lunedì 31 agosto 2020

Il capitale unificato

 

Anche se un vaccino dovesse essere prodotto e disponibile per tutti di qui a un anno, la crisi covid-19 lascerà il segno nell’economia mondiale per anni. Realisticamente parlando il mondo non sarà quello di prima. In altri termini, la pandemia non è solo un evento scatenante, che agisce sulle contraddizioni che si erano accumulate nell’economia e nel sistema finanziario, ma è anche un ulteriore motivo di trasformazione.

 

Ne ha preso atto anche il conclave annuale dei banchieri centrali di Jackson Hole, tenutosi in forma virtuale e conclusosi nel fine settimana, nel corso del quale è emersa l’incapacità delle autorità finanziarie globali di elaborare politiche per determinare la crescita economica e contrastare le crescenti contraddizioni del sistema finanziario.

 

La decisione, annunciata dal Federal Open Market Committee all’apertura del summit e formulata nel discorso del presidente della Fed, Jerome Powell, è in effetti una garanzia per Wall Street che la sua richiesta di “forward guidance” – tassi di interesse più bassi e più a lungo – sarebbe stata soddisfatta.


Ogni qualvolta è stato possibile intervenire con il credito espandendo la massa monetaria, si è riusciti a scongiurare le crisi monetarie. Il sistema, nei ruoli monetari apicali, conosce bene le lezioni del passato.

 

Ora l’attenzione si sposta sulla Banca centrale europea, che sta conducendo una pur timida revisione strategica della sua politica monetaria, e vedere se seguirà la stessa strada della Fed. Christine Lagarde potrebbe essere incline a muoversi nella stessa direzione, ma dovrà affrontare una sicura e decisa opposizione da parte della Bundesbank tedesca, che ha già espresso opposizione all’allentamento della politica monetaria.

 

Siamo in presenza di un sistema finanziario che agisce per ricatto e sa imporre la propria volontà. Si è arrivati al punto che il debito rappresenta ormai la migliore garanzia per la concessione del credito. Non è una novità la natura del rapporto dei capitalisti e dei rentiers con il potere statale.

 

I settori del capitale industriale, commerciale, bancario, assicurativo, eccetera, un tempo divisi, sono posti sotto la direzione comune dell’alta finanza. Capitale finanziario significa capitale unificato, che fa il bello e il cattivo tempo sui mercati, sul debito degli Stati, che gestisce tutto il capitale giacente dei capitalisti nonché il denaro delle altre classi.

 

Il capitale unificato ha come scopo quello di ottenere il più alto livello di profitto consentito dall’assetto produttivo e di mercato esistente, per cui l’alto profitto è ormai fissato nel prezzo delle azioni: ogni sua riduzione provoca l’ovvia e immediata caduta delle quotazioni e scuote l’economia reale. Ha anche come esito implicito, in gran parte già raggiunto, quello del superamento della libera concorrenza. La Weltanschauung del liberalismo classico è contraddetta ogni giorno dalle leggi che sovrintendono tale processo storico.

*

Quale camera oscura, ma quali fumi vulcanici

 

Sul Domenicale di ieri, Mephisto Waltz scrive:

 

«Bella la laguna veneta a volo d’uccello, così come la vedeva Canaletto attraverso la camera ottica che usava da giovane scenografo, come il padre. Con una deserta Piazza San Marco, senza quelle belle figurine con la parrucca e il polpe, appena abbozzati nei suoi capolavori. Imitato poi dal nipote, Bernardo Bellotto che firmava col nome dello zio per ottenere il miglior successo.»

 

Canaletto la laguna veneta la vedeva attraverso la camera ottica solo da giovane scenografo oppure anche da pittore di vedute? Nel corsivo non viene specificato, ma al lettore resta l’idea che proprio a quelle vedute a volo d’uccello realizzate con l’impiego della camera ottica si riferisca lo scafato Mephisto, che sicuramente è al corrente di una lunga controversia.

 

Il primo biografo di Canaletto, Anton Maria Zanetti il giovane, in uno dei suoi resoconti afferma che il vedutista veneziano usava la “camera obscura”. Da ciò è nata la reiterata notizia che il pittore impiegasse tale strumento per realizzare dei disegni preparatori che poi trasferiva nei suoi dipinti.

 

La camera oscura è una scatola con un foro stenopeico e uno specchio grazie al quale viene proiettata un’immagine, per esempio un palazzo, su un foglio di carta, in modo da poterla ricalcare. È molto utile per creare le basi di una composizione, ma non può essere usata per i dettagli. Ovviamente può essere usata sono in una posizione statica, cosa che a Venezia escludeva il suo utilizzo per qualsiasi immagine d’acqua.

 

Charles Beddington, storico dell’arte, specialista e autore del libro Venice: Canaletto and his rivals, sostiene che “Sono stati fatti numerosi studi, soprattutto in Italia, sull’uso della camera oscura da parte di Canaletto, un uso che però è fuori discussione”.

 

Lucy Whitaker, Senior Curator of Paintings and Head of Research del Royal Collection Trust, afferma che “Oggi abbiamo le prove che tutti i suoi disegni erano preparati con cura in studio”.

 

Al Museo Correr è conservata una camera ottica che si ritiene sia appartenuta a Canaletto poiché in essa vi è inciso: “A. Canal”. Un nome che può essere stato inciso da chiunque abbia avuto interesse che quella camera fosse attribuibile a Canaletto. Invece alla Galleria dell’Accademia è conservato uno dei pochi quaderni superstiti del Canaletto. Contiene soprattutto sequenze di palazzi del Canal Grande. Canaletto prendeva nota di ogni dettaglio, compreso il colore degli intonaci degli edifici (c’è perfino la classificazione “sporco” per indicare lo stato nel quale si trovava la facciata). È sufficiente prendere visione dei disegni di questo quaderno per comprendere come procedeva il pittore.

sabato 29 agosto 2020

Preparativi di guerra

 

La Cina sta raggiungendo la parità con gli Stati Uniti in molti settori strategici. È integrata nell’economia globale, sviluppa le proprie fonti nazionali di high-tech, dunque non imita semplicemente ma sviluppa aziende sempre più innovative e leader a livello mondiale. Si prevede che già nel 2030 avrà il più grande prodotto interno lordo del mondo. L’ultima volta che gli Stati Uniti hanno affrontato un concorrente, o anche un gruppo di concorrenti, di maggiore forza è stato nel diciannovesimo secolo. Tuttavia gli Stati Uniti non hanno mai affrontato una sfida di tale portata nella loro intera storia.

