mercoledì 29 febbraio 2012

Kultura



Evinto definitivamente (si spera) che è l’essere sociale a determinare la sua coscienza e non il contrario, tale coscienza rilette una specifica modellizzazione del mondo che non può non rispecchiare attivamente una realtà oggettiva ad essa esterna e di questa farsi portato ideologico. Ecco anche perché le norme di comportamento, come quelle del linguaggio quotidiano, appaiono ai membri di una determinata cultura come “naturali”. E fin qua ci arrivano anche i “maestri di scuola di Sodowa”. Ora provo a spingermi un po’ più a fondo nella questione.

Ogni sistema culturale racchiude in sé una triplice determinazione essendo nello stesso tempo strumento di conoscenza, mezzo di comunicazione sociale e dispositivo di controllo e di direzione dei comportamenti. Ne consegue che:

1) pur essendo la cultura un sistema dinamico e relativamente autosufficiente, essa nondimeno è correlata al funzionamento del sistema sociale nel suo insieme, secondo regole e divieti;

2) tale dinamismo quale strumento vivente di specifici rapporti sociali è in ultima istanza determinato dalla contraddizione principale che caratterizza il sistema di cui è parte e ne riflette i conflitti;

3) lo scopo principale della cultura, come sistema semiotico e socio-ideologico, è anzitutto di rendere corrispondenti i comportamenti alla coscienza ideologica della classe dominante ai suoi interessi strategici di riproduzione dei rapporti sociali operanti. Ciò è vero in ogni epoca, ma tanto più nella nostra in cui il capitale è giunto allo stadio del dominio reale e totale di ogni rapporto.

Pertanto la cultura, come sistema semiotico e socio-ideologico ha sempre un carattere di classe, è la maschera di un’apparente neutralità in cui si cela “il processo di trasformazione degli uomini in macchine”, di riduzione degli individui in capitale. Del resto che altro è un salariato? Conclusione: la cultura, così come si presenta e così com’è rappresentata, esprime una pseudograndezza di una realtà storica mediocre, la giustificazione delle moderne schiavitù, delle sue limitazioni e alienazioni. Poi, ovviamente, ognuno la "gode" come può.

L'opera scovata




C’è qualcosa di strano in questo ennesimo “inedito” di Repubblica ripreso da numerose fonti di stampa internazionale. L’opera in questione era nota, se non altro perché un particolare di essa veniva stampato in cartolina durate la guerra. Ma ciò che è singolare è che quest’opera “ritrovata” compare in alcuni siti (per esempio qui e qua) già nel 2007 e nel 2009. Mah.




In quest'altra foto, molto famosa, invece dell'orologio suppongo che Repubblica avrebbe preferito fosse stata cancellata la bandiera, o sostituita con un'altra magari a stelle e strisce.

Il modello che piace a Draghi e Monti



Leggo sul sito del Wall Street Italia: E' in crescita il numero di americani che confida di non potersi permettere di comprare del cibo. Per l'esattezza uno su cinque non riesce a sfamare la famiglia. Sono numeri da terzo mondo. Nel 2011 il 18,6% dei cittadini interpellati da Gallup ha detto che non riesce a comprare cibo per tutti i membri del nucleo familiare.

È questo il modello sociale che hanno in mente Mario Draghi e il suo compare Mario Monti. Sono cose che ho già scritto e documentato (QUI), ma è bene rinfrescare: negli Usa, nel 2010, il tasso ufficiale di povertà era del 15,1%, il dato peggiore dal 1993, e superiore di 2,6 punti percentuali rispetto all’inizio della crisi. Ma vediamo i numeri assoluti del fenomeno: i poveri erano più di 46 milioni di persone, tra questi gli americani con meno di diciotto anni sono il 22%, un totale di 16,4 milioni di bambini e adolescenti vivono in povertà, pari alla popolazione di New York City, Los Angeles, Chicago e Houston insieme. Il numero totale delle persone in povertà era equivalente alla popolazione complessiva delle 50 maggiori città degli Stati Uniti. Una larga parte della spesa di quasi 46 milioni di americani è pagata con le carte elettroniche del Supplemental Nutrition Assistance Program, cioè i food-stamp. Sono dati ufficiali, non chiacchiere. Da allora la situazione non è certo migliorata.

Da aggiungere un altro dato significativo è cioè quello della “povertà concentrata”, ossia l’aumento della concentrazione spaziale della povertà in un’area in cui più del 40% degli abitanti sono poveri, i cosiddetti extreme poverty neighborhood, specie nelle aree metropolitane della Sunbelt quali Cape Coral in Florida e Modesto in California nelle quali si concentrano gli effetti del fallimento immobiliare e anche le sue vittime principali, ovvero i latinos.

Oggi i filosofi della verità liberista è a questo modello che s’ispirano, alla “distruzione-creatrice”, alla fine del welfare europeo, facendo passare un messaggio che mette in rilievo come l’attuale modello non funziona più, non solo per i poveri ma anche e soprattutto per le classi medie sempre più “declassate” dalla crisi. Tuttavia i sondaggi danno ancora il gradimento al governo Monti al 59%. Di costoro non ne becco uno, ma si sa che io frequento certi “ambienti”. E allora avanti così.

Aliens



Ho letto il decreto sulle “liberalizzazioni”. Ci volevano tre mesi per decidere quante supposte deve contenere una confezione e in quante farmacie venderle? Prevedo un aumento delle RC auto considerato che a Belluno si pagherà per la stessa polizza quanto a Napoli. Si dice: solo per gli automobilisti “virtuosi”. A Napoli?! Sulla cancellazione delle ipoteche iscritte per mutuo non ho capito la novità, visto che esiste già la normativa, tanto che la cancellazione presso la conservatoria per l’ipoteca sul mio mutuo l’ho fatta gratuitamente anni fa. E questa pochezza di cose dovrebbe rivoltare come un calzino la nazione? Mah. Le due cose che doveva fare questo governo, per conto di chi lo sappiamo, riguardavano pensioni e lavoro. Il resto è piccolo cabotaggio, fumo negli occhi.

