giovedì 31 maggio 2012

Il terremoto necessario



Il paese sta vivendo la crisi economica più grave della sua storia recente, milioni di salariati sono senza lavoro o rischiano di perderlo, moltissimi giovani non l'avranno mai. Il debito pubblico non è mai stato così alto nella storia della repubblica, i capitali fuggono dal paese, i risparmi lasciano le banche per il materasso, la sfiducia è ovunque. Ci mancava solo il terremoto, una tragedia che non promette di finire e anzi potrebbe aggravarsi.

E loro che fanno? La parata militare, sobria però: senza carri armati, aerei e cavalli (ci sono anche quelli da mantenere). In compenso hanno deciso di aumentare le accise della benzina per ricavare 500 milioni da destinare ai terremotati. Bastava portare l’acquisto dei nuovi cacciabombardieri da 90 a 85. Basterebbe ritirare dall’Afghanistan le truppe che non si sa bene cosa ci stiano a fare. Per non dire delle opere pubbliche inutili, dell’Expo di Milano, ecc..

Chi crede che con il voto si possa cambiare questo stato di cose si sbaglia, oppure illude dolosamente. Per mandare a casa questa gentaglia ci vuole un terremoto sociale, un movimento di massa che faccia crollare tutto, che non lasci in piedi nulla di questo sistema. Solo dopo aver fatto tabula rasa si potrà ricostruire qualcosa di decente. Il momento forse non è poi così lontano, può arrivare improvviso e inaspettato, come il terremoto.

mercoledì 30 maggio 2012

I principi sociali del cristianesimo



I principi sociali del cristianesimo hanno ormai avuto il tempo di svilupparsi per milleottocento anni, e non hanno bisogno di essere ulteriormente sviluppati da consiglieri concistoriali prussiani.

I principi sociali del cristianesimo hanno giustificato la schiavitù antica, esaltato la servitù della gleba medievale, e se necessario si prestano anche a difendere l'oppressione del proletariato, sia pure assumendo un’aria un po’ lamentosa.

I principi sociali del cristianesimo predicano la necessità di una classe dominante e di una classe oppressa, e a favore di quest'ultima esprimono soltanto il pio desiderio che la prima voglia essere caritatevole.

I principi sociali del cristianesimo trasferiscono in cielo la compensazione di tutte le infamie, come la intendono i consiglieri concistoriali, e giustificano così la continuazione di queste infamie sulla terra.

I principi sociali del cristianesimo dichiarano che tutte le bassezze commesse dagli oppressori contro gli oppressi sono o giuste punizioni per il peccato originale e di altri peccati, oppure prove che il Signore impone ai redenti nella sua infinita saggezza.

I principi sociali del cristianesimo predicano la viltà, il disprezzo di sé stessi, l'avvilimento, la mortificazione, il servilismo, l'umiltà, insomma tutte le qualità della canaglia, e il proletariato, che non vuol far trattare da canaglia, ha molto più bisogno del suo coraggio, del suo  senso di sicurezza, del suo orgoglio, del suo spirito d’indipendenza che del suo pane.

I principi sociali del cristianesimo sono ipocriti, e il proletariato è rivoluzionario.

(K. Marx, da un articolo della Deutsche-Brüsseller-Zeitung, 12-9-1847, in MEOC, VI, 243-44).

martedì 29 maggio 2012

Com'è triste l'Europa



Che le idee dipendano dal corso delle cose è faccenda ancora dura da digerire. Per esempio, è passata finalmente l’idea che la produzione sia sottoposta a leggi economiche, tuttavia resta salda la convinzione che per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza, questa dipenda dall’influenza che esercita la politica sulla società e fattori consimili. Ecco che la crisi del capitalismo viene in generale intesa essenzialmente come il portato di scelte politiche sbagliate o sbilanciate. Ha un bel sottolineare Marx che egli concepisce lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale (Pref. al Libro I).

Questo non esclude che determinate situazioni e personaggi non possano giocare un ruolo nella storia, ma non c’è da farsi illusione alcuna per quanto riguarda la leadership europea attuale. E del resto la crisi dell’Europa, economica, politica, sociale, demografica deve essere considerata in una prospettiva storica completamente diversa da com'è rappresentata, in generale, dai media.

Joshka Fischer, ex leader dei Grunen ed ex ministro degli esteri tedesco, in un’intervista al Corriere della Sera di tre giorni fa lucidamente osservava:

«Sono stato spesso a Venezia, ma solo alcuni mesi fa, per la prima volta ho dormito in laguna. Un’esperienza indimenticabile: alle sette della sera, la città era vuota, nulla sembrava vivo. E allora ho pensato alla Serenissima, alla grande potenza che ha dominato il Mediterraneo e parte del Medio Oriente, esercitando per secoli una forte egemonia economica, politica e culturale, ridotta a un bellissimo museo deserto. Vogliamo che anche l’Europa diventi questo? Non credo, ma potremmo esservi molto vicini».

Non dipende più da noi.

lunedì 28 maggio 2012

La salamandra



Dichiara virgolettato il presidente di questa repubblica a proposito dell’ennesima strage di Stato, nella fattispecie quella di Brescia, che vi furono “ostacoli che una parte degli apparati dello Stato frappose alla ricerca della verità”.

Sono quarant’anni che sentiamo amenità come queste, delle quali ci si dovrebbe stupire solo se non stupissero. E difatti non stupiscono più. Quali apparati, controllati e diretti da chi e per quali motivi, si “frapposero”? Uno Stato decente (ripeto: appena decente), a fronte di questi fatti, a suo tempo, avrebbe divelto anche le piastrelle dei bagni di Forte Braschi e del Viminale, così come di palazzo Carli (VR), ecc..

