domenica 30 aprile 2023

“E ti offro l’intelligenza degli elettricisti”

 

La notizia: “OpenAI riaccende il servizio d’intelligenza artificiale in Italia, dopo aver risposto ai rilievi del Garante per la privacy per adottare una serie di misure per adeguare il servizio alle norme europee sulla protezione dei dati personali”.

Tutto a posto dunque, possiamo stare tranquilli. E chi mai altri s’è posto il problema a parte il Garante per dovere d’ufficio?

Noi comuni mortali, per quanto riguarda le nuove tecnologie, siamo classificati nel campo dei tecnofili entusiasti di queste innovazioni, o in quello dei tecnofobi che le respingono per un senso di disagio, di arcaismo o altro, ma tutti costretti volenti o nolenti a fare i conti con il loro inesausto e pervasivo incalzare.

L’intelligenza artificiale non è solo una questione tecnologica. È tutt’altro, perché questa pseudo-intelligenza nasconde qualcosa di più inquietante, che consiste nel lasciare che un pugno di umanoidi doti delle macchine di un potere simile a quello di un regime totalitario.

Sto esagerando? Prendere posizione a favore o contro le tecnologie ha poco senso, ognuna di esse può essere impiegata al meglio, così come al peggio. Tuttavia dobbiamo uscire da questa visione binaria imposta da chi vuole farci credere che la tecnologia è buona in sé quando e se usata in un certo modo. Dobbiamo sempre tener conto del quadro socio- economico in cui s’inseriscono le nuove tecnologie e pertanto chiedersi anche in tal caso: chi controlla l’intelligenza artificiale e che uso potrà farne?

Questa domanda non viene affrontata politicamente (non solo in Cina e simili). Tendiamo a dimenticare che, dietro le macchine, ci sono esseri umani che hanno degli interessi e il potere di decidere che cosa fare con queste macchine potenti.

Ci hanno portato a pensare (e quest’idea è stata rafforzata durante la pandemia) che coloro che si occupano di queste faccende sono esseri muniti di intelligenza e cultura superiore, poiché sono “scienziati” o comunque degli “esperti”, competenti per decidere che cosa è bene per noi. In filosofia politica, questo si chiama dittatura.

Partiamo da un esempio. Se Amazon si trasformasse in banca, non solo conoscerà le nostre spese, ma anche le nostre entrate e relativo portafoglio. Può quindi iniziare a distribuire prodotti di risparmio meglio di chiunque altro, perché chi meglio di un’azienda che conosce il patrimonio, le entrate e le uscite dei propri clienti può conoscere il profilo di rischio di una persona? L’intelligenza artificiale consente di analizzare dati trasversali per accedere a questi livelli di conoscenza dei propri clienti. Ma tutto ciò indica anche un’altra cosa: l’unico modo per le banche di proteggersi da questo fenomeno trasformativo del mercato è diventare esse stesse delle Amazon. Tempo al tempo.

Un altro esempio che nostro piccolo mondo quotidiano sperimentiamo spesso. Per i servizi online abbiamo a che fare con segreterie telefoniche automatiche che ci prendono per il culo senza darci risposta. Non c’è possibilità per loro di dire “la tua richiesta non può essere elaborata dalla macchina”, come se fosse quest’ultima a decidere cosa sia possibile e cosa no. Semplicemente certi utenti non sono inclusi nel sistema delle risposte che ne rendono complicata, se non impossibile, l’elaborazione. Si è pensato solo al 98% delle domande che rientra nel quadro previsto, ma non al 2% che ne sfugge. Questo è il “tirannico”: quando si punta solo al “normale”, escludendo l’“anomalo”, il “non compatibile”.

Fateci caso, quante volte ponendo un quesito o una richiesta a questi risponditori automatici vocali o in chat vi sentite parte di quell’”anomalo” due per cento? In quel momento pensiamo di far parte di una percentuale decisamente più alta poiché quella frustrante situazione la sperimentiamo più e più volte quasi tutti noi.

Sto scrivendo questo post perché ieri, a distanza di decenni, ho rivisto il film 2001 Odissea nello spazio. Mi ha colpito, come già 55 anni fa, una frase ripetuta più volte: HAL 9000, il supercomputer di bordo, “non può sbagliare”. Sappiamo com’è finita. Uno dei due astronauti riesce a disattivare HAL e così si salva, permettendo in tal modo al regista di continuare il suo racconto fantastico ed enigmatico.

Dunque veniamo anche all’aspetto “tecnico” della faccenda. Due disastri aerei avvenuti nel 2018 e nel 2019, decollati rispettivamente da Jakarta e Addis Abeba. Il loro bilancio cumulativo fu di 346 vittime, che sarebbero ancora vive oggi se ai computer di bordo non fosse stata data troppa facoltà di decidere autonomamente.

In ognuno di questi casi, i Boeing erano dotati di un sistema chiamato MCAS, destinato a far precipitare l’aereo verso il basso quando si inclina, per poi consentirgli di riprendere quota ed evitare che cada in sganciamento. Tuttavia, i due disastri sono avvenuti durante il decollo. Era normale che l’aereo si alzasse poiché era in fase di salita, ma il sistema MCAS ne ha causato un’inversione errata. Nell’incidente del 2018, i piloti non erano nemmeno stati informati dell’esistenza di questo sistema nel velivolo: non capivano nulla di ciò che stava accadendo e quindi non potevano fare nulla. Nel caso occorso nel 2019 erano stati informati della presenza di questo sistema, ma non erano stati formati per disattivarlo in caso di guasto. In questi due incidenti la colpa è stata dei manager che hanno deciso di delegare tutto alle macchine, mantenendo l’illusione che esse non sbagliano mai, come HAL nel film.

Altro esempio concreto: il volo 1549 della US Airways il 15 gennaio 2009. A seguito di un guasto mentre volava su New York, i piloti hanno “atterrato” l’aereo sul fiume Hudson. È questo un perfetto esempio di ciò che un’intelligenza artificiale non potrebbe fare. I piloti decisero di atterrare sul fiume anche se, in teoria, la superficie dell’acqua ha una resistenza equivalente a quella del cemento contro un aereo che vi arriva sopra. L’atterraggio sul fiume era quindi considerato impossibile in quel momento, e per questo la torre di controllo aveva chiesto all’equipaggio di tentare il rientro in aeroporto. Se i piloti avessero obbedito, lo schianto era garantito. Hanno avuto l’intuizione di tentare qualcosa a priori impossibile, e questa improvvisazione di emergenza ha permesso di evitare il dramma. Nessuna macchina l’avrebbe fatto.

Una macchina obbedisce necessariamente a un programma, per quanto esso sia sofisticato e simuli “autonomia” decisionale. Dunque, obbedisce ancora e solo a degli input per cui è stata programmata e non può mai immaginare un’altra opzione che non sia stata in qualche modo “innestata”. Il salvataggio del volo 1549 nasce innanzitutto da una disobbedienza agli ordini. Questa capacità di disobbedire è una delle differenze essenziali tra l’intelligenza umana e l’intelligenza artificiale.

Altri esempi si potrebbero trarre dai cosiddetti “robot trader”, computer progettati per eseguire transazioni finanziarie a una velocità incomparabilmente maggiore di quella umana. Sono stati creati per permettere ad alcune persone di fare molti soldi. Il problema è che se queste macchine sono lasciate a sé stesse, rischiano di devastare i mercati finanziari e causare disastri economici.

Le macchine non sono “neutrali”, la loro attività dipende dal programma, dagli “innesti”, e dal fatto che questa tecnologia, così come tutte le altre, è funzionale agli interessi concreti di chi la gestisce. Per sua natura l’AI non solo è imperfetta ma è orientata, per esempio a generare più valore aggiunto, cioè ad aumentare lo sfruttamento, diminuire i salari e creare nuova massiccia disoccupazione.

In una start-up come Deliveroo, il fattorino non obbedisce più a un manager umano, ma a un’intelligenza artificiale che gli dice dove consegnare e premia la sua prestazione. In tal modo la pizza può arrivare da 30 km, quando a pochi passi c’era una pizzeria della stessa catena. Salvo poi ripetere meccanicamente parole per placare la rabbia dei clienti irritati dalle delusioni legate al prodotto o servizio acquistato.

