venerdì 30 settembre 2022

Chi parla a nome nostro ?

Questo citrullo è fermo alla dicotomia imperialismo/mercato.

Chi avrebbe immaginato, all’alba del 1 gennaio 2020, ciò che è accaduto nei successivi 34 mesi, ossia fino ad oggi? A cominciare dall’atmosfera di sospetto abilmente mantenuta col favore dello stato di emergenza, di vera e propria caccia all’uomo e di tutto il resto di cui sembra siamo diventati quasi dimentichi scrollandoci di dosso quei brutti ricordi, che nella psiche di ognuno di noi una ferita l’hanno lasciata.

Poi è venuta la guerra, che noi democratici occidentali giuriamo di non aver voluto, ma che continueremo ad alimentare generosamente perché vogliamo costringere il brutale aggressore alla resa incondizionata, ben sapendo che questa strada, quella della guerra, è un vicolo cieco. Abbiamo il diritto di essere degli idioti perfetti.

Venendo a questi ultimi giorni, le elezioni politiche hanno dato la maggioranza relativa e il diritto di formare e presiedere un nuovo governo al capo di quel partito (nella fattispecie una donna) che fu fondato dal gerarca fascista Almirante, che sarebbe stato orgoglioso di vedere una simile evoluzione politico-istituzionale della repubblica nata dalla resistenza. All’alba di quel 1° gennaio 2020, questo pronostico sarebbe stato preso per umorismo freddo. Come possono cambiare velocemente le cose.

A proposito di freddo, chi può dire quali sorprese ci riserveranno nei prossimi giorni e mesi i leader politici e quel tot per cento più ricco del pianeta che si sta arricchendo ancora di più speculando sulla guerra e le sanzioni? Torneremo a cenare a lume di candela e a scaldarci con la boule d’acqua calda come ai vecchi tempi? Avevamo nostalgia del Natale in casa Cupiello, ed ecco il nostro desiderio appagato. Penseranno i grandi giornalisti ad approntare il presepe più adatto, ci piaccia o no.

Chi parla a nome nostro e del pianeta? I potenti, con un cinismo smagliante continuano a vomitare sulla spina dorsale del mondo reale, incapaci di pronunciare la parola “pace”.

Si può fare qualcosa al riguardo? Quei pochi che leggono questo blog da più di un giorno sanno come la penso sul voto elettorale: democrazia non è la libertà di scegliere un simbolo tra tanti. Come cantava quel tale: libertà partecipazione. Vera, effettiva. E anche con ciò non avremo però eliminato la contraddizione principale (vasto programma, ahimè).

Se gli schiavi e i meteci avessero avuto diritto di voto in Atene, e pur nell’insieme più numerosi degli altri, non per questo avrebbero potuto cambiare il corso delle cose che contano davvero. Neanche il grande Spartaco poteva riuscirvi con i suoi metodi diversi. Lo sviluppo storico ci stringe entro la sua gabbia, inevitabilmente.

Da allora il processo storico è andato avanti e qualcosa si può mandare a effetto davvero e subito, volendo.

La più grande vittoria che in questi decenni ha ottenuto la borghesia è stata quella ideologica. Un trionfo, non a caso. Quello della lotta ideologica è un terreno decisivo, dov’è indispensabile riconquistare posizioni (*).

Come ripeto spesso, l’astensione dal voto, ossia il rifiuto di questo ingannevole rituale, è solo il primo passo, poiché non votare di per sé non basta. Altro dipende da fattori contingenti, quali per esempio la crisi economica che avrà l’effetto di un cataclisma (i borghesi meno deficienti s’affrettano a dire la loro preoccupazione riguardo le “disuguaglianze”, mantenendo ben salde quelle tra padroni e servi).

Lotta ideologica significa far comprendere che le nuove forme in cui si esprime sia il capitalismo e sia lo Stato, ci fanno tutti schiavi nella stessa caverna, e che fermare la guerra dipende da noi, dalla nostra mobilitazione. Solo sulla base di questa opposizione di massa comincerà a operare anche il principio strategico della fase successiva.

Dunque, senza sconti per nessuno, senza prendere partito che non sia quello dell’opposizione aperta e netta al sistema e alla guerra (ovunque essa si presenti, questo dobbiamo capire esattamente), mettendo in chiaro gli interessi reali e subdoli che ci schiavizzano, che istigano la guerra, dicendo no al militarismo e al riarmo, cosa di cui si guardano bene dal fare tutti i partiti in parlamento.

(*) Prendiamo sul serio quei ragazzi che scioperano a scuola perché, come dicono i media ufficiali (tutti infami), “ha vinto la Meloni”. Poverina, quasi verrebbe da dire, se non sapessimo dove andrà a parare. Questi studenti esprimono un istinto e sentimento genuini, ma mancano ancora di “istruzione”. Non a causa delle macerie in cui è ridotta la scuola pubblica dopo le ennesime “riforme”; non è a quel tipo d’istruzione che mi riferisco ovviamente.

Gli studenti devono istruirsi sulla funzione oggettiva che i partiti politici, confindustria, sindacati , eccetera svolgono nell’ambito dei dispositivi centrali e delle congiunzioni periferiche del potere, dunque nelle determinazioni essenziali del progetto economico e di controllo sociale della borghesia imperialista. Non devono aver paura di usare le parole che rappresentano questa realtà. Più in là apprenderanno che la mera contestazione non è un linguaggio sufficiente, ma non affrettiamo i tempi, che poi certe cose verranno da sé. 

giovedì 29 settembre 2022

La grotta

 

Quante divisioni ha il Garante?

Nove su dieci multinazionali che operano nel settore della comunicazione digitale sono statunitensi. Quando al mattino accediamo uno dei nostri dispositivi, da quel momento ogni nostra attività in quel contesto viene messa a valore, dunque produce dei profitti. Non produce solo ricchezza per chi tira le fila di questo imponente business, ma anche potere. Un grande potere.

Un qualunque servizio offerto apparentemente in forma gratuita, alla prima domanda che ci pone, per esempio quale lettura o quale film ci piace, oppure cercando informazioni su qualsiasi altro prodotto o servizio, innesca da quel momento degli algoritmi che cominciano a disegnare il nostro profilo individuale. E poi a proporci i prodotti che più si avvicinano ai nostri gusti e bisogni (di qualsiasi natura). È questa un’esperienza quotidiana di cui tutti siamo consapevoli quando cerchiamo un libro, un albergo, un paio di scarpe.

Non si tratta semplicemente dei cookie per venderci qualcosa. Anche quando li rifiutiamo, lasciamo traccia, il nostro profilo si arricchisce, i nostri dati ne producono altri, che a loro volta agiscono su di noi, orientandoci. Questa è una forma di potere su ognuno di noi, tanto che ormai non possiamo rinunciare a consultare i nostri dispositivi digitali per qualunque cosa. È una dimensione nuova alla quale ci siamo volontariamente legati e dalla quale non possiamo più uscire. Anzi, più vi entriamo e più ne rimaniamo coinvolti individualmente.

Il “dispositivo” ha soppiantato quasi tutte le relazioni umane, siamo passati dalla vita di relazione a quella di mera connessione. Se non hai un lettore QR non leggi il menù in trattoria, se non hai uno “spid” non puoi entrare nel sito della tua Ulss o vedere il tuo fascicolo previdenziale presso l’Inps. E ciò vale per le altre applicazioni e porte d’accesso alla rete. Senza avere un’identità interna al sistema di internet, non accedi al sistema dei servizi pubblici, e diventiamo dei fantasmi. La disconnessione significa ormai la morte civile.