E basta anche con la storiella dei fascisti (meri esecutori) così come ora con quella dei cosiddetti anarco-insurrezionalisti. Un po’ di fantasia, almeno quella. Ho memoria buona, rammento quando Alberto Ronchey scriveva: “se fosse davvero terrorismo di Stato saremmo in presenza di un sistema di governo criminale, nessuno dovrebbe aver a che fare con un simile potere: né comunisti, né socialisti, né altri” (*).

I cosiddetti comunisti e socialisti hanno avuto a che fare, eccome, con questo sistema di potere criminale. Ora, come nel 1969, siamo alla fase di preparazione, di allestimento, in attesa del grande botto. Intanto prepariamo l’opinione pubblica con gli annunci del “ritorno dello stragismo”.

Certo era ver, ma crdibil non era
a chi del senno suo non fosse padrone.


(*) Accadde in Italia, 1968-1977.

domenica 27 maggio 2012

In Vaticano



Che cosa sta accadendo esattamente in Vaticano non è dato sapere. Gli schiamazzi che si avvertono all’esterno sono di una guerra senza quartiere, per bande. Non è una novità nella storia di tale organizzazione di soli maschi così bizzarri. La lotta che è combattuta tra fazioni è il risultato scontato, tra l’altro, dell’immobilismo che caratterizza la Chiesa cattolica da almeno un quarantennio. Poi cade in pezzi perché essa rappresenta il più anacronistico retaggio di un’epoca tramontata, il crepuscolo dei burocrati della promessa celeste: non c’è casa di porcellino virtuoso che possa fermare il vento forte della storia.

In un periodo nel quale la vita delle persone è ricondotta, dalla crisi storica del capitalismo al culmine della sua fase espansiva e totalizzante, a una sola realtà, quella economica, la meccanica dei gesti ieratici di un uomo vestito da satrapo orientale, calzato e imberrettato di rosso, circondato da un’accolta di falsi eunuchi che fingono spudoratamente ripugnanza per il corpo e i sordidi interessi, stride con lo spirito moderno e con la coscienza che apre gli occhi su tutto, con la scienza che spoglia a nudo il mito e le vecchie certezze delle epoche del predominio agrario.

Non è necessario annusarne da vicino i comportamenti per capirlo, basta fare attenzione alle loro profezie abusive che hanno perso la faccia. Hanno gridato, tra il sangue e il fango, per quasi due millenni la salvezza dell’umanità e la venuta dell’Apocalisse. Questa, se anche venisse, non si distinguerebbe da una possibile aurora nucleare o semplicemente dalla sorte quotidiana destinata a miliardi di esseri umani sfruttati e sviliti per mantenere l'opulenza di meno di un quinto della popolazione mondiale.

Questa Chiesa di compilatori e masticatori di concetti, non è più in grado di adattarsi ai meccanismi dell'economia e della vita moderna, e anzi s’ostina a vituperare i piccoli piaceri della carne che la tirannia del capitale non ha ancora confiscato al profitto, persevera fin dall’infanzia a instillare la credenza dell’incurabile impotenza degli esseri umani. E tuttavia essa si scopre sconvolta dallo stesso inesorabile destino che ha travolto a suo tempo gli antichi dei. Come loro, la Chiesa cattolica apostolica romana morirà due volte: nel pensiero degli uomini che hanno creato il mito dell’uomo-dio risorto e nella loro coscienza che finalmente dopo migliaia di anni può autonomamente decidere per una nuova spiritualità affrancata dalle credenze religiose.

venerdì 25 maggio 2012

L'equivoco grillista



Hanno un bel dire i grillisti accusandoci di essere dei pantofolai, ma quando poi ci si renderà conto che non è realizzabile ciò che è ritenuto possibile e quasi a portata di mano, ossia che non c’è corrispondenza tra la realtà e la sua immagine disegnata dai proclami, prenderà il sopravvento la parte più reazionaria di quel tipo di movimento.

L’insieme dei punti programmatici del Movimento cinque stelle sono già ampiamente escussi da più parti, per esempio qui, perciò non credo resti da aggiungere altro se non che la rivoluzione grillista è di un vuoto politico disarmante, e fa anzi di tale mancanza un punto d’onore.

A me interessa l’aspetto più propriamente ideologico del grillismo. Già la frase “la democrazia batte il capitalismo” denuncia che si dovrebbe tornare sui banchi di scuola e farsi spiegare che la democrazia borghese, o comunque denominata e quale noi conosciamo, senza il capitalismo non esisterebbe nemmeno.

Se invece s’intende contrapporre “democrazia” versus capitalismo feroce e speculatore, quello cattivo per intenderci, allora non si coglie, come ho rilevato in altre occasioni, in che cosa consiste fondamentalmente il capitalismo, ma soprattutto, soggiungo, la natura del rapporto che necessariamente viene a stabilirsi tra l’economia e la sfera politica e statuale, per non parlare poi di classi sociali e simili.

Per raddrizzare il sistema politico da capo a piedi, il Movimento punta sull’attività volontaristica, il limite dei due mandati, la fedina penale intonsa dei candidati e insomma il voto di osservanza del settimo comandamento: una democrazia rappresentativa decente sotto l’aspetto formale e dei più correnti principi etici.

E tuttavia proprio su questi punti il grillismo predica bene e razzola male, dal momento che si tratta di un movimento politico incentrato sulla figura di un capo carismatico dal quale passano tutte le decisioni che contano e anche quelle di dettaglio, come ha ben rappresentato Malvino in un suo post tracciando un parallelo tra Grillo e Pannella (o magari quello con Guglielmo Giannini).

