venerdì 31 agosto 2012

Cattivi


Non sarà una campagna elettorale come le altre. È già guerra aperta tra bande, laddove il confronto politico (su cosa?) non esiste semplicemente. Quello che emerge in superfice possiamo vederlo nei media, quello che avviene tra le quinte non lo sapremo mai. Da quando la politica è morta definitivamente, non è difficile travestire degli agenti segreti da politici e dei giornalisti o dei magistrati da 007. Ecco perché, in una simile situazione, incontrando un politico, lo si può salutare così: “Salve, onorevole! Se mi sbaglio, pazienza”.

Ci sono cose che neppure un genio arriverebbe a pensarle. E così si arriva a  pubblicare chiacchiere spacciandole per intercettazioni telefoniche e intervistare i defunti. È questo un campione ben rappresentativo della bassa qualifica dei persuasori e dei loro referenti politici. Le eccezioni costano solo di più. Per questo insisto nel dire che non si può intervenire sui dettagli senza mandare all’aria l’insieme.

I padrini dello Stato non vogliono essere amati, vogliono essere temuti e ciò si può constatare con precisione in ogni occasione. Se li chiami per nome, cioè se gli fai notare che sono dei perditempo arroganti, latrano che sei un fascista. Se più gentilmente, come fa Gilioli, gli fai notare che sono degli ignoranti e dei ladri di parole, sei retribuito con un “pirla”. Chi non s’inginocchia è un nemico.

Per fortuna mi pare si faccia strada una nuova consapevolezza, gente stanca di essere presa per il culo. Purtroppo la consapevolezza da sola non basta, ma non mettiamo limiti alla provvidenza, può essere pure che con il tempo diventiamo cattivi per davvero.

Vedi un po' chi scrive nel blog di Grillo



Poco fa ho letto il post giornaliero sul blog di Beppe Grillo. Non entro nel merito, non né ho voglia e non ho tempo. Alla fine ho visto chi l’ha firmato, ossia lo stesso autore del quale parlo in questo recente post.  Quale credito merita?

giovedì 30 agosto 2012

Fuorilegge


“Questa sede romana non commise mai nessun errore e mai lo commetterà”.
Gregorio VII contro Enrico IV

Non ha destato affatto rilievo, in Italia, il fatto che la stampa e l’opinione pubblica israeliana abbiano preso posizione contro la nomina di monsignor Giuseppe Lazzarotto  a nunzio del Vaticano in Israele. Il prelato è accusato di aver fatto, quale nunzio in Irlanda, tutto ciò che era in suo potere, seguendo le direttive del suo boss, per proteggere i preti pederasti. Soprattutto è accusato di non aver in alcun modo collaborato con il giudice, Yvonne Murphy, capo della Commissione incaricata dal governo irlandese di indagare sullo scandalo degli abusi sessuali nell’arcidiocesi di Dublino.

La Commissione criticava l’arcivescovo Lazzarotto per il suo rifiuto di rendere note informazioni dai rapporti circa gli abusi sessuali del clero su minori. Nel 2008, un anno prima che la Commissione d’inchiesta inoltrasse le sue conclusioni incriminanti alla Corte Supreme irlandese, il Vaticano decideva di nominare Lazzarotto suo rappresentante in Australia. Con un attacco senza precedenti alla Santa Sede, l’allora primo ministro irlandese Enda Kenny affermava: “Lo stupro e la tortura di bambini sono stati minimizzati o ‘gestiti’ pur di sostenere il primato dell’istituzione, il suo potere, il suo rango e la sua reputazione”.

Dal punto di vista canonico poi, bisogna ricordare che un vescovo, nei casi di abusi sessuali perpetrati da preti su minori, ha un compito rilevante. È infatti attraverso le relazioni dei vescovi delle singole diocesi che il promotore di giustizia (un pubblico ministero ecclesiastico – istituito ad hoc nel 2001 per far fronte alla crisi scoppiata con gli scandali per i casi di abusi sessuali – che fa parte della sacra congregazione per la dottrina della fede) valuta i fatti relativi al procedimento. Ed è quindi privilegio riservato al Vaticano, attraverso tale promotore di giustizia, emettere il giudizio finale sulla colpevolezza di un prete. Chiaro che se i fatti vengono insabbiati, minimizzati, dilazionati o travisati già in partenza …..

La questione della pederastia tra i preti cattolici, lo stupro e la tortura dei bambini, è tutt’altro che conclusa. Le gerarchie ecclesiastiche sembrano non rendersi conto dell’assurdità e dell’impossibilità di sottoporre un prete ventenne ad un vincolo di perpetuità quando la vita cambia in continuazione. Ecco perché i preti con il voto di celibato e di castità non possono che diventare persone sofferenti e spesso degli spostati. Lo dico senza alcuna acredine, il voto di celibato e di castità va contro quelle che sono le più naturali e speciali pulsioni della vita e le più profonde aspirazioni di un essere umano e la chiesa non ha alcun diritto su di esse.