Produciamo valore per le più grandi aziende planetarie, che hanno ognuna una quotazione in borsa superiore al Pil dell’Italia, e che hanno la loro sede principale, i loro server, la gestione dei domini, negli Stati Uniti. È questo un potere enorme e inedito, che può schiacciare qualsiasi contendente geopolitico ed economico che non disponga di sistemi tecnologici analoghi e sotto il proprio controllo.

Quando si oppone che il mondo non si divide tra dominatori e vassalli, ciò è vero nella misura in cui a un Paese è possibile autonomizzare, sia pure con difficoltà, la propria rete, come la Russia e la Cina. Tutti gli altri si devono inginocchiare, compreso il presidente degli Stati Uniti quando è inviso a una fazione importante e decisiva dell’establishment. È accaduto esattamente a Trump, quando Twitter e Facebook hanno deciso di chiudere non gli account personali del signor Trump, ma il suo account istituzionale, l’account presidenziale @POTUS.

Quando le reti digitali dell’intelligenza artificiale avranno completamente circoscritto il regno dei vivi con i loro algoritmi, una casta postumana ci sostituirà. Anche se ora viviamo nel cuore dell’era cibernetica, siamo ancora lì, incatenati nella grotta platonica, storditi dalle ombre. Anzi, la nostra schiavitù è in costante peggioramento, poiché gli esseri umani ora nascono all’interno di questa nuova prigione delle ombre, dove i nostri figli e nipoti non conoscono altro che schermi.

Chi gestisce e controlla questo sistema cibernetico che avvolge e inquadra per capillarità tutti i tipi di scambi del pianeta? Torniamo alle parole con cui ho iniziato questo post, alle grandi multinazionali della comunicazione digitale. I loro uffici, i loro server, non sono sotto casa nostra. Né conosciamo in dettaglio le “centrali” della cosiddetta intelligence che si servono di tali dati, come per esempio la National Security Agency, la quale afferma (testuale) che il suo compito è mappare l’intero universo delle persone cibernetiche, ossia tutte le persone che dispongono di un dispositivo cibernetico, vale a dire uno smartphone, un tablet o un computer.

Abbiamo dato loro le chiavi della nostra vita. Si sono infiltrati ovunque, al punto da inebriare il minimo dei nostri desideri e consumare l’uso delle nostre giornate. Non siamo solo consumatori che si brutalizzano offrendo il proprio tempo e le proprie capacità cerebrali, ma soggetti requisiti da un dispositivo planetario che, organizzando l’impoverimento delle relazioni e del linguaggio (Elon Musk ha dichiarato che il linguaggio umano sarà presto “obsoleto”), continua a estendere il suo controllo su di noi.

I fornitori di accesso apparentemente gratuito o con modica spesa, ci addestrano a obbedire alla incessante sollecitazione dei flussi informativi. Una manciata di persone sfrutta la nostra inerzia e approfitta della nostra apatia, siamo diventati dei “cretini digitali”, seguaci della menzogna, della manipolazione sistematica della percezione della realtà, incatenati peggio che nella classica grotta.

mercoledì 28 settembre 2022

Una situazione in cui ci si gioca tutto

 

Ciò che è accaduto nel Baltico in queste ore, a riguardo dei gasdotti Nord Stream 1 e 2, entrambi attualmente non operativi (ma ancora pieni di gas), la dice lunga sui possibili autori dell’attentato e induce a una semplice e immediata considerazione: la Germania è una colonia statunitense.

Ergo, anche l’Italia, anzi, molto più della Germania. Siamo una piccola colonia americana, un Paese vincolato da una serie di trattati a quella che vuole farsi chiamare Unione europea, che è per l’appunto un’aggregazione di Stati colonie degli Stati Uniti e della loro longa manus militare.

Quali che siano le nostre idee e scelte politiche, dobbiamo tener conto di questa realtà. Gli Stati Uniti possono decidere non solo di staccarci dalle forniture di gas e di quant’altro, ma possono disconnetterci dal resto del mondo ed eliminare domini internet, ossia l’infrastruttura essenziale del nostro mondo, e riportarci indietro di decenni. E questo dovrebbe farci riflettere su dove ci sta portando la gestione centralizzata di queste nuove tecnologie.

È una realtà che smonta completamente il discorso sul potere e le varie forme del suo esercizio di cui alla Costituzione più bella del mondo. Si tratta di un potere intrinseco e strutturale (economico, politico, militare e culturale) che può prendersi qualsiasi arbitrio, compreso di chiudere la bocca a chiunque. L’ha dimostrato in ogni angolo del pianeta, lo dimostra ogni giorno lalterazione/costruzione ad hoc della percezione sociale degli eventi.

Ricordiamoci ciò che è già avvenuto: un giorno un tizio si è presentato alle telecamere di tutto il mondo con una boccetta, dicendo che era la prova che Saddam stavano fabbricando armi biologiche per minacciare l’umanità. Ne è sortita una guerra che ha raso al suolo l’Iraq e ha fatto molti più morti di quella oggi in corso in Ucraina.

Quelle di ieri erano guerre per il petrolio, quella di oggi per il gas, quelle di domani per i metalli e le terre rare, senza di queste non c’è egemonia e futuro. Si tratta di una trasformazione netta degli equilibri mondiali usciti dalla II guerra mondiale.

Siamo entrati in un’epoca di conflitti in cui ci si gioca tutto, perciò non si fanno scrupolo di minacciare la guerra nucleare. Questo sistema economico e geopolitico sta dimostrando di non essere in grado di garantire lo sviluppo pacifico dell’umanità. Spetta a ognuno di noi prenderne atto e agire conseguentemente.

martedì 27 settembre 2022

Una scatoletta di tonno vuota

 

L’Italia è stato l’unico paese in Europa che durante la seconda guerra mondiale ha avuto insurrezioni armate contro il regime fascista nelle grandi città (Napoli, Roma, Torino, Genova e Milano), e una guerra partigiana che ha tenuto impegnate numerose divisioni tedesche e le milizie fasciste locali. Nel dopoguerra e per quasi mezzo secolo ha annoverato il Partito Comunista più grande e organizzato dell’Europa occidentale. Eppure, ora avrà una presidente del consiglio che non rinnega l’eredità di Mussolini, che anzi nel simbolo del partito del quale è capo politico mantiene mascherata l’effigie. Com’è potuto succedere?

Un segnale inequivocabile

 

È quello venuto ieri dalla Borsa.

L’élite dirigente e proprietaria è ben consapevole di aver svolto un ruolo decisivo nel trattamento amichevole riservato alla Meloni durante la campagna elettorale. Non è casuale che, dopo l’amichevole dibattito elettorale del 12 settembre tra Meloni e Letta, la tedesca Süddeutsche Zeitung abbia scritto: “Nessuno demonizza Giorgia Meloni in Italia, nemmeno la stampa. Sta navigando verso la sua vittoria elettorale, almeno così sembra”.

Enrico Letta non è lì per caso, e il cosiddetto “campo largo” è servito solo per confondere gli sciocchi. Perché pretendere da quelli del Pd di essere di sinistra quando, ovviamente, non lo sono? Tutto il resto è conseguenza. Nelle crisi di sistema, la grande proprietà sa bene che è necessario di volta in volta dare l’apparenza che tutto cambi. È storia vecchia (*).

Si trattava di far percepire il partito di Meloni (che non pronuncerà mai due parole chiare e semplici: “sono antifascista”) come un partito di estrema destra, ma non necessariamente estremo, quindi di rintuzzare i candidati al “saluto” disinibito che si sono lasciati andare un po’ troppo apertamente. E poi i temi quali immigrazione e sicurezza sono oggi al centro dei discorsi di tutti i partiti, a volte in maniera altrettanto radicale. Un pizzichino appena di anti-establishment europeo e la missione è compiuta.