Non diversamente da altre volte Ballarò offre possibilità di rettifica al Paradosso di Fermi. L’unica cosa interessante l’ha detta, ma ormai non è più un paradosso, il comico a proposito degli stipendi dei manager. Mi chiedevo se sia solo questione di copione, e infatti dopo un po’ si ricava la certezza che si tratta proprio di istigazione spettacolare mostrare tanta pochezza allo stato coagulato. Del resto, come qualsiasi altra merce anche l’idiozia è prodotta per essere sfruttata. Sui risultati dei sondaggi l’unica riflessione da fare è: ma chi risponde ha veramente interesse per quel genere di domande? Da notare che, dopo l’incidente in Val di Susa, il governo ha spedito in Tv l’unico volto umano dell’esecutivo. Nell’impossibilità di trovarne uno tra i ministri, hanno mandato la sottosegretaria Guerra. Dopo mezz’ora ho spento.

A proposito di crimine organizzato, è interessante leggere delle retribuzioni e dei piani pensionistici degli alti papaveri della prima banca spagnola (qui). Tutto il mondo è paese, anche se il nostro appartiene a un mondo a parte.

martedì 28 febbraio 2012

Solo di destra?



Pensa un po’ se il presidente della Confindustria tedesca avesse detto che i sindacati proteggono i ladri e i fannulloni. E come avrebbe reagito il governo tedesco se la Volkswagen avesse minacciato di chiudere due fabbriche in Germania? E potrebbe un cancelliere parlare di “distruzione creatrice”? Assurdo pensarlo. Che sarebbe successo se le retribuzioni tedesche fossero risultate tra le più basse d’Europa, la disoccupazione giovanile al 30%, il precariato a quasi il 20% della forza-lavoro e si fossero bloccate le indicizzazioni per le pensioni sopra 1.400 euro lordi? Assurdo immaginarlo.

Si dirà: ma la Germania non ha il debito pubblico italiano. Infatti è più alto. Ma non in rapporto al Pil. Forse, ma questo non giustifica quello che sta facendo questo governo di fanatici e vanesi se non alla luce di altre ambizioni e progetti. E che questo sia un governo di destra se n’è accorto finalmente anche Alessandro Gilioli. Che cosa ci aspettiamo, che si mettano in orbace invece che in cashmere, che cantino faccetta nera? Questo governo è reazionario nei fatti e nelle intenzioni. Non è transitorio, ma l’espressione di un progetto che da molto tempo ci sta portando sempre più verso forme d’impronta autoritaria in gran parte inedite.

Il carattere reazionario di questo governo come di altri che l’hanno preceduto e per certi aspetti preannunciato, è anzitutto la conseguenza di un processo le cui cause vanno cercate nella nuova fase del capitalismo mondiale successiva al 1989, quindi agli accordi del Wto e all’introduzione della moneta unica europea. La novità consiste nel fatto che tale processo, a causa della crisi, ha assunto la necessità di un’accelerazione che porti a compimento la ristrutturazione complessiva delle forze sociali e produttive, per poi puntare verso la stabilizzazione del nuovo assetto.

I mezzi e le forme di realizzazione di questo progetto, per piegare le forze che ponessero resistenza, non sono più quelli caratteristici e anacronistici della vecchia reazione, non si tratta quindi di sopprimere le libertà di organizzazione, di stampa, di manifestazione, il diritto di sciopero e il suffragio universale. Nella maggioranza dei casi non c’è bisogno di ricorrere a forme di violenza aperta quando si controlla o si può condizionare o coartare in modo decisivo l’antagonismo politico, sindacale, sociale.

Il sistema, nel suo complesso, fa ciò che vuole del voto e della rappresentanza politica, controlla i media con i quali blandisce o terrorizza, circoscrive le manifestazioni entro precisi àmbiti, anche spaziali, ha sottomesso i sindacati (o ne inibisce la rappresentanze dei  più refrattari nei luoghi di lavoro). Il nuovo fascismo pensa di essere ormai così forte che si può permettere perfino di far rimuovere dai luoghi di lavoro le bacheche di giornali peraltro innocui ma in sfregio alla memoria di ciò che essi sono stati e hanno rappresentato. Tutto questo sta avvenendo sotto i nostri occhi, un poco alla volta e quasi impercettibilmente, tanto che non sono pochi coloro che negano l’evidenza.

N.B.: la foto forse c'entra poco con il post, ma mi è piaciuta perché c'è Carlo Verdone in motocicletta.

Le bugie del governo Monti


Per tutta la giornata di ieri è andato avanti il teatrino mediatico nel quale si fingeva di confondere retribuzioni nette e quelle lorde in riferimento ai dati pubblicati dall’Eurispes (sulla base dei dati forniti dagli istituti di statistica nazionali). L’idiota medio televisivo deve perciò essersi convinto che la differenza enorme tra le retribuzioni italiane e quelle tedesche (il doppio) derivi dal fatto che le retribuzioni nostrane sono gravate da troppe tasse. Si tace quindi sul fatto che il confronto è fatto su quelle lorde e non su quelle nette. La settimana scorsa per un paio di giorni era passata la velina che le risorse recuperate con “la lotta all’evasione” sarebbero state destinate ad abbassare la tassazione sui redditi. La cosa poi è stata smentita ma come ben sanno anche i commessi dei supermercati quello che conta è l’effetto messaggio.