La chiesa di Roma ritiene di essere sopra tutto e tutti, una realtà sacra detentrice di un potere sovrano e assoluto a cui nessuno può chiedere conto e ragione dei suoi atti e di quelli dei suoi ministri. Essa vede nei ragazzini stuprati un bene di consumo disponibile senza assumersene le responsabilità che certamente su di essa gravano. Essa ha perso, con i suoi comportamenti di complicità e con gli atteggiamenti assolutori in fatti di gravità inusitata, il diritto di cittadinanza nel consesso delle istituzioni con legittimità sociale e con esso la ragione stessa della sua esistenza.

Se il potere corrompe, quello sacro snatura. E lo si vede bene anche nelle vicende italiane che riguardano le nostre leggi. Non è il parlamento a legiferare in talune materie, ma direttamente il Vaticano. E se la Corte europea per i diritti dell’uomo obietta che tali leggi sono fatte coi piedi, ecco ancora i vescovi prendere posizione e sollecitare ricorsi ridicoli. E tutto ciò in forza di un peccato d’origine, l’aver accolto nei principi fondamentali – quindi immodificabili – della Costituzione i Patti lateranensi di mussoliniana memoria, per cui si è stabilito, tra repubblica e una particolare organizzazione religiosa, non più e non solo un rapporto di tipo politico ma bensì un rapporto di fedeltà. 

Non ora


Non di manco, perché el nostro libero arbitrio non sia spento,
iudico poter essere vero che la fortuna
 sia arbitra della metà delle azioni nostre,
ma che etiam lei ne lasci governare
l’altra metà, o presso, a noi.

Nell’inciso del Machiavelli, “o presso”, sta tutta la questione di questo post.

Allo stato delle cose non è presente e attiva alcuna forza capace di produrre un’alternativa sociale praticabile, un cambiamento profondo e globale volto al superamento del modo di produzione (e distribuzione!!) capitalistico. Nel pantano della politica tutto avviene entro le coordinate stabilite e ciò può prefigurare, al massimo, l’aggiustamento di taluni assetti dell’esistente, lasciando al politico di turno solo l’ambizione di essere acquistato al giusto prezzo.

Nel considerare le cose nel loro insieme, bisogna tener conto della rilevanza che può avere l’idea stessa del cambiamento presso le masse psicologicamente disgregate e deprivate di pensiero critico autonomo. Generalmente, nella nostra situazione, si fa passare per cambiamento le stesse cose che propugnano i movimenti di protesta, una mesticanza di trivialità che ignorano ciò che la critica scientifica ha prodotto. Ad ogni effetto, questi movimenti sono al servizio dei padroni del mondo.

Come sappiamo le cause che inducono cambiamenti sociali decisivi sono di tutt’altra natura e coinvolgono le anime comuni e meno comuni, sia per loro espressa volontà o anche in assenza di essa. I sanculotti alla presa della Bastiglia non avevano la minima idea di essere agenti della rivoluzione borghese, mentre la ricca borghesia mercantile e usuraia aveva ben presente il proprio obiettivo che era poi quello di ottenere un riconoscimento politico equivalente al raggiunto potere economico. A tal fine occorreva colpire l'aristocrazia terriera minando le basi del potere fondiario.

In una norma del codice napoleonico – in materia di successione nella proprietà, sia essa mortis causa che inter vivos – si è voluto vedere sancito un principio giuridico che ha di fatto mandato al macero intere biblioteche e mutato radicalmente il corso degli avvenimenti più di quanto non abbia fatto il diuturno lavoro della ghigliottina. Ciò è vero nella misura in cui tale norma è stata il risultato di un processo durato secoli.

Scrive Marx: Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa. Noi assistiamo oggi a cambiamenti importanti, agiti dal grande capitale e declinati nel suo linguaggio, come il mercato mondiale, la creazione della fabbrica-mondo, la fine dell’illusione democratica e l’instaurazione di un totalitarismo molto più sofisticato di quanto poteva immaginare la modesta fantasia di Orwell.

Tutto questo e altro ancora è avvenuto in assenza di oppositori e in forza di una certa ragione di vivere. Ci ha fatto comodo ignorare quanto stava accadendo evitando domande, fiduciosi dell’onestà di fondo di questo sistema, ricevendo in cambio il privilegio illusorio dell’opulenza. Una volta eletti consumatori, cittadini del mercato, abbiamo dovuto offrire prova del nostro disprezzo per tutto ciò in cui avevamo creduto e, alcuni, anche lottato. Ed è quindi vero che il mercato ha tolto credito alle ideologie, tranne una, ovviamente.