Il problema con l’intelligenza artificiale è che esclude la dimensione umana. Con essa non avremmo altro da fare che obbedire e consumare ciò che produce. Ci disumanizza. Ad esempio, con ChatGPT, vogliamo avere la risposta prima di cercare. In questo modo non impariamo più a imparare, il che ci priva, tra l’altro, di una forma di umanità e di felicità.

Abbiamo la prova già da tempo con i social network: mostriamo mediamente una marcata idiosincrasia per la lettura di un testo oltre una certa lunghezza, oppure se presenta un certo grado di complessità. S’è impossessata di noi una pigrizia intellettuale, una costante diminuzione delle nostre capacità d’attenzione (gli insegnanti di scuola lo verificano sempre di più, così come lo sanno gli imbonitori televisivi).

L’attenzione volontaria è una funzione psichica superiore, tipicamente umana, scarsamente o per nulla sviluppata negli altri animali. Il decadere di tale funzione produce effetti nell’apprendimento volontario, nella costruzione di concetti astratti e più in generale, per farla breve, con il pensiero logico e la pianificazione delle azioni, anche se nei social un elevato numero di umanoidi sono in grado di simulare la propria intelligenza in modo artificiale.

Una macchina, per quanto sia evoluto il suo deep learning costruito su reti neurali artificiali, è atta a calcoli strabilianti e all’assemblaggio di dati, ma non può mai dare certe risposte relative al significato (è ciò che rende per es. la tecnologia alla base delle auto a guida autonoma così complicata). Il termine “intelligenza” è quindi infelice, perché non c’è nulla di realmente “intelligente” in ciò che fa una macchina. Prendendone atto saremmo già meno ingannati da questi nuovi Sarastro che vogliono farci credere che il futuro sarà una vita da sogno.


giovedì 27 aprile 2023

Una notte di aprile ...

 

... durante il famoso lockdown, proprio mentre scoprivano un nuovo buco nero a 9,461e+15 dalla Terra, attraverso la finestra della mia prigione mi perdevo nella contemplazione di Venere e della Luna, sognando le singolarità dello spazio-tempo. Ad un certo punto ho visto una raffica di punti brillanti attraversare il cielo. Degli Ufo che approfittavano del cielo vuoto, quando gli umanoidi avevano cessato il loro traffico e si accontentavano di guardare il dibattito degli esperti “zanzarologi” in tv.

Che cos’erano quei lampi che attraversavano la notte? Seppi in seguito, dopo aver sognato esplosioni orgiastiche di supernove (siamo il prodotto di una di esse), che si trattava di un treno di satelliti lanciato nello spazio dal miliardario Elon Musk, amministratore delegato di Tesla, PayPal e ora padrone di Twitter e di altri giocattolini.

Leggo che il progetto Starlink (ne fanno parte quelle lucine brillanti in cielo) prevede di lanciare quasi 12000 mini-satelliti per offrire un servizio Internet ad alta velocità: il famoso 5G. Si tratta, come affermano persone coraggiose che si preoccupano di aiutare i 3 miliardi di persone che non sono connesse al Web, di ”colmare il divario digitale globale”. In altre parole, trovare nuove fonti di profitto monopolistico: sulla terra il mercato è saturo, la new space economy è, letteralmente, una manna dal cielo.

Giovedì scorso è stata la volta del primo volo di prova del veicolo SpaceX Starship Orbital, che secondo Elon Musk un giorno trasporterà gli esseri umani su Marte. Starship non si è separato dal lanciatore e non tutti i motori del razzo Super Heavy si sono accesi correttamente, cosicché il razzo è esploso meno di quattro minuti dopo il suo lancio dalla struttura di SpaceX Starbase sulla costa del Texas.

Musk ha dichiarato che il lancio è stato un successo nonostante il veicolo sia esploso: “Abbiamo imparato molto per il prossimo lancio di prova, che avverrà tra qualche mese”. Il New York Times ha giustificato l’esplosione come una “esperienza di apprendimento” e il Washington Post ha scritto di “lancio riuscito” perché il razzo ha superato la torre di lancio (proprio così!). La CNN l’ha celebrato come un “successo decisivo”. E i dipendenti di SpaceX, hanno esultato quando il razzo è esploso (*).

Gli umanoidi non li capisco più. Non che le cose andassero meglio prima, ma oggi sembra di vivere nel regno di Plutone, nell’oscuramento generale, in assenza di un dio salvatore. Verso quale destinazione? Mi pervade un senso di incontenibile fastidio, di amarezza, di disincanto e disprezzo. Anche per la Luna temo che ormai i suoi anni migliori stiano finendo.

(*) Le riprese video del lancio mostrano che il razzo è finito fuori rotta perché il primo e il secondo stadio non sono riusciti a separarsi. Il primo stadio, un booster chiamato Super Heavy, avrebbe dovuto staccarsi dal secondo stadio a circa tre minuti e mezzo dall’inizio del volo e atterrare nel Golfo del Messico. Ciò non è avvenuto e quando Starship ha iniziato la sua manovra di rollio programmata con il booster ancora attaccato, l’intero sistema è impazzito.

Il video mostra anche che otto dei 33 motori Raptor del booster si sono guastati a un certo punto durante il lancio, alcuni forse già al decollo. È possibile che i detriti della rampa di lancio causati dal lancio siano volati in alto e abbiano colpito il razzo, dando inizio a una serie di problemi a cascata che hanno causato il guasto di alcuni motori e forse hanno persino impedito la separazione del booster.

È il caso di ricordare che Orion, delle missioni Artemis, è in grado di orbitare intorno alla Luna, ma non è progettato per atterrarci. La NASA ha incaricato proprio la SpaceX di Elon Musk di sviluppare lo Starship Human Landing System (HLS), una variante della navicella spaziale Starship.

Sebbene la NASA abbia selezionato l’astronave come suo lander per le future missioni lunari, il veicolo spaziale è ancora lungi dall’essere pronto per quella missione. Un recente articolo di Bloomberg stima che ci vorranno anni e miliardi di dollari, mancando di gran lunga il previsto sbarco sulla luna pianificato dalla NASA per il 2025.

Lungi dall’esplorare l’ultima frontiera, questo genere di missioni spaziali in mano al capitale privato sono diventate una parodia stentata dagli anni del programma Apollo. La tecnologia utilizzata da SpaceX è fondamentalmente la stessa del Saturn V (più precisamente l’analogo sovietico fallito, l’N1), e ciò nonostante i colossali progressi scientifici compiuti negli ultimi 50 anni.

mercoledì 26 aprile 2023

Nell’indifferenza generale

 

Il report Trends in Military Expenditure per il 2022 dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) documenta le nuvole temporalesche che si addensano per quella che sarà, inevitabilmente e nell’attuale quasi indifferenza generale, la terza guerra mondiale.

La spesa militare mondiale è aumentata del 3,7% in termini reali nel 2022, raggiungendo il livello record di 2.240 miliardi di dollari, l’aumento più marcato degli ultimi 30 anni, nonostante gli alti tassi di inflazione. La spesa globale è cresciuta del 19% nel decennio 2013- 22 ed è aumentata ogni anno dal 2015.

La spesa degli Stati Uniti è di 877 miliardi di dollari, il 39% del totale globale, tre volte la spesa della Cina al secondo posto, e ciò conferma il ruolo di Washington come principale istigatore di aggressioni militari al mondo.

Ma l’aumento di gran lunga più rapido della spesa (13 per cento) è stato tra gli alleati degli Stati Uniti in Europa. Evidentemente non sono bastate due disastrose guerre mondiali. Siamo diventati (quasi) tutti antifascisti e contrari alle guerre ma il continente torna a trasformarsi in un campo armato.


Esercitazione presso la caserma feldmaresciallo Rommel,
a Augustdorf.

La spesa militare dell’Ucraina, che era già uno dei paesi più poveri d’Europa, ha catapultato il paese dal 36° posto nel 2021 all’11° nel 2022, a 44 miliardi di dollari, il 34% del suo PIL annuale. Ma questa è solo metà della storia.

Lo SIPRI afferma di non essere in grado di fornire “una valutazione accurata dell’importo totale degli aiuti militari finanziari all’Ucraina”, fornendo una stima di “almeno 30 miliardi di dollari nel 2022”. Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha annunciato questo mese che l’attuale cifra nominale supera i 70 miliardi di dollari. L’adesione de facto dell’Ucraina alla NATO è qui espressa in dollari e centesimi.