Resta da stabilire poi (e qui richiamo un post dei giorni scorsi) se in un paese di stragi e di servizi e servizietti, di mille collusioni e camarille, di fitti intrecci economici tra illegalità e legalità, si possa veramente e radicalmente cambiare qualcosa seguendo la via del riformismo, oppure se anche quello di Grillo, come peraltro ho già scritto, non sia un altro espediente per alzare il solito grande polverone e non cambiare nulla.

La sentenza non serve che la pronuncino i posteri perché l’insufficienza della proposta politica grillista non tarderà di venire in luce man mano che la crisi economica incrudisce e salariati e pensionati chiederanno lavoro e reddito per campare. Allora vedremo se la democrazia grillista batte il capitale.

giovedì 24 maggio 2012

Euroballe











Bastano questi tre titoli per dire come stanno le cose. Il presidente della repubblica che parla di possibile ritorno dello stragismo: il mio post di qualche giorno fa non era campato in aria. Ciò che dice Napolitano è di una gravità inaudita poiché egli ha a disposizione informazioni che i comuni mortali non hanno. Non governano ma regnano nel torbido.

* * *

Quanto al resto, la situazione non è migliore. I tedeschi, finché possono, s’avvantaggiano della crisi dell’euro e piazzano i loro titoli a due anni ad un tasso dello 0,07%. Qualcuno potrà dire: e chi se ne frega se hanno tassi d’interesse così bassi! La differenza si nota quando vai a chiedere un mutuo o un credito in banca. Se per fare andare avanti la tua azienda devi pagare un interesse superiore del 5% rispetto al tuo omologo tedesco, la differenza la capisci subito.

Dopo il G8, inconcludente, e dopo la cena dei cretini di ieri sera, nella quale non erano previste peraltro decisioni, si rinvia a fine giugno per un’altra vacanza gratis, a spese nostre perché si terrà a Roma. Chi crede agli eurobond è uno sciocco (tra l’altro non sono previsti dai trattati); ma non lo è Hollande, il quale è costretto a recitare la parte prima delle elezioni legislative. Che Monti dica che "L'Italia vede molto favorevolmente la creazione, quando i tempi saranno più maturi, non fra moltissimo tempo, di eurobond” è una boutade degna di Berlusconi.

La Grecia sarà tenuta nell’euro per i capelli fino alle ennesime elezioni, poi si vedrà. Non è escluso che all’interno del paese si adotti una moneta di pagamento diversa da quella comunitaria (mentre si pagano i debiti in euro!).

Il problema grosso è quello delle banche sottocapitalizzate, con in cassa meno soldi di quanto sarebbe mediamente necessario. In ogni caso i famosi 27 sono uniti in una cosa : far pagare la crisi a salariati e pensionati.

* * *
Intanto vendiamo un altro po’ di argenteria: l’Hitachi Rail al 50% di Ansaldo Breda e al 29% di Ansaldo Sts; anche Ansaldo Energia, controllata al 55% da Finmeccanica, potrebbe cambiare padrone e così la Breda Menarini (autobus); sempre Finmeccanica è in uscita da Avio (14% di azioni). Anche per Wass (siluri) e l’Oto Melara si annunciano apparentamenti stranieri. Ci resteranno i festival del cinema e le sagre paesane.
 

mercoledì 23 maggio 2012

Ammuina



La crisi dei partiti, del loro essere sistema esclusivo, articolatissimo di compromessi, clientelismi e corruttele infinite, è così evidente e conclamata che perfino i loro leader devono ammettere pubblicamente qualcosa. Hanno un bel dire nel sostenere che senza partiti non c’è politica, ma il punto è proprio questo: quale politica e per quali obiettivi possibili. È chiaro a tutti ormai che il re è nudo, che le decisioni sono prese altrove e i partiti, oltre a dividersi e scannarsi per il tradizionale bottino, sono chiamati ad operare come meri esecutori di ordini altrui.

È vero che alcuni governi nazionali hanno preso l’euro per un bancomat, ma non possiamo addossare loro colpe che non hanno. Il 4 ottobre scorso scrivevo che un sistema economico basato su una moneta unica dove i paesi più forti esportano merci e capitali e quelli più deboli importano merci e debito è destinato a vivere situazioni dove i governi non possono stampar moneta o svalutare e debbono seguire politiche restrittive imposte loro. Perciò è chiaro – aggiungevo – che la loro funzione è quella di essere dei quisling, esattori d’imposte e gestori dell’ordine pubblico. La loro responsabilità di collaborazionisti ricade quindi tutta nella modulazione delle “manovre”.

Oggi è ben chiaro che alla crisi finanziaria s’aggiunge quella produttiva, quindi una crisi di sistema che sta terremotando l’intera società occidentale. Il grande capitale e i suoi complici hanno deciso per un mercato mondiale nel quale alcuni paesi possono starci come vogliono e proprio grazie alle loro particolari condizioni, mentre gli altri sono costretti a seguire delle regole in un contesto ben diverso. Ormai è chiaro che il sistema occidentale non è più in grado di riprodurre la forza-lavoro secondo gli standard del “benessere” diffuso, che anzi la manodopera sia qualificata quanto generica eccede di gran lunga la richiesta a fronte di un debito pubblico insostenibile.

