In un paese come questo, dominato dall’analfabetismo
(non solo grammaticale ed economico) e dall’idiozia (in senso etimologico), non
può esserci altra data per il voto. Ne abbiamo un gran bisogno.
mercoledì 30 maggio 2018
lunedì 28 maggio 2018
Agli italiani manca la fortuna
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Il
10 giugno 1940, Mussolini non ebbe il tempo di finire la frase con la quale
annunciava l’entrata in guerra dell’Italia che nella piazza esplose un
prolungato boato di giubilo. Mussolini perse il suo bluff, ma a farne le spese
non furono solo i fascisti.
Rilevo
che il Genio ducesco mutò l’ordinamento dei reggimenti dell’esercito italiano, i quali
da ternari passarono a binari, cioè furono costituiti non più da tre ma da due
battaglioni. In tal modo le divisioni da 40 divennero 60.
In
quell’anno, una manciata di brigate britanniche accerchiarono e sconfissero
numerose divisioni italiane in Libia. Vennero in soccorso i tedeschi.
Nell’autunno
del 1940, l’Italia attaccò inopinatamente la Grecia. Fu un disastro. Anche in
quel caso, nel 1941, intervennero in soccorso delle truppe italiane quelle tedesche, le
quali in tal modo e per fortuna ritardarono l’operazione “Barbarossa”.
Qualcuno
dopo il conflitto ebbe a scrivere che non mancò il coraggio, ma la fortuna.
*
Per
venire all’oggi, è incredibile come milioni di persone adulte non riescano a
farsi capaci di fatti molto semplici, cioè che i debiti vanno onorati e che tanto
maggiore è l’entità dei debiti tanto più stretta è la dipendenza dai propri
creditori.
L’on.
Matteo Salvini oggi ha dichiarato testualmente: Paolo Savona ci serviva come
ministro dell’economia poiché avremmo chiesto di cambiare i trattati in modo da
ottenere le risorse necessarie per le riforme del nostro programma (quando
scrivevo che l’assenza delle coperture non era casuale …).
Cambiare
i trattati non è cosa di breve momento, e non basta la volontà di un singolo
paese o di un gruppo di paesi europei. Ecco allora che viene in chiaro il ruolo
di Paolo Savona e la sua teorizzazione del famigerato piano “B”, con il quale si
prevede l’uscita dall’euro, da attuare con la massima segretezza, nottetempo, a
banche chiuse … .
È
la stessa furbata delle divisioni di Mussolini e di altri bluff consimili.
giovedì 24 maggio 2018
Al prossimo colpo di maglio
Una delle idee forti che la sinistra liberale ha
coltivato e difeso nel secondo dopoguerra è stata quella che vede la società
borghese in costante e generale evoluzione. Non ha mai contemplato, di là di
alcune battute d’arresto che però non riguardavano direttamente le democrazie
occidentali, la possibilità di una vera regressione politica e civile.
I mutamenti strutturali indotti dalla rivoluzione scientifica e tecnica in atto, quelli connessi con i nuovi assetti economici e geopolitici, il
tema del lavoro e le dinamiche demografiche, le migrazioni e le disuguaglianze,
sono tutti problemi che si pensava (e si pensa) di poter ricondurre nell’alveo
del tradizionale riformismo grazie all’impegno delle forze progressiste e
liberali della società, al generale miglioramento delle condizioni sociali e
civili che pure vi è stato.
mercoledì 23 maggio 2018
Un altro fatto strano e preoccupante
Se a
fronte della proposta di introdurre un’imposta a due aliquote fisse al 15 e al
20% per persone fisiche, partite IVA, imprese e famiglie, ossia una tassazione
che favorisce palesemente i redditi alti e altissimi, la gente non è scesa in
piazza alzando barricate, allora si spiega anche un altro fatto strano e
preoccupante, seppur del tutto personale, cioè che mi trovi d’accordo con
Luttwak per quanto riguarda la situazione economica e politica italiana.
