Parliamo di conflitti. Di quello tra credenti e non credenti, tra religione e ateismo. Senza voler fare discorsi troppo concettosi, si tratta essenzialmente di un conflitto tra due, grossomodo, visioni delle cose e della vita. Un dissidio di ordine apparentemente ideologico, come del resto lo è stato per secoli tra idealismo e materialismo.
Il campo della contesa, per dirla spiccia, si divide tra quelli che credono nella priorità dello “spirito” e coloro che invece affermano la priorità della natura. Essenzialmente, cioè all’osso, l’origine del conflitto tra fede e scienza è questa. Naturalmente tra queste due posizioni proliferano le sfumature, altrimenti lo smercio delle idee andrebbe in crisi e tutto finirebbe in una noia mortale.
Pertanto, in definitiva, si tratta ancora una volta essenzialmente del rapporto tra il pensiero e l’essere, cioè del rapporto da attribuire tra ciò che penso e ciò che sono, e viceversa. Ma con una complicazione non da poco e che va sotto il termine di trascendenza, ossia l’idea che dopo la morte il nostro giro in giostra in qualche modo deve continuare, altrimenti che cazzo ci stiamo a fare?
Come se ciò non bastasse, queste idee, queste prese di posizione, non vivono solo nella testa delle persone, ma diventano cose, ovvero organizzazioni, istituzioni, movimenti, chiese, partiti politici, quindi dottrine e sistemi di "valori" (eterni naturalmente). E qui sono dolori, perché le idee, come i chiodi, fanno male se conficcate nella propria carne e non si ha alcuna propensione al martirio. E le istituzioni religiose (e le loro adiacenze politiche) annoverano volenterosi martellatori in ogni dove, dalla scuola all’informazione, ma soprattutto nelle famiglie, luogo d’eccellenza per plasmare le coscienze.
Ecco quindi che la contesa si fa aspra, da una parte si agita, come fosse il libretto rosso, L’origine delle specie, e dall’altra si cucina la credulità in un brodo di reliquie miracolistiche. Del resto, una vita da schiavi genera inevitabilmente una serie d’illusioni e speranze di merda, tuttavia necessarie per tirare a campare, così come, allo stesso modo, l’ignoranza del selvaggio nella sua lotta contro le forze della natura genera la credenza negli dei.
Ecco perché l’impostazione di ogni lotta contro le credenze religiose in termini “razionalistici”, cioè prescindendo da tutto il resto, ossia dalla lotta politica, dalla lotta di classe contro gli sfruttatori e il loro sistema economico, porta alla mera predicazione, al dibattito infinito, alla polemica, all’odio e all'anatema, ma non a un effettivo e radicale cambiamento.
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