenuto. Dunque votarono a favore anche i cattolici neutralisti, nonché i giolittiani.


martedì 19 maggio 2015

Divide et incula


C’è da credere che molti pensionati, tra l’altro a una settimana dal voto per le regionali, percepiranno la promessa di restituzione di una piccola parte del maltolto come un dono del governo, dunque di Renzi. Chi percepisce una pensione fino a poco più di 1.300 euro nette, riceverà il 25 per cento di ciò che gli spetta; chi ha una pensione di poco più di 1.600 euro, riceverà il 13 per cento; chi ha una pensione di circa 2.000 euro, riceverà il 7,4 per cento del furto subito. A tutti gli altri, non sarà restituito nulla.


Ho sentito dire da una deputata del Pd: ma chi riceve 2.500 euro lorde di pensione che cosa s’aspetta a fronte di 3 milioni di giovani disoccupati? Un po’ come dire a una persona che ha appena subito un furto in casa: ma cosa t’aspetti quando vi sono milioni di persone che vivono in povertà? Verrebbe anche da dire: ma chi riceve uno stipendio di 20mila euro al mese per dire simili sciocchezze, cosa s’aspetta da noi? Che votiamo, già!

lunedì 18 maggio 2015

Bombardate 'sto cazzo


Il vero filtro ai flussi migratori dall’Africa verso l’Europa è dato dal Sahara e dal Mediterraneo. Nel percorrere il deserto e nell’attraversare il mare avviene la prima grande selezione. L’Europa ha bisogno di quelle braccia, e se non di tutte almeno di una buona parte di esse, e tuttavia ciò che teme è di essere travolta da quel flusso. Perciò l’idea di affondare i barconi prima che partano dalle coste del Nord Africa. Vera ipocrisia, sia dal lato degli xenofobi che da quello dei compassionevoli.

L’inverno demografico ci minaccia e c’è bisogno di nuova forza-lavoro, debolissima nei diritti e arrendevole nelle richieste salariali. Chi sta raccogliendo le fragole in questi giorni, chi salirà le scale per le ciliegie e gli altri frutti nelle prossime settimane, chi piegherà la schiena per i pomodoro, e a settembre saranno gli studenti di Trento a cogliere le mele? Chi per tutto l’anno lavora nelle concerie di Arzignano, nelle fonderie dell’Alto Veneto, gli universitari di Ca’ Foscari?

Di fronte a 500 milioni di europei, di cui molti sono gli anziani, stanno 170 milioni di abitanti della costa tra il Marocco e l’Egitto, prevalentemente giovani e in movimento. Nell’Africa Subsahariana, dall’Atlantico all’Eritrea e passando per Nigeria, Mauritania, Ciad, Burkina Faso, Mali, più di mezzo miliardo di persone sono disposte a tutto pur di uscire dalla loro condizione, di fuggire dai conflitti e abbandonare metropoli fatte di distese sconfinate di baracche e miseria.

domenica 17 maggio 2015

È ancora colpa dei Borboni


Lezioni di storia nell’editoriale odierno di Scalfari. Scrive della formazione degli Stati Europei. Scalfari pone in rilievo il fatto che “l'Europa moderna nacque sotto il potere assoluto dei monarchi, ma insieme a loro nacque una nobiltà di spada, una magistratura, una borghesia mercantile e culturalizzata”.

I monarchi esistevano già ben prima della formazione dell’Europa moderna, e così una nobiltà di spada, una magistratura, e pure la borghesia mercantile si stava formando a partire dal Duecento. Dell’espansione europea a Scalfari non devono essere pervenute notizie, e anche dal lato politico non ricorda la guerra dei Trent’anni e la conferenza di pace svoltasi nella regione della Westfalia, il nuovo ordine europeo che rifletteva un adeguamento pratico alla realtà, un equilibrio di potere percepito come naturale e desiderabile.

Tre secoli dopo, scrive Scalfari, quella borghesia rovesciò i poteri assoluti e diventò la classe dominante. Non in Germania, non in Spagna, non ovunque, soggiungo. In Francia la borghesia seppe far leva sulla disperazione e miseria delle plebi e rovesciò la monarchia capetingia. Non senza che le altre monarchie europee vi si opponessero per decenni. La Restaurazione rimise sui troni la monarchia, anche se meno assoluta di prima.

sabato 16 maggio 2015

Leggendo i commenti di tanti stronzi


Il tema delle pensioni appassiona vecchi e giovani. Le nuove generazioni, costituite prevalentemente da lobotomizzati, vengono prese all’amo con estrema facilità dalla propaganda borghese. Contestano le pensioni calcolate col cosiddetto metodo retributivo, più favorevole rispetto a quello contributivo introdotto con le recenti riforme. Il tutto in nome dell’equità. Importa un cazzo se dopo una vita di lavoro un operaio percepisce un assegno di pensione di 1.200 euro e invece politici, magistrati, militari, giornalisti e professionisti vari percepiscono pensioni che sono ben sopra i 5.000 o i 10.000 euro. Ciò che conta è il principio.