*
Il
20 gennaio 2017 Donal Trump s’insediava alla Casa Bianca. Il giorno dopo, a
Coblenza, cinque esponenti dell’estrema destra sono comparsi assieme sul palco
della Rhein-Mosel-Halle. Un’internazionale socialnazionalista di nuovo conio capace
di mescolare temi sovranisti di destra a temi sociali di sinistra, con a capo
Marine Le Pen, Frauke-Petry di Alternative für Deutschland, Geert Wilders
dell’olandese Partij voor de Vrijheid, Harald
Vilimsky del Partito della libertà austriaco, e un certo Matteo Salvini.
E
sarà Salvini, con ogni probabilità, a ricoprire l’incarico di ministro
dell’interno del prossimo governo Lega-M5S. Questi ultimi sono sotto schiaffo,
come si muovono Salvini minaccia di rovesciare il tavolo e andare a elezioni.
In realtà è un bluff che nessuno avrà il coraggio di andare a vedere. Quanto al
Pd è un cadavere ancora in mano al suo imbalsamatore.
Sono
saltati i cardini sociali, politici e culturali ai quali, bene o male, era
ancorato questo paese. La cosa non sembra preoccupare più di tanto e non più di
pochi. Il dramma vero è che non si vede un barlume di alternativa a questa
deriva figlia delle irrisolte contraddizioni di questo sistema.
martedì 22 maggio 2018
Meritocrazia
Questo Conte Giuseppe è un altro racconta frottole
sulla traccia di Oscar Giannino? Almeno l’Oscar, asserite due lauree e un
master a Chicago, è simpatico e ci fa ridere, mentre con questi rivoluzionari al ragù ci sarebbe solo da piangere.
Un paese con l’ossessione per la laurea, che a
parole disprezza, a cominciare da Bossi padre e Trota figlio, per finire con quello che
non ha mai avuto una busta paga e farà il ministro del Lavoro e pure dello
Sviluppo. Questi so’ mejo de Manuel Fantoni.
Il complotto
Quanto è importante la conoscenza del passato, di ciò
che chiamiamo storia? Nella misura in cui acquistiamo conoscenza del passato,
acquistiamo conoscenza del presente e del futuro, poiché sia l’uno e l’altro
derivano dal passato e in parte ne sono determinati. L’ignoranza è la mancanza
del senso della storia.
*
Non fu un complotto, non almeno nel senso corrente al
quale associamo questo termine. La Deutsche Bank, che viene sempre tirata in
ballo nelle ricostruzioni complottistiche del 2011, con le sue operazioni sui
titoli del debito italiano non influenzò negativamente il mercato, e del resto
non agiva su mandato di Berlino, piuttosto di quello dei suoi azionisti, cioè
degli investitori internazionali (in maggioranza, cinesi, americani e qatarioti)
i quali puntavano solo a ciò a cui puntano tutti coloro che fanno un
investimento, piccolo o grande, ossia al profitto, al vile denaro, allo sterco
del diavolo.
Più che di un complotto si può parlare di una serie
di circostanze che vennero a coincidere, di nodi che venivano al pettine. E
quello italiano è un pettine nel quale s’impigliano nodi storici giganteschi.
domenica 20 maggio 2018
Tanto peggio, tanto meglio
Il risultato elettorale del 4 marzo scaturisce da un
voto di scambio basato su promesse elettorali in gran parte palesemente irrealizzabili
e che nulla hanno a che vedere con la costruzione di un welfare robusto e sorretto
da politiche fiscali adeguate. A leggere il “contratto” appare chiaro che la
vaghezza sui tempi e le coperture, così come su altri “dettagli”, non è
casuale. La prima bozza confessava l’azzardo laddove si fantasticava della
cassazione di 250 miliardi del debito. In realtà ciò che si prospetta sulla
base di tali promesse è un ulteriore e massiccio aumento del debito che
condurrà al collasso della finanza pubblica.
