Signori Deputati,
non è casuale che io non possa rivolgermi
a Voi chiamandovi onorevoli colleghi, non essendo un parlamentare eletto dal
popolo, sia pure con una legge dichiarata “illegittima”. Come sia giunto a
essere presidente del consiglio e a chiedere la fiducia per un mio governo è noto
a tutti, e perciò non spenderò parole in tal senso se non per ringraziare i
capi bastone dei partiti che mi sostengono, e soprattutto le vecchie volpi che
agiscono di qua e di là dei monti e dei mari.
Pertanto, cari Deputati, è inutile
nasconderci un fatto evidente, ossia che Voi contate come il due di coppe
quando a briscola c’è denari. E peraltro io stesso – lo dico per prevenire
l’accusa – fin qui non ci sono arrivato per mera simpatia.
Le parole pronunciate in
quest’aula suonano false come quelle di marionette. Mai, dall’unità d’Italia,
un presidente del consiglio, fosse egli clericale o liberale, oppure ex
socialista, ha potuto agire per gli interessi del paese se non in piena
coincidenza con quelli delle diverse frazioni di una classe dominante che – per
usare un alato giudizio espresso da Gigliola Cinguetti – è “tra le più
premoderne, violente e predatrici della storia occidentale, la cui criminalità
si è estrinsecata nel corso dei secoli in tre forme: lo stragismo e l’omicidio
politico, la corruzione sistemica e la mafia”.
[Silenzio dai banchi].
Perciò a Voi, signori Deputati,
non spetta che formalizzare ciò che è nei patti, altrimenti ve ne andrete a
casa. Due conti in centinaia di migliaia di euro e vedrete cosa vi conviene.
[Mormorio di approvazione dai
banchi e dalla presidenza].
Forse non serve che precisi,
tuttavia è sempre bene dire le cose con franchezza: se questo governo non
dovesse ricevere la fiducia, si andrebbe certamente ad elezioni, e in tal caso per
i disubbidienti la possibilità di una ricandidatura sarebbe pari a zero. E tra
poco ci sono anche le europee, e Voi sapete bene quanta agitazione c’è nei collegi
per questo appuntamento che si presenta anzitutto come l’occasione per altri
falliti di trovare uno stipendio e visibilità, per i partiti altri
finanziamenti e altri scambi.
[Applausi].
Nei prossimi giorni dovrò nominare
decine di presidenti di enti pubblici, i quali, da quelle posizioni di potere,
qualche favore non faranno mancare in caso di “segnalazione” e di bisogno. È un
mercato, lo sapete bene, un do ut des di posti e di mance, di scambi di ogni
natura.
[Applausi prolungati].
E poi, ancora, sempre per parlar
chiaro, sono in ballo decine di sottosegretariati, con annessi e connessi, e può
essere che la ruota della fortuna si fermi sul Vostro nome, o su quello di un Vostro amico, di una fidanzata/o, amica/o o un/a amante. Vi conviene non disunirvi, di non
cedere alle lusinghe emotive ed irrazionali di una coscienza del bene comune che
non Vi appartiene, perciò continuate a mentire sulla repubblica democratica del
lavoro, sulla democrazia in questo paese. Del resto lo spirito indipendente di
questa camera ebbe già ad esprimersi in numerose occasioni, anche recenti, come
forse rammenterà anche la presidente Boldrini.
Pure sulla bontà dei propositi dei
tecnocrati europei che tanto da vicino ci riguardano, vorrei ricordare le
parole che un liberale, un ex presidente del Consiglio, ebbe a scrivere nel
1948:
«Una caratteristica strana degli italiani moderni è che, credendosi
molto abili in politica (discendenti di Machiavelli) anche quando altri non li
ammira si ammirano. Si ammiravano nel fascismo, si ammiravano nel regime
incomposto che seguì il fascismo, si ammirano ora che avendo la più incerta e umiliante
situazione credono e dicono di creare anche con ministri ridicoli la nuova
Europa!» [*].
E sia ben chiaro che un conto è il
rinnovamento e le riforme, quello cioè che noi intendiamo far credere ai gonzi,
e un conto è la dissoluzione del sistema di potere sul quale poggiano le nostre
fortune di classe e personali.
Se per qualsiasi causa, per colpa
di questi o di quelli, l’Italia va al disastro, il disastro colpirà tutti e noi
per primi che perderemo non solo potere e privilegi, ma ci toccherà anche di
andare a lavorare.
[L’emiciclo in coro: “Ne travaillez jamais”.]
[*] Francesco Saverio Nitti, Rivelazioni, ESI, Napoli, 1948, p. XXI.