Non c’è motivo di temere la vittoria elettorale dei fascisti 4.0, neanche loro portano più i mocassini e i Ray-Ban. Sia in politica economica, sia in quella interna ed estera, non ci sarà alcuna differenza tra il governo attuale e quello di domani. Per esempio, i conglomerati energetici continueranno a rastrellare miliardi di euro in super-profitti, e gli evasori ed elusori fiscali, grandi e piccoli, possono stare tranquilli.

Anzi, il nuovo governo sarà ancora più conservatore nella sostanza, e nei dettagli il folclore reazionario servirà a rinfocolare sterili polemiche giornalistiche, utili per le vendite e gli annunci commerciali. Tipo il dibattito surrealista sul sesso biologico, che troviamo deliziosamente alla moda, cosicché da ribattezzare per esempio le donne “con utero o senza”, e così via per il resto.

Salvo rare eccezioni, non si faranno mai domande sostanziali ed essenziali che possano mettere in chiaro i reali meccanismi del sistema di potere.

In cambio i nuovi inquilini di palazzo Chigi potranno sistemare qualcuno del loro giro in Cassa depositi e prestiti, PagoPa, Eni, Enel, Enav, Leonardo, Ram, Gse, Mefop, Sogei, Rai, Ferrovie, Sace, Amco, Invitavia, Consap, Consip, Giubileo 2025, eccetera, eccetera.

Negli anni Settanta, Marguerite Yourcenar scriveva: «Si parla dell’ignoranza sessuale in cui la società di epoche vicine a noi, se non addirittura della nostra, a dispetto delle apparenze, lascia deliberatamente la gioventù; non si parla invece della straordinaria ignoranza in materia finanziaria e legale in cui siamo tutti immersi; in quelle scienze dalle quali dipende la nostra indipendenza, e talvolta la nostra vita, il più perspicace e il più colto fra noi spesso non è che un analfabeta» (Archivi del Nord, p. 211).

(*) In Francia, a Luigi XVIII successe Carlo X di Borbone, poi Luigi Filippo, che con il “quarantotto” se la filò in borghese facendosi chiamare signor “Smith”. Arrivò la Repubblica, ma fu un fuoco di paglia fino al diciotto brumaio del nipote di Napoleone. Ciò che spaventò davvero la borghesia francese ed europea fu la Comune del 1871, al punto che gli eserciti, francese e prussiano, fino al giorno prima nemici, si allearono per reprimere i comunardi. Risultato: 20.000 comunardi massacrati, e altre migliaia deportati.

La stessa cosa accadde in Italia, basti pensare al Luglio 1943. Nel dopoguerra i Savoia erano ormai squalificati e impresentabili, tornarono i liberali e i clericali, variamente compromessi col fascismo, e grazie a Togliatti anche i fascisti doc, che si trasformarono a Fiuggi in fascisti 2.0. Alla “roba” non successe nulla, al massimo passò di mano, dal nonno ai nipoti, lo stesso Valletta fu salvato dal “Partito” un attimo prima di essere fucilato.

lunedì 26 settembre 2022

Alienati siete voi

 

Non ho analisi sofisticate e battute divertenti da condividere sull’esito del voto. Se vi piace questo tipo d’esercizio non c’è che l’imbarazzo della scelta nella schiuma dei social, per esempio nel blog di un neologo che definisce “assenteisti del seggio” quelli che, dopo decenni per cui si doveva essere sempre disponibili a dare il voto a qualcuno, hanno deciso di non farsi prendere per il culo per l’ennesima volta (*).

C’è anche chi considera gli astenuti dal voto come degli “alienati”, oppure sono ricondotti a un problema di scarsa cultura, di apatia e di marginalità socio-politica (i votanti invece sono tutte persone acculturate e ben integrate), tutto sommato una componente sociale non meritevole di vera attenzione, con ciò nascondendo che il fenomeno, nel suo incrementarsi, ha indubbie connotazioni politiche, ossia è compiuto da cittadini consapevoli che, con questo atto intenzionale, esprimono la loro opinione.

Solo in tre regioni s’è raggiunto appena il 70 per cento dei votanti. A Napoli gli astenuti sono aumentati di 15 punti percentuali rispetto al 2018, nella virtuosa Milano l’aumento degli “assenteisti del seggio” è stato di circa 5 punti, circa 10 punti a Torino, 7 punti esatti a Genova (qui i votanti sono in perfetta media nazionale). In Puglia, dove una coalizione Pd-5S avrebbe vinto in tutti i collegi uninominali, gli astenuti sono in ogni provincia oltre il 40 per cento. In Sardegna gli astenuti sono mediamente quasi il 50%, mentre in Sicilia la media è di circa il 40%.

Invece di chiedersi semplicemente perché gli elettori votanti abbiano scelto un partito invece che un altro, forse è tempo di chiedersi seriamente e senza ipocrisie, senza facili e inutili sarcasmi, perché in soli 16 anni gli astenuti sono aumentati di 20 punti percentuali, perché quasi 20 milioni di cittadini o non si recano alle urne o votano scheda bianca (queste ultime nel 2018 sono stati oltre un milione nel territorio nazionale) oppure la annullano intenzionalmente.

(*) Breve digressione esemplificativa. La lega ha promesso per decenni, stando al governo complessivamente per dei lustri, l’autonomia regionale. A fronte della promessa non mantenuta, non deve sorprendere che l’elettore leghista si astenga dal voto oppure lo dia a un’altra lista. Potrà sembrare paradossale che egli preferisca dare il suo voto a un partito centralista, tuttavia bisogna considerare che l’elettore leghista, specie se veneto, non darà mai il suo voto a un partito anche molto vagamente di sinistra, qualunque cosa egli intenda alludere con questo termine (posso garantire che nutre idiosincrasia anche per il rosa pallido). Inoltre, a quello stesso elettore è particolarmente inviso che il reddito di cittadinanza sia appannaggio prevalentemente dei “terroni”. Ecco perché l’ex elettore leghista non si presenta al seggio oppure opta per i fascisti 4.0, che quel reddito di cittadinanza hanno promesso di abolire. La realtà storico-sociale è più complessa della logica lineare.


È sempre festa

 

Un gruppo di giovani francesi, tra i quali un certo Michel-Charles, s’affrettano a raggiungere la stazione ferroviaria, ma sul treno in partenza si fa fatica a trovare posto in quei vagoni molto affollati. È Michel-Charles a consigliare di attendere il treno seguente, cosa che li farà tardare non più di dieci minuti. Sono di ritorno da Versailles e vogliono essere a Parigi per la cena al ristorante La Chaumière, dove hanno prenotato un tavolo, per poi vedere i fuochi d’artificio sulla Senna.

A Versailles hanno assistito allo spettacolo dei Grandi Giochi d’Acqua, che è stato un trionfo. In una giornata di primavera che simula l’estate, la loro scampagnata si è svolta in allegria, bevendo molto e mangiando frittate e pesce fritto, quindi hanno visitato il Trianon e le grandi sale del palazzo, ridondanti di storia e gremite di visitatori. Si sono anche un po’ annoiati di quella grandeur, ma non si può ammettere.

Un treno entra in stazione, e questi giovani allegri prendono posto, in uno scompartimento vicino al loro c’è anche l’ammiraglio Jules Dumont d’Urville, tornato recentemente da un’esplorazione costellata da mille pericoli in Antartide. Molte sono le donne e i bambini, le coppie borghesi in abiti di festa, liceali, operai in berretto a visiera. Si parte, correre sulle rotaie è ancora quasi una novità e i ragazzi trovano che il treno non va poi così veloce quanto si dice.

