mercoledì 29 agosto 2018

Sulla pederastia ecclesiastica



Sulla questione dell’omosessualità in ambiente ecclesiastico cattolico, e segnatamente in tema di pederastia, si continua menarla senza affrontare il tema concreto e reale: il celibato cattolico.

Parlare di lobby gay in seno alla Chiesa cattolica è altrettanto fuorviante. Le lobby esistono in ogni grande organizzazione di potere, tanto più se d’impronta totalitaria e segreta. Che in un ambiente sessuofobico come quello ecclesiastico, composto da celibi, proliferi l’omosessualità e abbia per oggetto speciale la pratica pederastica, ossia l’attrazione verso i giovani maschi, spesso minorenni, è solo una ovvia conseguenza. Così com’è ovvio che in un tale contesto si creino delle complicità e dei favoreggiamenti.

Nei secoli, gli acchiappamosche cattolici si sono sfiniti per trovare dei precedenti che giustificassero le posteriori innovazioni. E ciò vale anche per il celibato. Del resto, tutto ciò che appartiene al corpo dottrinale e tradizionale delle credenze religiose è stato di volta in volta inventato di sana pianta dai fondatori (quelli reali), dai teologi e canonisti delle religioni stesse.

Le gerarchie cattoliche hanno cercato di dimostrare come il celibato dei preti, se non era assolutamente prescritto, era per lo meno praticato fin dai tempi più antichi. Sicché, dopo che la Riforma chiese il matrimonio dei preti, per contro i cattolici furono costretti ad andare a cercare le pezze d’appoggio per corroborare il canone che prescrive il celibato. Un canone che prima del XVI secolo non solo non esisteva, ma non era neppure osservato il costume del celibato.

La Chiesa trarrebbe almeno tre vantaggi con l’abolizione del celibato: ridurrebbe il fenomeno della “pedofilia”; aumenterebbe le cosiddette vocazioni al sacerdozio; recupererebbe forza morale che gli scandali sessuali hanno fortemente compromesso. Tuttavia la Chiesa non può attuare una simile riforma, non solo per cocciuta e retriva determinazione, ma perché ha le viscere rose dalla materialità che la penetra, e la ragione del potere e del denaro si fa beffe della morale, tanto più se essa è in gran parte antitetica alle pratiche sociali della nostra contemporaneità.

martedì 28 agosto 2018

Che cosa ci siamo persi


«Con la testa che avevo nel 1969, certamente mi sarei fidanzata con Curcio o con altri simili a lui, avrei combinato casini, e oggi o non c’ero o sarei finita in galera, poi pentita e disgraziata.»

Enrica Bonaccorti, intervista a Il fatto quotidiano.


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A proposito di vocazioni civili, mi viene in mente una scena del film La grande bellezza di Sorrentino, laddove, in risposta a Stefania [Galatea Ranzi], donna socialmente e televisivamente impegnata, che ricordava la sua “vocazione civile ai tempi dell’università”, il protagonista, Gambardella [Servillo], le rammenta dei dettagli:
“Stefa’, la tua vocazione civile ai tempi dell’università non se la ricorda nessuno; molti invece ricordano personalmente un’altra tua vocazione che si esprimeva a quei tempi, ma si consumava nei bagni dell’università …”.

lunedì 27 agosto 2018

Lenin a Capri. Fantasie postume


Nell’articolo «Tutti gli eccentrici dell’”Isola dei baci”», nel Domenicale, c’è un “catenaccio” che dice: «I futuristi, Edwin Cerio, i dandy e la colonia russa nei frammenti postumi di Lea Vergine». L’ottuagenaria Lea Vergine è ben viva e i suoi “frammenti postumi” si riferiscono all’omonima raccolta da lei curata dapprima per le edizioni La conchiglia, poi per Feltrinelli con il titolo più esplicito: Capri 1905-1940. Frammenti postumi.