Dopo decenni di darwinismo sociale l’idea stessa di redistribuzione è andata a farsi fottere assieme a tutto il resto, sinistra parlamentare compresa. Che cosa c’importa se oggi riusciamo a produrre (e sprecare) come mai prima nella storia. Che cosa importa se l’enorme quantità di surplus prodotto diventa, nelle sue forme monetarie, appannaggio di una ristretta classe di super ricchi. Il Sistema ha interesse a coltivare queste campagne emozionali, ossia che l’attenzione venga rivolta verso l’operaio pensionato che prende 1200 euro di pensione, calcolata col retributivo, invece di 900 euro se calcolata col sistema contributivo. È lui l’affamatore, è il subdolo pensionato che preclude futuro alle nuove generazioni.

Che il mondo di oggi, nonostante tutte le sue contraddizioni e insufficienze, sia il prodotto del duro lavoro di alcune generazioni di operai e di salariati, importa nulla a questa genia di decerebrati. Se una parte consistente della ricchezza socialmente prodotta va in profitti privati, non è questa la ragione della loro condizione di precari e di sfruttati. Importa un cazzo a loro se le più grandi industrie del paese sono state delocalizzate, se le loro sedi fiscali sono altrove. Oh no, la colpa è del sistema retributivo, delle pensioni da nababbi degli operai e salariati.


Non serve leggere Kissinger per sapere “quanto l’informazione elettronica abbia trasformato il nesso tra pensiero concettuale, conoscenza storica e azione politica”. Conferma di queste trasformazioni, del divorzio tra riflessione e azione, del fatto che la conoscenza storica sia divenuta superflua per chi è in grado di richiamare i dati relativi premendo un tasto, le abbiamo sotto gli occhi quotidianamente, soprattutto leggendo i commenti di tanti stronzi.

Punti di vista un cazzo


Ieri sera ascoltavo il signor Roberto D’Agostino affermare con enfasi, nella trasmissione televisiva condotta dalla signora Dietlinde Gruber, che “la verità non esiste, essa è solo una questione di punti di vista”. È con questo veleno che insufflano le nostre coscienze, con affermazioni apodittiche di 140 caratteri, di modo che tutto diventa opinione, cazzeggio. È in queste rappresentazioni ristrette e piene d’ignoranza che si esprime la coscienza della nostra epoca. Per smentire queste ubbie sarebbe sufficiente fare riferimento al fatto che la nostra comprensione di un fenomeno naturale, dunque della sua verità, è provata quando noi riusciamo a riprodurlo, a ricrearlo noi stessi.

Più complessa la questione quando passiamo da un fenomeno naturale a uno sociale. Qui s’insinua ben più saldamente la convinzione che “la verità non esiste, è solo una questione di punti di vista”. E ciò accade perché invece di andare alla radice delle contraddizioni sociali è interesse della classe dominante, attraverso la sua ideologia e i suoi corifei che la propagandano, di confondere le cose, di promuovere un nuovo agnosticismo, nel dire che questo equivale a quello, che la valutazione sulla realtà sociale è, semplicemente, espressione di punti di vista diversi.

Noi non concepiamo – sembra voler dire D’Agostino – i nostri concetti come riflesso delle cose reali, ma le cose reali come riflessi del pensiero, come riflesso di “punti di vista” soggettivi. Questa concezione ha una valenza pratica: se tutto è chiacchiera, se la realtà esiste solo in quanto interpretazione, anche il giudizio sull’attuale sistema sociale, l’ineguaglianza e sfruttamento, anche la povertà e la fame, insomma tutto diventa opinabile e relativo (*).

La nostra vita concreta, quella di uomini e donne reali, non può sostenersi di punti di vista, ma di mezzi materiali. E la nostra libertà può alimentarsi solo in piccolissima parte di diritti ideali, laddove la maggioranza delle persone, uguali in diritto, riceve a fronte di grandi sacrifici solo lo stretto necessario per sopravvivere (quando va bene). E perciò le classi dominanti, proprio tradendo il loro punto di vista sulle libertà, nel concreto non rispettano l’eguale diritto della maggioranza di tendere alla libertà e alla felicità più di quanto lo rispettassero le classi che sfruttavano la schiavitù e la servitù della gleba.