Del resto, che Lega e Movimento abbiano trovato
davvero un punto di convergenza nel cosiddetto “contratto”, e cioè su alcune questioni
cruciali di ordine economico e sociale, a me pare realisticamente assai dubbio.
Le parti hanno giocato la partita con carte truccate, l’improvvisazione e
l’impreparazione hanno fatto il resto.
Gli esempi più noti sono quelli della tassa piatta e dell’ancor
vago progetto sul reddito di cittadinanza, ossia, da un lato, la riduzione delle
tasse per i più abbienti e, dall’altro, l’estensione di un sussidio universale
per il proletariato giovanile e per chiunque si trovi, per volontà o necessità,
in una certa condizione reddituale. Sono due obiettivi antitetici e destinati a
procedere ognuno in direzione opposta.
sabato 19 maggio 2018
Quel genere molto diffuso di cittadini sovrani
Laura Castelli, deputata pentastellata e unica donna
presente al tavolo tecnico (??) che ha redatto il “contratto per il programma
del cambiamento”, a riguardo dei tempi di attuazione dei singoli capitoli
dell’azione di governo ha così risposto: “I tempi sono nella nostra testa”; in
riferimento alle coperture finanziarie, che non sono indicate nel documento, ha
replicato: “Se lo avessimo fatto avremmo impiegato sei mesi [sic!] per chiudere il
documento. In realtà le coperture ci sono”.
Queste risposte mi hanno fatto venire in mente un
episodio dell'assurdo al quale mi accadde di assistere esattamente 43 anni or sono. Durante
un controllo dei registri di carico e scarico delle materie prime e ausiliarie
necessarie alla produzione, approvvigionate e stoccate in magazzino, fu chiesto
al responsabile per quale motivo nei registri figurassero trascritte solo le
operazioni di carico ma non le movimentazioni di scarico. Questi, con l’aria
più pacifica del mondo, rispose: “lo scarico ce l’ho in testa”.
Testuale. Nessuno tra i presenti osò accennare a un sorriso poiché la
situazione che si presentava era assai seria. Al magazziniere fu ripetuta la
domanda, e questi, sempre con molta tranquillità, portando l’indice della mano
destra verso la tempia, ripeté: “ce l’ho tutte in testa”.
Evidentemente la deputata Laura Castelli pensa di
avere a che fare ancora con le sue bambole e non con questioni di governo di
una nazione che riguardano la vita, ossia il presente e il domani, di decine di
milioni di persone. Potrei segnalare all’on. Laura Castelli che negli ultimi giorni molte persone
hanno visto assottigliarsi il proprio gruzzoletto investito in titoli e azioni
grazie a ciò che lei e altri statisti scarabocchiavano sul cosiddetto contratto per il programma (e il peggio deve ancora venire, perciò penso di vendere tutto e comprare un gregge di pecore). A cosa servirebbe farlo presente a persone che hanno la
loro testa impegnata altrove, che sono più in declino loro che il sistema stesso?
Il magazziniere di cui sopra fu ovviamente rimosso
seduta stante dal proprio incarico. Quelli come Laura Castelli invece ce li
dobbiamo tenere perché milioni di cittadini esattamente come lei li hanno votati e
continueranno a votarli. Gli stessi che approveranno un “contratto per il programma del
cambiamento” senza sapere nulla a riguardo dei tempi di attuazione dei singoli
capitoli e nulla in riferimento alle coperture finanziarie. Quisquilie. Si
tratta di quel genere molto diffuso di cittadini sovrani molto fiduciosi sulle buone intenzioni altrui e che
non mancano mai di apporre la propria croce su un contratto senza leggerlo,
altrimenti ci vorrebbero “sei mesi”.