Nell’articolo, a firma di Stefano Salis, si legge: «… la colonia dei russi, un pezzo non indifferente della rivoluzione sovietica. Nell’isola ferve una “scuola di partito” ai limiti dell’ortodossia [??], e qui toccherà allo stesso Lenin calare per tenere d’occhio i rivali: le sfide a scacchi, di cui resta qualche foto, con Bogdanov e altri, sono metafora di ben altre lotte. Capri, del resto, era la base di una star come Maksim Gorkij. Dei due resta un memorabile scambio, la dura reprimenda che Lenin un giorno fa a Gorkij […]. “Capri fa dimenticare tutto”, gli rimprovera il padre della rivoluzione […].»

Lenin aveva criticato le posizioni di Alexander Aleksandrovich Bogdanov, alias Alyaksandr Malinovsky, in Materialismo ed empiriocriticismo. Infatti Bogdanov era un machista russo, cioè un seguace di Ernst Mach. Nell’articolo del Domenicale ci si riferisce a una celebre foto che ritrae Lenin e Bogdanov che giocano a scacchi a Capri, sulla terrazza di Villa Blaesus, mentre Gorkij li osserva. Si tratta evidentemente del primo breve soggiorno di Lenin nell’isola, poiché due anni dopo, nel secondo soggiorno di Vladimir Ilic, Bogdanov era già stato espulso dal partito bolscevico. Bogdanov non era per nulla un marxista e ancora nel 1920 Lenin dirà che Bogdanov «diffonde, in veste di “cultura proletaria”, concezioni borghesi e reazionarie».

Lenin era a Capri “per tenere d’occhio i rivali”, dice l’articolista, e in considerazione di ciò bisogna tener conto che l’ideologia è un campo di battaglia fondamentale e sempre aperto. Basterebbe aver letto, per esempio, il secondo capitolo di Materialismo ed empiriocriticismo per comprendere che Bogdanov non solo non era marxista ma sosteneva e divulgava tesi antimarxiste. Giusta e opportuna la sua espulsione.

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domenica 26 agosto 2018

Strano paese


Il Ministro degli Interni risponde dei suoi atti anzitutto al Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Presidente del Consiglio dei Ministri si è detto più volte d’accordo con il Ministro dell’Interno sul divieto di far sbarcare i migranti imbarcati sulla nota nave. Mi chiedo per quale motivo sia stato indagato dalla magistratura il Ministro dell’Interno e non il Presidente del Consiglio dei Ministri.

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Si è detto che la Conferenza Episcopale Italiana ha accolto una parte dei suddetti migranti. Li ha accolti dove? In Vaticano, in Svizzera, in Finlandia, oppure in Italia? Qual è lo status giuridico della Cei?

sabato 25 agosto 2018

Do you remember "quota 90" ?





C’è una ragione fondamentale per la quale si trovano al governo due primi consoli come Salvini e Di Maio, e cioè che la misura era colma da un pezzo. Gli elettori avrebbero votato qualsiasi cosa pur di togliersi dai piedi il re dei cretini e la sua corte. La sentenza è passata in giudicato ed è quindi inutile ritornarci sopra.

Questo paese non ha bisogno di chissà quali statisti, bensì di persone di buon senso e di lunghe esperienze di governo anzitutto della propria vita. Gente che prima di aprire bocca s’informa per bene e poi utilizza le parole con parsimonia soppesandone le veraci conseguenze in luce delle contraddittorie necessità che la realtà impone.

mercoledì 22 agosto 2018

I depistatori di regime



A ogni grande tragedia, questo paese chiede giustizia. I tempi della giustizia, a riguardo di delitti gravissimi, si misurano in decenni. Il risultato sono sentenze di prescrizione o false, che lasciano la verità ignota.

Vogliamo ricordare, per esempio, com’è finita con la strage simbolo della storia repubblicana, vale a dire la strage di piazza Fontana del 1969, i numerosi processi conclusi infine solo in questo secolo?

Carlo Digilio, neofascista di Ordine Nuovo, collaboratore della Cia, esperto di armi e di timer, reo confesso proprio nel ruolo della preparazione dell'attentato del 1969, ottenne nel 2000 la prescrizione per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli per il suo contributo nel processo. Giuridicamente lui sarebbe stato l'unico autore della strage, ma non fece mai un giorno di galera. Collaborò, certo, fece i nomi, ma ci si mise di mezzo un ictus, e non fu più ritenuto credibile.