Sono stati sufficienti pochi decenni perché si passasse dall’apogeo al declino, ma ancora troviamo la forza e i motivi per aggrapparci alle sorti di un sistema che non ci vuole più se non come schiavi di riserva e al quale ancora ci affidiamo per metà e per l’altra all’istinto. Non sarà quindi per nostra volontà che cambieremo tutto questo. Non ora.

mercoledì 29 agosto 2012

I ciabattini della felicità


Alla concezione corrente i rapporti o le forme della distribuzione della ricchezza socialmente prodotta, ossia le diverse forme di quello che s’usa chiamare reddito, appaiono come rapporti naturali, come rapporti che scaturiscono dalla natura di tutta la produzione sociale, dalle leggi della produzione umana in generale. È in questa concezione comune dei rapporti di produzione e distribuzione che nasce la più grande confusione delle teorie borghesi, non ultima quella ultra-reazionaria della cosiddetta “decrescita” alla quale è stato poi aggiunto, in modo fuorviante, l’aggettivo “felice”.

Non potendo negare l’evidenza, ossia che le società precapitalistiche mostrino altri modi di distribuzione, i teorici borghesi li interpretano come modi non sviluppati, imperfetti e camuffati, diversamente coloriti, dei rapporti normali di distribuzione, modi che non hanno raggiunto la loro più pura espressione e la loro forma più alta. Quindi essi ammettono che i rapporti di distribuzione si sviluppano storicamente, ma essi si aggrappano d’altra parte ancora più tenacemente al carattere costante dei rapporti di produzione stessi, derivante dalla natura umana e indipendente quindi da qualsiasi sviluppo storico.

Da ciò deriva che il carattere, le forme, della distribuzione e quindi del consumo sono intesi indipendentemente dal carattere e dalle forme dei rapporti di produzione. L’analisi scientifica del modo di produzione capitalistico dimostra al contrario che esso è un modo di produzione di tipo particolare, specificamente definito dallo sviluppo storico; che, al pari di qualsiasi altro definito modo di produzione, presuppone un certo livello delle forze produttive sociali e delle loro forme di sviluppo, come loro condizione storica; che i rapporti di produzione corrispondenti a questo specifico modo di produzione, storicamente determinato — rapporti, in cui gli uomini entrano nel loro processo di vita sociale, nella creazione della loro vita sociale —, hanno un carattere specifico, storico, transitorio; e che, infine, i rapporti di distribuzione sono in sostanza identici a questi rapporti di produzione, costituiscono il rovescio di questi ultimi, così che gli uni e gli altri hanno lo stesso carattere storicamente transitorio.