Qualunque cifra sia più vicina alla realtà per il 2022, il bilancio militare dell’Ucraina lo scorso anno non solo ha superato tutte le potenze della NATO ad eccezione degli Stati Uniti, ma è vicino al budget di 86,4 miliardi di dollari della Russia, anche dopo l’aumento del 9,2% di Mosca.

Quale interesse può aver avuto il popolo ucraino, cioè chi tira la carretta per mettere insieme il pranzo con la cena, di arrivare fino al punto di provocare una guerra istigata e condotta dagli Stati Uniti-NATO con la Russia? Quale interesse possono avere queste stesse persone perché non si trovi un accordo soddisfacente per mettere fine alla strage? Un accordo che già prima della guerra offrisse sicurezza alla Russia e stabilità e sviluppo all’Ucraina era possibile. Bisognava arrivare a bruciare i libri degli autori russi nelle piazze e stravolgere l’odonomastica, a formare reggimenti di neonazisti?

Svezia e Finlandia, ora arruolate nell’alleanza NATO, e Polonia e Lituania in prima linea, hanno aumentato le spese militari di almeno il 10% l’anno scorso, fino al 36% nel caso della Finlandia (quando mai la sua sicurezza e libertà è stata minacciata dall’Urss e dalla Russia negli ultimi ottant’anni?). Gli Stati baltici e la Polonia si sono impegnati a spendere tra il 2,5 e il 4 per cento del PIL per le loro forze armate entro due anni.

I budget militari dell’Europa centrale e occidentale sono saliti a un totale di 345 miliardi di dollari, il 30% in più rispetto a un decennio fa e superano il livello del 1989, alla fine della guerra fredda. L’Asia è stata la seconda regione in più rapida crescita per le spese militari nel 2022 dopo l’Europa. I budget militari in Asia e Oceania sono cresciuti del 2,7% lo scorso anno a 575 miliardi di dollari, un aumento del 45% nell’ultimo decennio. La Cina e gli alleati degli Stati Uniti, India e Giappone, hanno aperto la strada con aumenti del 4-6%.

Il ritorno della corsa agli armamenti che ha caratterizzato la maggior parte del XX secolo ha la stessa motivazione che ha portato il mondo alla catastrofe nel 1914 e nel 1939: il dominio economico e strategico del mondo.

La crisi esistenziale dell’imperialismo statunitense, le sue esplosive tensioni interne e il declino della sua supremazia globale, ha provocato una serie interminabile di guerre e interventi intesi a invertire le sue sorti, intensificando aggressioni e provocazioni fino al punto di arrivare a uno scontro diretto, a fianco dei suoi alleati, con Russia e Cina.

La ricchezza che potrebbe alleviare molte delle peggiori crisi che colpiscono l’umanità viene spesa ogni anno per prepararsi a guerre che minacciano di porre fine alla sua esistenza in un Armageddon nucleare. Nell’indifferenza generale.

martedì 25 aprile 2023

All'altezza della solita ignoranza e ipocrisia

 


L’Armata Rossa inflisse oltre 80% delle perdite alle forze tedesche nel conflitto. Nel solo fronte orientale, nei tre anni giugno 1941- maggio 1944, il tasso medio di perdite della Wehrmacht sfiorò i 60.000 morti il mese. Solo nell’aprile e giugno 1943 non superarono i 20.000 caduti mensili, ma già nel luglio il numero salì a 85.000. Nel gennaio dello stesso anno, in coincidenza della caduta di Stalingrado, i morti erano stati 180.000. Nell’agosto del 1944, tali perdite raggiunsero l’incredibile cifra di quasi 280.000, mentre nel luglio precedente 165.000. Si tratta di quasi mezzo milione di caduti in due mesi e solo sul fronte russo.

Tra il 19 novembre 1942 al 2 febbraio 1943, l’Armata Rossa distrusse quasi 70 divisioni dell’Asse (circa 30 tedesche, 15 rumene, 10 italiane e 10 ungheresi), per un totale di oltre 1 milione di soldati, ma perse circa 600mila uomini. Solo nell’operazione Bagration (iniziata il 22 giugno 1944), una delle più vaste della guerra, costò all’Armata Rossa 765.815 morti, dispersi e feriti; i tedeschi contarono circa 445mila perdite e oltre 100.000 prigionieri. Nella sola battaglia per Berlino (13 gennaio - 25 aprile), i sovietici registrarono 584.788 morti. Per la sola conquista della capitale tedesca (dal 16 aprile all’8 maggio) l’Armata Rossa ebbe 361.367 tra morti, dispersi e feriti.

Le perdite statunitensi in combattimento in entrambe le guerre mondiali sono state, su tutti i fronti, di 344.959 caduti (Luttwak, Strategia, la logica della guerra e della pace, Rizzoli 2013, p. 83). 



Il fascismo americano

 


Gli statunitensi hanno flirtato con il fascismo ancor prima che fosse inventato. Un breve identikit di due movimenti precursori, il The Know Nothing (di cui in genere non si sa nulla in Europa), e l’altro, il KKK, del quale si crede di sapere.

lunedì 24 aprile 2023

Il fascismo solo un regime autoritario?

 

Ieri, sul quotidiano di Confindustria, Sergio Fabbrini scriveva: “Tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 è stato sconfitto il regime fascista, espressione di una visione autoritaria (degenerata in totalitarismo attraverso l’alleanza con il nazismo tedesco) che pure aveva conquistato i cuori elementi di buona parte sia della classe dirigente che del popolo italiani”.

Dunque, secondo Fabbrini e molti altri che la pensano come lui, le leggi fascistissime del 1926, il Tribunale speciale (1927-1943), con 4.596 condannati (dei quali 697 minori), con 27.752 anni comminati agli oppositori, 31 condanne a morte eseguite (spesso condanne irragionevoli e sproporzionate, come ebbe a rilevare nelle sue memorie Guido Letto, ex capo dell’OVRA) e altre quisquilie del genere, denotavano essere il fascismo un regime autoritario, ma non totalitario, come divenne solo dopo, attraverso l’alleanza con il nazismo tedesco, e cioè dalla seconda metà degli anni 30 e poi durante la guerra.

La soppressione della libertà di stampa, di riunione, di manifestazione del pensiero e, per converso, la martellante propaganda del regime, in un paese arretratissimo, con il 70% della forza lavoro addetta all’agricoltura, in condizioni spesso di schiavitù colonica, e avendo contro una sparuta opposizione politica, in gran parte riparata all’estero e divisa su ogni questione, spiega anche alcune delle principali ragioni del consenso di cui godette il regime.

Il fascismo si era infiltrato profondamente nella vita nazionale, avvolgendola e seducendola, ricoprendola di una rete fitta di interventi e controlli ai quali non si poteva sfuggire. Per quanto riguarda il consenso delle giovani generazioni, si deve tener conto che esse erano cresciute sotto il regime fascista, non avevano conosciuto altra esperienza politica che quella del fascismo ed erano maturate nel clima totalitario del regime, e solo in seguito quei giovani scoprirono quanto fosse divorante, compromettente e intollerante quel clima che instillava l’odio per la democrazia, il disprezzo per la libertà, la bellezza della violenza, il culto della guerra, l’obbedienza cieca e assoluta, la devozione fideista al capo e così via.

No, il fascismo non fu solo un regime autoritario e burlesco dalla tragica fine. O almeno non fu solo questo. Questa tesi fu sostenuta nel dopoguerra da giornalisti e nella storiografia italiana di vario orientamento, per comodo da Indro Montanelli, fervente ex fascista, apologeta di Mussolini, ma venne proposta nel 1925 anche da Piero Gobetti, che legava il fascismo al “carattere degli italiani”, richiamando il fascismo come “autobiografia della nazione”.

Una lettura fuorviante di ciò che fu in realtà il fascismo nel suo sviluppo. Nel considerarlo come una “nullità storica”, anche il problema del suo retaggio perde d’importanza, perché ridotto a questioni marginali, ossia al problema del “temperamento degli italiani”, termine generico che indica soprattutto i vizi, le deficienze, le debolezze delle mentalità e dei costumi italiani. In tal modo il fascismo sarebbe stato il frutto del carattere degli italiani, aggravandone i difetti, lasciando come eredità più pesante e persistente una vocazione al trasformismo e al conformismo.