(*) Ciò non significa non essere coscienti che ogni conoscenza acquisita è necessariamente limitata, condizionata dalle circostanze in cui la si è acquisita; nondimeno sono da respingere le vecchie antinomie di vero e di falso, di buono e di cattivo, di necessario e di casuale, ecc.. Queste antinomie hanno soltanto un valore relativo, nel senso che ciò che oggi viene riconosciuto come vero ha il suo lato falso, e ciò che viene riconosciuto come falso ha il suo lato che un giorno verrà riconosciuto come vero. Eccetera. Pur tuttavia è assai diverso dall’affermare che “la verità non esiste, è solo una questione di punti di vista”.

giovedì 14 maggio 2015

Manfro for president





Dopo giorni sofferti, infine ho deciso: andrò a votare. C’è bisogno di turnover in televisione, e questo Manfro merita incondizionatamente. Almeno per qualche sera.


In questo link si può trovare un condensato fedele di che cos’è oggi l’Italia. Tutto il resto, compresi i miei post, buttiamoli nel cesso.

Insaponare la corda


La gestione della schiavitù presenta dei problemi molto seri per lo Stato laddove i padroni siano interessati solo all’acquisto e allo sfruttamento della forza-lavoro e ogni spesa aggiuntiva riesca loro irrazionale e inconcepibile. Ed è appunto il caso della moderna schiavitù salariata e del prevalere generale del modo di produzione capitalistico su tutte le altre forme di sfruttamento. Per decenni, per oltre un secolo, ci hanno fatto credere che la cosa non rappresentasse un problema, che appropriazione privata della ricchezza e politiche sociali di ampio welfare potessero andare d’accordo.

Le bugie non sempre hanno le gambe corte, ma alla lunga si rivelano per ciò che sono, e qualunque persona informata ed onesta può oggi verificare come la promessa di lavoro e sicurezza sociale fosse solo un’illusione, fumo negli occhi, propaganda. Basterebbe dire che due più due non può fare cinque, ossia che se una grande quota della ricchezza resta nelle casseforti di pochi non rimane poi molto nelle tasche degli altri.

16 milioni e più di pensioni da pagare ogni mese, con un’incidenza nel Pil superiore a qualsiasi altro paese europeo, questi sono i dati che dovrebbero dimostrare l’insostenibilità della spesa per pensioni. Eppure la maggior parte delle pensioni sono o sotto il livello di sussistenza o appena sufficienti per non morire di fame. La questione, come ho cercato di dire in altre occasioni, sta nel punto di vista col quale s’affronta la faccenda. Per esempio: se una parte consistente della ricchezza socialmente prodotta va in profitti privati, e se poi, per soprammercato, su tali profitti di tasse se ne pagano davvero poche, dovrebbe essere evidente che l’origine degli squilibri sia da cercare altrove.

Togliere l’adeguamento a chi vivacchia con poco più di mille euro il mese, non è la stessa cosa di toglierlo a chi se la passa con cinquemila euro il mese. Chi ne prende dieci mila o più si mette a ridere, e infatti Giuliano Amato si scompiscia. Se vivesse con poco più di mille ero il mese (non potrebbe) avrebbe sicuramente trovato validissimi motivi, quale giudice costituzionale, per votare contro il provvedimento Monti-Fornero.

Le politiche fiscali, i tagli della spesa pubblica, gli aumenti dell’iva, esprimono un punto di vista di classe. Di una classe sociale che non ha alcuna ragione di continuare a vivere tra noi e prosperare alle nostre spalle.


La sentenza della Corte costituzionale fa discutere, ma a essere contro la sentenza sono solo, appunto, i soliti pezzi di merda. Andrebbero appesi a un lampione senza alcuno scrupolo di coscienza. Dessero a me da insaponare la corda non mi tirerei indietro, anche se non lo farei con gioia ma solo per un senso di doverosa giustizia. Fare la bontà in questo inferno è liquidare chi vuole impedire la bontà.

lunedì 11 maggio 2015

"la nostra battaglia a tutti i livelli"


Barbara Spinelli, l’anno scorso candidata alle europee, dapprima annunciava l’intenzione, se eletta, di lasciare il seggio ad altri, e poi, effettivamente eletta, faceva marameo: al seggio non avrebbe rinunciato perché – diceva – glielo chiedevano gli elettori. Proclamava stentorea: “La verità è che daremo la nostra battaglia a tutti i livelli con Alexis Tsipras e con la sinistra europea”. Commentavo il 2 giugno: “Qui è l’entusiasmo per la lotta che parla, una sana ambizione che si accende, diamone atto. Essa non sceglie più da sé la propria condizione, ma è incalzata dagli elettori a quell’attività dove può eccellere e realizzare le proprie idee affinché la UE possa cambiare”.