Scrive Marx: “Nello studio dei rapporti di distribuzione, si prendono le mosse dalla pretesa constatazione di fatto secondo cui il prodotto annuo si distribuisce come salario, profitto e rendita fondiaria. Ma in tali termini, la constatazione è falsa. Il prodotto si ripartisce da un lato, in capitale, dall’altro in redditi. Uno dei questi redditi, il salario, non assume mai la forma di un reddito, il reddito dell’operaio, se non dopo essersi contrapposto all’operaio stesso nella forma di capitale. Il contrapporsi delle condizioni di lavoro prodotte e dei prodotti di lavoro in generale, in quanto capitale, ai produttori diretti, include a priori un carattere sociale definito delle condizioni di lavoro materiali rispetto agli operai e con ciò un rapporto determinato, in cui essi entrano nella produzione stessa con i possessori delle condizioni di lavoro e fra loro stessi.
Se una parte del prodotto non si trasformasse in capitale, l’altra non assumerebbe le forme di salario, profitto e rendita. D’altro lato, se il modo di produzione capitalistico presuppone questa forma sociale determinata delle condizioni di produzione, le riproduce anche continuamenteNon riproduce solamente i prodotti materiali, ma riproduce continuamente i rapporti di produzione, nell’ambito dei quali quelli vengono prodotti, e con essi anche i rapporti di distribuzione corrispondenti”.
Scrvive sempre Marx: “Ma consideriamo ora i cosiddetti rapporti di distribuzione. Il salario presuppone il lavoro salariato, il profitto presuppone il capitale. Queste forme determinate di distribuzione presuppongono quindi determinate caratteristiche sociali delle condizioni della produzione e determinati rapporti sociali fra gli agenti della produzione. Un determinato rapporto di distribuzione è, di conseguenza, solo l’espressione di un rapporto di produzione storicamente determinato.
I cosiddetti rapporti di distribuzione corrispondono, quindi, a forme storicamente determinate, specificamente sociali, del processo di produzione e dei rapporti in cui gli uomini entrano nel processo di riproduzione della loro vita e derivano da queste forme. Il carattere storico di questi rapporti di distribuzione è il carattere storico dei rapporti di produzione, dei quali essi esprimono soltanto un aspetto. La distribuzione capitalistica è distinta dalle forme di distribuzione che derivano da altri modi di produzione, ed ogni forma di distribuzione scompare insieme con la forma di produzione determinata a cui essa corrisponde e da cui deriva.
La concezione che considera storicamente solo i rapporti di distribuzione, ma non i rapporti di produzione è una critica iniziale, ancora timida, dell’economia borghese. D’altro lato essa si fonda sulla confusione e sulla identificazione del processo sociale di produzione, con il processo lavorativo semplice, che deve compiere anche un uomo artificiosamente isolato, senza alcun aiuto sociale. In quanto il processo lavorativo è soltanto un processo fra l’uomo e la natura, i suoi elementi semplici rimangono identici in tutte le forme dell’evoluzione sociale. Ma ogni determinata forma storica di questo processo ne sviluppa la base materiale e le forme sociali. Quando è raggiunto un certo grado di maturità, la forma storica determinata viene lasciata cadere e cede il posto ad un’altra più elevata. Si riconosce che è giunto il momento di una tale crisi quando guadagnano in ampiezza e in profondità la contraddizione e il contrasto tra i rapporti di distribuzione e quindi anche la forma storica determinata dei rapporti di produzione ad essi corrispondenti, da un lato, e le forze produttive, capacità produttiva e sviluppo dei loro fattori dall’altro. Subentra allora un conflitto fra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma sociale”.
Perciò, senza che vi sia un cambiamento radicale dei rapporti di produzione, del rapporto tra capitale e lavoro, qualsiasi tentativo di modificare di per sé i rapporti di distribuzione diventa velleitario, quando non apertamente reazionario come quando si chiede una riduzione dei salari al fine di diminuire i consumi.
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Latouche, riprendendo dal Sahlins de L'economia dell'età della pietra, traccia un paragone tra il paleolitico e la moderna società considerando il primo come la condizione perfetta della società dell’abbondanza in quanto “allora gli uomini avevano pochi bisogni e potevano soddisfare tutte le loro necessità con solo due o tre ore di attività al giorno. Il resto del tempo era dedicato al gioco, alla festa e allo stare insieme”.

Latouche dimostra di non avere la minima idea di come vivesse l’uomo del paleolitico. Salvo eccezioni esso non conduceva una vita nell’abbondanza, ma di privazioni, spesso di fame e di sete, di malattia, alle prese con i capricci del clima e i fenomeni dalla natura, in lotta con altre tribù. La vita media era allora al massimo di 30-40 anni. L’abbondanza alla quale si riferisce Latouche, anche nei casi nei quali vi fosse effettivamente stata, era l’abbondanza propria della vita animale, in quanto, l’essere dell’uomo è sempre più della sua mera esistenza materiale.

La tendenza, cioè il tentativo di rappresentare il futuro sviluppo della società umana come un’analogia del passato remoto è semplicemente puerile. Per certi aspetti, ma in modo decisamente meno erudito, Latouche mi ricorda Lewis Mumford che quasi mezzo secolo fa ebbe momentaneamente ad affascinarci. E mi ricorda ancor più il consigliere di giustizia Knapp della favola di Andersen, dal titolo eloquente: Le ciabatte della felicità. Questi affermava che “il regno del re Hans era stato l’epoca migliore e più felice di tutta la storia umana”. Avrebbe poi ricordato che, venutosi a trovare in quell’epoca, per tutta la vita non fece altro che rilevare gli orrori affrontati in tale regno e invece a benedire il secolo in cui era nato.

Non so dire se in tali proiezioni vi sia più ignoranza che malafede, ciò che evinco è l’effetto d’induzione psicologica di tali teorie in un numero crescente di individui. Non escludo quindi che alcuni guru della decrescita, non so quanto consapevolmente, possano far parte di programmi speciali gestiti da certe entità. Coloro che dovessero ritenere tale mia ipotesi azzardata e fuori delle realtà, forse non immaginano l’ampiezza e la forza dell’azione dei manipolatori professionali, naturalmente occulti, e soprattutto i mezzi che essi hanno a loro disposizione. Forse un giorno scriverò un post sull’argomento, iniziando dalle origini del fenomeno, per esempio dal programma MKUltra.