La macchina dello stato totalitario, si basava su tre elementi: l’attribuzione di pubblici poteri a un partito politico, creando una prima distinzione tra cittadini di diritto e cittadini non iscritti al partito, privati di parte dei loro diritti; l’identificazione dei fini e dei mezzi dello Stato con quelli del partito dominante (ad esempio, parte delle entrate statali veniva spesa per la propaganda del partito al potere; la polizia utilizzata per combattere gli oppositori politici del partito e persino i membri del partito che si opponevano alla direzione; gli organi dello Stato frammisti agli organi del partito e con essi confusi, ecc.); le funzioni del capo del partito divennero tutt’uno con quelle del capo del governo.

Il rifiuto del problema del totalitarismo nell’analisi del fascismo ha impedito di comprendere le radici sociali profonde del totalitarismo fascista, la sua persistente eredità nello Stato, nella politica e nella società repubblicana italiana, e oggi permette di presentare il suo percorso storico, fino all’infausta alleanza hitleriana, in chiave autoritaria ma non totalitaria. Si tratta in buona sostanza di banalizzare e defascistizzare il fascismo.

Questa versione addolcita e falsa del fascismo, impedisce di analizzare l’effetto perdurante che questa esperienza totalitaria ha avuto su milioni di italiani, il retaggio lasciato nella mentalità, nei costumi, nei comportamenti di un buon numero di essi da vent’anni di sottomissione del pensiero critico a un pensiero irrazionale, di un regime totalitario prevaricatore e invasore che aveva riunito, per la prima volta nella storia italiana, milioni di uomini e donne nelle sue organizzazioni di massa.

Quando si dice che in Italia c’è una pericolosa ripresa della tendenza al totalitarismo, non si tratta di usare una figura retorica, bensì di osservare oggettivamente la realtà in un contesto di grave crisi degli istituti democratici. Dunque è necessario comprendere che la lotta a questa tendenza non può essere utilizzata solo a fini d’espediente polemico e di strumentalizzazione politica.

(*) La nozione di “Stato totale” è in sintonia con i tempi della Grande Guerra, definita essa stessa “guerra totale”. Viene utilizzata in particolare da Carl Schmitt nel suo Politische Theologie. L’aggettivo “totalitario”, non a caso, nasce in Italia nel 1923, tra gli intellettuali antifascisti che designano così una versione moderna dell’assolutismo. Il fascismo stesso se ne appropria in un momento in cui sta passando da movimento politico a regime. Due anni dopo, Mussolini rivendicò la “feroce volontà totalitaria” del fascismo prima di riassumerla con questa formula: “tutto nello Stato, nulla fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”.

domenica 23 aprile 2023

È già mezzanotte


Quando cerco di estraniarmi dalla furia cacofonica del mondo, dalle cazzate rumorose, dall’abietto caos che rifiuta di dare aperture alle cose più grandi, insomma quando voglio dimenticare la violenza mediatica e politica in cui siamo sequestrati, m’immergo nei benefici della prosa che più non usa, tipo quella del nipote di Beccaria, il quale, tra molte altre cose, descrisse “una suora omicida, lussuriosa e manutengola” e rappresentò “un parroco tanto vile che san Giovanni Bosco non glielo perdonerà mai”.

Come già Durante, anch’egli rischia di essere annoverato, in occasione del 150° anniversario della sua morte, come letterato di destra. L’interessato lo presentiva e tanto se ne vergognava che non usciva più di casa, salvo per andare a messa. Fu sui gradini della chiesa, il giorno dell’epifania del 1873, che scivolò battendo la testa. Trasportato a casa, agonizzante, ripensò a quando da giovane, “ricco dei più velenosi succhi dell’illuminismo francese”, era stato un ateo convinto.

Un tempo erano i vincitori a scrivere la storia, anche quelli che sarebbe stato necessario tacessero; oggi la risputano i vinti. I Jorge de Burgos, che la risata li offende e spaventa. Dov’è l’analisi degli abissi che separano noi e loro? Sono capaci e credibili quelli che, conservando la base morale dello stalinismo mentale, hanno gettato nell’oblio le classi sfruttate e si sono messi in tribuna col fascismo in tailleur? È già mezzanotte per il nostro secolo. Senza punto interrogativo. 

mercoledì 19 aprile 2023

Altri gulag

 

La questione dei “diritti umani” viene comunemente vista a senso unico. Ci preoccupiamo del cosiddetto “genocidio culturale degli uiguri”, dei quali sappiamo tutto in dettaglio, ma penso siano pochissimi a sapere che cosa comporta effettivamente, cioè ai fini pratici, l’applicazione del famigerato art. 41 bis nelle carceri italiche.

Sappiamo che quelle misure sono applicate, per anni e anni, a mafiosi e terroristi, i quali è giusto che paghino per le loro malefatte. Tanto per rimanere nell’alveo del “diritto” vorrà pur dire qualcosa che due sentenze della Corte europea dei diritti umani, confermate da un rapporto del Consiglio d’Europa, abbiano stabilito che il 41 bis vìola l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo a riguardo della tortura, le punizioni e i trattamenti inumani e degradanti. “Con la mafia nessuna pietà”, disse a proposito di una delle due sentenze il garantista Luigi Di Maio; e Salvini, allora ministro dell’Interno, riguardo l’altra sentenza commentò da par suo: “follia”.

Pochi sanno che alla base di numerosi rifiuti di diversi Stati a riguardo dell’estradizione di cittadini italiani condannati a pene detentive, non di rado è stata adotta la motivazione che il regime del 41-bis “costituisce una tortura”. Non solo la Francia o il Brasile (altro bel posto), ma anche un tribunale degli Stati Uniti ha motivato in tal senso nel 2007.

Stati Uniti che, a riguardo della tortura e del rispetto dei diritti umani, non possono impartire lezioni a nessuno (la più grande popolazione carceraria del mondo, sia in senso assoluto e sia in rapporto alla popolazione). Da ultimo, per ciò che trapela a riguardo dei gulag statunitensi, i casi di Lashawn Thompson e Joshua McLemore, rappresentativi delle migliaia di casi di abusi, torture e veri e propri omicidi nelle carceri statunitensi ogni anno. I cadaveri emaciati di McLemore e Thompson, lasciati a marcire in celle deplorevoli e disumane, non sono aberrazioni, ma la realtà quotidiana del gulag americano (non solo Guantanamo e Abu Ghraib).


Su questo tema, quello sulle carceri americane, in varie occasioni nel corso degli anni ho scritto nel blog (su quelle russe basti aver letto il Limonov di Emmanuel Carrère). Non solo gli adulti muoiono nelle carceri statunitensi, ma anche i bambini (non solo quelli sparati per strada).


*

«Separati da un muro, perché potessero sentirsi ma non vedersi, ci sono Volinia e la Arcangeli. Li sta interrogando Fioriolli. Il nostro capo, Improta, segue tutto da vicino. La ragazza è legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con una pinza, le infilano un manganello nella vagina, la ragazza urla, il suo compagno la sente e viene picchiato duramente, colpito allo stomaco, alle gambe. Ha paura per sé ma soprattutto per la sua compagna. I due sono molto uniti, costruiranno poi la loro vita insieme, avranno due figlie. È uno dei momenti più vergognosi di quei giorni, uno dei momenti in cui dovrei arrestare i miei colleghi e me stesso. Invece carico insieme a loro Volinia su una macchina, lo portiamo alla villetta per il trattamento. Lo denudiamo, legato al tavolaccio subisce l’acqua e sale».

La testimonianza è dell’ex commissario della Digos e poi questore Salvatore Genova, allora a capo di una squadra di torturatori detta dell’Ave Maria, che si occupava di interrogare e, secondo la confessione di Genova stesso, torturare i brigatisti e sospetti tali. Facevano un “uso massiccio di waterboarding, ma anche di violenze sessuali, pestaggi e abusi psicologici”.

[...]

 





lunedì 17 aprile 2023

L'assicuratore


Si parla d’altro, come solito. Non delle cose che ci riguardano davvero. Perciò non stupiamoci se questa nostra società diventa sempre più simile a fanghiglia.

Una domanda che dovremmo porci ma che in realtà è distante dalle preoccupazioni di chiunque è: l'Europa ha i mezzi e soprattutto la volontà per combattere il protezionismo americano che sta prendendo piede?

Joe Biden ha promosso un piano per sostenere la sua industria, un intervento di sostegno di dimensioni inedite dalla seconda guerra mondiale, sotto la maschera degli investimenti climatici è stato chiamato Inflation Reduction Act (IRA). È un colossale programma di sussidi all’industria del valore di centinaia di miliardi di dollari.