Nel gruppo c’è anche un certo Paul de Drionville, seduto di fronte a Michel-Charles, ed è un po’ preoccupato: sua madre gli ha fatto promettere di non salire mai sul vagone di testa. Michel-Charles lo tranquillizza: sono nel secondo vagone. Improvvisamente il rollio diventa quello di una barca nella tempesta, e una serie di scosse spingono i viaggiatori uno addosso all’altro. Sono per metà spaventati e gli altri divertiti.

Dei 48 passeggeri del vagone ferroviario nel quale viaggiava, Michel-Charles fu l’unico a salvarsi dal disastro ferroviario di Meudon, quella domenica dell’8 maggio 1842. L’incidente fu causato, come appurò la commissione d’inchiesta, dalla mancata sostituzione di una biella difettosa. Il pezzo di ricambio era stato ordinato in Inghilterra, ma non fu sostituito perché giacente in dogana.

L’alto numero di morti in quell’incidente, molti di essi a causa dell’incendio che si sviluppò dopo il deragliamento, fu causato dalla prassi di chiudere a chiave le porte dei vagoni dopo la partenza del treno per impedire ai furbi che viaggiano senza biglietto di svignarsela prima dell’arrivo in stazione. Il fattore economico sta sempre in capo a tutto, diceva un barbuto ebreuccio ateo, che già aveva previsto il Grande Tutto e l’umano “connesso”.

Circa 130 anni dopo quell’incidente, la nipote di Michel-Charles scrisse che dal vagone distrutto e in fiamme suo nonno uscì sanguinante come il giorno della nascita, però vivo e portando “nei testicoli la sua progenie”. Infatti, se egli non fosse sopravvissuto, e se la prima moglie di suo figlio Michel non fosse morta all’istante colpita al cuore da un proiettile di fucile partito accidentalmente e rimbalzato su un albero, non sapremmo nulla di Marguerite Yourcenar.

Siamo indubbiamente figli delle stelle e di quel labirinto di casualità che è il mondo, come ormai si dice banalmente senza aver letto e tantomeno compreso Hegel.

Per oggi mi pare non vi sia null’altro da segnalare. Ah, no. Oggi a pranzo ci sarà una mezza bottiglia di quel rosso d’Isonzo che non fu terminata ieri. È sempre festa in questa meravigliosa penisola, del tutto fatalista ma per fortuna ben governata, dove predomina l’esemplarità politica, ideologica e morale, e la raffinatezza dell’eloquio mediatico elevato, dove nessuno giocherella con i conti pubblici e tradisce le sue promesse, e i cittadini non sono trasformati in clienti il giorno dopo le elezioni, ma in semplici cretini.

Per quale motivo dovremmo avere l’ambizione di cambiare le cose da come sono se le nostre vite sono già le migliori? In fondo siamo un popolo che sa convivere con le proprie illusioni, per tutto il resto c’è l’app e l’assistente personale intelligente. È per questo motivo che i nostri avatar in parlamento, che non capiscono la metà di quello che fanno e sognano una compagnia aerea su rotaia, sono sicuri di non deluderci mai e sotto l’albero di natale quest’anno ci faranno trovare un trenino elettrico.

domenica 25 settembre 2022

I "fenomeni" dell’inflazione

Un giocatore di scacchi provetto (non necessariamente un 1a nazionale), in tali situazioni non insiste e abbandona la partita. Che è anche un modo di rendere onore all’avversario (capisco che non è cosa di questi tempi).

fenomeni dell’inflazione, dice il titolo di questo post, sono quelli che a capo delle banche centrali vogliono sottomettere l’inflazione agendo semplicemente dal lato della massa monetaria, ossia sul versante della circolazione.

Le crisi che si manifestano dal lato della circolazione, in realtà trovano origine nella sfera della produzione.

Al fine di non imbattersi nel problema dell’origine del valore e nelle conseguenze pericolose per l’ordine sociale esistente che ciò comporta, gli economisti considerano la circolazione come la base dell’economia capitalista. Con ciò evitano qualsiasi analisi del processo di produzione, limitandosi a quello dei fenomeni di mercato e di prezzo.

Questa caratteristica è comune a tutte le scuole economiche moderne, da quella marginalista, a quella keynesiana e a tutte le altre.

La tendenza a considerare solo il valore di scambio, riduce l’economia borghese all’analisi delle relazioni tra prezzi, così come sono date sul mercato. Procedendo dai prezzi, invece che dai valori, non si è in grado di andare di là di una superficiale apparenza dei fenomeni.

Inoltre, queste teorie, nella misura in cui considerano la crisi solo dal punto di vista della circolazione, mirano a dimostrare che la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico non consiste nello sfruttamento della forza-lavoro, bensì, nel più amorevole dei casi, in “un’ingiusta ripartizione della ricchezza prodotta”. Sarebbe pertanto sufficiente una più equa distribuzione dei redditi e quindi una serie di riforme per eliminare tale “discrasia”.

Si tratta invece della dimensione raggiunta dagli investimenti e della quota sempre più residuale di lavoro vivo impiegata in rapporto a essi, con tutte le implicazioni economiche e sociali e finanche demografiche che ciò comporta in modo decisivo e assoluto. Mai come nella fase attuale la questione si è presenta in modo così netto come problema storico del capitalismo.

L’aumento dell’inflazione, si suole ripetere, non è determinato tanto dal lato della domanda, bensì dal lato dell’offerta. Questa è per l’appunto la plastica dimostrazione che è in atto una lotta da parte sia dei singoli capitali e sia dei grandi potentati economici, per aggiudicarsi, agendo sui prezzi e dunque sull’offerta, quanto più plusvalore e quote di mercato possibili a spese degli altri agenti della produzione (salariati compresi). Di contorno poi possono innescarsi altri fenomeni, meramente speculativi o dettati da situazioni contingenti, come la guerra in atto che indubbiamente aggrava la situazione (ricordiamoci che l’inflazione precorre, come inizio, tale avvenimento).

Trovate tutto ciò molto semplice e anzi semplicistico? Fate pure, ma è ciò che sta succedendo esattamente a livello macroeconomico. Fino a quando la lotta di cui s’è detto non avrà determinato vincitori e vinti (un processo non breve, i morti si contano alla fine) e dunque un ritrovato e pur sempre precario equilibrio nella spartizione del bottino, il rialzo dei tassi d’interesse può avere solo il merito di aggravare la recessione. Quando poi, come negli anni Ottanta, l’equilibrio sarà grossomodo raggiunto, diranno che è stato merito della politica monetaria in auge in quel momento aver risolto la crisi e l’inflazione. L’analisi degli economisti borghesi è di tipo convenzionale e meramente econometrica.

Sto cercando la tessera elettorale


Chissà dov’è andata a finire. Voi intanto andate avanti, che arriverò quando la trovo.

E se l’avessi restituita vent’anni fa con lettera raccomandata? Ah, ecco, chissà dove ho messo la copia della raccomandata e relativa ricevuta di ritorno. Intanto ho ritrovato la raccomandata che restituisco il certificato elettorale delle amministrative del 1999. Beh, per l’altra c’è tempo, guarderò meglio domani.

Invece lui e il suo partitino al 3-4%, ma metti pure al 51%, alza il telefono e parla direttamente con Washington, Mosca e Berlino. Ah no, andrà a battere i pugni a Bruxelles. 

sabato 24 settembre 2022

Bisogna dare atto a Mario Draghi

 

L’Italia denota una fragilità demografica strutturale che pare non interessare seriamente e concretamente nessun partito. Ogni anno è battuto un nuovo record negativo di natalità con 385.000 nascite previste nel 2022, contro le 399.000 dello scorso anno. Dal 2015 si perdono ogni anno tra 100.000 e 175.000 abitanti. Il 45% delle donne tra i 18 ei 49 anni non ha figli. Se questa tendenza continua, la popolazione crollerà entro la fine del secolo a circa 30/40 milioni di abitanti.