Le domande essenziali alle quali rispondere sono in definitiva poche: fino a quando reggerà il nostro sistema, cioè fino a quando i pochi che producono valore reale potranno mantenere i moltissimi che non lavorano e anche i molti impiegati in attività (senz’altro utilissime) che non producono ricchezza? Se si scappa da queste domande si fa solo filosofia.

I partiti non possono dare risposte efficaci a questa situazione, sia perché sono strutturalmente inadeguati e vincolati a determinati interessi, sia perché risposte sul piano riformistico non ne esistono.  Semplicemente. Allora le “forze furbe” tentano la carta della “piattaforma ambientalista e anticonsumista”, cavalcando Beppe Grillo e quelli disposti, se non a crederci, almeno a illudersi una volta di più.

Questi movimenti se si trovassero a governare si accorgerebbero della loro totale impotenza a fronteggiare problemi che hanno una scala quantomeno continentale e spesso mondiale. Certo, potrebbero razionalizzare la spesa pubblica, togliere risorse a progetti demenziali per destinarle a cose più importanti e utili, ma il fatto è che loro a governare effettivamente i flussi della spesa pubblica non ci arriveranno mai. Sono solo truppe di manovra, per fare ammuina, nient’altro.

martedì 22 maggio 2012

Eroici pezzi di merda



C’è chi pensa che basti stampare moneta per uscire dalle crisi e anche le massaie ormai ti spiegano, signora mia, che stare nell’euro è un dissanguamento e uscirne è da incubo. Questa è la nuova strategia della tensione e lo spread fa più vittime delle bombole, finché troverà, dall’alto del suo patibolo, vittime e credito.

Per fortuna la sollecitudine ardita della considerevole banda Monti non esita di esporre la propria reputazione alle malignità del volgo per il bene del paese. L’ultima pensata coraggiosa sono le agevolazioni fiscali per ristrutturare casa aumentate dal 36 al 50%. Noi paghiamo le tasse e i ricchi ristrutturano le loro ville. Se devi cambiare un rubinetto non trovi un artigiano che ti faccia fattura neanche a minacciarlo; ma se puoi spendere fino a 96mila euro per farti la sauna in casa, una ditta che fattura una ristrutturazione ad hoc la trovi sempre.

Tra un anno o due le Pmi italiane saranno morte. Quelle non internazionalizzate, sono destinate al fallimento; quelle che si rivolgono all’export, tranne qualche comparto particolare, sono schiacciate dal cambio; le altre non investono più perché investire in Italia è diventato un suicidio. La grande industria a partecipazione statale, i pochi bocconi ancora buoni a cominciare da alcune attività di Finmeccanica ed Eni, sono destinate a essere al più presto svendute. Un popolo degno di questo nome e che sapesse fare due più due appenderebbe ai lampioni i responsabili dell’ennesima rapina, altro che marciare.

E invece di ribellarci a questo inganno di burocrati e borghesi, di seppellire il sistema di soprusi delle istituzioni che dicono di rappresentarci e parlano in nostro nome, come ingenui tifosi votiamo e sparliamo di cinque stelle e di vittoria del Pd. Tuttavia la storia non funziona come un ballarò o un parlamento e sono sempre di più coloro che se ne fanno persuasi. Il timore del potere è che questa gente tragga anche altre conseguenze. Perciò il mio post dell’altro giorno sulle bombole di Brindisi sarà più chiaro in futuro che non al presente (qualunque esito sortiranno le "indagini").

Questo miserabile e disgraziato paese che si dice democratico e che in forza di questa vuota parola vuole solo sentirsi rassicurato, in realtà è governato, con palese facoltà di prova, da alcune decine di eroici pezzi di merda e qualche migliaio di deficienti, i quali temono soprattutto le conseguenze dell’intelligenza (che il nostro tempo produce suo malgrado) ancor più di quelle della stupidità.

lunedì 21 maggio 2012

I migliori



A Brindisi «stanno lavorando le migliori energie e menti investigative del Paese, la magistratura è unita». È dal 1969 almeno che leggo di queste frasi. Sembra che in Italia le migliori intelligenze siano tutte al servizio dello Stato e infatti i risultati sono noti. Come dimenticare, nel 1975 al processo di Catanzaro per la strage di Piazza Fontana, le facce migliori di Miceli, Maletti, Tanassi, Rumor, Andreotti?

Ricordo come fosse ora uno scambio esilarante di battute tra il presidente del tribunale e l’ammiraglio Eugenio Henke, già direttore dei servizi segreti della Difesa (SID), a proposito di una lettera recante la sua firma. Il presidente: “Ammiraglio, è sua questa firma?”; Henke, dapprima titubante: “Sì è la mia”; presidente: “Quindi lei autorizzò!”; Henke: “Sì, presidente, ma se lei nota, la mia firma è solo una sigla piccolina [testuale], segno che non ero molto d’accordo con il contenuto di quel documento”.

I filmati di quel processo, la Rai, non potendoli distruggere come ha fatto per quelli del biennio di lotte 1968-’69, non li ritrasmette mai.

L’ammiraglio Eugenio Henke divenne capo di stato maggiore della Difesa nel 1972.

* * *

Anche a Camp David hanno lavorato le migliori menti, quelle dell’establishment politico mondiale. Doveva essere il summit più importante degli ultimi trent’anni, quello che ci dovrebbe tirare fuori dalla crisi e invece è stato solo chiacchiere e distintivo, un pourparler sul fatto che crescita e consolidamento dei bilanci devono andare di pari passo.