 

Gli Stati Uniti sono sempre più preoccupati per lo sviluppo economico della Cina e dei suoi rapidi progressi tecnologici, che hanno messo un punto interrogativo sulla superiorità militare “schiacciante” di Washington. È indubbio che gli Usa non hanno più gli ampi margini di potere militare che avevano una volta, che non possono fare tutto ciò che vogliono ovunque.

 

Il tempo è un fattore strategico fondamentale, ed è chiaro che la strategia americana deve tener conto di questo fatto. Per contro, il tempo lavora a favore dei cinesi. Agli inizi del secolo scorso il tempo, come rilevava il cancelliere Berhard von Bülow, lavorava a favore della Germania e del suo riarmo. L’inabilità e leggerezza dimostrata in quel singolare frangente dal suo successore, l’inetto Bethmann, e dal suo ministro degli Esteri, l’effeminato Jagow, che lasciarono mano libera all’Austria nell’ultimatum alla Serbia, fecero precipitare le cose.

 

Ed è quanto accadde anche nel 1939, quando la Germania, stante la sua politica estera aggressiva e di proclamato riarmo, dovette affrettare il conflitto armato quando ancora non era pronta. Un punto a suo favore fu l’accordo con Stalin, un altro l’arretratezza della concezione strategica francese, e però dopo Dunkerque e l’attacco alla Russia il fattore tempo cessò di lavorare a suo favore.

 

Gli Stati Uniti sono ben consapevoli che dovranno presto decidere quale partita giocare prima che sia troppo tardi. La loro strategia già dal 2018 si è basata sulla National Defense Strategy annunciata dall’amministrazione Trump nel dicembre 2017. Il documento parla esplicitamente della rinascita del “Conflitto tra grandi potenze”, da ciò la preparazione per uno scontro diretto con la Cina.

venerdì 28 agosto 2020

Inflazione e deflazione: poli della stessa realtà

 

Più di un milione di lavoratori negli Stati Uniti hanno presentato nuove richieste di disoccupazione la scorsa settimana. Secondo il Bureau of Labor Statistics, 1.006.000 lavoratori hanno presentato la prima richiesta di sussidio per disoccupazione nella settimana terminata il 22 agosto, leggermente in calo rispetto ai 1.104.000 della settimana precedente. Il numero totale di persone che hanno chiesto sussidi nel corso di tutti i programmi per la settimana terminata l’8 agosto è stato di 27 milioni.

 

Il Dipartimento del Lavoro ha affermato che il tasso di disoccupazione ufficiale è sceso dal 10,1% al 9,9% per la settimana terminata il 15 agosto. Sono contati solo quelli che ricevono regolari sussidi statali (14,5 milioni) e non i 12,5 milioni che ricevono assistenza federale quali i lavoratori autonomi e i “gig workers” (appaltatori indipendenti, lavoratori della piattaforma online, lavoratori delle ditte appaltatrici, lavoratori a chiamata e lavoratori temporanei).

 

Se entrambi i dati fossero presi in considerazione, posto che la forza-lavoro statunitense è di 159,9 milioni, il tasso di disoccupazione sarebbe del 17%. Anche questa è una sottostima poiché non conta i lavoratori in nero e altri disoccupati che non ricevono aiuti o che sono stati costretti a lavorare part-time.

 

Commentando sull’economia, il presidente Trump si è vantato ieri che “il paese sta andando molto bene”, aggiungendo: “Siamo su una V, potrebbe anche essere un Super-V”, riferendosi al presunto rapido tuffo e ripresa a forma di V dell’economia. 

Numeri, follie e tabù

Se solo uno presenta sintomi (gravi?) perché ricoverarne metà?
Non bastava isolarli come gli altri?
Ripetiamo gli stessi orrori di marzo.

Strano, dicevano essere due cose molto diverse.


Un approccio ragionato su covid-19 è impossibile. Ognuno ha scelto la trincea da cui combattere la sua battaglia. Oppure se ne sta zitto, a buon diritto visto come si sono messe le cose. Ad ogni modo, temerariamente, do alcuni numeri:

 

– casi attivi al 30 marzo: 101.739; terapie intensive: 3.981;

– casi attivi al 2 maggio: 209.328; terapie intensive: 1.539.


Pertanto, pur raddoppiando i casi attivi, le terapie intensive tra fine marzo e inizio maggio, ossia circa un mese, segnarono un calo di oltre il 60%.

 

Il lockdown totale ha funzionato (e ci mancherebbe!). Anche a Lampedusa e Pizzo Calabro. Ma prima dev’essere successo qualcosa di fortemente anomalo per registrare quei numeri in terapia intensiva (considerato anche che “il virus non è mutato”) e dai quali è partita la bagarre mediatica, con recita dell’eterno riposo in diretta, pronostici di un milione di morti in patria, diatriba estenuante sull’utilità delle mascherine, proibizione della vendita di assorbenti e preservativi, e le molte follie note e altre meno conosciute.

 

Veniamo all’oggi: casi attivi al 27 agosto 263.949, terapie intensive 67 (più 11 rispetto a due settimane fa).

 

Pur aumentando i casi attivi di 54.621 unità nel periodo 2 maggio - 27 agosto (circa il 26%), finora le terapie intensive segnano un calo di oltre il 95% rispetto a maggio, e di quasi il 99% rispetto alla fine di marzo.

 

È probabile che, causa anche i rientri dai luoghi di vacanza dove ci si è ben mischiati con chiunque, a settembre si supererà quota 100 di t.i. e ad ottobre, con scuole aperte, forse anche 200. Se così non vedo motivo per preoccuparsi. Se invece questi numeri dovessero essere più contenuti ancora, si rifletterà su un cambio di strategia? Ma neanche a parlarne che sennò casca tutto il cucuzzaro. Continueremo ad agitare il caso del famoso sconsiderato di turno che dai e dai s’è infettato con tutta la sua ciurma.