Ora apprendiamo che l'eurodeputata esce dalla lista l'Altra Europa con Tsipras. Però rimarrà al parlamento di Strasburgo come indipendente nel gruppo Sinistra Unitaria Europea-Ngl. Annunciando che in Italia non entrerà in nessun gruppo, e infatti scrive in una nota: "Non intendo contribuire in alcun modo a un'ennesima atomizzazione della sinistra fondando o promuovendo un'ulteriore frazione politica. La mia attività sarà concentrata sulle attività parlamentari europee con attenzione particolare a quello che succede in Italia e in Grecia".

Se a Strasburgo spesassero solo vitto e alloggio, Barbara Spinelli col cavolo che avrebbe scelto di andarci per dare battaglia a tutti i livelli con Alexis Tsipras e con la sinistra europea. E ammettiamo pure che oltre a vitto e alloggio fossero corrisposti degli emolumenti pari a quelli medi di un salariato italiano, ebbene col cazzo che Barbara Spinelli resisterebbe in quella trincea concentrata sulle attività parlamentari europee. Ad ogni modo le responsabilità di gente come questa, interamente integrata nelle strutture della politica borghese, vanno ben oltre queste miserie. La borghesia si serve di questa patetiche marionette per contrastare lo sviluppo di un movimento sociale antagonista.


Scarti della riproduzione


Sul concetto di dittatura di classe, suggerisco l’attenta lettura di questo post di Phastidio, noto sito marxista con ampia esposizione bolscevica. In sintesi e tra l’altro ci racconta che il contratto a tempo indeterminato non esiste più, e ciò può essere una novità solo per chi vive tra Malindi e St. Tropez. Poi si legge che il signor Tommaso Nannicini, economista e consulente del premier sui temi di lavoro e fisco, confessa che il famigerato contratto a tutele crescenti, disegnato sulla decontribuzione triennale,  “è una specie di droga” sotto il cui effetto i padroni saranno indotti a “cambiare forza-lavoro ogni tre anni”. Che accadrà, si chiede con lungimiranza Mario Seminerio, quando le scorte triennali di polverina bianca finiranno? Si fa strada, non da oggi a dire il vero, l’esigenza di decentralizzare a livello di impresa la contrattazione collettiva, allo scopo di ridurre ulteriormente i salari in obbedienza agli imperativi del rendimento.



Come prezzo della rassegnazione il potere burocratico, attraverso il quale si esprimono gli interessi di quei filantropi dei padroni, promette sotto elezioni di provvedere ai bisogni più elementari del proletariato per mezzo della carità di Stato. Un sussidio da spendere senza gioia e con un senso di colpa di chi si sente scartato. E però sarebbe già mezzo passo avanti, ma poi non se ne farà nulla per il motivo che è uno specifico di questo sistema identificare esseri e cose con un valore di scambio che cambia secondo l’andamento di mercato. E il prezzo degli individui scartati è nullo. Del resto e per contro bisogna pur lasciare alla finta opposizione sociale un’arma di propaganda elettorale per raccattare un po’ di voti e dare l’impressione che si tratti di conflitto politico e programmatico vero e dunque di democrazia.


*

A proposito di droga e di dittatura di classe, gustatevi lentamente questo post.

domenica 10 maggio 2015

Diciotto brumaio


«Ebbene, questa trasformazione a me non piace affatto e debbo dire che non è neppure più una democrazia, a rifletterci bene.»

Oh cazzo, chi le avrà mai scritte queste parole?

E allora il sistema si è trasformato in una “democrazia esecutiva”? Sì, no, forse. Ci sta riflettendo, dobbiamo avere pazienza.

«Una democrazia esecutiva è un gioco di parole perché demos significa popolo sovrano e come si esprime il popolo sovrano se non con una rappresentanza proporzionale in un Parlamento che non sia una dépendance del potere esecutivo?»

Non fa una grinza. E allora cos’è questa roba qua? Un diciotto brumaio. Vedrete che fra qualche tempo queste due paroline (o l’omologo di tale concetto) faranno la loro bella figura in un prossimo editoriale di E.S..