La cosa è così enorme che è impossibile quantificarne l’importo esatto. Lo sapremo solo dopo. La tecnica di Joe è semplice. Dal lato delle imprese, aiuti per l’installazione di fabbriche sul suolo americano, anche ovviamente d’investitori stranieri, oltre alla garanzia di bassi prezzi dell’energia, in particolare grazie al gas naturale e allo shale oil, tutta roba col pollice verde, come il carbone tedesco. Per quanto riguarda il consumatore, bonus a go- go, a patto di acquistare un mostro elettrico su ruote made in USA.

Dare soldi pubblici ai propri abitanti a condizione che li spendano per acquistare prodotti locali ha un nome: protezionismo. L’effetto atteso è esattamente lo stesso che se Joe avesse aumentato i dazi doganali sulle auto e altre merci europee o di altri produttori esteri.

Il protezionismo Usa persegue dapprima un obiettivo politico interno: è una risposta alla deindustrializzazione che ha portato alla rivolta dei bianchi impoveriti e all’ascesa del populismo. In breve, Joe sta usando il libretto degli assegni federali per cercare di riconquistare gli elettori che sono andati da Trump perché le loro fabbriche erano andate in Cina.

Frega un cazzo a Joe se danneggia i suoi alleati, se deindustrializza l’Europa. Noi coloni dobbiamo solo mandare armi e munizioni agli ucraini per ammazzare i russi che ricambiano con lo stesso servizio più la maggiorazione. Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza di Joe Biden, lo ha teorizzato dicendo che Washington sta praticando una politica estera per la classe media.

Anche in Europa la deindustrializzazione è la prima causa del crollo della classe media, e quindi dell’ascesa dell’estrema destra. In Finlandia i due partiti che hanno vinto le elezioni politiche sono di destra e di estrema destra. In Polonia e in Ungheria sappiamo che cosa succede, per non dire dell’Ucraina e dei Paesi baltici. In Italia sgoverna l’estrema destra. In Francia il prossimo presidente sarà di estrema destra. Anche in Germania si adegueranno.

Di fronte al protezionismo degli Stati Uniti, qual è la soluzione europea? Come disse Angela Merkel, un cancelliere tedesco non prende decisioni che vanno contro gli interessi dell’industria automobilistica, e l’industria tedesca è molto presente sul mercato americano. L’Italia, che dipende dall’industria automobilistica tedesca, si adegua. È il premio assicurativo da pagare per beneficiare della protezione americana. Non vogliamo avere problemi con il nostro assicuratore! 

Nelle more

 


Diventeranno adulti, s’imbarcheranno e, se non affogheranno, arriveranno in Italia. Faranno lavori da schiavi, spesso in “nero”, per permettere ai nostri imprenditori di produrre a pochi euro e vendere al consumatore a prezzi dieci volte tanto. Non pochi di loro camperanno di espedienti, oppure, in alcuni casi, si prostituiranno e spacceranno, riempiranno per circa un terzo le carceri pur essendo l’8% della popolazione. Il presidente del consiglio Meloni, come già volevano i suoi predecessori e vorranno i suoi successori, vorrebbe aiutarli “a casa loro”. Bene. Nelle more aiuti anche i giovani italiani a non emigrare o vivere di “lavoretti”, elemosine, paghette e sussidi. Anche quelli meno “meritevoli”, che pure qualche diritto di campare dignitosamente ce l’hanno. 


Ai padroni non potevamo dire di no.

domenica 16 aprile 2023

Documenti dal "sen fuggiti"


I leaks del Pentagono: nuovi colpi di scena in una trama familiare, titola il NYT.

Nei documenti dell’intelligence americana fatti trapelare, la difficile situazione dell’Ucraina appare disastrosa, tanto che alcuni in Ucraina hanno persino accolto con favore le “rivelazioni” come una conferma di ciò che vanno dicendo da mesi: le sue forze hanno un disperato bisogno di più armi e munizioni (p.es. i missili per le sua difesa aeree, quelli dell’era sovietica, dovrebbero esaurirsi entro maggio).

La posizione degli ucraini nella città chiave di Bakhmut è “catastrofica”. I suoi militari hanno subito perdite per oltre 120.000 morti e feriti, meno del bilancio stimato della Russia, ma enormi per un paese con un quarto della popolazione russa.

Eppure, scrive il NYT, “a Kiev, la capitale dell’Ucraina, la scorsa settimana, c’è stato poco allarme palpabile per le decine di pagine di documenti classificati che sono emerse in una delle più straordinarie rivelazioni di segreti americani dell’ultimo decennio. In effetti, alcuni hanno accolto con favore la fuga di notizie, sperando che enfatizzerebbe ciò che il presidente Volodymyr Zelensky ha affermato per mesi: che l’Ucraina ha urgente bisogno di più munizioni e armi per cacciare le forze russe”.

Più chiaro di cosi? Quei documenti, considerati “classificati”, contengono cose risapute e altre cose che si vuole far sapere. Nella gerarchia della “classificazione” della segretezza, quei documenti sono acqua fresca. I veri “segreti” sono trasmessi in “cifra”, decodificati da appositi centri del tutto impermeabili con l’esterno, e il cartaceo viene trasmesso alle autorità politiche e militari in appositi “contenitori” e con misure di sicurezza a tutta prova di “fuga”. Quei documenti sono poi custoditi in una apposita struttura vigilata. I documenti classificati che vengono trovati poi nel garage di Biden o nel cesso di Trump, oppure nelle mail della Clinton, sono report e comunicazioni spesso generici e di valore molto relativo.

Scrive il NYT: “Da molti punti di vista, questa fuga di notizie è davvero utile e positiva per l’Ucraina”, ha affermato Oleksiy Honcharenko, membro del Parlamento del partito di “opposizione” Solidarietà europea. Il parlamentare richiama i governi occidentali ad affrettarsi, a fornire più di quello che ha definito un sostegno “incrementale”.

Il governo italiano, in gran segreto, lo sta facendo, tanto è vero che anche questa settimana in Veneto, prevalentemente su linee ferroviarie secondarie, sono transitati treni con carichi di semoventi di artiglieria destinati all’Ucraina (possiedo i filmati del transito presso la stazione di Cittadella).

Traggo ancora dal NYT: “Gli aggiornamenti dell’intelligence del Pentagono e le diapositive informative che sono apparse alla vista del pubblico questo mese – dopo essere state pubblicate su un server di chat di gioco da un 21enne dell’Air National Guardsman– hanno offerto nuovi dettagli sullo stato della guerra. Ma non ne hanno sostanzialmente alterato il quadro generale, secondo analisti e responsabili politici occidentali”.

Precisano gli autori dell’articolo: “Dicono che il nuovo materiale aderisce in gran parte a ciò che già sapevano della guerra e non stravolgerà il modo in cui la stanno gestendo”.

E difatti: “Questo non cambia la nostra posizione”, ha detto Nils Schmid, portavoce della politica estera nel parlamento tedesco per i socialdemocratici. “Comprendiamo che ora è il momento di fornire armamenti all’Ucraina”.

Il NYT ci rivela il livello di allarme procurato nella leadership russa da quei documenti: “Una delle maggiori preoccupazioni dell’Occidente riguardo alle fughe di notizie è stata che la Russia si sarebbe affrettata a trovare e sigillare le fonti dell’intelligence americana. Ma nella settimana da quando i documenti classificati sono stati ampiamente pubblicati su Telegram e Twitter, quella paura deve ancora concretizzarsi. Due alti funzionari statunitensi hanno dichiarato: non vi è alcuna indicazione che il Cremlino abbia adottato misure per impedire agli Stati Uniti di penetrare nella sicurezza e nell’intelligence della Russia. Né vi è ancora alcun segno che i comandanti russi abbiano cambiato le loro operazioni sul campo in Ucraina in risposta alle rivelazioni, hanno detto i due funzionari statunitensi”.

Prosegue il NYT: “Oltre a ciò, i funzionari ucraini, pur esprimendo il loro disappunto per le fughe di notizie, hanno detto ai funzionari americani che le rivelazioni non avranno un serio impatto sulla loro offensiva pianificata perché la Russia conosceva già i parametri generali delle vulnerabilità ucraine (come la sua carenza di armi e munizioni). E i documenti non rivelavano esattamente quando, dove e come gli ucraini avrebbero condotto la loro controffensiva, ha detto un alto funzionario statunitense”.