 

I test effettuati al 2 maggio erano 2.108.837; il 27 agosto 8.313.445, ossia 6.204.608 in più. Ormai siamo quasi a 100.000 test il giorno. Se ne fossero fatti il decuplo, i positivi asintomatici sarebbero molte migliaia al dì. Da cui dedurre che ... .

 

A un paziente è generalmente effettuato più di un test, ad ogni modo, anche considerando all’ingrosso 2 milioni di test su nuovi soggetti, l’incremento di 54.621 nuovi positivi rappresenta il 2,7 per cento. Tutto ciò è ipotetico, ma non tanto, e restano ferme due cose: i test (tamponi e sierologici) effettuati privatamente (e non sono pochi) non vengono considerati nel totale e positivo non significa ammalato (ma già questo fatto è più difficile da far passare per buono). 

 

Tuttavia è ancora tabù già il solo parlare d’immunizzazione controllata di massa, discorso che andava affrontato già a suo tempo, in attesa del mitico vaccino, che comunque sarà il benvenuto e renderà più tranquille molte persone e più ricche certe altre. Non sarà uno scherzo vaccinare una cinquantina di milioni di persone, e però intanto il test per gli insegnanti è facoltativo! Follia? Non è il solo esempio.


P.S. : il dato al 30 marzo e non al 31, per il semplice motivo che è il dato in mio possesso.

 

giovedì 27 agosto 2020

Non è solo un’opinione

 

Stendhal romanziere non mi è mai piaciuto. Lo trovo persino noioso. Questo assai prima del covid-19. Da molto tempo mi ripromettevo di leggere i suoi diari italiani. Con poca voglia, considerati i precedenti. Però il genere diaristico e memorialistico mi piace soprattutto, e allora eccomi all’opera. Sono dell’opinione che Roma, Napoli e Firenze siano la cosa migliore di Marie-Henri Beyle.

 

Stesso discorso per il marchese de Sade: non mi garba per nulla la sua Justine e francamente La filosofia del boudoir è una palla. Leggere poi cose come quella che Sade fa dire a Dolmancé, rivolto alla signora di Saint-Age: “Badate innanzitutto di farvi sempre masturbare il clitoride quando vi sodomizzano: niente si sposa bene come questi due piaceri; evitate il bidé o di detergervi con un panno, dopo essere stata fottuta in questo modo”. Vero che i gusti non si discuto, ma fino a certo punto.

 

Il suo Vaggio in Italia invece è un gran libro, da leggere sicuramente, anche se a volte le descrizioni sono molto crude. Come per esempio quella che riguarda la prostituzione minorile a Napoli:

 

«La sera, le strade sono piene di sventurate vittime offerte alla brutalità del primo venuto, e che provocano, per il prezzo più vile, tutte le specie di libertinaggio che l’immaginazione può concepire, non escluse quelle per cui parrebbe che il loro sesso dovrebbe ispirare orrore.

 

Si geme vedendo bambine in tenerissima età, e perfino tante piccole che in loro la ragione non si è ancora formata, condividere con le madri e con le sorelle l’infamia di questa spaventosa corruzione. Non mento se dico che ho visto a Napoli bambinette di quattro o cinque anni offrirsi di soddisfare le più orribili brame, e addirittura supplicare, quando qualcuno si arrendeva alle loro sollecitazioni, di scegliere piuttosto quest’altro modo che non quello ch’è indicato dalla natura, perché la debolezza della loro età non le rendeva ancora capaci di prestarsi all’uso ordinario cui il Creatore ha destinato il loro sesso.

 

E non sarebbe ancora nulla, se tutto finisce qui. Ma quei medesimi orrori mi sono offerti anche del sesso opposto» (pp. 214-15). Eccetera.

 

Per rimanere in tema di scrittori francesi, ritengo che gli editori farebbero gran bene a non ristampare Bagatelle per un massacro. Non già perché è un libello anti-giudaico, ma perché si tratta di un lavoro letterariamente pessimo, illeggibile, che si stenta a credere sia stato scritto da Céline. E quest’ultima non è solo un’opinione.

Il fedele maggiordomo

 

La Guerra Fredda, durata più di quattro decenni, si è conclusa offrendo agli Stati Uniti condizioni che difficilmente avrebbero potuto essere più favorevoli. Senza rivali, forti di un’impareggiabile potenza, ma la bussola che aveva guidato la loro politica estera non era più idonea a guidarne l’azione nelle nuove circostanze. Per tre decenni sono andati incontro a sempre maggiori difficoltà sia sul fronte internazionale così come al loro interno, registrando un progressivo declino.

 

La frustrazione per la percezione della inutilità degli interventi militari all’estero è stata rafforzata dalle tendenze interne, soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2008, quando i salari della classe media ristagnavano o crollavano e le perdite di posti di lavoro e le chiusure di fabbriche creavano una crescente ostilità verso il sistema. E tutto ciò nonostante gli aumenti di produttività legati all’innovazione tecnologica, che però è stata, con la delocalizzazione manifatturiera, la principale responsabile del taglio di posti di lavoro.

 

Infine gli anni di Obama, che hanno segnalato incertezza sulle intenzioni, soprattutto in politica estera, e tiepide riforme interne, anche se taluni ampi settori dell’opinione pubblica, allevata e coltivata da una certa propaganda, considerò tali riforme come un affronto di stampo “socialista”. Nel complesso, c’era una diffusa sensazione che l’establishment avesse fallito, sia trascurando di proteggere i lavoratori americani, sia intraprendendo una politica estera troppo ambiziosa, distaccata dagli interessi vitali del paese e dal benessere dei suoi cittadini.

 

Questo grossomodo il quadro che ha dato nel 2016 la vittoria a Trump.

mercoledì 26 agosto 2020

Girotondo



Wall Street continua a salire e l’indice S&P 500 ha fatto un balzo quasi del 50% dal crollo di metà marzo. Tutto ciò avviene nonostante la pandemia e le sue conseguenze in termini di economia reale e di disperazione sociale, quest’ultima per ora tenuta a bada con sussidi a pioggia.