venerdì 18 maggio 2018
La realtà e le sue ombre
Troppo facile e comodo stracciarsi le vesti ora. Né
di destra né di sinistra, le ideologie sono morte. Così si diceva, e serviva da
sponda per demolire tutto ciò che contrastava con le sorti magnifiche e
progressive del neoliberismo. Eludendo una contraddizione fondamentale: che se
da un lato la produzione è sociale, dall’altro la proprietà è privata. Quando
lunedì scorso scrivevo: “lo Stato ha perso ruolo quale regolatore del meccanismo della riproduzione sociale, di garante e interprete dei principi costituzionali e della loro estrinsecazione nella sfera della legislazione, lasciando esposto il lavoro alla condizione darwiniana del mercato”, proprio a questo alludevo. Bisogna
dare peso alle parole. Tutto ciò che sta succedendo sotto i nostri occhi da
molti anni, non solo in Italia, e di cui paghiamo sempre più le conseguenze, ha
a che fare con tale situazione e con l’ideologia che l’ha favorita. È sempre
dai rapporti di produzione, piaccia o no, che bisogna partire se si vuol
tentare di uscire dalle nebbie della mera analisi politologica, ossia se non ci
si vuole fermare alle ombre “misteriose” proiettate sul fondo della caverna.
giovedì 17 maggio 2018
Una buona idea
con aggiornamento
L’idea di impiegare greggi di pecore per risolvere il
problema dell’ostinato ricrescere dell’erba nei parchi e giardini pubblici di
Roma non è poi così farlocca come può apparire di primo acchito. A ben
considerare essa presenta dei vantaggi prevalenti ad eventuali negatività. Anzitutto
si realizzerebbe un risparmio di spesa sul macchinario, i carburanti, il
personale, oltre ad evitare l’inquinamento acustico e dell’aria, il superamento
dell’indolenza (o altro) di chi oggi non provvede alla falciatura.
Se l’esperimento dovesse avere successo ed essere
imitato altrove, s’incrementerebbe il patrimonio ovino, la produzione di lana,
del latte e dei suoi derivati, oltre a generare un avvicinamento tra il mondo
cittadino e quello rurale, assai marginalizzato. Bisognerà però stare attenti,
specie in quel di Roma, in Magna Grecia ma anche in Gallia Cisalpina, che non
vengano a formarsi nuove municipalizzate e lobby pastorali di stampo
monopolistico.
Inoltre, e ciò non potrà non incontrare i favori del
nuovo ceto politico molto attento alle identità e tradizioni, in periodo
natalizio sarebbero in tal modo pronti e disponibili sul posto greggi e pastori
per l’allestimento di presepi viventi. All’uopo, per quanto riguarda gli asini,
il problema non sussiste, e anche per l’altro animale del presepe, quello con
le corna, l’offerta locale soddisferebbe adeguatamente la domanda.
*
"Ho riscontrato diverse valutazioni
positive" ha concluso Montanari. "Dal Wwf alla Coldiretti che ha
addirittura riconosciuto che può essere un'alternativa moderna alla transumanza
che per secoli ha caratterizzato i nostri territori. È chiaro che gli animali
autorizzati devono essere indenni da determinate patologie e sottoposti a
profilassi particolari".
I situazionisti del bel tempo che fu a questi qui gli fanno le pippe.
mercoledì 16 maggio 2018
Come Alice
È solo aria fritta. Non c’è un numero reale e non c’è
dettaglio. Non è un programma di governo, ma un pamphlet propagandistico e tra
un anno scopriremo argomenti di doglianza per un secolo. Questi statisti, che
solo a sentirli parevano far vacillare il sistema, dovevano essere fermati già
alle medie.
Come Alice stiamo ruzzolando nella tana del
Bianconiglio. Resta da scoprire quanto è profonda la tana.
In attesa di leggere i deliri a riguardo delle vaccinazioni, godiamoci quelli sui Rom (e i Sinti?):
Per i numeri reali sulla situazione, leggere qui.
*
In attesa di leggere i deliri a riguardo delle vaccinazioni, godiamoci quelli sui Rom (e i Sinti?):
Per i numeri reali sulla situazione, leggere qui.
martedì 15 maggio 2018
Si sono mai domandati perché ...
