Uno studia tutta la vita sui libri sbagliati, ma poi
a 69 anni gli capita di andare a sbattere con il cranio contro i fatti. E i
fatti hanno la testa ancora più dura di chi crede di averli intrappolati nella
sua teoria fasulla. Insomma il bel tomo sbattendo scopre niente di meno che: 1) se una
parte maggiore di salari e stipendi viene sequestrata da nuove tasse, 2) ci
sono meno soldi per acquistare le merci, nel qual caso 3) se ne producono di
meno. Dopo di che su questi tre fatti si può ricamare come si vuole.
Preso atto di queste novità rivoluzionarie, ci si
accinge, almeno a parole, ad agire per aumentare la domanda, quindi i consumi
e, guarda caso, la produzione. La chiamano “crescita”, da non confondere però
con le politiche “vecchio stampo,
keynesiane, che favoriscono l’espansione in deficit del bilancio”. Eh no, cari,
noi siamo più furbi, noi alle cose diamo nomi diversi e così sarà diversa anche
la realtà che tali nomi rappresentano. Noi non daremo soldi a bischero sciolto
per aumentare la domanda, no belli. Noi con i soldi europei, quelli che creiamo
a Francoforte con la bacchetta magica, investiamo in infrastrutture, in reti di
comunicazione. Come facevano Roosevelt e Hitler, mica come proponeva quel
rottame di Keynes e il suo “moltiplicatore”.
Nel modo di produzione capitalistico la contraddizione tra
produzione e consumo assume una rilevanza di primo piano, infatti le
contraddizioni operanti nella sfera del consumo sono indotte da quelle interne
alla sfera della produzione. Di conseguenza la genesi della crisi va ricercata
nella produzione di plusvalore e non, per esempio, nella sua realizzazione.
Procedere in senso inverso collocando la contraddizione principale nella
circolazione – come fanno Monti e, per altri versi, certi fastidiosi maestrini
– conduce inevitabilmente alle interpretazioni delle crisi come crisi di
sottoconsumo.
Queste tesi alimentano – pur argomentate diversamente – l’illusione
che sia possibile risolvere la crisi intervenendo nella sfera del mercato, in
definitiva agendo sul movimento del denaro (domanda aggregata).
Per Keynes, quindi anche per Monti (seppure si schifa dirlo),
la produzione dipende dal consumo, cadendo i consumi cadono anche gli
investimenti. E fin qui siamo alla scoperta rivoluzionaria di cui dicevo
all’inizio. Sennonché – pensano – per ripristinare l’equilibrio occorre un
intervento coordinato degli organismi finanziari centrali europei e degli Stati
nell’economia. Dimenticano che dietro i fenomeni del mercato si cela la
produzione capitalistica, ovvero e anzitutto la produzione di plusvalore.
Allora, per evitare l’accusa di scrivere oscuramente,
diciamo che si possono costruire tutti i tunnel ferroviari e i ponti sugli stretti
che si vuole, ma quando l’Italia arriva a produrre meno automobili del Belgio,
quando moltissime merci che compriamo sono fatte a migliaia di chilometri
dall’Italia, dovrebbe essere evidente che i problemi, anche in un’ottica
riformistica borghese, sono altri.
Monti, che come scrivevo a novembre non capisce un cazzo di
economia (forse di finanza), fin qui ci arriva pure lui, ma la questione dirimente
è sempre quella di cui dicevo in questo post.