La scorsa settimana, il Financial Times scriveva che mentre il mercato finanziario raggiungeva un livello record, la “sofferenza aziendale” negli Stati Uniti non era mai stata peggiore con “large corporate bankruptcy filings” (istanze di fallimento di grandi aziende) destinate a superare i livelli raggiunti all’indomani della crisi finanziaria del 2008.

Al 17 agosto, 46 aziende, ciascuna con un patrimonio di oltre 1 miliardo di dollari, hanno presentato istanza di fallimento (il famoso Capitolo 11), rispetto alle 38 dello stesso periodo del 2009 e più del doppio rispetto alle 19 dello stesso periodo dell’anno scorso.

JCPenney, Brooks Brothers e Chesapeake Energy sono tra le grandi aziende che hanno presentato istanza di fallimento.

Il giornale economico del Regno Unito, citando BankruptcyData.com, dà notizia che in totale 157 aziende con un patrimonio di oltre 50 milioni hanno presentato istanza di fallimento e si prevede che ne seguiranno molte altre.

Ben Schlafman, direttore operativo di New Generation Research, proprietaria di BankruptcyData.com, che tiene traccia delle dichiarazioni di fallimento, ha dichiarato al FT: “Siamo nel primo inning di questo ciclo fallimentare, che si diffonderà in tutti i settori man mano che ci addentreremo nella crisi”.

Goldman Sachs dichiara di aspettarsi che dei 22 milioni di lavoratori licenziati nella prima ondata della pandemia, quasi un quarto sarà eliminato definitivamente. Molti lavoratori hanno ripreso l’attività tra giugno e luglio, ma 9,2 milioni di disoccupati sono ancora in cassa integrazione.

Chi sta peggio di tutti sembra essere la Gran Bretagna, e la situazione potrebbe precipitare quando i programmi di prestito e di sostegno del governo si saranno esauriti. Uno dei maggiori avvocati fallimentari della City ha dichiarato: “Ci sono una serie di crisi che incombono, l’ondata d’insolvenze non è nemmeno iniziata”.

Nei maggiori centri industriali d’Europa si teme che, dopo una decisa ripresa dalla forte contrazione economica della primavera, le attività inizino ora a rallentare. C’è stato un aumento della produzione industriale in tutta la zona euro a maggio e giugno, proseguito anche a luglio, ma non sufficiente a compensare il calo dei primi due mesi della pandemia. La banca centrale tedesca ha riferito che i produttori della zona euro operavano a luglio ancora solo al 72% della capacità rispetto alla loro media dell’80%.

Per l’industria automobilistica tedesca si prevede che le vendite globali di auto scenderanno a 69 milioni quest’anno rispetto agli 88 milioni nel 2019. La dirigenza dell’Audi ha detto di non aspettarsi che i livelli di produzione di automobili tornino ai livelli pre-crisi almeno fino al 2022 o al 2023.

Stando così le cose, l’attuale euforia borsistica trova motivo nell’offerta di moneta a basso costo, nel calo del rendimento dei titoli del Tesoro USA e nel buy-back soprattutto delle società del settore tecnologico, che costituiscono una componente importante dell’indice S&P 500.

Il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni, un punto di riferimento sia per i mercati finanziari statunitensi che per quelli globali, è ora di circa lo 0,6%, un punto percentuale al di sotto del livello di febbraio. Con il rendimento negativo, tenuto conto dell’inflazione, ciò ha alimentato una svolta verso il mercato azionario, l’oro e il debito aziendale. Questa ricerca di un rendimento positivo ha innescato quello che è stato definito un “rally di tutto”.

Tutto ciò ha basi molto traballanti. L’esplosione della crisi è solo questione di tempo, come sempre del resto. E sarà crisi economica e finanziaria segnata da giganteschi debiti e insolvenze generalizzate, che si accompagnerà a problemi di tenuta sociale. Se neanche più a Lourdes fanno miracoli, allora vuol dire che la faccenda è davvero seria. Non si può vivere a lungo di sussidi, di sconti e proroghe sulle imposte.

C’è da augurarsi, anche se non è realistico, che queste tensioni economiche e sociali non si trasferiscano sul piano dei rapporti internazionali, già tesissimi. Si susseguono sulla stampa tedesca articoli che invitano l’Europa, leggi la Germania, al riarmo per giocare una partita militare e strategica autonoma. Ci sono lampi di guerra nel Mediterraneo, e c’è sempre da tenere a bada un ex nemico non ancora amico (la Russia). Tuttavia credo si possa leggere la richiesta di riarmo e di autonoma strategica, nonché di unione delle forze armate europee, anche come risposta a un alleato che non è più tanto amico, come la vicenda del Nord Stream 2 insegna.

Per quanto ci riguarda direttamente, non ci facciamo mancare un coglione al giorno da arrostire sulla graticola mediatica. E tutti a fare girotondo.

martedì 25 agosto 2020

La cuccagna



Quando dico “democrazia borghese” impiego un’espressione d’impronta ideologica? Niente affatto. Mi riferisco a un sistema economico sociale dove il potere effettivo appartiene in modo speciale a una classe, la borghesia per l’appunto.

Negli ultimi cento anni si sono confrontati due sistemi economico-sociali: il capitalismo classico, dove comanda nei fatti un’oligarchia di plutocrati, e il capitalismo monopolistico di Stato, dove il potere è nelle mani di un’oligarchia di alti funzionari di partito. Se dovessimo scegliere in quale sistema vivere non v’è dubbio che sceglieremo quello dove almeno è consentito scrivere una lettera di protesta senza finire in prigione, salvo non chiamarsi Tommie Smith, Robert Fischer, detto Bobby, Edward Snowden, Julian Assange, Bradley Manning, eccetera.

Pertanto le democrazie si distinguerebbero dalle dittature poiché nelle prime è consentito protestare ed è il popolo a scegliere liberamente e attraverso il voto chi legifera e governa in sua vece e per suo conto. Tuttavia se la faccenda fosse così semplice, si eviterebbero discussioni infinite sul tema, perché nella pratica le cose vanno in modo affatto diverso.