Un terzo di questa popolazione ha già più di 65 anni, laddove sono i nostri ultimi scampoli di vita a costare di più alle casse pubbliche, anche se in genere non sono gli anni più felici.

A rendere la situazione demografica ancora più drammatica sono i dati dell’emigrazione, di cui nessuno si occupa perché la cosa non porta voti. Tuttavia dal 2008 oltre due milioni di giovani, molto spesso laureati, sono andati a lavorare e vivere all’estero. Non possiamo dare loro torto, sotto ogni punto di vista.

Se non si farà nulla, e niente depone a favore di un’inversione di marcia, non solo per esempio gli anestesisti e altri specialisti diventeranno una rarità (lo sono già!), con tutte le conseguenze del caso, ma anche il Pil crollerà e il nostro stato sociale e il nostro sistema pensionistico saranno insostenibili (lo sono già per via del debito pubblico, la forte evasione fiscale e contributiva). Forse confidiamo troppo sui giovani russi che arriveranno da noi per non essere arruolati in patria.

Diventeremo un Paese povero, nel senso che anche per cause demografiche ciò che resta dell’attuale marmaglia dorata che affolla i seggi elettorali e i musei tenderà a impoverirsi progressivamente e il nostro mercato interno si restringerà sempre più. Tutto ciò al netto di quanto si sta prefigurando per altre ragioni, tipo la guerra e l’effetto delle sanzioni al contrario, e la famosa transizione ecologica (qualcosa mi dice che dovremmo scegliere tra ecologia ed economia, alla faccia dell’equazione di Kaya).

Bisogna dare atto a Mario Draghi di aver almeno citato, nel suo discorso d’insediamento, la questione del “crollo della natalità tra i problemi più grave del Paese e un’emergenza assoluta”. Enunciare i problemi non costa nulla, e nemmeno i buoni propositi di affrontarli. Né lui, né altri suoi predecessori, hanno fatto nulla di concreto per affrontare la questione.

Per il momento vi è un assegno mensile, che va dai 50 ai 175 euro per figlio a seconda del reddito familiare, dai sette mesi di gravidanza fino al compimento dei 21 anni. Si deve comunque tener presente che l’importo massimo è corrisposto con un ISEE inferiore a 15mila euro, e in tal caso le “detrazioni e assegni familiari per i figli di età inferiore ai 21 anni non saranno più presenti sui cedolini di stipendio dei lavoratori dipendenti e di pensione dal mese di marzo 2022”. Famiglie di veri Paperoni.

È quasi una presa in giro per i genitori che lavorano pagati poco più di mille euro il mese, e comunque troppo poco e troppo tardi per invertire una tendenza di fondo.

C’è chi è convinto (non sono solo discorsi di maschi che sanno convincere le donne che un figlio è la cosa migliore che gli possa capitare), che tale situazione è la diretta conseguenza dell’accesso delle giovani donne all’istruzione e alla contraccezione, i cui effetti si rafforzano a vicenda: più libri una ragazza legge, meno desidera avere figli, perché preferisce rileggere Kant piuttosto che cambiare i pannolini.

Invece di pagare salari decorosi, garantire tutele e carriere lavorative meno sbrindellate, assegni familiari adeguati, asili con rette che non dissanguino, si prospetta come soluzione il ricorso all’immigrazione massiccia. Anche in tal caso servirebbero, dicono, in media almeno 370.000 nuovi ingressi l’anno, il che è ovviamente insostenibile dal punto di vista politico e anche sociale.

Tutte cose che quei disgraziati che a turno si danno il cambio sui palchi e nei salotti elettorali sanno bene (o dovrebbero), ma trovano più facile ed elettoralmente pagante concionare di patria e famiglia cristiana, di blocchi all’immigrazione, o di diritti LGBTQ, LGBTQI, LGBTQIA, LGBTQIA+, LGBTQQIA+ e altre amenità.

L'illusione del voto

 

La razionalità del capitale ha un unico obiettivo, anzi due: aumentare i profitti e continuare a riprodursi in modo allargato. Non si può fargliene una “colpa”, è nella natura stessa del capitale, il suo principio vitale. Quanto al “sociale”, ci devono pensare lo Stato e i filantropi, cioè quei miliardari che mentre accarezzano la propria anima caritatevole con la mano destra non guardano cosa sta facendo allo stesso tempo la loro zampa sinistra.

Funziona così e tutti gli escamotage riformistici servono, quando va bene, a lenire le ferite, ma in nessun modo a eliminarne le cause che le provocano. Al resto, provvedono le guerre e le epidemie, come nel bel tempo antico, e le carambole del caso.

Nell’insieme delle pratiche concrete in cui si presenta ed evolve la nostra vita quotidiana, ossia nella totalità dei rapporti sociali, agiamo tutti, se non vogliamo finire ai margini della società o in TSO, secondo codici di comportamento dati e significati di linguaggi autorizzati, che nel processo educativo e della comunicazione ci rendono conformi e gregari.

Nella nostra epoca, fondata su estesi e complessi rapporti economici, non sarebbe vantaggioso per la classe dominante operare in forme apertamente autoritarie. L’optimum è fare in modo che per educazione, tradizione, abitudine, gli individui riconoscano come leggi naturali ovvie le esigenze di questo modo di produzione. In tale situazione, le elezioni servono a dare l’illusione che a scegliere e decidere “liberamente” sia il “popolo sovrano”.

Le codificazioni borghesi sono un sicuro passo avanti nell’emancipazione dei diritti e delle libertà, ma tutto ciò non prescinde dal diritto alla “proprietà”, di modo che le condizioni di lavoro si presentano come capitale a un polo e dall’altro si presentano uomini che non hanno altro da vendere che la propria forza-lavoro. Un sistema sociale fondato su questo tipo di rapporti sociali, su queste condizioni di scambio tra capitale privato e lavoro, è un sistema intrinsecamente classista.

venerdì 23 settembre 2022

Possiamo e dobbiamo

 

L’interesse di gran parte degli italiani è concentrato sulle elezioni politiche di domenica prossima. Sarebbe un atteggiamento scontato se la situazione fosse normale. E però non stiamo vivendo una situazione normale, sia interna e sia a livello internazionale. Non quando si parla di centinaia di migliaia di posti di lavoro a rischio nei prossimi mesi, né quando si scrive di case al buio e di docce di coppia.


Per il resto la campagna elettorale si è svolta in una cappa di noia e una coltre di stupidità. La frase più frequente che si sente dire in questi ultimi giorni è questa: “la gente non sa per chi votare”. Molti lo faranno per abitudine (votare contro qualcuno), altri si recheranno alle urne smentendo la parola data pubblicamente solo un paio di mesi fa, soddisfatti di essere come sono (vedi sotto).

Per quanto mi riguarda, e per quanto possa interessare (ovvio), non andrò al seggio. L’ho qui scritto più volte, in questa situazione il voto è una truffa, e non solo a causa di siffatta legge elettorale, laddove il voto è ridotto a una finzione simbolica, neanche più alla scelta ma solo alla convalida di persone cooptate da un’oligarchia clientelare e affaristica.

Votare per i maggiori partiti è un voto che non paga ed è anzi dannoso perché significa dare legittimità a questo sistema, che all’atto pratico è quello del socialismo per i ricchi e del capitalismo per gli altri.