Come si dice? Meglio tardi che mai.

P.S. Non solo Robespierre e Lenin avevano carisma, ma forse molto di più Mussolini e Hitler. Ma vuoi accostare due orridi del genere a Matteo Renzi? Sarebbe troppo irriverente. 

sabato 9 maggio 2015

Glossario




No, questo non è fascismo. Manca l’olio lubrificante. Quello usato non è un manganello, ma uno sfollagente. Non si può parlare nemmeno di violenza, poiché si chiama ordine pubblico. In buona sostanza si tratta di un confronto libero e democratico, chiaramente paritetico, tra due dipendenti pubblici.

venerdì 8 maggio 2015

Violenti e nolenti


È molto difficile se non impossibile far comprendere al senso comune che la democrazia non è altro che una forma mitigata della dittatura di classe. Anzi, maggiore è il livello d’istruzione e di coinvolgimento ideologico e più gli individui sono prigionieri delle forme borghesi di pensiero e di sensibilità. Valga per tutti il fatto che un criminale di Stato passa il suo tempo a raccontare fandonie e a impoverire la gente eppure raccoglie larghi consensi. Per contro, laddove non basta la ragione e deve soccorrere la violenza, cioè ogni volta che insorge un movimento che contesta non solo a parole l’oscenità dello stato di cose presenti, ecco che si ritiene normale una reazione repressiva quale invece non viene messa in campo con altrettanta efficacia e ferocia per stroncare la delinquenza mafiosa e camorristica.

Basta poco per capire come funziona questo sistema di cui oggi i banditi di Stato agitano con enfasi l’artiglio liberista. I singoli capitalisti, o chi sta a capo delle corporation, sono interessati solo all’acquisto e allo sfruttamento della forza-lavoro; ma, fuori del rapporto di scambio e di sfruttamento, ogni costo diventa per loro improduttivo, irrazionale e, dunque, assolutamente privo d’interesse.

E, del resto, perché mai il singolo capitalista, quando non è travisato da filantropo, tutto dedito alla ricerca “scientifica” del massimo plusvalore estraibile dalla forza-lavoro acquistata e dalla sua massima realizzazione sul mercato, dovrebbe sprecare il suo tempo e il suo denaro per risolvere i problemi che affliggono quei gruppi sociali – vecchi, bambini, handicappati, marginali di ogni tipo – incapaci di valorizzare in una sia pur minima misura il suo capitale?

giovedì 7 maggio 2015

Espropriati di tutto il mondo, unitevi!


Il problema sta sempre lì, il vedere di che cos’è fatta questa democrazia, se si tratta di un sistema che ancora tiene oppure di un sistema pervaso da un processo degenerativo irreversibile. Per vederla in superficie questa società bastano i dati Auditel tv. Se si va più in profondità è anche peggio. Quanta gente vive direttamente o di striscio di politica, di società partecipate, di rendite, di oligopolio corporativo, di clientele, di diritti che più che acquisiti sono stati usurpati? I rapporti proprietari e di produzione si sono fusi con larghi interessi che hanno coinvolto, dove più dove meno, i più diversi ceti sociali.

E ciò era inevitabile se si pensa al ruolo sempre più marginale della grande e media industria, allo sviluppo abnorme del settore terziario e al gonfiamento avvenuto nei decenni passati delle pubbliche amministrazioni. E tuttavia, per contro, il sistema dimostra una crescente incapacità di assicurare lavoro a milioni di giovani e al numero, sempre crescente, di nuovi immigrati. E ciò ha rilievo sul piano dello squilibrio sociale e generazionale da un lato, e della “sicurezza” dall’altro. E spiega più di ogni altra cosa lo zoccolo duro elettorale del movimento grillino e di quello leghista.

mercoledì 6 maggio 2015

Non è forse questa la moderna forma?


Il nostro sistema sociale è detto democratico poiché poggia sulle libertà individuali e collettive, anzitutto sul poter decidere della propria vita e del proprio destino. Maggiore è la libertà di cui godono le persone e più alto è il grado di democrazia della società in cui esse vivono. Per democrazia politica intendiamo un sistema dove ogni cittadino può scegliere, attraverso il voto, da chi farsi rappresentare, a tutela dei propri interessi e di quelli generali. In democrazia vale il principio di maggioranza.