Un lettore mi ha chiesto di commentare una
trasmissione radiofonica di radio24 che aveva per tema un argomento davvero
ambizioso: Disoccupazione e ricollocazione - Marx, 200 anni dopo.
Che cazzo vuoi commentare quando senti discorsi sul
tipo che Marx era un politico, un filosofo visionario, un sociologo e non uno
scienziato, responsabile di ogni nequizia connessa a quello che è stato
chiamato poi comunismo, insomma un poveraccio tirato in ballo in occasione della crisi,
eccetera? È un genere di prodotto tipico di questo nostro tempo disordinato che
permette di dire ad ognuno di noi, attraverso i mezzi di comunicazione di
massa, tutto ciò che gli frulla per la testa.
Sono personaggi che si reputano considerevoli e
perciò non disdegnano di occuparsi di Marx come fosse stato un uomo
superficiale quanto lo sono loro, vantandosi molto a torto di conoscerne
l’opera. Se il pensiero marxiano non è il loro forte, la cialtroneria è il loro
debole.
Il loro ardimento consiste in discorsi da osteria, da
carrozza ferroviaria, da radio24 appunto, approcciando Marx non su una
conoscenza diretta, di prima mano, ma solo sulla base del proprio pregiudizio,
anteponendo alienati sarcasmi, truismi e stupidaggini ad ogni prudente
riflessione. L’unico che ha fatto un cenno un po’ serio, nel senso che non l’ha
buttata subito in caciara, è stato Seminerio, ma non ci si salva quando si
viaggia al traino di siffatte compagnie.
Il tempo brucia in fretta anche queste miserie e in
definitiva questi metafisici sono una garanzia per la reputazione di Marx. Sono
convinti che tutto ciò che differisce dalle loro certezze contrasti con la verità.
Si sono mai domandati perché Hegel e Ricardo in mano a Marx sono diventati
rivoluzionari, e Marx in mano loro può diventare solo carta da macero?
lunedì 14 maggio 2018
Quanti corazzieri saranno necessari?
Se al cospetto di Gianni Riotta, giornalista dotato
di una smisurata autostima e di un forte senso dell’umorismo involontario, già
direttore del TG1 e del Sole 24 Ore, vi lasciate sfuggire che “la sovranità appartiene al popolo”, state sicuri che vi dirà che siete dei veterocomunisti.
Se avete l’ardire di replicare che tale principio è sancito in
Costituzione, allora vi sentirete rispondere che siete proprio degli asini.
Johnny l’americano per una volta non ha solo torto. Vero
che tale principio sta iscritto all’art. 1 della Costituzione più
contraddittoria del mondo, e però nei fatti la sovranità non appartiene per
nulla al popolo. Non a quel 25 per cento che non si è recato alle urne il 4
marzo scorso, e nemmeno a quel 68 per cento che non ha votato per Di
Maio&C., e però la sovranità non appartiene, per quanto a taluni possa
sembrare paradossale, nemmeno a quel 32 per cento che ha votato per il “gobierno
del cambiamento”.
Stando alle notizie di stampa, sembra che la
sovranità appartenga a quelle poche migliaia di iscritti alla piattaforma
Rousseau di proprietà del signor Casaleggio, i quali con un clic decideranno se
il governo M5S e Lega debba nascere oppure no. Del resto, questo è un paese
dove tutti stanno al livello delle loro competenze e, come dimostra questa e
altre vicende, anche un pochino più in là.
Ai posteri resterà solo da dire: “le donne, i cavallier,
l’arme, gli amori, le cortesie e l’audaci imprese” di un’epoca singolare.
Sempre procedendo sulla via delle stravaganze,
poniamo che il 50 per cento più uno di questa gente voti contro il “programma
di governo”, e quindi, per ultronea stravaganza, che dell’esito referendario sia
dato esatto e veritiero responso, in tal caso che cosa succederà? Salterà tutto l'ambaradan
costruito in giorni e notti nel ritiro di un albergo.