Quindi: “Mentre i documenti mostrano che le agenzie di spionaggio americane hanno intercettato le comunicazioni militari russe, a volte fino ai dettagli degli attacchi russi pianificati, offrono poche indicazioni che gli Stati Uniti siano stati in grado di intercettare le conversazioni della leadership russa”.

Figuriamoci se quei documenti, provenienti dai più diversi apparati dell’intelligence statunitense, divulgati dall’inconsapevole giovanotto della Air National Guardsman (poco più della nostra Protezione civile), potevano mostrare che gli Stati Uniti erano in grado di intercettare le conversazioni della leadership russa. In tal caso si sarebbe trattato di una reale “fuga” di notizie, quindi non favorita dall’intelligence stessa, come tutto porta a supporre, dunque non di documenti selezionati e ben dosati, un mix di segreti di Pulcinella e vera e propria propaganda per il sostegno all’Ucraina.

Ancora un indizio in tal senso? Si legge nell’articolo: “[...] le informazioni sul presidente Vladimir V. Putin e sulla sua cerchia ristretta appaiono principalmente per sentito dire. Una voce che descrive un sensazionale complotto di alti funzionari russi per sabotare l’invasione è attribuita a un parlamentare ucraino che ha ricevuto informazioni da una fonte russa non identificata con accesso ai funzionari del Cremlino”. Sarebbero dunque questi i “segreti” messi in rete? Bastavano i ritagli dei reportage di Repubblica.

Conclude il NYT: “[...] ciò offre un promemoria del fatto che è molto più probabile che la guerra finisca con una sorta di accordo negoziato piuttosto che con una vittoria militare decisiva per entrambe le parti”.

Tutto nasce da errori, sopravvalutazioni e sottovalutazioni, iniziali. La buona strategia fa buona tattica, ma da parte dei contendenti non c’è stata né l’una né l’altra. La buona strategia riduce e limita le conseguenze della cattiva tattica, dato che la strategia è pensiero e la tattica azione, e gli errori di esecuzione sono sempre meno gravi di quelle di concezione. A Mosca stanno sicuramente riflettendo su questo da un anno; ma anche a Washington, ottenuto lo scopo principale, si sta riflettendo su come uscirne. 

venerdì 14 aprile 2023

Il Maestro

 

Il regista Nanni Moretti crede ancora nel “sol dell’avvenire”, ma solo come utopia lontana di un mondo ora stravolto, dove nulla è più come prima. Che cos’è cambiato? Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, quello che gli umani fanno agli umani, continua. E chissà per quanto tempo ancora e semmai ci sarà una fine.

I caccia della Nato che bombardano una colonna di profughi albanesi scambiati per soldati serbi, i droni che inceneriscono famiglie afghane scambiate per raduni “talebani”, i corpi tagliati a metà dai razzi “intelligenti”. Le guerre umanitarie dell’Occidente. Striscia di Gaza, ghettizzazione e fanatismi contrapposti. Armi, divise, proiettili, in tutto il pianeta. È il redditizio mercato della morte, bellezza, quotato in Borsa.

Alla fine del XIX secolo e poi fino a una certa data del XX, ciò a cui miravano i lavoratori che scommettevano nel “sol dell’avvenire”, non era tanto ottenere qualcosa in più (che non fa male), ma provocare uno “sconvolgimento generale”. Non si trattava di aiutare i poveri, ma di liberarli dal salario che li rende schiavi.

Erano portati a immaginare un rimedio magico per tutti i loro mali. La conflagrazione della società in un solo anno, se possibile in un solo giorno: “Il vento soffia come una tempesta e tutto è in fiamme”.

Le fabbriche dove tanti schiavi hanno passato la vita, i tuguri dove tanti bambini poveri hanno lasciato il cuore, le chiese dove tanti umiliati hanno lasciato il cervello; e banche, palazzi e bordelli, tutto ciò in fiamme ... .


Quale risonanza ha avuto questo sogno del sol dell’avvenire sulle pratiche sociali, contro l’ordine autoritario e il “mercato”, ossia il grande capitale e l’ossessione cumulativa? Il sindacalismo rivoluzionario, lo sciopero insurrezionale, il sabotaggio, la sperimentazione di divertenti contro-società, la lotta armata, davvero tutto inutile, solo fuoco a salve? Nanni Moretti sembra ricordarsi, del Novecento, solo dell’Ungheria del 1956.

giovedì 13 aprile 2023

Una gigantesca bolla

 

I compagni del Fondo Monetario Internazionale, in occasione dell’incontro primaverile FMI-Banca Mondiale a Washington, hanno pubblicato questa settimana il Global Financial Stability Report. Alla maggior parte delle persone non può fregare di meno prese come sono dai loro quotidiani assilli via smartphone, tipo twitter, facebook, youtube, eccetera.

Salvo poi, come mi raccontava ieri mattina un bancario, correre in banca spaventati quando hanno sentito, un mese fa, che qualche banchetta, tipo Credit Suisse, è stata liquidata in un’acquisizione forzata. Che rottura di palle, concludeva il bancario. Poi mi ha raccontato un altro fatterello che qui non posso esporre in dettaglio, ossia su come un imbecille abbia perso in un colpo solo 175 mila euro per guadagnarne 16 mila in un anno (non invento nulla, purtroppo).

La lettura del report del FMI è particolarmente interessante perché riconosce che il programma di allentamento quantitativo delle banche centrali, guidato dalla Fed statunitense dopo il 2008 e poi accelerato dopo la crisi di marzo 2020, ha creato le condizioni in cui una serie di istituzioni finanziarie, comprese le banche, sarebbero state vulnerabili alla rapida ascesa dei tassi di interesse nell’ultimo anno.

In primo luogo, le misure intraprese dalle banche centrali per scongiurare una crisi immettendo denaro nel sistema finanziario creano solo le condizioni per la sua esplosione in un altro momento. In secondo luogo, le autorità responsabili del sistema non hanno una reale idea del funzionamento del mostro finanziario che hanno contribuito a creare, tanto meno un piano coerente per la sua regolamentazione (cosa che comunque non scongiurerebbe le crisi).

Lo so, questo secondo fatto sembra incredibile, ma leggendo il report, l’incredibile diventa assai credibile: la fiducia della Fed nell’efficacia delle sue politiche era tale che, mentre escogitava una serie di stress test per misurare la tenuta delle banche, non includeva la loro capacità di far fronte a un forte e rapido aumento dei tassi d’interesse (per cui gli imbecilli, pur avvertiti, perdono 175 mila euro).

Inoltre e in particolare nel secondo capitolo del report, dedicato alla nascita delle istituzioni finanziarie non bancarie, emerge con particolare chiarezza che questi intermediari finanziari sono arrivati a svolgere un ruolo sempre più importante e pericoloso nel funzionamento di tutti i mercati finanziari.

Il capitolo inizia così: “La finanza non bancaria basata sul mercato ha registrato una crescita spettacolare dopo la crisi finanziaria globale [2008]. Durante questo periodo, la quota di attività finanziarie globali detenute da intermediari finanziari non bancari (NBFI) è cresciuta da circa il 40 a quasi il 50% del totale”.

Questo rapido aumento è stato in parte dovuto alle normative introdotte dopo il 2008 per cercare di controllare alcune delle attività più speculative delle banche che hanno portato al crollo finanziario. Secondo il rapporto, mentre questi regolamenti hanno reso il sistema bancario “più resiliente”, “hanno effettivamente spinto le attività verso altre parti del sistema finanziario”.

Mentre noi attendavamo con impazienza il crollo del sistema finanziario cinese e poi delle banche russe, il capitale finanziario mondiale ha trovato il modo di continuare le stesse attività speculative che hanno portato al crollo.

Il rapporto rileva che gli NBFI sono giunti a svolgere un ruolo chiave nei principali mercati finanziari, nelle obbligazioni governative e societarie, e sono un motore cruciale dei flussi di capitale verso i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo.

“Allo stesso tempo, in alcuni segmenti dell’ecosistema NBFI si sono accumulate vulnerabilità legate alla leva finanziaria, alla liquidità e all’interconnessione. Particolarmente pericolosa è l’interazione tra scarsa liquidità e leva finanziaria”. Tutto ciò si sapeva, ma i compagni del FMI hanno preferito metterlo nero su bianco (p. 64).