Sentiamo cosa ha da dire a riguardo Luciano Canfora: il sistema è dominato da “un’oligarchia dinamica incentrata sulle grandi ricchezze ma capace di costruire il consenso e farsi legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi elettorali” (La democrazia, p. 331).

Nel caso italiano siamo, come spesso accade nelle nostre cose, in una situazione addirittura patologica, nel senso di una logica che distorce l’effettiva volontà degli elettori, creando artificialmente una maggioranza inesistente nelle urne, per effetto di una legge elettorale, il cosiddetto “maggioritario”, che ricorda quella fascista, la legge Acerbo.

Non va meglio negli Stati Uniti d’America, laddove la selezione di stampo castale è rigidissima e per l’elezione del presidente vale il principio-base delle corse dei cavalli.

Pertanto a caratterizzare la “democrazia” non è il voto elettorale. Chi crede questo nella migliore delle ipotesi è un illuso. Il voto non paga mai. È l’omaggio che il patronus di turno riceve dai clientes.

Un tempo quando il padronato avvertiva che la “questione sociale” si faceva pericolosamente urgente, mandava i Bava Beccaris a sedare col cannone gli affamati, i Raffaele Alessandro Cadorna a domare la rivolta del sette e mezzo. Oggi, in una situazione “normale”, non c’è bisogno di far ricorso a despoti e generali. Nemmeno in America Latina usa quasi più. Meglio i governi “tecnici”, le troike del FMI, il ricatto dello spread, l’intossicazione mediatica, la manipolazione dei dati, ecc..

Non è vero che la schiavitù è stata abolita, ha mutato nome. Un tempo il plutocrate possedeva qualche centinaio di schiavi, al massimo qualche migliaio. Oggi i plutocrati che siedono in plurimi consigli di amministrazione controllano e decidono in modo impersonale la vita di milioni di persone, non di rado d’intere aree e popoli.

I plutocrati nei loro covi sorvegliati da sistemi elettronici e vigilati da guardie armate godono le loro gigantesche ricchezze comprando a giornata la vita di schiavi ai quali succhiano il sangue in ogni angolo del pianeta. Schiavi dei quali non si occupano personalmente, di cui ci si può liberare in ogni momento per sostituirli con altri a miglior prezzo.

La borghesia ha scoperto che l’essenza della ricchezza sta nel poter sfruttare il lavoro formalmente libero, senza la briga e le conseguenze dello schiavismo antico. Perciò la libertà individuale, cioè quella di vendere a ore la propria vita a un padroncino o a una holding, è diventata un diritto dell’uomo e della sua coscienza. Un nuovo rapporto sociale s’è stabilito, dove il bisogno sostituisce la frusta e la catena. Una cuccagna che nemmeno i patrizi dell’antica Roma.

domenica 23 agosto 2020

L'esplosione



Ottant’anni fa, il 20 agosto 1940, Leon Trotsky fu ferito a morte da un agente della polizia segreta dell’Unione Sovietica, la GPU. Il leader rivoluzionario morì in un ospedale di Città del Messico 26 ore dopo, nella prima serata del 21 agosto.

Oggi, sul Domenicale, l’assassinio del grande rivoluzionario è ricordato con un articolo a firma di David Bidussa, che lo definisce come “un rivoluzionario dottrinario ottocentesco, o primo novecentesco, comunque di un’epoca precedente ai totalitarismi”. Evidentemente Bidussa finge d’ignorare che cos’è stato e che cosa ha rappresentato Trotsky, anche dal punto di vista dell’analisi, nel periodo tra le due guerre.

*

L’assassinio di Trotsky rappresentò il culmine della campagna di sterminio politico, diretta dal Cremlino, il cui scopo fu la soppressione fisica dell’intera generazione di rivoluzionari marxisti e operai socialisti che avevano svolto un ruolo centrale nella preparazione e nella direzione della rivoluzione bolscevica.

Costretto all’esilio, privato della cittadinanza, armato solo di penna e dipendente dal sostegno di un numero relativamente piccolo di compagni perseguitati in tutto il mondo, non c’era allora uomo più temuto di Trotsky dai poteri che governavano la terra. Esercitò un’influenza politica e intellettuale che non aveva eguali per nessuno dei suoi contemporanei.

Sapeva analizzare con incomparabile brillantezza il mondo così com’era, disprezzava ogni forma di ciarlataneria politica che pretende soluzioni facili agli immensi problemi storici che sorgono dalla lunga agonia del sistema borghese.

Trotsky, anche se considerato solo da un punto di vista morale, fu in assoluta opposizione allo stalinismo. La malattia e la morte prematura di Lenin, nel gennaio 1924, fu una tragedia politica. L’allontanamento di Trotsky e poi il suo assassinio, all’età di 59 anni, fu una catastrofe, poiché a quel punto lo stalinismo nei movimenti del comunismo internazionale non trovò più un’opposizione autorevole ed efficace.

Trotsky produceva quotidianamente analisi politiche e saggi polemici, ultimamente stava lavorando sodo su una biografia di Stalin che, anche come opera incompiuta, può essere giustamente descritta come un capolavoro letterario, al pari della sua autobiografia (La mia vita, trad. Mondadori, 1930).

Nessun’altra figura del suo tempo mostrava una comprensione paragonabile alla sua sullo stato del mondo e di dove fosse diretto. Ad esempio, Trotsky fu intervistato da un gruppo di giornalisti americani il 23 luglio 1939, appena sei settimane prima della seconda guerra mondiale. Erano ansiosi di conoscere la sua valutazione della situazione mondiale:

«Il risultato può essere solo da una tremenda esplosione storica. Le esplosioni storiche sono di due tipi: guerre e rivoluzioni. […] I programmi degli attuali governi, quelli buoni come quelli cattivi ­– se supponiamo che ci siano anche buoni governi – i programmi di partiti diversi, programmi pacifisti e programmi riformisti, sembrano ora, almeno a un uomo che li osserva di lato, come un gioco da ragazzi, sul versante in pendenza di un vulcano prima di un’eruzione. Questo è il quadro generale del mondo di oggi».