Domanda: in tale caso, quando l’on. Di Maio Luigi riferirà
al presidente della Repubblica l’esito della consultazione on-line, quanti
corazzieri saranno necessari per trattenere il mite Sergio Mattarella dal
rincorrere Giggino o’ bibitaro con un’alabarda per i corridoi del Quirinale?
L'obiettivo di tirare a campare
In tema di “squilibrio” tra capitale e lavoro lo
Stato aveva progressivamente assunto il ruolo di garante delle dinamiche
interne a tale conflitto, nell’alveo giuridico dei rapporti di produzione
borghesi, vale a dire nell’ottica del meccanismo dello scambio tra domanda e
offerta.
Oggi invece lo Stato ha perso ruolo quale regolatore
del meccanismo della riproduzione sociale, di garante e interprete dei principi
costituzionali e della loro estrinsecazione nella sfera della legislazione,
lasciando esposto il lavoro alla condizione darwiniana del mercato.
Una multinazionale può liberamente eludere le
normative nazionali in materia di lavoro e spesso anche il diritto
costituzionalmente protetto dei lavoratori di organizzarsi sindacalmente
all’interno dei luoghi di lavoro (*), oltre al fatto assodato che quelle stesse
multinazionali possono esportare i profitti e scegliere la propria sede fiscale
dove più gli aggrada.
La merce lavoro è sempre più variabile dipendente dei
processi di liberalizzazione dei mercati, laddove il capitale, alla costante
ricerca di un più remunerativo saggio del profitto, sposta senza vincoli le sue
produzioni e dotazioni infrastrutturali, nella tendenziale e inarrestabile
discesa dei salari reali e caduta dei prezzi, così come nell’eccedente disponibilità
di forza-lavoro.
Alla logica della redditività industriale le multinazionali privilegiano i valori azionari, spinte da
un’inattaccabile posizione monopolistica. Come rilevava Marx un po' di tempo fa, l’aspirazione del
capitale è quella di fondare processi di accumulazione su pratiche estranee alla
produzione e al valore del lavoro, puntando a generare denaro dal denaro (D – D’).
Il processo di accumulazione del capitale segue le
sue leggi e nuove e più cruente forme di competizione tra multinazionali e tra
Stati ci attendono.
*
sabato 12 maggio 2018
Non c’è analogia possibile con il passato
Marx ed Engels ebbero modo di rendersi ben conto che
le leggi dello sviluppo storico si fanno beffe delle nostre utopie, ossia che
la storia non fa salti. Nella prima prefazione al Capitale Marx scrisse:
In
sé e per sé, non si tratta del grado maggiore o minore di sviluppo degli
antagonismi sociali derivanti dalle leggi
naturali della produzione capitalistica, ma proprio di tali leggi, di tali
tendenze operanti ed effettuantisi con bronzea necessità. Il paese
industrialmente più sviluppato non fa che mostrare a quello meno sviluppato
l'immagine del suo avvenire.
E però Marx pose in chiaro:
A
un dato punto del loro sviluppo, le
forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i
rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne
sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi
s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si
convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale.
Con il cambiamento della base economica si
sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.
Questa contraddizione ha un carattere oggettivo, ed è alla base della crisi
generale del modo di produzione capitalistico, alla radice dei fenomeni che
accompagnano la crisi della società borghese.
venerdì 11 maggio 2018
I bulli della diretta
Il signor Casaleggio manda a dire che «Il contratto
di governo con Lega sarà votato on line». È in questo retroterra immaginario
che affonda le sue radici la democrazia diretta, la lotta che il populismo
conduce contro le vituperate élite plutocratiche. Finalmente la cuoca di Lenin
potrà dire la sua sul menù: fisco, lavoro, pensioni, politica estera, eccetera.