In altre parole, gli NBFI hanno raccolto ingenti somme di denaro, in gran parte attraverso il debito, spesso a breve termine, che viene investito in attività rischiose, che diventano impossibili da scaricare (illiquide) durante un periodo di turbolenza finanziaria, il che significa che c’è difficoltà a rimborsare investitori e prestatori quando cercano di ritirare i loro soldi.

La caratteristica più sorprendente del capitolo è che le autorità finanziarie sono totalmente all’oscuro di molte aree del sistema che dovrebbero controllare. Questo è detto in tutto il report. I casi di ignoranza sono troppo numerosi per essere qui elencati per intero, ma ne cito uno che può illuminare il quadro generale.

Le autorità finanziarie non hanno una reale idea dell’interconnessione degli NBFI con il sistema finanziario più ampio. Sebbene ci siano alcuni dati, “rimangono ampi divari” circa le vulnerabilità di liquidità degli investimenti, del mercato monetario e degli hedge fund, con “circa la metà delle fonti di finanziamento interne NBFI aggregate non contabilizzate”, e ciò può inibire la capacità delle autorità di regolamentazione di monitorare i rischi sistemici (p. 68).

Ora, non spaventatevi, non correte domani mattina dal vostro amico bancario a chiedere quale ruolo abbia avuto nel 2021 Bill Hwang, ossia la family office Archegos Capital, nella parabola del Credit Suisse conclusasi nel 2023. Come se il caso del Long Term Capital Management, per dire di una supercazzola prematurata al 40%, non avesse insegnato niente.

Non è semplicemente il sistema finanziario a creare “bolle”, ma è l’intero sistema capitalistico di accumulazione, per sua legge immanente, una gigantesca bolla.

La lista nera

 

“Papà, sai cosa è successo oggi a scuola? Hanno portato via tutti i libri! Quando sua figlia di 8 anni gli racconta questo episodio, Brian Covey va nella sua scuola, la Greenland Pines Elementary in Florida, e scopre, stupito, che le biblioteche di tutte le aule sono vuote. Alcuni libri sono ancora sparsi qua e là, sugli scaffali, ricoperti di rotoli di carta per nasconderli, come mostra il video che posta su Twitter. Il video, visto milioni di volte, gli è valso il licenziamento dal liceo in cui insegnava, il giorno dopo che Ron DeSantis, il governatore dello stato, l’ha definito un “falso”. Quanto a sua figlia e ai suoi compagni di classe, finora hanno trovato solo un terzo dei libri nella loro biblioteca, gli altri sono ancora “valutati” da una commissione per verificare che non contengano “materiale inappropriato o pornografico”.

Questo è un brano tratto da un reportage di Yann Perreau, pubblicato su Liberation, nel quale si esamina un rapporto di PEN America, l’associazione che difende la libertà di espressione e i diritti degli scrittori. Elenca, per il 2022, 2.532 decisioni prese da distretti scolastici, funzionari eletti o istituzioni, per rimuovere i libri dalla loro circoscrizione. In totale, 1.648 titoli sarebbero stati inseriti nella lista nera. Questi sono chiamati book bans: libri proibiti.

In ogni momento qualcuno si sente offeso e chiede vendetta. I risentimenti sono diffusi sui social network e le microfatwa vengono costantemente promulgate in tutte le occasioni: condanniamo, vietiamo, bandiamo. Un mosaico di settarismo morale la cui aggressività puritana cerca di imporre censure e divieti di ogni tipo, accusando di “eresia diabolica” tutto ciò che non rientra nel loro orizzonte mentale (c’è un umorismo involontario nel puritanesimo).

Nella lista nera, in almeno 32 Stati della “libera America”, trovano posto, tra gli altri, Mark Twain, Toni Morrison, John Steinbeck, Philip Roth, Shakespeare e persino un adattamento comico del Diario di Anna Frank, che “è stato rimosso da una scuola del Texas a causa dei riferimenti alla sessualità”. Esiste un libro, compresi quelli di entomologia o di giardinaggio, che non faccia riferimento alla sessualità?

Questo terrorismo morale dalla “destra”, che sfocia nella misoginia, nel rifiuto del matrimonio omosessuale, aborto, procreazione assistita, eccetera, fa da contraltare alle correnti cosiddette progressiste, che, credendo di lottare contro il pregiudizio, cadono nel delirio opposto, per esempio femminilizzando titoli, mestieri e funzioni secondo logiche linguistiche spesso ridicole.

Poi, a forza di separare il sesso dal genere, i collettivi sono arrivati a sostenere la completa dissoluzione dei confini. Il fenomeno queer (cancellazione delle differenze). Si è arrivati al punto che dei genitori attivisti hanno immaginato di crescere i propri figli facendogli credere che fossero sessualmente neutri (o theybies). Alcuni hanno così ottenuto, nello Stato di New York, la cancellazione del sesso dai registri dello stato civile, affermando che un giorno i bambini sarebbero stati liberi di scegliere il proprio genere.

Un discorso a parte meritano certi altri movimenti, tipo il movimento Me Too (*), che partendo da validi presupposti di denuncia, accusa artisti e registi di sessismo perché rappresentano o filmano con uno “sguardo maschile” che erotizza i corpi delle donne. Film, libri e dipinti devono quindi essere sottoposti a una rilettura inquisitoria: Balthus, Antonioni, John Ford, Albert Cohen, Alfred Hitchcock, le opere liriche di Verdi ma anche Mozart e chissà chi altri ancora. Come scrivere libri, fare film e altri prodotti dell’arte tagliati fuori dal proprio contesto sociale, dal desiderio e dai suoi complessi percorsi?

Insomma, che libertà è? Perché dei movimenti di emancipazione si sono trasformati nel suo contrario, fino a far nascere un tale delirio? Non è casuale che tutto ciò abbia origine negli Stati Uniti, ed è anche questo un modo per porre sotto stress il corpo sociale, per dividerlo, ossia per sviarne le pulsioni e reazioni da ben altre questioni politiche e sociali. Una strategia della tensione usando bombe mediatiche.

(*) Prima di degenerare, il movimento Me Too era nato nel 2006, quando Tarana Burke, un’assistente sociale di Harlem, promosse una campagna per sostenere le vittime di violenza sessuale nei quartieri “svantaggiati”, vale a dire nei ghetti statunitensi dove vivono milioni di persone. Per sottolineare l’empatia e la solidarietà, scelse un nome molto breve: “Me too” (“anche io”). Se il movimento MeToo ha permesso alle donne di uscire dalla vergogna e dal silenzio, ciò è dovuto in gran parte al fatto che le vittime fossero molto famose presso il grande pubblico (attrici, giornaliste, attiviste), senza però cambiare di molto la situazione di abusi, molestie e maltrattamenti subiti quotidianamente dalle donne. In seguito, preso in carico dai grandi media, il movimento è degenerato fino a diventare un fenomeno d’isteria collettiva, di delirio contro tutto ciò che ha un’attinenza maschile.


mercoledì 12 aprile 2023

Che ci faceva Mussolini in via Rasella?

 

A pochi è noto (quasi a nessuno) che Mussolini, prima di andare ad abitare a villa Torlonia, ebbe residenza in via Rasella. La mia fonte è quella di un diplomatico veneziano che in quegli anni prestava servizio a Palazzo Chigi, nuova sede del Ministero degli affari esteri, dopo che fu trasferito dalla precedente sede del palazzo della Consulta.

Quel diplomatico ebbe, alla fine degli anni Venti e quale capo della legazione italiana a Pechino, alle proprie dipendenze Galeazzo Ciano, futuro genero del dittatore. Da altra fonte degna di fede, apprendo che il Ciano, divenuto padrone dell’Italia assieme al suocero e a Guido Buffarini Guidi, sottosegretario al ministero dell’Interno, aveva chiesto al ministro di polizia, Arturo Bocchini, di fornirgli un veleno di sicura efficacia e che non lasciasse tracce per assassinare il suocero, “volendo egli assolutamente liberare l’Italia dal tiranno”.

Nel raccontare la richiesta ricevuta ad un ristrettissimo gruppo di suoi collaboratori, Bocchini ebbe parole roventi verso Ciano e affermò, congestionato in volto, che mai e poi mai si sarebbe prestato alla consumazione di un delitto. Raccontò anche che Ciano gli aveva suggerito di rivolgersi a Himmler, senza, naturalmente, lasciar comprendere la destinazione del veleno. Questo episodio avvenne ben prima dell’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania.