Se tre anni fa per tenere fuori la Grecia dal baratro occorrevano alcune decine di miliardi, ora non ne bastano trecento. In un sistema finanziario dove chiunque può comprare dei credit default swap puntando sul fallimento di uno Stato, è chiaro chi abbia guadagnato da questa situazione. Anche da noi non mancano enti pubblici che stipulano contratti di derivati scommettendo sull’insolvenza dell’Italia. Se a Brindisi si tende a far passare l’attentato come il gesto individuale di un folle, per quanto riguarda la finanza internazionale si tratta, di là di ogni ragionevole dubbio, di un manicomio criminale in piena regola.

Il mondo è in mano a gruppi di gangster la cui falsa coscienza si esprime sempre nell’ideologia della rapina, del profitto ad ogni costo. Le ultime vicende della JP Morgan lo dimostrano. I media ne parlano come se si trattasse di metafisica, di qualcosa che non ci riguarda. Ed è proprio quando servirebbe l’intelligenza per capire con rapidità cosa c’è dietro ogni menzogna propinata che le migliori menti latitano. Chissà perché.

sabato 19 maggio 2012

Domande e risposte elementari



Non ne sentivamo la mancanza, ma le bombe, gli attentanti, gli affari torbidi li stavamo aspettando, così come si attende il transito di un treno a un passaggio a livello chiuso. È il modo in cui le forze multicolori della conservazione ci ricordano che non potendo più governare sono ancora loro a regnare. Non ha importanza chi siano gli esecutori contingenti di tale volontà, specialisti del plastico o sicari da quattro soldi, né quali mezzi essi utilizzino, sofisticati o rudimentali. E tanto meglio se credono di agire per i più diversi e improbabili motivi.

Cosa scriveva un procuratore di Palermo meno di tre anni fa sul Corriere della sera a proposito di questo stato di cose?

« … un terribile e irrisolto affare di famiglia, interno a una classe dirigente nazionale tra le più premoderne, violente e predatrici della storia occidentale, la cui criminalità si è estrinsecata nel corso dei secoli in tre forme: lo stragismo e l’omicidio politico, la corruzione sistemica e la mafia. Tre forme criminali che essendo espressione del potere sono accomunate non a caso da un unico comun denominatore, che è il crisma stesso del potere: l’eterna impunità garantita ai mandanti eccellenti di stragi e omicidi politici e ai principali protagonisti delle vicende corruttive».

Sapete in quale pagina il Corriere ha pubblicato questo intervento il 26 agosto 2009, quando stavamo al mare e ai monti? In quella degli spettacoli. Giustamente, dato che Scarpinato esordiva nel suo articolo così:

«Se provate a chiedere a un fruitore medio di fiction e di film sulla mafia che idea si sia fatto della stessa, vi sentirete sciorinare i nomi dei soliti noti: Riina, Provenzano, i casalesi e via elencando. Sentirete evocare frammenti di una storia di bassa macelleria criminale, intessuta di omicidi, cadaveri sciolti nell’acido, estorsioni, traffici di stupefacenti, di cui sono esclusivi protagonisti personaggi di questa risma: gente che viene dalla campagna o dai quartieri degradati delle città, e che si esprime in un italiano approssimativo. Una storia di brutti sporchi e cattivi, e sullo sfondo la complicità di qualche colletto bianco, di qualche pecora nera appartenente al mondo della gente “normale”. […] Questo, con le dovute varianti, il pastone culturale ammannito da fiction e film di conserva con la retorica ufficiale televisiva, e metabolizzato dall’immaginario collettivo. Un pastone che non fornisce le chiavi per dare risposta ad alcune domande elementari».

Già, delle cose più elementari gli “esperti” che sui media puttaneggiano da mane a sera non dicono mai nulla. Soprattutto su un fatto molto elementare non possono dire nulla. Immaginiamoci un telegiornale che apra con tale affermazione: "il potere non può risolvere nessuno dei cosiddetti problemi gravissimi dal momento che sarebbe il potere stesso ad essere messo in questione". È ciò che accade effettivamente nella realtà concreta di tutti i giorni, ma si tratta di una verità che non si può ufficializzare perché pericolosa e che implica una conseguenza elementare: è venuto il momento di risolvere tutti i problemi del nostro tempo direttamente.

Quello che resta



La storia non trova alunni, diceva qualcuno. E l’aver ignorato gli ammonimenti della storia recente ci sta riportando, dopo qualche decennio di facili entusiasmi, a dover fare i conti con vecchi nodi irrisolti. E che si tratti sostanzialmente degli stessi problemi della prima metà del Novecento mi pare evidente. Così evidente che la cosa viene semplicemente ignorata.

Si sta diffondendo la consapevolezza che qualcosa di grosso sta per succedere, ma non si sa bene che cosa.  Per esempio: se nei prossimi anni salta l’euro, salari e pensioni non avranno più valore e, con la crisi di lavoro che c’è, il risultato politico è più che certo. Chi sogna l’Argentina non sa cosa sia realmente successo in quel paese. E quell’esperienza, del resto, non è sovrapponibile all’Europa per molti motivi. Se invece resiste l’euro, saremmo strozzati.

Non possiamo prescindere dalla Germania ed essa non può fare a meno dell’Europa e senza l'euro le sue Audi e Mercedes costerebbero almeno il doppio. Una soluzione si troverà ma non è in vista per molte ragioni. La più grossa è che a decidere non è la politica, non sono gli Stati. In Francia, tanto per fare un esempio, alle ultime elezioni presidenziali non si è scelto semplicemente un candidato di “sinistra” invece che uno di “destra”. Quando il direttore della propria campagna elettorale si chiama Pierre Moscovici, vicepresidente del Cercle de l’industrie, una lobby che riunisce i dirigenti dei principali gruppi industriali francesi, di che scelta si tratta?

