Il giornale di Confindustria pubblica oggi a p. 16 un artcolo di Éric Sadin, “filosofo specializzato nel mondo digitale”. Come riporta il quotidiano giallo, l’articolo è ripreso da Le Monde del 19 luglio. In realtà quella italiana è una versione ridotta dell’articolo originale. A ogni modo si tratta di un articolo interessante.
Sadin prende avvio dalla notizia delle centinaia di migliaia di documenti interni, datati dal 2013 al 2017, che sono stati recentemente divulgati da Mark MacGann, ex capo delle attività di lobbying di Uber, rivelatori delle pratiche portate avanti da quella che allora era ancora una start-up, volte a esercitare pressioni su numerosi leader politici in tutto il mondo, non ultimo, soggiungo di mio, Emmanuel Macron. L’allora ministro dell’Economia di François Hollande, sostenne attivamente l’azienda americana, che realizzò una vasta operazione di lobbying per aggirare leggi a essa sfavorevoli.
Il filosofo francese rileva come “I documenti trasmessi testimoniano una strategia abilmente elaborata e aggressiva intesa – vista l’annunciata rabbia di coloro che potevano esserne le principali vittime, ossia i tassisti – a presentare questo modello di servizio al pubblico come una promessa economica tale che frenarne lo sviluppo sarebbe stato considerato un errore storico, una mancanza di lucidità” (questo e altri paragrafi sono, come detto, assenti nella versione italiana).
Scrive Sadin: “... è ormai nota la crudele costatazione che certi tipi di sviluppo tecnico hanno sistematicamente fatto rima con l’inizio della regressione sociale. Citiamo solo alcuni degli effetti deleteri provocati da questo tecno-liberalismo, apostolo di una rivoluzione perpetua. Sofisticati programmi di evasione fiscale; manodopera costretta a sottostare all’incerto regime del lavoro autonomo, soggetta una pressione permanente, a un’umiliante valutazione da parte degli utenti”.
Traduco: la strategia di Uber ha avuto due fasi. Uno: distruggere le regole esistenti, ossia “aprire il mercato alla concorrenza”, come dicono i “liberal-democratici”. Due: far credere che i driver di Uber siano “indipendenti”, in realtà falsi lavoratori autonomi che devono rispettare i codici aziendali fino al colore degli slip, essere totalmente dipendenti dalla sua applicazione, sanzionabili alla minima deviazione, ecc..
Se Uber ha potuto fare tutto ciò, è perché ha ottenuto il sostegno attivo dello Stato nelle diverse articolazioni dei suoi poteri a livello apicale. Questa è la definizione esatta di neoliberismo. Ricordiamoci che per combattere una legge (vuoi lo Statuto dei lavoratori, norme anti-inquinamento o altro), è necessaria un’altra legge. Per questo le grandi società hanno bisogno dei partiti e dei parlamentari che scrivono e approvano gli emendamenti (non importa a chi va il tuo voto, l’essenziale è che depositi la tua scheda nell’urna, al resto pensano loro).
Uber si chiama così perché, letteralmente, Uber è sopra a tutto. È la quintessenza tossica di tutto il resto. Il suo nome è intercambiabile con quello di qualsiasi altra multinazionale.
Lo dico per certe persone tristi: c’è poco da scherzarci, da sghignazzare, il sistema imperialistico delle multinazionali è un fatto storico. Storico significa: non solo da oggi.
Sadin, sul finire dell’articolo e nel suo linguaggio adatto a un pubblico critico e tuttavia integrato, scrive: “È giunto il momento di capire fino a che punto, negli ultimi vent’anni, un manipolo di migliaia di persone si è occupato di amministrare il corso delle nostre esistenze al solo fine d’interessi privati e di una visione strettamente utilitaristica del mondo”.
Quando lor signori l’avranno finalmente “capito”, ci faranno la grazia di comunicarcelo.