Il trio Zorzi-Maggi-Rognoni, condannato in primo grado nel 2000 all'ergastolo, è stato infine assolto pur essendo parte essenziale del gruppo degli ordinovisti veneti. “La cellula veneziana di Maggi e Zorzi nel 1969 organizzava attentati, ma non è dimostrata la loro partecipazione alla strage del 12 dicembre”, scriverà nel 2005 la Cassazione.

lunedì 20 agosto 2018

Statevene a casa


I soliti testa di pirla gridano allo scandalo perché al Florian o al Quadri hanno pagato una quarantina di euro per aver bevuto “due cose”. La difesa d’ufficio è la solita: eh, signori miei, si tratta di Piazza san Marco, di Venezia. Una difesa così si becca lo scacco dell’imbecille. La posizione del locale, la location, come si dice adesso, è strettamente connessa a una questione di schei, per l’appunto.

Lo sanno questi pirla a quanto ammonta il plateatico in san Marco? E quanto costano degli orchestrali che suonano la melodia che crea quell’atmosfera che i suddetti racconteranno ad amici, parenti e semplici conoscenti per tutta la vita? E la paga e relativi contributi per dei camerieri che sanno mandarti in mona de ta mare in sei lingue? È chiaro che dell’acqua minerale o dei caffè hanno grossomodo lo stesso costo ovunque, ma si tratta appunto dei costi di gestione e d’investimento a fare la differenza.

Del resto basta consultare al volo internet per sapere i prezzi che si praticano al Florian o al Quadri. Ancora prima di sedersi. Domanda: perché chi solleva questo tipo di “scandalo” di solito ha consumato semplicemente dell’acqua minerale o dei caffè? Risposta: per limitare i "danni", perché aveva letto il menù e preso atto dei prezzi, ma non voleva fare la figura di merda di alzarsi, quindi di spostarsi di 50 metri e farsi servire della varechina spacciata per prosecco al bar dei cinesi.

domenica 19 agosto 2018

Il collezionista



Pare che tra i libri gettati nella monnezza vi fosse la prima edizione de Il Gattopardo. Anzi, libri gettati fuori dal cassonetto, come usa da certe parti di questo meraviglioso stivale con l'immondizia. La prima edizione del romanzo di Giuseppe Tomasi è valutata, se in ottimo stato e priva di sottolineature o mende, circa mille euro. Dunque a far notizia è il valore economico di essa e non già il fatto che il suo capolavoro venga gettato nell’immondizia. Chi può essere l’autore di una tale dabbenaggine? Sicuramente degli eredi che sconoscono il valore economico di quella edizione, ma anche il valore letterario della stessa opera.

Chi è stato il fortunato che ha trovato la copia? Igor Artibani, giovane autore tv e sceneggiatore, spiega l’articolo di Repubblica. Il quale ha affermato: «Quell'edizione con quella stessa copertina, in realtà si trova ai mercatini a un euro - due euro perché nel corso degli anni è stata ristampata più volte. Ecco perché non gli avevo dato molto peso».

Ebbene non è esattamente così, signor Igor. Lei dovrebbe dare più peso alle cose che si nascondono dietro le apparenze. Anche la seconda edizione ha il suo valore economico, circa 150 euro. Qualche altra edizione sta tra i 10 e i 20 euro, prima di scendere a pochi spiccioli. C’è pure un’edizione “falsa” della prima del 1957 che ha un proprio valore sul mercato antiquario. E quella “conforme alla prima”, del 1969, che prezza sui 100 euro. Poi un’altra, “celebrativa”, che pagai a suo tempo 300mila lire. Insomma, per essere un “collezionista” di libri, signor Artibani, mi pare ne capisca un po’ poco e nonostante il suo cognome abbia origine antica. Può confermarglielo qualsiasi appassionato e attento “lettore” di libri.


venerdì 17 agosto 2018

Tempismi


Questa la chiusa dell’editoriale di Ernesto Galli sul Corriere:

«Il successo elettorale di Berlusconi segnò il clamoroso rovesciamento di posizioni che duravano da un secolo: fu l’ingresso massiccio della Società nella Politica, anzi il suo prevalere su di essa. Molti (in parte anche chi scrive) s’illusero che quella vittoria potesse portare un necessario soffio di rinnovamento all’insegna del liberalismo. Invece essa volle dire l’inizio della subordinazione dello Stato e delle sue regole alle necessità tutte privatistiche della Società italiana, incarnata dal suo rappresentante forse simbolicamente più significativo. E da allora in un modo o nell’altro le cose non sono più cambiate. Complice da un certo punto in poi anche la carenza delle risorse pubbliche, la Politica, lo Stato e il controllo sul rispetto sulle regole hanno compiuto una progressiva ritirata. Una ritirata che paradossalmente ma non troppo ha il suo aspetto più evidente nella condizione della giustizia italiana. Amministrata da una magistratura priva di vero prestigio pubblico (non ingannino i salamelecchi di facciata), divisa in sette ideologico- politiche organizzate per distribuirsi gli incarichi di maggior pregio, afflitta da personalismi ed esibizionismi, oberata da una mole di leggi inutili e sbagliate fatte perlopiù con il tacito consenso dei magistrati, è una giustizia che non riesce a mandare e far restare in prigione che i poveracci, è una giustizia che lascia alla lunga praticamente sempre impuniti chi ha commesso i reati che commettono i ricchi e i potenti. Vorrei sbagliarmi, ma se sedessi ai vertici di «Autostrade per l’Italia» credo proprio che continuerei a dormire sonni tranquilli.»

Bastava dire che la sovranità non appartiene al popolo, come recita il primo articolo della costituzione, che essa è fatta invece propria dal denaro, dal capitale, che la esercita come meglio crede. Il resto viene, come si suole dire, a cascata. Se hai denaro puoi avere i migliori avvocati, che è un modo legale per comprarsi la legge, se invece sei un poveraccio rischi di finire di là del muro anche da innocente. Non solo in Italia, ma qui più che altrove. Che poi la magistratura sia divisa in sette ideologico-politiche organizzate per distribuirsi gli incarichi di maggior pregio (si tratta in realtà di un potere politico parallelo e in certi casi prevalente) è come scoprire l’acqua calda.

Quanto al tempismo con il quale vengono firmati a Roma certi atti (vedi atto aggiuntivo di “Autostrade” firmato il 24 dicembre 2013), sarà il caso di ricordare che per quanto riguarda il progetto che porterà alla diga del Vajont, il 24 luglio 1943, il giorno antecedente la caduta del duce, e il 6 settembre dello stesso anno, alla vigilia della proclamazione dell’armistizio, la Direzione generale delle acque del Ministero dei lavori pubblici esprime parere favorevole.

P.S. Quanto ai Benettòn, il 7 luglio 2010 scrivevo qualcosina anch’io: La sacra famiglia; poi, il 6 maggio 2011, L'eden dei Benettòn.

mercoledì 15 agosto 2018

Effetti diversi da quelli desiderati



Non sono passati nemmeno 8 giorni:

«Il progetto di legge sul taglio alle pensioni d'oro - depositato alla Camera il 7 agosto con il numero 1071 - così com'è non va bene. Lo ammette uno dei due firmatari, il capogruppo leghista a Montecitorio Riccardo Molinari: "Alla base della proposta di legge firmata da me e dal capogruppo M5S c'è il principio per cui si fa un ricalcolo delle pensioni oltre i 4000 euro netti, senza fare espropri proletari o penalizzare chi è andato in pensione prima", dice. "Se l'applicazione della norma porta effetti diversi da quelli desiderati, lavoreremo con i tecnici del Parlamento e del ministero - che ha le tabelle - per correggerla".»

Resta che alla base della proposta di legge firmata da quei due non c’è il principio per cui si fa un ricalcolo delle pensioni oltre i 4000 euro netti sulla base dei contributi versati. Per esempio. È ridibile quella sugli effetti diversi da quelli desiderati.