Himmler, in occasione delle visite scambiatisi con Bocchini, gli aveva parlato dell’esistenza di un veleno che egli possedeva, di sicuro effetto ed assolutamente irreperibile in esami chimico necroscopici ed è quindi probabile che il Bocchini stesso, divenuto confidente di Ciano, ne avesse parlato con lo stesso genero di Mussolini.

La cosa non ebbe seguito, ma è significativa nella sua sostanza per illuminare i rapporti tra Mussolini e suo genero, il quale era un gran chiacchierone, tanto da divulgare notizie riservate nelle sue quotidiane frequentazioni presso il golf dell’Acquasanta. L’Ss-Obersturmbannführer, poi Standartenführer onorario, Eugen Dollman, “annotava pazientemente e scrupolosamente e riferiva Berlino”. Anche gli sfoghi e le invettive della signora Rachele contro Ciano. Un bel quadretto familiare.

A chi serve l'inflazione

 

Chi ha visto aumentare il proprio reddito del 30%? I dirigenti delle società quotate in borsa (e anche di quelle non quotate). I professionisti che possono rifarsi (alla grande) dell’inflazione aumentando prezzi e parcelle. Inflazione all’8-10%? Ma li hanno visti i prezzi quanto sono aumentati? Frutta, verdura, pesce, ma anche la carta igienica, per dire. Non parliamo poi delle bollette.

Di fronte a questo, gli Stati stanno agendo: in Portogallo è stata abolita l’Iva sui prodotti alimentari di base, sono aumentati gli aiuti sociali e ai dipendenti pubblici è stato concesso un aumento “straordinario” dell’1% dei loro stipendi. Anche in Spagna è finita l’Iva sui generi alimentari di base, e le famiglie che guadagnano meno di 27.000 euro all’anno hanno ricevuto un assegnino di 200 euro. Muchísimas gracias.

E in Italia, che cosa dovrebbe essere fatto? Aumentare gli stipendi, ovviamente, che sono bassissimi. È stato dimostrato dai compagni del FMI che il “loop prezzi-salari” non esiste: è quindi possibile alzare i salari senza spingere al rialzo i prezzi. Il governo, dopo aver regalato soldi a destra e a manca, pensa di elargire 10 o forse 30 euro al mese (lordi) ai redditi più bassi. Ma taglierà 10 miliardi in tre anni alle pensioni (dixit Giorgetti).

Qualche settimana fa, le geniali teste all’uovo della Banca Centrale Europea, anch’esse in lotta per gli aumenti salariali, hanno dimostrato che il recente aumento dei prezzi nell’eurozona è dovuto in primo luogo all’aumento dei profitti. Si tratta dunque di vedere chi paga realmente il conto dell’inflazione.

Chi dove pagare per l’aumento dei prezzi? La classe possidente, rinunciando ai suoi redditi e profitti? O le classi sfruttate, riducendo il proprio potere d’acquisto? Questa è la questione.

È sbagliato presumere che i salari determinino i prezzi. Sono i prezzi dei beni necessari alla sopravvivenza e alla riproduzione che determinano i salari. I salari quindi seguono in primo luogo i prezzi. Inoltre, con un ritardo, poiché le persone che vivono di salario perdono sempre potere d’acquisto quando i prezzi aumentano.

Inoltre, ci sono molti altri fattori che influenzano i prezzi che non sono correlati ai salari. Questi fattori includono la quantità prodotta: se c’è carenza, i prezzi salgono a causa del meccanismo della domanda e dell’offerta. Crescita della produttività: l’innovazione porta a prezzi progressivamente più bassi. Il ciclo industriale: in tempi di prosperità la domanda è forte e i prezzi salgono, mentre in tempi di crisi i prezzi tendono a scendere. Cambiamenti nei mercati internazionali. E altro ancora.

In molti settori, la produzione è dominata da una manciata di multinazionali. Il mercato europeo dell’energia è diviso tra sette multinazionali, il mercato alimentare è dominato da alcuni gruppi multinazionali, le Big 10 del food, tipo Nestlé, Danone, Mondelez International (la ex Kraft), Mars, Heinz, Coca Cola, Unilever, che producono praticamente tutti i prodotti a marchio conosciuti. Queste multinazionali non hanno bisogno di abbassare i prezzi a causa della concorrenza.

Il controllo è in realtà concentrato nelle mani di poche centinaia di aziende a livello globale. Queste aziende riescono a raccogliere profitti sproporzionati grazie al potere che esercitano sia economicamente, acquistando o competendo con giocatori più piccoli, sia politicamente, attraverso lobbismo e altri mezzi.

Queste corporazioni superstar realizzano i loro profitti non solo a spese della classe lavoratrice, ma anche a spese dei margini di profitto di altre società. Ad esempio, mettendo in concorrenza tra loro i fornitori per ridurre i costi di approvvigionamento o imponendo prezzi elevati per i loro prodotti, cosa quest’ultima che ha naturalmente anche l’effetto di spingere verso l’alto l’inflazione. I gruppi monopolistici impongono prezzi più alti ai lavoratori, ma anche a quelle PMI che non possono permettersi lo stesso aumento di prezzo a causa dell’aumento della pressione competitiva (*).

È quindi sbagliato opporre salari e prezzi. Ciò che veramente conta è il contrasto tra salari e prezzi, da un lato, e i profitti dei capitalisti e altri approfittatori, dall’altro. La forza lavoro è una merce, ha un prezzo come le altre merci, e tenerlo bloccato è lo scopo principale dei padroni. Tuttavia non basta, come in passato, rivendicare contratti con salari più alti, ma sarebbe necessario fare i conti, davvero, con un sistema economico che più iniquo e illiberale (sì, illiberale) non si potrebbe immaginare.

Le autorità monetarie per scemare l’inflazione che fanno? Dopo aver elargito per moltissimi anni a speculatori di ogni risma denaro praticamente gratis, hanno pensato di alzare i tassi in modo massiccio e repentino, in tal modo distruggendo la domanda. La domanda anzitutto dei redditi più bassi. Gli alti tassi di interesse delle banche centrali stanno facendo aumentare il costo dei debiti pubblici e privati. Le conseguenze includono fallimenti, famiglie incapaci di rimborsare i loro prestiti e governi costretti a fare tagli di bilancio. Quindi che cosa possiamo aspettarci a breve?

Cercano di provocare una recessione che aumenti la disoccupazione. Ai loro occhi, ciò ridurrebbe il reddito disponibile dei lavoratori, la domanda di prodotti e, quindi, l’inflazione. Esiste una strategia più rozza di questa? Ma è efficace: lo shock sui prezzi, l’aumento di precarietà e disoccupazione e sono desiderabili per tenere sotto pressione le classi sfruttate. Mai mollare l’osso.

Ovviamente c’è la solita pletora di ineffabili sapienti che sostiene che non ci sarebbe altra alternativa. Di modo che l’inflazione deve addossarsi il dovere di spiegare tutte le assurdità degli economisti, mentre al contrario sono gli economisti che dovrebbero spiegare l’inflazione.

L’inflazione non è sempre e ovunque un fenomeno monetario e non è vero che l’unica politica utile per combattere l’inflazione sia quella di limitare la quantità di denaro in circolazione aumentando i tassi d’interesse (**). Un’alternativa invece c’è: è la lotta di classe che determina chi paga l’inflazione. Limitarsi alle scaramucce elettorali e alle effimere polemiche mediatiche ad hoc contro gli effetti del regime esistente invece di rovesciarne la dittatura, non paga.

Ma lor signori possono stare tranquilli, l’istupidimento scientifico delle masse ha raggiunto un livello e una perfezione che temo siano irreversibili.

(*) Nel terzo volume de Il Capitale, cap. 50, appropriatamente intitolato “L’apparenza della concorrenza”, Marx spiega che il prezzo del monopolio è pagato da una riduzione del salario reale e da una riduzione del profitto degli altri capitalisti. Pur scrivendo più di 150 anni fa, quando la lotta dei monopoli sul fronte dei prezzi non era ancora un fenomeno rilevante, aveva già visto chiaro.

(**) In totale, dalla grande recessione del 2008 e poi con il covid, la quantità di denaro nel bilancio della Banca centrale europea è passata da 2.000 miliardi a 8.000 miliardi di euro, il che rappresenta un’espansione considerevole. Tuttavia, la maggior parte di questo denaro non è mai entrata nell’economia produttiva.