Lo scandalo comunque è stato troppo grande ed ecco quindi entrare in scena l’Istat, un istituto certamente non terzo i cui vertici sono di nomina politica. Leggo sull'Ansa (sul sito del governo non c'è) il comunicato diramato da … palazzo Chigi:

La pubblicazione dell'Eurostat è un Pocketbook dal titolo Labour market statistics. All'interno della pubblicazione - sottolinea l'Istat - fra le tante informazioni sul mercato del lavoro, nella tavola 7.1 intitolata Average gross annual earnings by sex, business economy, 2005 and 2009, le retribuzioni lorde annuali per l'Italia indicate per il 2009 risultano essere pari a 23.406 euro, ponendo il nostro paese nella graduatoria al di sotto della Grecia (29.160 euro) e della Spagna (26.316 euro). In realtà, nella tabella c'è la nota 2 posta sopra il 2009 che segnala, purtroppo in modo poco chiaro, che il dato relativo all'Italia si riferisce al 2006 e non al 2009. Di conseguenza i dati pubblicati non sono comparabili.


Prendiamo per buona e solo per un momento la precisazione del governo che cita l’Istat. Domanda: in tre anni le retribuzioni tedesche, francesi, cirpiote e greche sono rimaste ferme? Stiamo parlando di differenze retributive annue lorde che vanno da un terzo (Francia) al doppio (Germania, Belgio, Olanda) e anche oltre (Danimarca). E tuttavia, anche fosse vero, dovremmo consolarci se le nostre retribuzioni fossero, come sostiene ora l'Istat, pari o leggermente superiori a quelle greche o cipriote così come prospettato dal governo?

Ma le cose, oltretutto, non stanno come le prospetta il governo. Il settimo capitolo della pubblicazione Eurostat riguarda le retribuzioni (Earnings). La tabella 7.1 riporta le retribuzioni lorde del 2005 e del 2009 suddivise per sesso (Average gross annual earnings by sex, business economy, 2005 and 2009). Da notare che i dati di differenziazione per sesso mancano per l’Italia. La nota 1 spiega che si tratta delle retribuzioni relative a imprese con almeno 10 dipendenti. La nota 2 dice effettivamente che per l’Italia si tratta di “full-time units  2006”. Dopo le note, sta scritto: “Source: Eurostat (online data codes: earn_gr_nace; earn_gr_nace2 )”, da cui si arriva alla seguente tabella (clicca per ingrandire):

Interessante notare da tale tabella che i dati riferiti per il 2006 alla Grecia e alla Germania non si discosatano significativamente da quelli del 2009. Per quale motivo poi non siano disponibili i dati aggiornati dell’Italia riferiti al 2009 è una domanda a cui proprio l’Istat dovrebbe rispondere. I dati relativi al nostro paese mancano anche su tutta una serie di altre tabelle e su quella delle retribuzioni (tabella 7.2) minime mensili brilla la sola assenza dell’Italia. Quanto ad opacità non ci batte nessuno. E anche per quanto riguarda la lotta ideologica. Infatti l’Istat sostiene: "Per realizzare un confronto corretto  si può considerare la stessa pubblicazione Eurostat alla sezione Labour costs (tabelle 8.1, 8.2 e 8.3), dove i dati derivano dall'ultima edizione della 'Rilevazione sulla struttura del Costo del lavoro del 2008". Benedetti, ma anche un garzone di macellerie sa che la “struttura del Costo del lavoro” c’entra relativamente con le retribuzioni ed è calcolata seguendo anche altri parametri. Infatti, in premessa l’Euristat precisa:

Labour costs refer to the expenditure incurred by employers in order to employ personnel. They include employee compensation (wages, salaries in cash and in kind, employers’ social security contributions), vocational training costs, other expenditure such as recruitment costs, spending on working clothes and employment taxes regarded as labour costs minus any subsidies received.

Nella nota tecnica diramata dall'Istat "per il presidente del consiglio dei ministri" è allegata una tabella delle retribuzioni europee e del costo del lavoro relativa al 2008, si evince che in soli due anni le retribuzioni lorde italiane passano da 23.406 euro (tabella Eurostat) a ben 29.653 euro, con un balzo di oltre il 20%. Dove sta la realtà a questo punto è difficile dirlo, ma è chiaro che ogni volta che vengono pubblicati dei dati discordanti con la propaganda governativa si va incontro a queste polemiche.

Per quale motivo non sono stati forniti tali dati all’Eurostat, e se sono stati forniti per quale motivo non sono stati inseriti nel lavoro dell'Eurostat? Tuttavia, anche a voler dar retta alla tabella diramata dall'Istat, non è vero che le nostre retribuzioni sono nella media europea, poiché ciò non risulta con l'Europa a 17 (zona euro) e nemmeno con quella a 25 ma solo con la UE a 27 membri, ossia includendo Bulgaria e Romania!

lunedì 27 febbraio 2012

La geometrica distruzione creatrice schumpeteriana



Una breve riflessione sui suicidi di operai e piccoli imprenditori di cui solo a volte viene data notizia e l’individuazione delle responsabilità sociali e individuali che generano tale stato di cose.

Sergio Marchionne, nella sua intervista al Corriere, dice due cose obiettive dal punto di vista di un capitalista: 1) c’è troppa capacità produttiva in Europa rispetto alla possibilità di consumo; 2) gli schiavi non sono abbastanza remissivi alle esigenze del capitale sul fronte della competizione internazionale. Anche le considerazioni di Mario Draghi sulla fine dello stato sociale non devono essere intese solo nel senso della riduzione del debito statale, così come le politiche di rigore e di riforma del governo Mario Monti non vanno solo nella direzione della riduzione del debito pubblico. Nella visione strategica d’insieme si tratta soprattutto di dare risposta alle richieste del capitale: le forze economiche chiedono un cambiamento radicale dei rapporti sociali, ossia di avere tutta la libertà possibile per massimizzare la valorizzazione del capitale, altrimenti scelgono altre strade.