In buona sostanza il concetto di democrazia non è ancorato a un contenuto di classe, cioè al fatto che i cittadini siano possidenti o nullatenenti. I principi fondativi dell’ordinamento costituzionale democratico riguardano in ugual misura ogni cittadino e dunque si può credere che l’attuale ordinamento sociale rappresenti, pur con tutti i suoi limiti e difetti, il miglior sistema tra quelli possibili e come tale è accolto dalla maggioranza.

Grossomodo è questa la democrazia quale l’intendiamo oggi comunemente, sorvolando sul fatto che tale concetto ha un’origine molto più antica e assai controversa, né è qui il caso di richiamare la contrapposizione, apparentemente paradossale, tra democrazia e libertà così come essa viene intesa e delineata da storici, giuristi e sociologi.

martedì 5 maggio 2015

Ei fu ...




Oggi è il cinque maggio, una data che agli studenti di un tempo ricordava una poesiola mandata a memoria in quinta elementare. Nell’isola d’Elba, dove il protagonista trascorse il suo primo confinamento, non c’è quasi luogo o mercanzia che, a ragione e più spesso a sproposito, non ricordi il suo passaggio o riporti il suo nome. Ironicamente polemica la scritta posta davanti a questo locale che si può leggere cliccando sulla foto che offro in omaggio.  

Per non mettersi a ridere


Dopo il post di ieri, oggi si va sul leggero altrimenti il rischio è di uscire fuori strada su quella che chiamano curva dell’attenzione.


Come fanno gli alunni quando ritornano a scuola dirò due svogliate cose sui giorni di vacanza trascorsi prevalentemente a passeggiare sulle banchine di alcuni porti turistici di una ben nota isola. È sempre istruttivo lo struscio ai bordi di quel mondo fatto di grandi barche e di ozio non operoso. A quelle persone ritratte sulla barca (sulla destra della foto) volevo dire: “Fatevi portare un mazzo di carte, se poi il bridge vi risulta troppo impegnativo potete optare per il burraco che va tanto di moda”. Non ho visto alcun personaggio di quelle barche lèggere non dico un libro, ma un giornale, fosse pure quello di bordo. Immagino che siano quelli che sostengono che gli operai italiani devono essere competitivi con quelli cinesi.

 È nella natura delle cose che l’ambiente condizioni la testa delle persone. Metti che sei una persona di buoni propositi e pensierini elevati, se però frequenti certi postacci assumi inevitabilmente vizi mentali e atteggiamenti del luogo. Lo chiamano condizionamento. Perciò se diventi una testa di cazzo ciò è causa del condizionamento subito, però con delle eccezioni: gente come Matteo Renzi era così dall’infanzia, cioè anche prima di entrare nel Palazzo.

Per quanto riguarda la massa delle persone, ebbene in tal caso c’entra l’ambiente di cui vieni a far parte. Il condizionamento può derivare da diversi motivi, primari e secondari. Uno dei motivi primari di solito riguarda il modo in cui ti guadagni da vivere. Metti i deputati del Pd che hanno votato a favore dell’italicum, mica erano così prima di entrare in parlamento a 20mila euro il mese più benefit. Una legge così, anche meno porca di com’è stata approvata ieri, mica l’avrebbero votata se fosse state proposta da Berlusconi. Si sarebbero aggrapparti al primo microfono per gridare all’Italia, all’Europa, al Mondo intero l’attentato contro la democrazia e le libere istituzioni.


E quelli che la legge elettorale non l’hanno votata mica hanno fatto le barricate chiudendosi dentro l’aula, sprangando le porte. Men che meno si sono dimessi in massa da deputati per dare un segnale forte al paese, all’Europa e al Mondo intero. Se ne sono andati a bighellonare altrove per non mettersi a ridere.

lunedì 4 maggio 2015

Confessions of a crafty


Non troverete alcun organo d’informazione che dimostri altrettanto coraggio quanto ne ha avuto il dottor Marchionne nell’affrontare un certo argomento: ossia il problema del capitale fisso. Cosa c'importa del capitale fisso? Giusto, sono questioni che riguardano direttamente i padroni, non gli schiavi.

Nei giorni scorsi Marchionne ha scritto un documento che porta un titolo emblematico: “Confessions of a Capital Junkie”. Dichiara, pur senza citarlo esplicitamente, che il problema maggiore del capitale è dato dalla caduta del saggio del profitto.

Marchionne include nella categoria del capitale fisso anche il capitale circolante, ma non sottilizziamo. Raccogliamo invece il grido di dolore del padronato, troppi investimenti in capitale fisso riducono il “valore per gli azionisti”.