Si tratta di gentaglia senza nessuna reale etica e visione politica, che ha uno status sociale ed economico privilegiato, e che non ha altra preoccupazione che mantenere la posizione acquisita e fare carriera. Anche nella prossima legislatura non mancheranno di essere ospiti dei salotti (televisivi e no) e nelle ville e sugli yacht di ricchi e potenti, magari con dei ridicoli Ray-Ban.

Per contro, votare per delle liste che di poco raggiungeranno il quorum, è un voto inutile. Uscire dalla UE, dalla NATO, eccetera, è pura velleità. Parlare di “sovranità” è pura illusione. In senso lato e per paradosso neppure la Russia può uscire dalla UE e dalla NATO. Certi proclami certificano la mala fede o la non comprensione della realtà e della storia. Non si può escludere entrambe le cose.

Prendiamo a esempio di questa inutilità e velleità un fatto tra tanti che si potrebbero raccontare. Nessuno in Italia è stato chiamato a un evento fondante della UE, ossia a esprimersi in un referendum sul Trattato costituzionale europeo. In Francia i cittadini hanno avuto se non altro questa possibilità nel 2005. Tuttavia, nonostante il 54,7% di “no” al Trattato, la maggior parte del testo è stata ratificata dal Parlamento francese nel 2008.

L’astensione non basta, ci vorrebbe dell’altro che però esiste quasi solo sottotraccia e purtroppo confusamente. Va tenuto conto del fattore tempo, perciò bisogna fare in modo che gradualmente l’astensione diventi un atto consapevole e militante, e non un’astensione per mancanza d’interesse o d’informazione. Ci vuole pazienza e costanza. Al punto in cui è arrivata la storia (in accelerazione!), possiamo e dobbiamo fare questo.



Era talmente deciso che ...

giovedì 22 settembre 2022

«Non è un bluff»

 

Maiali

Quale minaccia rappresentava la Russia negli anni Novanta e anche in seguito per i paesi del Patto Nord Atlantico e tale da giustificarne l’espansione militare a est, dispiegandovi dei missili? Dispiegamento missilistico giustificato ufficialmente come sistema difensivo contro la minaccia di missili iraniani (sic!), la qual cosa non sta in piedi, tanto più che la Grecia e la Turchia, questa confinante con l’Iran, sono parte della NATO.

La sicurezza di una nazione non dovrebbe essere ottenuta danneggiando un altro paese, e la sicurezza regionale non dovrebbe essere garantita attraverso l’espansione di un blocco militare. Viceversa la volontà strategica di Washington è stata sempre quella di mantenere ad ogni costo la posizione di dominus assoluto sul piano geopolitico ed economico e di impedire la formazione di nuovi centri di potere con una politica interna ed estera indipendente.

Quanto all’Ucraina, avrebbe dovuto essere ponte tra Oriente e Occidente, traendone tutti i vantaggi, ma la sua classe dirigente corrotta ha accettato di diventare una pedina in un conflitto di potere più grande.

Perciò non è stata la geografia ad aver creato il conflitto tra il Cremlino e la Casa Bianca.

Dopo la fine dell’Urss, la politica estera ed economica di Elc’in portò il Paese al collasso. La Russia fu considerata dalla comunità internazionale come un attore marginale e non più come una grande potenza. Di ciò se ne ebbe prova con la fomentata dissoluzione della Jugoslavia, l’intervento in Kosovo e la prima espansione della NATO verso Est.

Vladimir Putin abbandonò l’atteggiamento infingardo e condiscendente dei suoi predecessori e pose come prioritario l’interesse nazionale russo, diventando la guida del riscatto della Russia come grande potenza a livello internazionale. Questi due elementi, la fine della condiscendenza e l’aspirazione al ruolo di potenza, unitamente alla sempre più stretta interazione economica con l’Europa occidentale, non potevano che essere invisi agli Stati Uniti e motivo di scontro.

La seconda espansione della NATO (2004) e la guerra in Iraq, poi l’intervento in Siria e Libia, hanno contribuito al deterioramento dei rapporti tra la Federazione e gli Stati Uniti. La nuova politica estera russa è stata percepita come una sfida a tutto campo (come del resto quella cinese) del sistema unipolare guidato dall’egemonia statunitense. Ciò si è ulteriormente materializzato sul suolo ucraino nel 2014 a seguito del colpo di Stato di Euromaidan fomentato e finanziato dagli USA/NATO e la guerra nel Donbass (che non data dal 2022).

I preparativi di guerra ucraini, la prospettata adesione alla NATO, la firma della Carta USA- Ucraina sul partenariato strategico del novembre scorso, che approvava la strategia militare di Kiev del marzo 2021 che proclamava esplicitamente l’obiettivo militare di “riprendere” la Crimea e il Donbass controllato dai separatisti, violando esplicitamente gli accordi di Minsk del 2015, quindi l’imponente fornitura di armi d’attacco, di equipaggiamenti e specialisti da parte della NATO, non potevano lasciare indifferente il Cremlino.

Ora, si può discutere all’infinito sulla decisione di Mosca d’invadere l’Ucraina, di rivendicare la necessità della decisione a seguito della disdetta sostanziale da parte di Kiev degli accordi del 2015 e dei preparativi di guerra, tuttavia non si può attribuire questo conflitto al mero capriccio dispotico di Putin.

Come scrivevo ieri, l’invasione dell’Ucraina è stata di per sé un tentativo di Mosca per costringere le potenze imperialiste al tavolo dei negoziati. Questo tentativo è fallito perché gli Stati Uniti puntavano e continuano a volere la guerra o la resa incondizionata della Russia, che equivale all’eliminazione di Putin quale ostacolo alla sottomissione della Federazione e la sua dissoluzione in una costellazione di staterelli.

Sono stati gli Stati Uniti e la NATO, ossia la loro lunga mano militare, a creare questa situazione. Posto che la Russia è una potenza nucleare, che i Paesi russofobi dell’est Europa si sentono protetti dall’art. 5 del Trattato NATO e quindi liberi per dar sfogo alle loro iniziative di provocazione, non resta che prendere atto che gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno creato le premesse perfette per una continua tensione in quell’area, ora precipitata nelle forme di una guerra di cui non si vede la fine prossima, e di un suo possibile catastrofico allargamento, fino all’impiego delle armi nucleari.

Possiamo prendere le parti di questo o quel contendente, oppure fingerci neutrali e sopra le parti in causa, anche fregarcene come in larga misura sta succedendo, tutto ciò non cambia la situazione di fatto e i gravi rischi connessi. Una domanda dovremmo porci noi europei: ne vale la pena?

mercoledì 21 settembre 2022

Dove ci stanno portando?

 

L’idea di generazione ci ricorda con insistenza che la storia è la storia dei mortali. Nella storia, infatti, non ci sono ruoli lasciati in sospeso, ma ogni volta assegnati a nuovi attori. Vladimir Putin è un caso esemplare, ma non nel senso che è il solo caso.

E non è nemmeno un caso che non c’è stato un solo leader russo, dal 1917 in poi, che non sia rappresentato dai media occidentali come un despota, a eccezione di Gorbaciov ed El’cin che si sono inginocchiati a Washington. Putin, così come Stalin, rappresentano la malafede sovrana.

Ciò è qualcosa che falsifica ogni percezione del mondo e degli altri.

Ma passiamo ai fatti di queste ore, vale a dire ai segnali che il Cremlino si sta preparando a una escalation del conflitto. Posto che la guerra è ormai apertamente con gli Stati Uniti/NATO, a Mosca, sulla scia del crollo delle difese russe nel nord-est dell’Ucraina, s’è deciso che la cosiddetta operazione speciale non basta più: à la guerre comme à la guerre.