La forza-lavoro costretta a vendersi ogni giorno non è altro che una merce come qualsiasi altro articolo di commercio, esposta a tutte le vicende della concorrenza e ai capricci del mercato. Se il prezzo di una merce è uguale al suo costo di produzione (*), ciò vale anche per la forza-lavoro. La manodopera italiana, l’abbiamo visto con i dati recenti, è già tra quelle a più buon mercato d’Europa. Comprimere ulteriormente il suo costo si può e si sta facendo, ma soprattutto si punta ad aumentarne il grado di sfruttamento. E c’è un modo classico per ottenere questi risultati: diminuire la domanda di lavoro ovvero aumentare la sua offerta con una maggiore concorrenza tra gli schiavi e abbassando i livelli di previdenza e di sostegno (alias pensioni e ammortizzatori sociali), nonché le tutele (art. 18). Creare uno stato generale di disagio e di emergenza sociale, acuire lo stato di bisogno, puntare sulla povertà di massa è il reale disegno messo in atto con determinazione dal grande capitale e dai suoi agenti politici.

Perciò, certe frasi governative (p. es. “la distruzione creatrice schumpeteriana”) credo che se lette in tal senso e non solo riferite al contenimento del deficit e all’abbassamento del debito, guadagnino in comprensione. Sulla tendenza alla progressiva proletarizzazione il solito Marx scriveva oltre 160anni or sono:

Quelli che fino a questo momento erano i piccoli ordini medi, cioè i piccoli industriali, i piccoli commercianti e coloro che vivevano di piccole rendite, gli artigiani e i contadini, tutte queste classi precipitano nel proletariato, in parte per il fatto che il loro piccolo capitale non è sufficiente per l'esercizio della grande industria e soccombe nella concorrenza con i capitalisti più forti, in parte per il fatto che la loro abilità viene svalutata da nuovi sistemi di produzione. Così il proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione.


(*) Non entro nel merito della trasformazione dei valori in prezzi, per carità.

Lordure da ministra



Di fronte ai dati delle retribuzioni medie lorde dei salariati dei vari paesi – laddove in Germania e Paesi Bassi sono il doppio di quelle italiane, quasi il doppio quelle di Irlanda e Finlandia, superiori di circa un terzo quelle della Francia e Austria, inferiori perfino a quelle di Grecia, Spagna e Cipro – il minimo che il governo e la classe padronale italiana dovrebbe fare, è starsene zitti.

E invece di chi è la responsabilità di tale scandaloso divario? Ma di chi lavora, ovvio, perché “la produttività è bassa”. Più bassa di quella della Francia e di Austria, Grecia, Spagna e Cipro? E l’altro motivo – secondo la ministra Fornero – sarebbe: “la differenza tra salario netto e lordo che è maggiore rispetto ad altri Paesi”. Ho riletto la frase due o tre volte perché non ci credevo.

L’articolo di Repubblica, che riporta le riflessioni di questo genio della riforma pensionistica e del lavoro, rileva in premessa la notizia statistica di fonte europea:

«Le retribuzioni lorde dei lavoratori italiani sono tra le più basse dell'eurozona: su livelli inferiori ci sono solo quelle relative a Malta, Portogallo, Slovenia e Slovacchia. E' quanto emerge dall'ultima edizione di Labour Market Statistics stilata da Eurostat».

Posto che se c’è una differenza tra salario netto e lordo più marcata in Italia rispetto ad altri paesi, questa va letta come un’aggravante perché significa che i salari medi netti italiani sono addirittura ancora molto più bassi della media europea. Senza contare che gli italiani pagano i carburanti più cari d’Europa (i dati di gennaio danno la super al costo uguale a quello della Grecia, ma il gasolio da autotrazione più caro e quello da riscaldamento superiore a quello greco del 40%; la benzina italiana costa l’8% più di quella tedesca e il gasolio da autotrazione il 14%). Il maggior costo dei carburanti si scarica sui costi di produzione e quindi su quelli delle merci, per non parlare poi dell’imposizione fiscale sul gas e in generale sul costo delle bollette.

domenica 26 febbraio 2012

“That’s gone”



Il capitalismo è a un nuovo stadio del suo sviluppo e ha ormai esteso come non mai il proprio dominio sul mondo concentrandone il controllo in poche mani. Alcune centinaia di società si spartiscono l’economia mondiale: risorse naturali, quelle umane e tecnologiche, l’industria, i trasporti, i servizi, la finanza, i network. Marx più di 160anni fa aveva messo in chiaro: La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali.

In tale quadro è fondamentale comprendere cos’è, almeno grossomodo, l’Europa e cosa conti. Pur essendo ancora l’area economica più importante del pianeta, essa può contare complessivamente su circa 700mln di abitanti (la metà della Cina, il 60% dell’India) e su una forza di circa 200mln di schiavi, peraltro in parte sindacalizzati e tutelati da leggi. Per limitarsi alla sola Cina, India e Indonesia, questi paesi possono contare sul 40% della popolazione mondiale e almeno 1,5mld di schiavi non sindacalizzati e non tutelati.

Tali cifre dimostrano come il proletariato europeo (definito dai sociologi borghesi come classe media), non possa competere sia sul piano dello sfruttamento capitalistico sia su quello dei consumi potenziali. Dal punto di vista di un proprietario di schiavi, per esempio Sergio Marchionne, è chiara la convenienza a tenersi un gruzzolo di qualche decina di miliardi di euro per investirli in Asia piuttosto che dissiparli in Italia dove la resa produttiva della manodopera è più bassa e i costi di sussistenza nettamente maggiori, dove non puoi licenziare un fannullone su due piedi senza che un giudice ti imponga di reintegrarlo. 