Trotsky, in riferimento alla Fiera mondiale di New York allora in corso, il cui tema era il “World of Tomorrow”, ebbe a osservare:

«Posso giudicarla solo dall’esterno per il motivo per cui il mio inglese è così pessimo, ma da quello che ho imparato sulla Fiera dai giornali, è una straordinaria creazione umana dal punto di vista del “World of Tomorrow”. Credo che questa caratterizzazione sia un po’ unilaterale. Solo da un punto di vista tecnico la Fiera Mondiale può essere chiamata “World of Tomorrow”, perché se desideri considerare il mondo reale di domani dovremmo vedere un centinaio di aeroplani militari sopra l’Esposizione Universale, con bombe, e il risultato di questa attività sarebbe il mondo di domani. Questo grandioso potere creativo umano da un lato, e questa terribile arretratezza nel campo che è più importante per noi, il campo sociale – genio tecnico e, permettetemi la parola, idiozia sociale – questo è il mondo di oggi».

Con una crisi economica e finanziaria senza precedenti, l’ascesa dei fascismi, la guerra di Spagna e l’aggressione giapponese in oriente, tutto ciò non lasciava presagire nulla di buono per il “mondo di domani”. Riguardo agli Stati Uniti, nella stessa intervista disse: «Se il capitalismo americano sopravvive, e sopravviverà per un po’ di tempo, avremo negli Stati Uniti l’imperialismo e il militarismo più potenti del mondo».

Trotsky, uomo del suo tempo, sottovalutò la capacità del capitalismo americano, anche attraverso la guerra e la lotta per il dominio mondiale, di rigenerarsi. Stalin, per suo conto, non tenne conto della dialettica tra possibilità e realtà, le quali formano un’unità contraddittoria. Noi non possiamo modificare il mondo mutando le sue possibilità. Questo è stato l’errore storico dello stalinismo, mentre Trotsky si rendeva conto che il socialismo in un solo paese era una palese assurdità.

Il possibile è più ricco, è l’universale, il non casuale, mentre la realtà, che realizza sempre soltanto una sezione del possibile, è più povera e casuale.

Trotsky sapeva che la vana fermezza del sistema di opporsi alla tendenza storica non potrà infine salvarlo. Anche se tale processo di lungo periodo appare, nei suoi esiti, ancora indeterminato, oggi possiamo constatare la fase di massima divaricazione della contraddizione fondamentale insita nel processo di valorizzazione del capitale, ossia l’opposizione tra valore d’uso e valore che riverbera nella crisi tra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione.

La borghesia, mascherando il proprio declino dietro una spumeggiante sicurezza di uno sviluppo tutto sommato lineare, vorrebbe far passare tali contraddizioni come mera crisi di gestione democratica del sistema di predazione, alla quale dovrebbero porre rimedio le “riforme”. Un riformismo che non ha più tempo davanti a sé.

Riferendosi alla rimozione del vecchio diplomatico sovietico, Maxim Litvinov, dalla carica di ministro degli esteri, e alla sua sostituzione con Molotov, più vicino a Stalin, Trotsky affermò che l’avvicendamento era «un suggerimento del Cremlino a Hitler. Noi [Stalin] siamo pronti a cambiare la nostra politica, a realizzare il nostro obiettivo, il nostro scopo, che abbiamo presentato a te Hitler alcuni anni fa, perché l’obiettivo di Stalin nella politica internazionale è un accordo con Hitler». Si rivelerà quella di Stalin una visione miope sia in chiave difensiva e sia come strategia antioccidentale.

“Una tremenda esplosione storica”, così si espresse Trotsky al riguardo della situazione contingente. E, come spiegò, tali esplosioni sono di due tipi: guerre e rivoluzioni. Entrambi sono all’ordine del giorno, disse. Oggi, che la paura serpeggia dappertutto e non solo a causa del virus covid, potremmo soggiungere senza tema di smentita, che tale esplosione storica avrà solo un carattere bellico, ma con una sostanziale differenza rispetto al passato, sia in termini di estensione che di potenziale distruttivo. Abbiamo una sola alternativa alla catastrofe totale: la democrazia totale (che nulla ha a che fare con la democrazia borghese).

Covid a Venezia



Invito a non ormeggiare in doppia fila


Stupro di una meretrice


Covid


Piazza san Marco, ore 11 - Caffè Todaro

venerdì 21 agosto 2020

L'amico del popolo


La Convenzione Nazionale Democratica si è conclusa giovedì sera con l’accettazione formale della nomina a candidato presidenziale del partito da parte dell'ex vicepresidente Joe Biden, dopo un’ultima sessione di vuoti cliché e nauseante insincerità.

L’atmosfera è stata più una rinascita religiosa che un evento politico. C’era un’enfasi incessante sulla superiorità morale di Biden rispetto a Trump, accompagnata da testimonianze sempre più sdolcinate sulla profonda preoccupazione di Biden per i bambini, gli oppressi e praticamente chiunque avesse incrociato il suo cammino.

Gli autori del discorso hanno cercato di stipare ogni possibile luogo comune in 20 minuti, passando in rassegna una lunga lista di promesse, dal cambiamento climatico al razzismo, non trascurando il debito studentesco, nessuna delle quali il Partito Democratico ha la minima intenzione di mantenere effettivamente. Solo due frasi avevano un significato reale.

Biden ha rassicurato Wall Street e i miliardari: “Non cercherò di punire nessuno”. Questo il messaggio diretto all’aristocrazia finanziaria, diverso da quello di quando era candidato per la nomination ed era costretto ad attacchi demagogici verso i ricchi. Non cambierà nulla per loro, e sicuramente manterrà l’impegno.

Ha accusato Trump di essere stato troppo morbido con la Russia, minacciando di ritenere Vladimir Putin responsabile per il presunto pagamento di combattenti talebani che hanno attaccato le truppe americane in Afghanistan. Questa storia fasulla è solo l’ultima trovata del New York Times in una campagna antitrumpiana e antirussa che dura da quattro anni.