Ieri, in una sessione in diretta streaming, la stragrande maggioranza del parlamento russo (Duma) ha approvato un nuovo disegno di legge che introduce, per la prima volta, i termini “mobilitazione”, “legge marziale” e “tempo di guerra” nel codice penale russo.

Sulla base del disegno di legge, in condizioni di legge marziale, i russi della riserva saranno soggetti a procedimenti penali se evitano o abbandonano il servizio militare. Per i civili, il disegno di legge aggiunge una nuova circostanza aggravante a qualsiasi crimine commesso “nel periodo di mobilitazione o in condizioni di legge marziale, [e] in tempo di guerra”.

Il Consiglio federale russo voterà il disegno di legge oggi, 21 settembre, quindi passerà alla firma del presidente Putin, un iter che potrebbe essere completato nel giro di pochi giorni. Il fatto che i deputati abbiano adottato subito gli emendamenti sia in seconda che in terza lettura del disegno di legge indica che hanno fretta, che il Cremlino sta preparando la proclamazione della legge marziale e una mobilitazione.

Una mobilitazione può essere proclamata solo dal presidente russo e può essere imposta all’intero o solo in parti del Paese.  Il passo da una mobilitazione parziale a una generale  diventa una questione terminologica.

Bisogna davvero essere degli idioti per fingere stupore, star lì a contare quanti carri e quanti aerei russi sono stati distrutti e abbattuti. È chiaro finalmente che ora si farà sul serio, nel senso che, come detto, l’operazione speciale diventa guerra aperta con tutte le conseguenze del caso?

Solo una parte dell’esercito russo è stata dispiegata in Ucraina e il Cremlino ha sempre sottolineato che tutti coloro che combattono non sono truppe di leva. E questo sostanzialmente è vero, il resto è propaganda.

Il Cremlino ha annunciato che terrà dei referenda sull’adesione alla Federazione Russa nelle regioni occupate di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson nell’est e l’Ucraina sudorientale tra il 23 e il 27 settembre.

Sul suo canale Telegram, l’ex presidente e vice capo del Consiglio di sicurezza, Dmitry Medvedev, ha affermato che i referendum trasformeranno queste regioni in parte del territorio russo. Se poi dovessero essere ancora attaccati, l’esercito russo si riserverà il diritto di schierare armi nucleari.

Infatti, per quanto riguarda l’impiego del nucleare, Putin ha risposto a Biden di leggersi “la dottrina”. Da mesi, anzi, da anni, nel mio piccolo scrivo: attenzione, Russia e Cina non sono l’Afghanistan o la Siria. Non si può pensare di prendere la Crimea e di sconfiggere la Russia mandando avanti l’esercito ucraino.

L’invasione dell’Ucraina è stata di per sé un tentativo di Mosca per costringere le potenze imperialiste al tavolo dei negoziati. Questo tentativo è fallito a causa dall’escalation aggressiva e dell’intervento diretto nella guerra da parte di tutte le potenze imperialiste.

L’offensiva nel nord-est è stata proposta e preparata direttamente dalla NATO. Le truppe ucraine che eseguivano erano state armate, addestrate e dirette da Washington. L’offensiva mirava proprio a provocare il tipo di espansione della guerra che è ora in corso. Nelle parole del Financial Times: l’offensiva “ha messo alle corde il Cremlino e obbliga le scelte che il presidente russo ha cercato di evitare dall’inizio dell’invasione”. Più chiaro di così?

Dove ci stanno portando? Penso siano esemplari le parole pronunciate il 12 settembre dal ministro della guerra tedesco, Christine Lambrecht, la quale senza perifrasi ha affermato che la Germania deve svolgere un ruolo di primo piano non solo economicamente e politicamente, ma anche militarmente: “Le dimensioni della Germania, la sua posizione geografica, il suo potere economico, ci rendono una potenza, che ci piaccia o no. Anche in termini militari”.

In un discorso alla conferenza della Bundeswehr a Berlino, Scholz ha detto: “In quanto nazione più popolosa con la più grande potenza economica e un paese al centro del continente, il nostro esercito deve diventare la pietra angolare della difesa in Europa, la forza meglio equipaggiata in Europa”.

Se le analogie storiche hanno un qualche significato, tutto ciò dovrebbe chiarirci dove ci stanno portando.

martedì 20 settembre 2022

Baciami il culo o ti spacco la testa

 

Gli Stati Uniti dominano i media del mondo occidentale. Tutte le dieci principali società mediatiche, tranne una, hanno sede in Nord America. Internet e i social media – Google, Twitter, Facebook – sono per lo più di proprietà e controllo americano. Possiedono le strutture della disinformazione, dell’uso della retorica, della distorsione del linguaggio, che sono molto persuasive, ma in realtà sono un sacco di bugie, ci ricorda John Pilger.

Nell’accettare il Premio Nobel per la letteratura, Harold Pinter disse: “I crimini degli Stati Uniti sono stati sistematici, costanti, feroci, senza remore, ma pochissime persone ne hanno veramente parlato. Occorre riconoscerlo all’America. Ha esercitato una manipolazione affatto patologica del potere in tutto il mondo, mascherandosi come forza per il bene universale. È un atto d’ipnosi brillante, persino spiritoso e di grande successo”.

I russi, ci dicono, raccontano solo bugie, ma ci siamo dimenticati delle armi di distruzione di massa che non esistevano. E di tantissime altre cose. Ah, ma i media occidentali queste cose sono liberi di denunciarle e magari farci anche un film da oscar. Grazie al cazzo, dicono a Roma.

Popolo bue che ti appresti al voto, che sai tutto sul tailleur della principessa tal dei tali, non ti hanno spiegato che cosa dice esattamente il documento Nato del recente vertice di Madrid? Ci si prepara a “un combattimento bellico multidimensionale contro un contendente dotato di armi nucleari”. Oggi la Russia, domani la Cina. Se non ci si rende conto del significato e delle conseguenze di questa “nuova strategia” bellica, mi arrendo.

*

A chi può importare che la scorsa settimana lungo il confine tra Kirghizistan e Tagikistan vi siano stati aspri combattimenti con morti civili da entrambe le parti, con bambini e medici tra le vittime, che il Kirghizistan abbia evacuato 136.000 residenti dall’area durante il fine settimana? I funerali di Elisabeth ci hanno distratto per qualche giorno.

Il Tagikistan e il Kirghizistan, entrambi i paesi montuosi con ampi tratti di terra arida e risorse agricole insufficienti per sostenere le loro popolazioni, rivendicano ciascuno la fertile valle di Fergana. Rivendicano i propri confini sulla base di mappe diverse, una disegnata negli anni ‘20 e l’altra negli anni ‘50, che delimitavano il territorio tagico e kirghiso. Il motivo principale dei conflitti è sempre economico, come insegna la guerra odierna tra Stati Uniti e Russia e quella di domani con la Cina.

Crediamo di sapere tutto sui Windsor, ma quanti di noi sanno dove sono situati il Tagikistan e il Kirghizistan? Oh certo, viene facile dire da qualche parte in Asia, comunque lontani da noi. I loro abitanti potrebbero morire tutti in un istante, che a nessuno importerebbe qualcosa. Fino a pochi decenni fa erano cittadini russi, al pari degli ucraini e dei crimeani, di cui oggi c’importa moltissimo.

Sappiamo tutto dei gioielli indossati dalle signore milionarie ai funerali di Elisabeth, ma del tifone con venti che hanno raggiunto i 234 chilometri orari e che ha colpito il sud del Giappone tra domenica e ieri causando devastazioni e l’evacuazione di milioni di persone? E dell’uragano Fiona che ha colpito sempre ieri Porto Rico lasciando milioni di persone senza elettricità, acqua pulita e un riparo sicuro, e che ora si è spostato sulla Repubblica Dominicana impoverita, distruggendo strade e linee elettriche?