I padroni di schiavi e i loro attaché presso i centri di decisione politica, hanno ben chiara la situazione e la fase in atto. Il capitale in questo genere di democrazia può tutto, il singolo proletario, illuso della titolarità del potere attraverso il voto, può solo sperare di cavarsela in qualche modo. La parola d’ordine è fare dell’Europa una zona franca per il profitto come le altre, come in Cina o in India e Brasile. Ma non tutta l’Europa è uguale e non tutti i paesi in essa hanno lo stesso peso. La linea di tendenza complessiva è comunque quella di creare un “nuovo” modello sociale nel quadro della competizione capitalistica mondiale. In questo senso vanno interpretate le dichiarazioni del personale politico e tecnico europeo e italiano quando, sia pure con sfumature diverse, allude al welfare europeo come a un sistema sociale superato, così come quando assume la decisione di abbandonare al proprio destino le aziende che in passato hanno “tutelato bene l’italianità” ma impedito “la distruzione creatrice schumpeteriana”.


Senza la collaborazione fattiva degli elementi più reazionari della politica, i più corrotti del sindacato e la servitù dei media, tale strategia troverebbe almeno delle resistenze che potrebbero, non già cambiarne il corso, ma almeno limitarne e graduarne gli effetti e i danni per i salariati (se ci si accontenta di questo). In realtà si vuole procedere a tappe forzate e le dimissioni imposte al governo Berlusconi-Tremonti agendo sui flussi finanziari ne sono un esempio che solo gli idioti che si crogiolano nell’antiberlusconismo non hanno saputo cogliere.

Il capitale ha l’assoluta necessità, per superare la propria crisi, di agire nel modo che gli è assolutamente consueto e congeniale, senza atti di palese violenza ma manovrando  apertamente e legalmente sulla struttura produttiva e i flussi finanziari. Le “condizioni politiche” seguono come l’intendenza segue le truppe. Il proletariato, da parte sua, ha un solo modo di reagire e mettere fine a questo stato di cose e alle sue conseguenze, non certo manifestando ordinatamente per le strade e le piazze, o andando appresso ai deliri sulla “decrescita”.

Il fondamento della giustizia

Un lettore del blog mi chiede un commento sul caso Mills-Berlusconi e dintorni. Caro amico, cosa vuoi commentare, non lo conosciamo forse Berlusconi? È una novità, in via generale, che chi ha la possibilità di comprarsi i “migliori” avvocati rischia molto meno? Perché fare dei discorsi moralistici, in Italia poi! Per un’accusa di reato associativo ti sbattono in galera per anni senza che si sia arrivati a una sentenza di primo grado passata in giudicato. Ma non ci si scandalizza, così come non fa clamore che un sentenza della corte d'appello di Potenza venga semplicemente ignorata dalla Fiat. E l'art. 3 della costituzione? Non monita nulla l'inquilino del Quirinale? Chiaro che la "giustizia" trova il suo fondamento nei rapporti concreti di classe, quindi economici, e su che altro sennò? E che la "gustizia" diventi un mezzo della contesa politica è una conseguenza e non da oggi. Tutti i processi ai potenti dall’Unità ad oggi sono stati processi conclusi con sentenza politica. Forse che la sentenza n. 1564 del 2.5.2003 del processo per mafia ad Andreotti non è politica?

«[…] i fatti che la Corte ha ritenuto provati dicono, comunque, al di là dell’opinione che si voglia coltivare sulla configurabilità nella fattispecie del reato di associazione per delinquere, che il sen. Andreotti ha avuto piena consapevolezza che suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; ha, quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss; ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ancorché non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; ha loro chiesto favori; li ha incontrati; ha interagito con essi; ha loro indicato il comportamento da tenere in relazione alla delicatissima questione Mattarella, sia pure senza riuscire, in definitiva, a ottenere che le stesse indicazioni venissero seguite; ha indotto i medesimi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come l’assassinio del Presidente Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati; ha omesso di denunciare le loro responsabilità, in particolare in relazione all’omicidio del Presidente Mattarella, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza».

Chi lancia sassi contro la polizia si becca cinque anni di galera, e invece Andreotti siede in Senato e solo per un caso non è diventato a suo tempo presidente della repubblica. Nella sua storia è leggibile il segreto dell’irredimibilità e della dimensione macropolitica del problema mafia, di là delle imposture e dei depistaggi alimentati dalla propaganda che lo spaccia come vicenda di bassa macelleria criminale. Questa e altre vicende, la corruzione e le stragi per esempio, dimostrano come sotto il velo della retorica si celino le piaghe della nazione. Quello che si compie sullo sfondo della scena rumorosa è sempre ben più grave.

