Sulla questione dell’omosessualità in ambiente
ecclesiastico cattolico, e segnatamente in tema di pederastia, si continua
menarla senza affrontare il tema concreto e reale: il celibato cattolico.
Parlare di lobby gay in seno alla Chiesa cattolica è
altrettanto fuorviante. Le lobby esistono in ogni grande organizzazione di
potere, tanto più se d’impronta totalitaria e segreta. Che in un ambiente sessuofobico
come quello ecclesiastico, composto da celibi, proliferi l’omosessualità e abbia
per oggetto speciale la pratica pederastica, ossia l’attrazione verso i giovani
maschi, spesso minorenni, è solo una ovvia conseguenza. Così com’è ovvio che in
un tale contesto si creino delle complicità e dei favoreggiamenti.
Nei secoli, gli acchiappamosche cattolici si sono sfiniti per
trovare dei precedenti che giustificassero le posteriori innovazioni. E ciò
vale anche per il celibato. Del resto, tutto ciò che appartiene al corpo
dottrinale e tradizionale delle credenze religiose è stato di volta in volta
inventato di sana pianta dai fondatori (quelli reali), dai teologi e canonisti delle religioni stesse.
Le gerarchie cattoliche hanno cercato di dimostrare
come il celibato dei preti, se non era assolutamente prescritto, era per lo
meno praticato fin dai tempi più antichi. Sicché, dopo che la Riforma chiese il
matrimonio dei preti, per contro i cattolici furono costretti ad andare a cercare le pezze
d’appoggio per corroborare il canone che prescrive il celibato. Un canone che
prima del XVI secolo non solo non esisteva, ma non era neppure osservato il
costume del celibato.
La Chiesa trarrebbe almeno tre vantaggi con l’abolizione
del celibato: ridurrebbe il fenomeno della “pedofilia”; aumenterebbe le
cosiddette vocazioni al sacerdozio; recupererebbe forza morale che gli scandali
sessuali hanno fortemente compromesso. Tuttavia la Chiesa non può attuare una
simile riforma, non solo per cocciuta e retriva determinazione, ma perché ha le
viscere rose dalla materialità che la penetra, e la ragione del potere e del
denaro si fa beffe della morale, tanto più se essa è in gran parte antitetica alle
pratiche sociali della nostra contemporaneità.