Chi prende le decisioni che contano non sono le marionette che si riuniscono nei vertici internazionali. Nel caso di Mario Monti si tratta poi solo di un esattore delle tasse nominato con il consenso di Francoforte e Berlino. Dal canto suo la Merkel fa quello che gli dice la finanza e l’industria tedesca in grado di condizionare attraverso il controllo dei media il subpensiero delle birrerie. Se solo circa lo 0,2% della popolazione mondiale controlla la metà dell’intera capitalizzazione di borsa del pianeta, come scrive Le Monde diplomatique, non è un mistero chi comanda. Di questi poche migliaia controllano i pacchetti di maggioranza delle più grandi banche e corporation. Si tratta di quei pochi che con il ricatto del debito pubblico e le relative speculazioni si stanno comprando il mondo. Anzi, quello che resta.

giovedì 17 maggio 2012

Partita doppia



C’è chi è convinto, naturalmente in base ad argomentazioni che ritiene incontrovertibili, che scrivere e pubblicare un giornale costituisca un’attività economica come le altre, soggetta alle stesse regole di mercato. Con questi ayatollah del mercato è inutile replicare. Per gente come questa anche un pronto soccorso dovrebbe avere la partita doppia. La riproduzione dei rapporti sociali operanti si basa su un solo principio: il profitto. La stessa cosa avviene in un ospedale quando si valuta se sia conveniente sottoporre un anziano (un’anima comune, ovviamente) a un determinato trattamento sanitario oppure no. I medici non lo dicono, ma questo è un tipo di valutazione di routine che ha come base, in non pochi casi, una considerazione di tipo economico. È questa la dialettica sociale corrente, il suo carattere ideologico e necessariamente di classe nella formazione sociale capitalistica, ritenuta peraltro la più avanzata.

È nel pieno di questa schizofrenia collettiva che tutto diventa normalmente schizofrenico. Un lager manicomio dove ognuno è imprigionato secondo schemi determinati e precisi di regole e divieti, dove il malessere sociale viene somatizzato secondo specificità di classe e la paura serve a intimidire e a rafforzare i meccanismi di controllo. Può succedere così che un’agenzia statale pignori l’abitazione per un debito fiscale a chi è creditore da anni dello Stato insolvente. Sempre meglio, si dirà, che essere condannati e giustiziati per un caso di omonimia com’è successo negli Usa. Chi può dire in questi e moltissimi altri casi che cos’è stata la propria vita?

Fino ad arrivare al punto che un’intera nazione è condannata al ludibrio internazionale e alla miseria per non aver onorato il proprio debito dopo che su di esso sono stati applicati interessi di vero e proprio strozzinaggio. L’interesse di pochi, di pochissimi, domina il mondo e trova nell’ideologia del dominio e della crisi, nelle sue diverse varianti e non ultima quella del determinismo biologico razzista (i greci sono un popolo di fannulloni), masse enormi di sostenitori convinti. Del resto l’enorme estensione della comunicazione mediatica è divenuta, come scriveva McLuhan, “talmente penetrante nelle sue conseguenze personali, politiche, economiche, estetiche, psicologiche, morali, etiche e sociali, da non lasciare alcuna parte intatta, vergine, immutata”. E tutto ciò basta perché anche il più limpido dei ragionamenti possa, all’occasione, trovare unanime disapprovazione. E ciò vale anche per l’opposto, cioè il suffragio mediatico per le tesi più demenziali.


martedì 15 maggio 2012

Il volto dei signori del debito


di Geoffrey Geuens*

Passato dalla banca pubblica alla finanza privata, e da François Mitterand a François Bayrou, Jean Peyrelevade spiegava nel 2005: «Il capitalista non è più direttamente identificabile. (...) Rompere con il capitalismo significa rompere con chi? E mettere fine alla dittatura del mercato, fluido, mondiale e anonimo significa prendersela con quali istituzioni?». L’ex vice capo di gabinetto del primo ministro Pierre Mauroy ne traeva dunque la conclusione che «Marx è impotente per mancanza di un nemico definito (1)».

Che un rappresentante dell’alta finanza – presidente di Banca Leonardo France (famiglie Albert Frère, Agnelli e David-Weil) e amministratore del gruppo Bouygues – neghi l’esistenza di un’oligarchia è forse cosa di cui stupirsi? Casomai è più strano il fatto che siano i media a trasmettere quest’immagine astratta e depoliticizzata dei potentati del denaro. In tal senso, la copertura giornalistica della nomina di Mario Monti alla presidenza del consiglio in Italia fornisce un perfetto esempio di discorso-paravento, che chiama in causa «tecnocrati» ed «esperti» laddove semplicemente si fa un governo di banchieri. Sul sito web di certi quotidiani, si poteva perfino leggere che le leve del comando erano appena state rilevate da «personalità della società civile» (2).

Data la presenza anche di alcuni docenti universitari nella squadra di Monti, i commentatori hanno deciso in partenza di attestarne la scientificità della politica. Se non che, a uno sguardo più attento, si vede come la maggior parte dei ministri sieda nei consigli d’amministrazione dei principali gruppi d’affari della Penisola.

Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, è amministratore delegato di Intesa Sanpaolo; Elsa Fornero, ministro del Lavoro e professoressa di economia all’università di Torino, è vicepresidente della stessa banca; Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione e della ricerca e rettore del Politecnico di Torino, è amministratore di UniCredit Private Bank e di Telecom Italia – controllata da Intesa Sanpaolo, Generali, Mediobanca e Telefonica –, dopo essere transitato anche per Pirelli; Piero Gnudi, ministro del Turismo e dello sport, è amministratore di UniCredit Group; Piero Giarda, incaricato dei Rapporti con il parlamento, professore di scienza delle finanze all’università Cattolica del Sacro cuore di Milano, è vicepresidente del Banco popolare e amministratore di Pirelli. Quanto a Monti, è stato consulente di Coca Cola e Goldman Sachs, e ha fatto parte dei consigli d’amministrazione di Fiat e Generali.

Se i dirigenti politici del socialismo europeo non trovano ormai parole abbastanza dure per denunciare l’onnipotenza dei «mercati finanziari», la riconversione degli ex «tenori» del liberalsocialismo si consuma senza manifestazioni di indignazione troppo rumorose da parte dei loro compagni di una volta. Ex primo ministro dei Paesi Bassi, Wim Kok è entrato a far parte dei consigli d’amministrazione dei cartelli olandesi International Nederlanden Group (Ing), Shell e Klm. Il suo omologo tedesco, l’ex cancelliere Gerhard Schröder, si è anch’egli riciclato nel settore privato nella veste di presidente della società Nord stream ag (joint venture Gazprom-E.on-Basf -Gdf Suez-Gasunie), amministratore del gruppo petrolifero Tnk-bp e consigliere per l’Europa di Rothschild Investment Bank. Una traiettoria solo apparentemente sinuosa che in realtà non ha niente di singolare. In molti fra gli ex ministri del suo gabinetto – e membri del Partito socialdemocratico tedesco (Spd) – hanno infatti smesso i panni dell’uomo di stato per vestire quelli dell’uomo d’affari: l’ex ministro dell’Interno Otto Schilly è al momento consulente del gruppo finanziario Investcorp (Bahrain), in cui si ritrova al fianco dell’ex cancelliere conservatore austriaco Wolfgang Schüssel, del vicepresidente della Convenzione europea Giuliano Amato e di Kofi Annan, l’ex segretario generale dell’Organizzazione delle nazioni unite (Onu). L’ex ministro dell’Economia e del lavoro tedesco, Wolfgang Clement, è socio della società RiverRock capital e amministratore di Citigroup Germania. Il suo collega Caio Koch-Weser, sottosegretario di stato alle Finanze dal 1999 al 2005, è vicepresidente della Deutsche Bank. Infine, il ministro delle Finanze del primo governo Merkel, l’Spd Peer Steinbrück, è tra gli amministratori di ThyssenKrupp. Quanto ai «degni eredi» (3) di Margaret Thatcher ed ex leader del Partito laburista, si sono dati anch’essi all’alta finanza: l’ex ministro degli Affari esteri David Miliband è consulente delle società VantagePoint capital partners (Stati uniti) e Indus basin holdings (Pakistan); l’ex commissario europeo al commercio, Peter Mandelson, lavora per la banca d’affari Lazard; mentre lo stesso Anthony Blair unisce ai posti di consigliere della società svizzera Zurich Financial Services e di gestore dei fondi d’investimento Landsdowne Partners quello di presidente del comitato di consulenza internazionale di JPMorgan Chase, insieme ancora a Kofi Annan e a Henry Kissinger.

Un elenco questo che ci spiace di dover infliggere al lettore, ma che diventa indispensabile fare, data la sistematicità con cui i media omettono di informare sugli interessi privati delle personalità pubbliche. Inoltre, al di là della porosità tra due mondi spesso descritti come separati – se non contrapposti –, l’identificazione degli agenti doppiogiochisti è necessaria alla giusta comprensione del funzionamento dei mercati finanziari.

Contrariamente a un’idea in voga infatti, la finanza ha un, o meglio, diversi volti (4), che non sono né quello del pensionato della Florida né quello del piccolo risparmiatore europeo dipinti dalla stampa compiacente, ma piuttosto quelli di un’oligarchia di proprietari e gestori di ricchezze. Peyrelevade ricordava nel 2005 che lo 0,2% della popolazione mondiale controllava la metà dell’intera capitalizzazione di borsa del pianeta (5). Si tratta ancor oggi di portafogli la cui gestione è affidata a banche (Goldman Sachs, Santander, Bnp Paribas, Société Générale, ecc.), società di assicurazioni (American International Group [Aig], Axa, Scor, ecc.), fondi pensione o d’investimento (Berkshire Hathaway, Blue Ridge Capital, Soros Fund Management, ecc.); e altrettante istituzioni dedite all’attività di investimento dei propri capitali.

Tale minoranza specula sull’andamento dei titoli azionari, del debito sovrano e delle materie prime servendosi di una gamma pressoché illimitata di prodotti derivati, rivelatori dell’inesauribile creatività degli ingegneri finanziari. Lungi dal rappresentare lo sbocco «naturale» dell’evoluzione di economie mature, i «mercati» costituiscono la punta di diamante di un progetto a proposito del quale gli economisti Gérard Duménil e Dominique Lévy dicono che fu «concepito in modo da accrescere i redditi delle classi superiori» (6). Un innegabile successo, se è vero che oggi nel mondo si contano 63.000 «centomilionari» (il cui patrimonio tocca almeno i 100 milioni di dollari), capaci insieme di assommare una ricchezza pari a 40.000 miliardi di dollari (cifra corrispondente a un anno di prodotto interno lordo mondiale) .