Caro Amico, siamo un paese che dimentica tutto e in fretta, salvo rendere gli onori a Badoglio, Balbo, Almirante e perfino a Ciano. In questi giorni la Rai sta ritrasmettendo uno sceneggiato su Edda Mussolini Ciano (una miniserie – scrive wikipedia – che ha avuto un notevole successo, nel 2005 con 9 milioni di spettatori, 35% di share) in cui si racconta la storia della figlia di Mussolini (pensa un po’). A parte gli impressionanti (e voluti) svarioni storici della ricostruzione (perfino comico il fatto che Claude Brasseur interpreta Mussolini al matrimonio della figlia nel 1930, quando questi non aveva ancora 47 anni, ma l’attore quando l’ha interpretato aveva minimo 68 anni e anzi ne dimostrava anche di più), c’è una scena dove il bravo Massimo Ghini interpreta Galeazzo Ciano, il quale viene mostrato mentre al cinema piange commuovendosi per un film sentimentale. Tutto sommato un buon tanghero il mandante dell’assassinio dei fratelli Rosselli, tanto per dire. E le inchieste sugli oltre 5.000 gerarchi fascisti che risultati hanno dato? Alessandro Pirzio Biroli, qualcuno sa cosa combinò e come se la cavò? E Vittorio Cini, ministro fino al giugno 1943? Vi sono stati innumerevoli criminali di guerra che hanno avuto la pensione per i loro servigi con ogni annesso e connesso (anche a Rachele Mussolini fu concessa la pensione di reversibilità). E le stragi di Stato? Quanti “armadi della vergogna”!

sabato 25 febbraio 2012

La critica marxista alle teorie della decrescita e dello sviluppo sostenibile

Segnalo questo intervento di Riccardo Achilli perché merita di essere letto con molta attenzione. C'è da imparare, e ciò segnala la differenza tra la critica marxista e le stupidaggini correnti in ogni àmbito.

La libbra di carne



La maggioranza composta da ex comunisti, clerico fascisti e berlusconiani, è ben disposta a rinnegare i diritti di chi lavora perché “Prima di tutto viene l’Italia”. Nel patriottismo trova l'estremo rifugio ogni atto di brigantaggio del governo. Un tempo il destino dell’Italia era affidato all’acciaio delle baionette, ora è dato in accomandita a una manica di lividi tecnocrati per ridisegnare la realtà sociale così come l’hanno teorizzata degli squilibrati nei loro libri. E perciò ci si rivolge ai privilegi di salariati e pensionati, inscenando l’ammuina tra Cortina e Courmayeur per far sentire al povero asino che la frusta schiocca anche per i ricchi gaudenti. L’accolita di tristi anonimi, il proconsole e i suoi pretoriani, chiamati a dirigere il gioco sporco, si dichiara perfino incredula che fosse così facile, trovandoci così docili, e tutto filasse “nella direzione giusta”.  

Ci furono epoche nelle quali, lo ricordiamo con raccapriccio, il debitore diventava lo schiavo del creditore. Oggi siamo ridotti a essere schiavi collettivi di creditori occulti, senza volto. Le classi dirigenti, attraverso i partiti, ossia associazioni private che si spartiscono il potere politico e il denaro raccolto con le tasse, e l’uso della propaganda mediatica, ci hanno illuso per decenni che questo sistema economico e sociale garantiva meglio di ogni altro, in cambio del nostro lavoro e della nostra obbedienza, un certo livello di benessere e sviluppo in una relativa libertà. Ora le stesse classi dirigenti, lo stesso troiaio politico, il medesimo mulino mediatico, ci raccontano che si è andati troppo oltre con i diritti minimi e perfino con la speranza. Nulla è più sicuro, tranne l’incertezza, e si raccomanda di tenere sempre pronta una valigia per imbarcarci in una qualche avventura che ci porti al largo da noi stessi.

Coloro che eseguono la riscossione in nome e per conto delle divinità del mercato, ossia dei padroni delle cose e delle nostre vite, ci assicurano che il taglio della nostra libra di carne è reso necessario per evitarci la morte, così come un tempo erano necessarie le stragi per non cadere nelle grinfie dell’orso. Questo strazio accompagna le nostre giornate e il dubbio che ci rende inerti è sempre quello antico e ricattatorio, amletico, ossia se sia meglio sopportare il taglio quotidiano di un pezzettino della nostra carne e di quella dei nostri figli, oppure decidersi e cominciare a staccare, per dovere d’umanità, le teste dei nostri mendaci aguzzini. E nell’attesa di decidere se saldare il conto o di continuare a essere presi a schiaffi con irrisione, nella paura della punizione e nel torpore alterno all’ansia, dormiamo e sogniamo convinti e quasi rassicurati che potrebbe andarci pure peggio.

venerdì 24 febbraio 2012

Intervista a un metalmeccanico che fa automobili


La prima considerazione sull’intervista a Marchionne è che gli Usa possono fare prestiti diretti per miliardi di dollari alle imprese in difficoltà. In Europa ciò non è possibile. Il vincolo del governo Usa è che le aziende che si avvalgono degli aiuti non possano fare investimenti all’estero, dice Marchionne. Ciò dimostra che in America non sono così idioti.

Seconda considerazione: come è ovvio Marchionne “condivide i valori americani, il primato dell'iniziativa privata”, quando c’è da far profitti; poi, quando “il sistema finanziario non è più in grado di affrontare i fallimenti”, allora si socializzano le perdite, si prendono in prestito i denari dallo Stato allo 0,1 per cento d'interesse.

Chiede l’intervistatore: Come vede il 2012 per l'America? «Sono molto ottimista». Con tutto quel debito pubblico? “In quel concorso di bellezza che è la vita spesso vince la meno brutta”.

I partecipanti al concorso di bellezza al quale si riferisce il finanziere Marchionne sono tipi come Enron, Lehman, ecc.. A vincere sono i lestofanti e i grandi ricchi, a pagare sempre i soliti. Il primato dell’iniziativa privata ha costretto, dal 2007, ben 426 banche fallite a uscire dal concorso e altre centinaia di società (vedi elenco società fallite). È sempre la solita libidine padronale che fa prevedere per sé prospettive di riuscita che gli dei della fatalità (crisi, Fiom, ecc.) sventano malignamente. La causa non è quindi mai l’ordine delle cose imposto agli uomini e a questo disgraziato pianeta dai furfanti.

