I monaci buddisti dell’occidente giustificano l’intervento militare in Libia con la difesa dei “civili” dalle violenze dell’esercito di Gheddafi. I “civili” libici sono armati di artiglieria, carri armati e armi pesanti, ed è dato loro l’appoggio delle aviazioni più potenti del mondo. Essi combattono con sentimenti di pietà e umanità più elevati di quelli delle truppe governative. Lo scopo degli Usa, della Francia e della Gran Bretagna è perciò pacifico: non è quello rovesciare il regime di Gheddafi, di impossessarsi del petrolio libico, ma di stabilire in Libia la “democrazia”, la “giustizia”, la “pace”.
L’Italia ha solo da guadagnare da questa vicenda, e questo fatto si nota ancora meglio da Lampedusa. Perciò il presidente della repubblica italiana, senza tema di ingerirsi in questioni di politica estera, ha ripetutamente benedetto l’intervento militare. È un uomo che può vantare una lunga militanza democratica. Nel 1974 ha biasimato il divieto sovietico di pubblicazione degli scritti di Solgenitsyn, senza peraltro mancare di dire, con la franchezza che l’ha sempre contraddistinto, che lo scrittore russo altri non era che un esponente “della propaganda antisovietica”, uno che approffittava del proprio status di esiliato per fare “shopping per le vie di Zurigo” con le “cospicue somme da lui accumulate, grazie ai diritti d’autore, nelle banche svizzere”. Quindi denunciava quanti vorrebbero “imporre” una “liberalizzazione” all’interno dell’URSS “subordinando in modo inammissibile lo sviluppo del processo di distensione a non si sa quali mutamenti del regime politico e dell’ordinamento giuridico sovietico”. Insomma l’accusa era quella di “diffondere una visione deforme dell’Unione Sovietica e insieme di negare l’originalità della prospettiva che sta davanti al movimento operaio del nostro paese e dell’Europa occidentale”.
Non c’è dubbio quindi che si tratta di un uomo – Giorgio Napolitano – che ha sempre avuto a cuore i diritti umani, la democrazia e la pace. Come quella volta nel 1953 a Berlino, o quell'altra, nel 1956, in Ungheria, o quell'altra ancora, a Praga nel 1968.
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