Su Hitler e il nazismo sono frequenti i più
vieti truismi, gli stereotipi emozionali e mediaci più frusti, causa una
cultura storica dozzinale, scarsità di lavori di pregio e non molte traduzioni italiane di valore.
Nella pubblicistica corrente Hitler è visto essenzialmente
come un fanatico, un’anomalia della storia, “portavoce di un gruppo d’intellettuali
formatosi nella dimestichezza con la cultura occulta”
(cazzate). Conseguentemente, per quanto riguarda il nazismo, esso è inteso come il trionfo
della follia nel processo storico, e non, invece, come il prodotto specifico
delle contraddizioni capitalistiche e della dinamica dello scontro tra
imperialismi.
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In un discorso tenuto al Reichstag, il 30
gennaio 1939, famoso per le minacce contro la comunità ebraica, Hitler si
rivolse al popolo tedesco per fare fronte alle persistenti difficoltà
economiche in cui si dibatteva il Terzo
Reich, le quali rappresentano un aspetto poco noto al grande pubblico, portato a credere
che esse, come per incanto, fossero state risolte dal demoniaco genio di Hitler e
dei suoi “volenterosi” seguaci.
Il nazismo non risolse i problemi economici
della Germania, semplicemente perché quei problemi, mutatis mutandis, riguardano le contraddizioni nelle quali si
dibatte ogniqualvolta il sistema economico capitalistico per sua natura. Non
per nulla, in quel discorso, Hitler esortò solennemente: «esportare o morire» (1). Si tratta di un leitmotiv che riecheggia insistente
anche oggi. Questa esortazione programmatica hitleriana condensa i motivi
fondamentali del nazismo, del Lebensraum,
non meno di quelli che muovono oggi la Germania dell’euro, che però, finora,
per il suo Lebensraum non ha avuto
bisogno di riarmarsi, né per trovare sbocchi alle proprie merci.