Intervistatore: lei incoraggiava i capitali internazionali dicendo che la Fiat non poteva investire in Italia per colpa della Fiom. Risponde Marchionne: “Un momento: io non ho mai parlato male dell'Italia. Ho solo riconosciuto quello che non va perché era serio farlo nell'interesse della Fiat, che è un gruppo multinazionale, e, se permette, del mio Paese”.

L’amministratore delegato della Fiat auto e presidente di Fiat industrial, cioè del maggior agglomerato industriale italiano non ha mai “parlato male dell'Italia”, ha solo invitato gli investitori stranieri a non investire nel Paese perché c’è il maggior sindacato di categoria che esige il rispetto dei diritti minimi dei lavoratori e per le loro rappresentanze.

Tuttavia si dice soddisfatto degli accordi sindacali (che escludono la Fiom) e che la Fiat stia investendo in Italia. Replica l’intervistatore: Come mai allora, 14 mesi dopo il referendum, la produzione di Mirafiori scende da 70 mila a 54 mila auto l'anno quando se ne dovrebbero produrre 280 mila? Il progetto Fabbrica Italia, presentato nell'aprile 2010 a palazzo Chigi, appare in ritardo.

Marchionne risponde che Pomigliano è ripartita ed è una fabbrica modello. Come dire: ti ho chiesto che ora è, e tu mi rispondi che è venerdì. Lo incalza Mucchetti: Senza più iscritti Fiom tra i neoassunti. Marchionne: “Falso. Si legga il Giornale [!!]. Riporta le parole on records di lavoratori che erano iscritti alla Fiom e non ne vogliono più sapere”. Quindi: fin che rimani iscritto alla Fiom, non rientri.

Chiude il discorso Marchionne: “Ma abbiamo deciso di non parlare più di Fabbrica Italia”. Della serie: le domande le decido io e nessun altro deve intromettersi nelle faccende della più grande fabbrica italiana. Poi, tra tante perle false, una gemma rara: “Io sono un metalmeccanico che fa automobili”. Naturalmente non è un metalmeccanico che si accontenta della gloria e di un salario al pari degli altri. Ed infatti l’intervistatore gli chiede:

C'è un'enorme sproporzione tra i compensi dei top manager e quelli del dipendente medio. Un tempo non era così. Risponde: “Trent'anni fa non si era ancora creato un mercato delle competenze manageriali come quello attuale”.

È per questo che Marchionne vuole rendere il mercato delle competenze operaie a livello di quello cinese ma è disposto alla guerra perché quello delle competenze manageriali resti occidentale. E se la finissimo con questi predatori della produzione salariata e del consumo forzato e li mettessimo a fare qualche cosa di realmente utile per la società e per una “giusta mercede” come dicono i preti?

Ma dove sono questi nuovi modelli? “La Fiat ha scelto di rallentare il lancio dei nuovi modelli per la scarsità della domanda in Europa”.

I concorrenti fanno il contrario. “Ed ecco che Peugeot-Citroen, Opel, Renault e la stessa Ford Europe perdono soldi nel Vecchio Continente”. 

Come voi, del resto. Ma almeno hanno difeso le quote di mercato [mentre Fiat continua a perderle].
Risponde il vanesio finanziere in tuta blu: “Ragionando così non si va lontano”. Già; tieniti stretto il posto, Mucchetti.

L'effet du mélodrame



«Il modello sociale europeo è morto». Questa non è solo una considerazione estemporanea, ma si presenta come una dichiarazione programmatica e politica da parte del presidente di un organismo eminentemente tecnico e non politico quale la Banca centrale europea. Questo fatto, grave in sé, è passato praticamente sotto silenzio per quanto riguarda il suo rilievo politico. Che s’incarichino i banchieri di stabilire quale modello sociale debba reggere un continente di centinaia di milioni di persone e cittadini, di governare tale cambiamento che riguarda tutti gli aspetti sociali della nostra vita, è il fatto più significativo della nostra epoca e del commissariamento in atto di quella che chiamiamo democrazia. Ma forse continuo a sbagliare, esagero a preoccuparmi di queste cose, dovrei far caso agli argomenti di più serio momento che ci vengono offerti del dibattito pubblico, cioè dal dibattito mediatico. Fatemi sapere, grazie.

giovedì 23 febbraio 2012

E se distribuissimo i profitti in salari?


Segnalo agli spiriti ecumenici che Repubblica titola: Sulle liberalizzazioni vincono le lobby, il governo cede su taxi, farmacie e gas. Dove il governo non cede, dopo il taglio delle pensioni e l’aumento delle tasse e delle tariffe, è sulla cosiddetta “riforma del lavoro”: Avanti pure senza intesa con voi. È la risposta dei morfinomani del “rigore” a Bersani il quale gioca a fare il pesce in barile (quando capirà che la disoccupazione in un sistema capitalistico è solo l’altra faccia del lavoro?). E se distribuissimo i profitti in salari, quale miglior riforma? E se non pagassimo più il pizzo ai mafiosi di stato per muoverci, per abitare (anche le bestie da soma hanno diritto a una stalla), comunicare e tanto altro? Sarebbe semplicemente un assaggio non ancora del vituperato comunismo, ma di una democrazia degna di questo nome.

Sempre sullo stesso quotidiano si può leggere: Nel pieno della bagarre per il riassetto del gruppo Premafin-Fonsai-Milano assicurazioni, la Consob ha annunciato al mercato la certezza che il 20% di Premafin parcheggiato presso misteriose società off shore con sede nei paradisi fiscali è riconducibile direttamente a Salvatore Ligresti. Immagino che la notizia di queste malversazioni finanziarie in grande stile interessi poco a chi si è distratto con estasi e godimento sulle retate degli evasori cortinesi (pur sacrosante, intendiamoci), così come non verrà data nei titoli e sottotitoli dei telegiornali. Serve solo per confermare quanto ho scritto più volte: anche questo governo, ineluttabilmente e come ogni grassatore che si rispetti, reclama sia la nostra borsa che la vita.