Ci sarà da leccarsi le dita, prima di vomitare. Dopo il bullo della Leopolda,
oggi abbiamo i bulli della Rousseau. Qualcuno azzarderà dire che prima era
anche peggio. Infatti, se c’è qualcosa di più universale del peggio è il meno
peggio. Del resto se questo sistema ha ancora qualche possibilità di
sopravvivere, ciò dipende soltanto ed esclusivamente da loro. E dunque diamogli
il benvenuto.
giovedì 10 maggio 2018
mercoledì 9 maggio 2018
Disgusti
Il professor Ernesto Galli ha scritto per il Corriere un editoriale: Di Maio, Renzi e Salvini, tre leader frutto dei tempi. Credo meriti di essere letto, “a prescindere”. Elude solo una
questione, quella delle responsabilità, che non possono essere attribuite solo
ai “tempi”, signora contessa. In tal caso sarebbe come archiviarle, restando
sul terreno della mera lamentazione rimpiangendo l’idea dell’antica militia. A tal riguardo basterebbe andare
con la memoria alle posizioni espresse dall'intellighenzia negli ultimi decenni per rintracciare stili
di pensiero e di vita “frutto dei tempi”, ossia i discorsi fatti sulla “fine delle ideologie”, per prevedere in
anticipo il conflitto in crescendo tra elitismo e populismo, e quanto fosse
dubbio, tra l’altro, che ciò si potesse configurare come qualcosa di diverso di quanto accade oggi. E ancora ieri sera bastava
ascoltare Paolo Mieli, ospite di quella crocuta che risponde al nome di Giovanni Floris, nei suoi deliri pseudo storiografici.
Tortura: solo se il fatto è commesso mediante più condotte
«Separati da
un muro, perché potessero sentirsi ma non vedersi, ci sono Volinia e la
Arcangeli. Li sta interrogando Fioriolli. Il nostro capo, Improta, segue tutto
da vicino. La ragazza è legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con
una pinza, le infilano un manganello nella vagina, la ragazza urla, il suo
compagno la sente e viene picchiato duramente, colpito allo stomaco, alle
gambe. Ha paura per sé ma soprattutto per la sua compagna. I due sono molto
uniti, costruiranno poi la loro vita insieme, avranno due figlie. È uno dei
momenti più vergognosi di quei giorni, uno dei momenti in cui dovrei arrestare
i miei colleghi e me stesso. Invece carico insieme a loro Volinia su una
macchina, lo portiamo alla villetta per il trattamento. Lo denudiamo, legato al
tavolaccio subisce l’acqua e sale».
La testimonianza è dell’ex commissario della Digos e
poi questore Salvatore Genova, allora a capo di una squadra di torturatori
detta dell’Ave Maria, che si occupava di interrogare e, secondo la confessione
di Genova stesso, torturare i brigatisti e sospetti tali. Facevano un “uso
massiccio di waterboarding (tortura dell'acqua), ma anche di violenze sessuali,
pestaggi e abusi psicologici”. Salvatore Genova in seguito divenne deputato nelle
file del PSDI, che poi lasciò per aderire alla DC (*).
La ragazza è Elisabetta Arcangeli, sospettata di
essere collegata alla Brigate rosse. Il lavoro sporco venne eseguito, insieme
alla sua squadretta di esperti del waterboarding, la tortura dell’acqua e sale,
da Nicola Ciocia, alias professor De Tormentis, funzionario proveniente dalla
Digos di Napoli. L’ordine veniva dall’alto, ben sopra il capo della polizia
Coronas. Il semaforo verde giungeva dal vertice politico, “direttamente dal
ministro Virginio Rognoni”.
«Il capo dell’Ucigos,
De Francisci, ci dice che l’indagine è delicata e importante, dobbiamo fare
bella figura. E ci dà il via libera a usare le maniere forti [… ] con la mano destra indica verso l’alto, ordini che
vengono dall’alto, dice, quindi non preoccupatevi, se restate con la camicia
impigliata da qualche parte, sarete coperti, faremo quadrato. […] Fino a
dove arriverà la copertura? Fino a dove possiamo spingerci? Dobbiamo evitare
ferite gravi e morti, questo ci diciamo tra di noi funzionari. E far male agli
arrestati senza lasciare il segno».
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