A proposito di quest’ultimo concetto, restiamo in attesa che qualche autorevole rappresentante del popolo sovrano riproponga l’idea del ponte sullo Stretto (con campata di oltre 3.000 metri).



lunedì 13 agosto 2018

«Non ci faremo ricattare»



Ho perso un terzo dei miei risparmi per aver dato retta ad un musicista a tempo perso e teorico del sovranismo monetario acca ventiquattro. Ho confidato nella sovranità della banca centrale, nel caso di specie quella turca, ossia nella miracolistica possibilità di stampare cartamoneta anche di notte, se necessario, e pure durante il ramadan e da un solo lato del biglietto, come fu nella Germania del primo dopoguerra.

Ci rifaremo tra qualche mese vendendo i nostri decennali al 3 per cento quando lo spread sarà tornato ai livelli del maggio scorso, quello radioso prima dell'impeachment di Mattarella. Tranquilli allora, nessun gorgo tipo Kreditanstalt, “non ci faremo ricattare”.

sabato 11 agosto 2018

Vaticinio



Riferiva in Senato l’ambasciatore di Venezia, Marcantonio Barbaro, le parole pronunciate con rabbia dal gran visir Mahmud Pascià: “Ambassador, chi vuol manzar co’l cuchier d’altri resta digiuno”. Mi sembra che questa frase possa ben attagliarsi all’attuale governo (forse più che ad altri), tra l’altro e segnatamente in riferimento alla proposta di “ricalcolare” su base contributiva le pensioni nette superiori a 4.000 euro. In realtà, a leggere nero su bianco, si tratterebbe invece di un taglio bischero dei cosiddetti coefficienti di trasformazione, come se gli ultimi cinquant’anni fossero filati via lisci-lisci. Va da sé, e non ci vuole molto studio per capirlo, che la cosa si presenta in modo alquanto diverso da quanto prospettato nel famigerato contratto di governo.

Tale provvedimento, per come congegnato nella proposta scritta, non andrà lontano e dunque si raschieranno altri barili dopo aver finto di aver sarchiato il campo miracoloso dei 4.000 euro. Questo genere d’importi pensionistici riguarda una platea assai variegata ma di solidi principi per quanto riguarda i diritti acquisiti, composta prevalentemente di funzionari dei più disparati apparati dello Stato, in quiescenza, prossimi ad essa o semplici aspiranti. Non sottovaluterei la forza persuasiva di una simile platea di eventuali danneggiati. Vi sono apparati dello Stato e spezzoni di essi che possiedono i mezzi per qualsiasi azione di dissuasione o di ricatto. Salvini Matteo lo sa e Di Maio Luigi si convincerà al primo mortaretto.

domenica 5 agosto 2018

Della ragion borghese


Siamo passati dagli chefs d'Etat agli chefs de cuisine. Si può intenderla anche come una fortuna. A tale riguardo cito una curiosità che riguarda Napoleone. In quel dell’isola di Sant’Elena non se la passava al meglio delle sue non frugali abitudini. Si doleva soprattutto dell’assenza o carenza di certi viveri di conforto, che qualche anno dopo, nella sua branda da campo e nel l’imminenza della morte, elencherà con struggente e quasi commovente dettaglio. Ad ogni modo, anche sotto l’aspetto alimentare, l’ex imperatore se la passava meglio delle migliaia di boeri che quasi un secolo dopo soggiornarono nella stessa isola, sempre ospiti di sua maestà britannica (*).

*

L’intera Europa non se la passava bene nel 1816. Quello fu detto l’anno senza estate. Nevicava copiosamente nelle pianure in luglio e non vi furono raccolti di cereali, d’uve, d’erbe e frutta. Si moriva letteralmente di fame. Si emigrava in massa, ma anche di là dell’Atlantico la situazione climatica non era molto diversa. Dagli Stati dell’est degli Stati Uniti si migrava in massa verso l’ovest. Fu quella la prima massiccia migrazione verso il mitico west.

Tutto ciò fu l’effetto diretto ...