Il tono della convenzione nell’ultimo giorno è stato dato dalla dichiarazione di un gruppo di 73 ex funzionari della sicurezza nazionale di quattro amministrazioni repubblicane (Reagan, George HW Bush, George W. Bush e Trump) a sostegno di Biden, accusando Trump in una lettera aperta al Wall Street Journal di essere inadatto come presidente.

L’elenco include una serie di militaristi e agenti responsabili della morte di decine di migliaia di persone in America Latina, Africa, Medio Oriente e Asia centrale. Alcuni nomi:

John Negroponte, con un record di crimini dal Nicaragua all’occupazione dell'Iraq nel decennio scorso;

Colin Powell, presidente del Joint Chiefs of Staff durante la guerra del Golfo Persico del 1991 e segretario di Stato durante la guerra in Iraq del 2003, in cui ha svolto un ruolo centrale nel giustificare quell’aggressione sulla base di pure menzogne;

Michael Hayden, ex direttore della National Security Agency e in seguito direttore della CIA, che ha supervisionato i programmi di tortura della CIA e lo spionaggio interno;

Robert Blackwill, vicedirettore del Consiglio di sicurezza nazionale con responsabilità per la politica di guerra in Iraq nel 2003-2004;

Michael Leiter, direttore del Centro nazionale antiterrorismo sotto l’ultimo Bush e William Webster, direttore dell’FBI sotto Reagan e della CIA sotto Bush senior.

Un bel mazzo di strumenti politici dell’élite dominante americana, se poi appartengano alla fazione repubblicana o democratica non ha alcun rilievo pratico.

Un’amministrazione Biden adotterebbe immediatamente una politica anti-russa ancora più provocatoria e aggressiva, e non c’è dubbio anche a riguardo della Cina.

Quanto alla politica interna ricordiamoci che sia i Democratici che i Repubblicani hanno approvato, su base quasi unanime, il salvataggio multimiliardario di Wall Street a marzo. La pandemia virale è stata utilizzata dall’élite al potere come un’opportunità per saccheggiare il tesoro pubblico.

Nonostante le affermazioni di Bernie Sanders secondo cui Biden potrebbe diventare il presidente più progressista dai tempi di Franklin Roosevelt, il vero orientamento politico di una futura amministrazione Biden è stato segnalato dall’apparizione del miliardario Michael Bloomberg, che ha tenuto l’ultimo discorso prima di Biden, disprezzando Trump come un povero uomo d’affari e un manager incompetente. Saranno i miliardari e l’apparato dell’intelligence militare, non i ciarlatani come Sanders, a dettare la linea politica sia interna che estera se i democratici vinceranno la Casa Bianca.

Il Partito Democratico si traveste da “amico del popolo” ma è un esecutore degli interessi dell'élite corporativa; il Partito Repubblicano, sotto la direzione di Trump, sta lavorando per sviluppare un movimento d’impronta marcatamente reazionaria e fascista. Se quasi la metà degli elettori non si reca alle urne ciò è dovuto a una diffusa sfiducia per quella che passa ancora per essere un esempio di democrazia.

giovedì 20 agosto 2020

Con un pugno di riso e carne di topo



È di questa settimana la notizia che l’amministrazione Trump ha annunciato nuovi divieti su Huawei volti a paralizzare il gigante cinese dei telefoni cellulari 5G. Il segretario al commercio Wilbur Ross ha annunciato lunedì che le aziende dovranno ottenere una licenza per vendere a Huawei qualsiasi microchip realizzato utilizzando apparecchiature o software americani.

Stando così le cose sembra che non vi sia partita su questo fronte. Le nuove restrizioni sono una condanna a morte nei confronti di Huawei, diventato il più grande rivenditore di smartphone al mondo dopo aver superato Samsung Electronics nel secondo trimestre del 2020.

L’industria dei semiconduttori statunitense rischia di perdere miliardi di dollari a causa dell’ultima mossa, e infatti le principali aziende, tra cui Qualcomm, hanno esercitato pressioni sull’amministrazione Trump per allentare le restrizioni precedenti, non per rafforzarle.

*

mercoledì 19 agosto 2020

La strada per una società più giusta e più libera



Leggo che in Italia ci sono almeno 400mila milionari. Circa metà di questi, o forse di più, sono multimilionari. Con 5 trilioni di dollari di ricchezza finanziaria personale, l’Italia dei ricchi e dei ricchissimi si piazza al nono posto nella graduatoria mondiale. E stiamo parlando di ricchezza finanziaria. Basterebbe un piccolo “prelievo”, pari al 5%, a favore dell’erario e si renderebbero disponibili 250 miliardi. Non rivanghiamo velleità anarco-comuniste, che poi questi filantropi col culo degli altri si agitano e ti chiudono i rubinetti della pubblica carità televisiva.

A proposito di “comunismo” (le virgolette sono d’obbligo, solo dei comici potrebbero negarle), come stanno le cose in Cina?

Il 28 maggio, durante una conferenza stampa dopo il Congresso nazionale del popolo (!?), il primo ministro cinese Li Keqiang (secondo per importanza dopo “Ping”) ha dichiarato che “ci sono ancora circa 600 milioni di persone il cui reddito mensile è di appena 1.000 renminbi, circa 120 euro (*).

Questo commento sulla miseria del 45% della popolazione del paese offre uno sguardo sull’incredibile livello di disuguaglianza sociale e sulle dure condizioni di vita di questi cinesi. E però la Cina ha registrato 373 miliardari nel 2020, secondi nella classifica mondiale.

Il 2020 era originariamente previsto come termine ultimo per vincere “la battaglia contro la povertà”. Noi in Italia invece, com’è noto, ci siamo riusciti con un anno d’anticipo.