* * *
Due giovani sono stati condannati rispettivamente a 1.450 e 1.825 giorni di carcere perché avrebbero lanciato "pietre e altri oggetti contundenti ed esplodenti" contro le sedicenti forze dell'ordine, utilizzando anche "manici di piccone". A quanto andrebbero condannati i responsabili governativi di una politica criminogena che ha mantenuto e continua ad agire le carceri come lager e ha ridotto con i tagli di bilancio i pronto soccorso nei bivacchi che ben conosciamo?
* * *

Per quanto riguarda la vicenda dei neutrini, divenuti famosi per l’eccesso di velocità, si è passati dal ridicolo (tunnel) al farsesco: i dati rilevati sarebbero inesatti, dovuti a una cattiva connessione tra un ricevitore gps e un computer (ma anche questa ipotesi non è sicura). Il Corriere imperterrito scrive: Scoperta un’anomalia degli strumenti. Sempre di un popolo di “scopritori” si tratta.

Capisco che si tratta di un esperimento difficile quanto misurare il tasso di cocaina di certi esponenti politici, ma ad ogni modo, prima di aprir bocca su questioni del genere, non sarebbe stato il caso di verificare le connessioni, non solo delle sinapsi ministeriali, ma anche della strumentazione? Ebbi già modo di osservare (in un post dal titolo: Vendesi navigatore) all’epoca dell’annuncio urbi et orbi del clamoroso risultato sperimentale che qualcosa non poteva funzionare quando di mezzo c’è certa gente.

* * *

Scrive sempre il Corriere dei grandi nella prima pagina on-line: Ma perché a carnevale finisce che ci spogliamo tutte? Tutte tua sorella.

mercoledì 22 febbraio 2012

Provo a rispondere


Cerco, come posso e brevemente, di rispondere ad alcuni commenti di amici del blog, i quali, per esempio, scrivono: La scienza marxista è inoppugnabile nell'analizzare il perché il capitalismo è quello che è, ma non ha mai tenuto conto che l'uomo non è riducibile a mera economia. Avidità e volontà di potenza sono equamente distribuiti tra il presidente di Goldman Sachs e l'ultimo barbone. Il problema è sempre lo stesso: chi controlla i controllori?

* * *
Comincio col dire che l’ideale comunista non è quello di creare il bene assoluto. Il comunismo può essere solo, come ebbe a dire Marx, il movimento che cambia lo stato di cose presenti, a cominciare dai rapporti di produzione e dalla rimodellazione delle forze produttive entro un nuovo quadro di razionalità fondato sulla liberazione del lavoro. Un processo di ricerca e di lotta che può trovare compimento solo quando sarà appunto “scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto fra lavoro intellettuale e fisico” e quando “il lavoro non sarà divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita”.

Ciò non significa che in una società comunista scomparirà ogni tipo di contrasto e di conflitto intersoggettivo. Una simile affermazione non sarebbe nemmeno scientifica. Con il comunismo si estingueranno invece quelle cause storico-sociali che producono il presidente di Goldman Sachs e l'ultimo barbone, quindi quei disastri quotidiani che ci stanno sotto gli occhi e che, tra l’altro, offrono tanto lavoro ben retribuito a sociologi, medici, terapeuti e piscia in culo vari.

Viceversa, uno dei contributi fondamentali del materialismo storico – ne è un buon esempio il Ludwig Feurebach di Engels ma anche ovviamente L’Ideologia tedesca – è stato quello di mettere in chiaro la dipendenza causale tra vita sociale e coscienza. La tesi marxiana secondo la quale non è la coscienza a determinare l’essere ma, viceversa, l’essere sociale a determinare la coscienza, risulta essenziale per la comprensione di numerosissimi aspetti che riguardano l’ambito delle discipline che si occupano dello sviluppo sociale. Già tale approccio metodologico sottolinea la differenza tra la scienza sociale marxista e le dottrine improntate all’idealismo, al soggettivismo e al biologismo (gli uomini sono qualitativamente irriducibili nei loro processi sociali e psicologici al mondo animale dal quale si sono emancipati).

Gli esseri umani al pari di ogni altra creatura non nascono buoni o cattivi. Diversamente però dagli altri animali, i collettivi umani (quindi non l’uomo astratto delle religioni e dei filosofi) non si limitano a seguire il proprio istinto. Uomo e natura non costituiscono un’opposizione logica e neppure un’unità indifferenziata. L’uomo costituisce il punto più alto della materia nel suo divenire e si differenzia qualitativamente dalle forme animali dalle quali si è emancipato, ma la sua storia non è disgiunta dalla natura. Subisce l’influsso della natura ma nello steso tempo è capace di creare, attraverso continue trasformazioni di essa, nuove condizioni naturali per la sua esistenza. Nel trasformare la natura l’uomo costituisce attivamente la sua stessa natura.

Fin dalla nascita i proletari sono esposti all’influenza dell’ideologia dominante di una classe sfruttatrice, e ciò determina anche che ognuno di essi ne abbia interiorizzato e assimilato i rapporti sociali e con ciò i caratteri violenti della classe dominante. Scrive Marx al riguardo:

Non basta che le condizioni di lavoro si presentino come capitale a un polo e che dall’altro polo si presentino uomini che non hanno altro da vendere che la propria forza-lavoro. E non basta neppure costringere questi uomini a vendersi volontariamente. Man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione (Il Capitale, Critica dell’economia politica, I, VII, 3).

Grazie per l’attenzione e la passione.