Una personificazione dei mercati, questa, che può rivelarsi imbarazzante, tanto è più comodo a volte sfidare i mulini a vento. «Vi dirò chi è il mio vero avversario nella battaglia che sta per cominciare – tuonava il candidato socialista alle elezioni presidenziali francesi, François Hollande, durante il suo discorso di Bourget (Seine-Saint-Denis), il 22 gennaio scorso. Non ha nome, né volto, né partito, non presenterà mai la propria candidatura e quindi non sarà mai eletto. Questo avversario è il mondo della finanza». Del resto, prendersela con gli attori reali delle élite bancarie e della grande industria avrebbe potuto condurlo a fare i nomi dei dirigenti dei fondi d’investimento che decidono, in piena consapevolezza, di lanciare attacchi speculativi sul debito dei paesi del sud dell’Europa.

O, ancora, a mettere in discussione il doppio ruolo di certi suoi consiglieri, per non parlare di quelli dei suoi (ex) colleghi socialisti europei, passati da un’Internazionale all’altra. Scegliendo come direttore della propria campagna elettorale Pierre Moscovici, vicepresidente del Cercle de l’industrie, una lobby che riunisce i dirigenti dei principali gruppi industriali francesi, il candidato socialista ha voluto far presente ai «mercati finanziari» che alternanza socialista non fa ormai decisamente più rima con «sol dell’avvenire». Moscovici non ha forse detto che non bisogna «aver paura del rigore», affermando che, in caso di vittoria, sarebbero state «prese le misure necessarie», il deficit pubblico sarebbe stato «ridotto sotto il 3%, costi quel che costi» (7)?
Discorso obbligatorio nell’ambito della comunicazione politica, la denuncia dei «mercati finanziari», tanto violenta quanto inoffensiva, è fino a ora rimasta lettera morta. Allo stesso modo di Barack Obama, che accorda ai responsabili americani della crisi la grazia presidenziale, i dirigenti del Vecchio continente hanno impiegato davvero poco a perdonare gli eccessi degli speculatori «avidi» che volevano destinati alla gogna.

Non resta dunque che ridare lustro al prestigio ingiustamente infangato dei degni rappresentanti dell’oligarchia. In che modo? Nominandoli a capo delle commissioni incaricate di elaborare nuove regole di condotta per i mercati. Da Paul Volker (JPMorgan Chase) a Mario Draghi (Goldman Sachs), passando per Jacques de Larosière (Aig, Bnp Paribas), lord Adair Turner (Standard Chartered Bank, Merrill lynch Europe) o il barone Alexandre Lamfalussy (Cnp Assurances, Fortis), tutti i coordinatori incaricati di dare risposte alla crisi finanziaria intrattengono legami stretti con i più importanti operatori del settore. Gli «irresponsabili» di ieri si trasformano, come toccati dalla grazia, in «saggi» dell’economia, incoraggiati nella loro missione da media e intellettuali, che, fino solo a qualche tempo prima, non riuscivano a trovare parole abbastanza dure per denunciare la boria e la cecità dei banchieri.

Insomma, del fatto che degli speculatori abbiano saputo approfittare delle crisi succedutesi negli ultimi anni nessuno più ne dubita. Eppure, l’opportunismo e il cinismo di cui danno prova i predatori in questione non deve far dimenticare come essi abbiano potuto beneficiare, per realizzare i propri obiettivi, di referenti ai più alti livelli dello stato. John Paulson, dopo aver guadagnato più di 2 miliardi di dollari nella crisi dei subprime, di cui è il principale beneficiario, non ha forse ingaggiato l’ex responsabile della Federal Reserve, Alan Greenspan – già consigliere della Pacific Investment Management Company (Pimco, controllata da Allianz), uno dei principali creditori privati dello stato americano? E che dire dei più importanti gestori internazionali di hedge funds? L’ex presidente del National Economic Council (sotto Obama) ed ex segretario al Tesoro di William Clinton, Lawrence Summers, è stato direttore esecutivo della società D. E. Shaw (32 miliardi di dollari di attivi); il fondatore del gruppo Citadel Investment, Kenneth Griffin, originario di Chicago, ha finanziato la campagna dell’attuale presidente degli Stati uniti; quanto a George Soros, si è comprato i servigi del laburista lord Mark Malloch-Brown, ex direttore del Programma per lo sviluppo delle Nazioni unite ...
La finanza ha varie facce: quelle stesse che da lungo tempo si incrociano nei corridoi del potere.

* Professore associato all’università di Liegi. Autore di La Finance imaginaire. Anatomie du capitalisme: des «marchés financiers» à l’oligarchie, Aden, Bruxelles, 2011.
 (1) Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, Seuil – La République des idées, Parigi, 2005, p. 37 e 91.
(2) Anne Le Nir, «En Italie, Mario Monti réunit un gouvernement d’experts», 16 novembre 2011, www.la-croix.com; Guillaume Delacroix, «Le gouvernement Monti prêt à prendre les rênes de l’Italie», www.lesechos.fr, 16 novembre 2011.
(3) Keith Dixon, Un digne héritier. Blair et le thatchérisme, Raisons d’agir, Parigi, 2000
(4) Si legga «Où se cachent les pouvoirs», Manière de voir, n° 122, aprile-maggio 2012 (in edicola).
(5) Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, op. cit. L’1% dei francesi possiede il 50% delle azioni.
(6) Gérard Duménil et Dominique Lévy, The Crisis of Neoliberalism, Harvard University Press, Cambridge (Massachussets), 2011.
(7) «Pierre Moscovici: “Ne pas avoir peur de la rigueur”», 8 novembre 2011, www.lex- press.fr
(Traduzione di Fran. Bra.)
da Le Monde Diplomatique pubblicato in trad. it. dal quotidiano il manifesto (il fascicolo è ancora disponibile in edicola).