Domande spontanee


In autostrada da Trieste transitano verso Ovest ogni settimana decine di migliaia di autotreni, una teoria pressoché ininterrotta di camion di ogni stazza e provenienza. Questo lo sa chiunque abbia percorsa almeno una volta l’A4. Domanda peregrina: le decine di migliaia di conducenti provenienti dall’Est Europa, dai Balcani, dalla Turchia e finanche dal Medio Oriente, sono sottoposti a tampone, magari anche solo a campione? Stessa domanda per il loro carico di merce: è sottoposto a qualsivoglia controllo? Inoltre, sono effettuate periodiche verifiche delle misure d’igiene, di accesso e flusso ai ristori delle stazioni di servizio autostradali? Me lo chiedo senza alcun intento polemico, ma solo perché, come diceva quel tale della vecchia televisione, certe domande sorgono spontanee.

martedì 18 agosto 2020

Un modello di capitalismo odierno



A seguito della crisi di metà marzo, quando i mercati finanziari si sono sostanzialmente congelati, la Fed statunitense è intervenuta con il taglio del suo tasso di base a uno zero effettivo e con un imponente programma di acquisto di asset di circa 3 trilioni di dollari, incluso per la prima volta l’acquisto di obbligazioni societarie.

L’apparente motivo per l’intervento senza precedenti della Fed era quello di fornire un sostegno alle società a corto di contanti e minacciate di bancarotta a causa del virus. Ciò ha innescato una frenesia di prestiti, consentendo alle società di ottenere denaro dai mercati finanziari ai tassi più bassi della storia, con il risultato che l’emissione di obbligazioni societarie finora quest’anno supera già quella del 2019.

L’intervento della Fed, come altri del genere, ha portato a livelli sempre maggiori il parassitismo che forma il modus operandi dell’economia e del sistema finanziario statunitense, laddove la ricchezza prodotta socialmente viene letteralmente travasata nelle casse dell’élite finanziaria.

Un esempio? Apple non deve affrontare problemi di flusso di cassa, posto che ha centinaia di miliardi di dollari liquidi e ha annunciato entrate per il trimestre di giugno di 59,7 miliardi, con un profitto di 11,25 miliardi. E tuttavia Apple è stata una delle prime società ad approfittare delle nuove condizioni create dalla Fed.

A maggio ha raccolto 8 miliardi di dollari attraverso una nuova emissione di obbligazioni e la scorsa settimana ha fatto seguito a un ritorno sui mercati finanziari per raccogliere ulteriori 5,5 miliardi di dollari.

Secondo un rapporto di Bloomberg, l’ultima emissione di obbligazioni di Apple è suddivisa in quattro “tranche”, con la scadenza più lunga di 40 anni che produce solo 1,18 punti percentuali (118 punti base) sopra i titoli del Tesoro USA. Ciò significa che sul debito a più lungo termine Apple pagherà un interesse di poco superiore al 2,5%, con i pagamenti sul debito a breve termine ancora più bassi. Apple è riuscita a ottenere un tasso ancora più economico di Amazon, che ha dovuto pagare 130 punti base al di sopra del tasso sui titoli del Tesoro quando ha emesso nuovo debito.

Piatto ricco mi ci ficco, e così Google ha ottenuto soldi pagando solo 108 punti base. Al di fuori del comparto tecnologico, Visa Inc. e Chevron Corp. hanno stabilito tassi bassi record su nuove emissioni all’inizio di questa settimana, ma per obbligazioni che maturano prima.

Il denaro raccolto in questo modo non deve essere utilizzato da Apple per espandere la produzione e gli investimenti o per finanziare nuove ricerche, per non parlare della creazione di posti di lavoro. È dedicato al finanziamento del riacquisto di azioni proprie e al pagamento di dividendi e per altri “scopi aziendali generali”.

Senza dubbio parte di questi “scopi aziendali” avranno ad oggetto misure di ingegneria finanziaria e il pagamento di fiscalisti e avvocati per ideare nuovi metodi per evitare le tasse.

Lo scopo di queste misure è un trasferimento di ricchezza nelle mani di azionisti e dirigenti delle aziende e di grandi investitori come il multimiliardario Warren Buffet.

I riacquisti di azioni proprie, finanziati dal debito reso disponibile a tassi bassissimi, aumenta il prezzo delle azioni della società ritirando le azioni dal mercato. I restanti azionisti realizzano una plusvalenza e i dirigenti aziendali vengono premiati attraverso un sistema in cui la loro remunerazione si basa sull’andamento della società in borsa.

L’aumento della valutazione di mercato di Apple è solo un aspetto, rilevante, del parassitismo che caratterizza il modo di accumulare profitti delle corporazioni (**). Sulla stessa falsariga è ciò che accade comunemente e un po’ dappertutto. Non è certo da oggi, ma mai in misura come dopo la crisi del 2008. Quando si parla di capitalismo di rapina, ci si riferisce anche a questo.

Il “modello Apple” di accumulazione della ricchezza è solo uno degli esempi più eclatanti di ciò che avviene in generale (*).

Attraverso il suo programma di riacquisto di azioni proprie, Apple è diventata la prima azienda al mondo a raggiungere una valutazione di mercato di 1 trilione di dollari nell’agosto 2018, con un aumento di 300 miliardi nei tre anni precedenti.

L’escalation degli ultimi cinque mesi, sulla scia dell’intervento massiccio della Fed, la capitalizzazione di mercato di Apple è ora di circa 1,9 trilioni e presto raggiungerà i 2 trilioni, un raddoppio in soli due anni.

Una valutazione di mercato superiore già ora al PIL del Canada, la decima economia del mondo, e sarà pari al PIL dell’Italia.

(*) Apple e altre aziende high tech sostengono che i prezzi elevati dei loro prodotti siano il risultato di costi associati alla ricerca e all’innovazione. In realtà sono il risultato della monopolizzazione della conoscenza, spesso sviluppata nel settore pubblico. La tecnologia di base in un iPhone – le batterie, il touch screen, il riconoscimento vocale, Internet – è stata il risultato di una ricerca finanziata con fondi pubblici.

Secondo delle stime, nel decennio 2010-019 le società dell’indice S&P 500, che costituiscono l’80% della capitalizzazione del mercato azionario statunitense, hanno speso 5,3 trilioni di dollari, il 54% dei loro profitti, per riacquistare azioni proprie. Altri 3,8 trilioni di dollari, o il 39%dei profitti, sono stati distribuiti come dividendi. Ciò significa che in quel periodo solo il 7% dei profitti è stato utilizzato per investimenti nell’economia reale.