Se l’acqua di mari e oceani è più calda, si ha più evaporazione, il che significa più umidità nell’atmosfera che può tradursi in precipitazioni più abbondanti. Sulle cause le interpretazioni divergono, poiché sono contrapposti gl’interessi in gioco, ma ciò non può cambiare i fatti.

Domenica sera, la CBS ha trasmesso un’intervista al presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che ha fatto una serie di dichiarazioni straordinarie. Ha annunciato il suo “fermo impegno” a sostenere la guerra contro la Russia, riconoscendo che ciò contempera la possibilità non remota di una guerra nucleare. Ha anche promesso una guerra con la Cina se questa s’azzarda a riunificare il suo territorio. La stessa Cina che non può fornire armi alla Russia pena minacciate sanzioni, ma gli Usa possono fornire armi all’Ucraina, paese “aggredito”.

Taiwan può decidere per sé, ma la Crimea non può fare altrettanto. Infatti, Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti (sì, gli Stati Uniti) continueranno la guerra fino alla “liberazione” della Crimea. Difendono i diritti, la libertà e la democrazia, dovunque capiti, ma soprattutto dove hanno cospicui interessi economici o geopolitici, ora anche sulla Luna. E del resto Biden ha detto testualmente: “Sono più ottimista di quanto non lo sia stato da molto tempo”.

lunedì 19 settembre 2022

Un sistema non negoziabile

 


Da dove viene questo fascino di molti italiani per la famiglia reale britannica? Se si spiegasse a questa gente perbene che da diversi anni esistono in Inghilterra tribunali islamici che possono applicare la Sharia, con piena giurisdizione per trattare le questioni civili, commerciali o matrimoniali, forse qualche dubbio verrebbe. E poi, in un paese come il nostro dove si venerano le presunte stigmate di Francesco Forgione e dove i politici sono diventati volgari influencer in fila per la farsa del sangue di san Gennaro, che altro aspettarsi? La schiuma mediatica fa il resto.

Se i social restano, come è probabile, il principale terreno di scambio e confronto della vita politica, e non solo di quella, a lungo andare moriremo soffocati. Secondo gli oracoli, scusate i sondaggi, il partito di Meloni dovrebbe stravincere le elezioni. Tuttavia, se si osserva con calma la situazione, francamente non c’è nulla di cui preoccuparsi. Il presunto estremismo/radicalismo di Meloni è solo un centrismo più ruvido rispetto a quello che anima gli apostoli del Mercato (maiuscolo).

È certamente di un colore più forte di altri, ma la Meloni non ha un coltello tra i denti. Non si tratta più, ad esempio, di uscire dall’euro, né mai ha messo in dubbio il primato della società quotate in borsa. È atlantica e giallo-blu, si accontenta semplicemente di voler cambiare i connotati della UE e di abbaiare contro la plutocrazia. Roba da prendere allegramente, perché le toccherà ingoiare serpenti secondo la legge molto liberale del più forte.

Alla fine si dedicherà ai temi della famiglia e della procreazione, soprattutto quelle degli altri, e all’immigrazione dall’Africa, ma l’unica decisione non incantatoria sarà continuare come ora, prendendo atto che tutti gli Stati in realtà agiscono al servizio dei loro interessi e magari ammettendo in privato che Gheddafi ci manca molto in termini di regolazione dei flussi.

Anche per la Meloni un Paese non è fatto di cittadini ma d’imprese, e vede nello Stato solo un braccio armato destinato a mantenere l’ordine nei ranghi dei propri schiavi. N’è prova la garbata e sostanziale indifferenza con cui tutti i “grandi finanzieri” e gli zelanti amministratori delle società hanno assistito all’ascesa del suo partito nei sondaggi. Quando non l’hanno addirittura incoraggiata e promossa nei loro media.

Non deve trarre in inganno il patetico psicodramma cui si abbandonano i personaggi “de sinistra” alla vigilia della elezioni. Fingono di essere preoccupati che il successo della Meloni contrasti con la loro visione esclusiva della marcia del mondo, ma in realtà non gliene frega niente della “democrazia”, ai loro occhi è un mezzo tra gli altri per farsi i propri affari in un sistema economico e politico non negoziabile.


Per soddisfare la stupidità?

 

Nonostante le sanzioni occidentali, la Russia deve ancora affondare. La cosa è data per imminente da mesi. Perché l’economia russa non è crollata? Il primo punto da considerare è il fattore tempo: un’economia di quelle dimensioni non cade nel corso di una notte o di qualche mese.

Secondo: poiché il prezzo del gas è salito alle stelle e le esportazioni russe sono diminuite poco in quantità fino all’altro ieri, i ricavi dei prodotti energetici hanno superato il tetto negli ultimi mesi. Tuttavia, questi rappresentano quasi la metà delle entrate statali russe. Inoltre, dei 158 miliardi di euro guadagnati dal Paese di Turgenev e Gonarov tra il 24 febbraio e il 24 agosto, 85 miliardi – vale a dire più della metà – provengono dalla sola Ue, molto più avanti della Cina (35 miliardi di euro), che beneficia di un prezzo di favore.

Terzo: ovviamente l’economia russa ne risente, anche molto. Pertanto, mentre il paese produceva tre auto dalle sue fabbriche pochi mesi fa, oggi ne produce solo una. Per non parlare dell’approvvigionamento di certe merci, medicinali compresi. Poi l’esclusione di molte delle sue banche dal sistema bancario globale Swift che penalizza qualsiasi azienda abituata a esportare. È un Paese che non potrà evitare a sua volta una recessione.

E per questo, addio Vladimir? Doveva morire di cancro, oggi di polonio, domani cadendo da una torre del Cremlino, secondo il ça ira non del Carducci ma dei soliti imbecilli. E la guerra con gli USA/NATO in Ucraina? La guerra segue interessi economici e imperativi di egemonia, è il famoso “mezzo” più stupido del mondo ma funziona sempre.

L’estrazione del gas americano è finalmente remunerativa, si vende a prezzi altissimi e non teme ribassi, quello russo non arriva più, il dollaro si rafforza, l’inflazione europea non favorisce le nostre esportazioni. È evidente chi ci guadagna dopo aver istigato la guerra e ora vincendo la partita economica e geopolitica, e anche le monarchie medievali del Golfo si fregano le mani, così ogni sorta di speculatore, dal boscaiolo con il suo legname al fabbricante di armi.

L’Europa si è consapevolmente inflitta una recessione e non ha ancora ben compreso, almeno a livello di propaganda, che cosa succederà non solo nei prossimi mesi ma negli anni a venire, la dura realtà della crisi economica e lo sconquasso sociale. Chiusura di fabbriche e rallentamento della produzione, aumento della disoccupazione e delle sue conseguenze, ossia povertà e tragedie umane, il continuo declino del potere d’acquisto, tagli dei consumi e razionamento energetico, rischiano di scuotere seriamente il sistema.

Anche oceani d’irrequieta liquidità, montagne di debiti irrisolti, tassi bancari e spese previdenziali in aumento, così pure per altri oneri sociali, minor gettito fiscale, insomma una crisi combinata di fattori che se non si riuscirà a tenere a freno può sfuggire di mano e diventare simile se non peggio di molte altre del passato. E intanto la forbice reddituale continuerà a divaricarsi ancora, senza contare che bisognerà provvedere anche per chi è in uscita dal parlamento. Dopo il 25 settembre avremo un quadro più chiaro, anzi più fosco.

Vogliono continuare a mandare armi e dunque far durare la guerra, e ciò anche a soddisfazione della stupidità di chi non vede l’ora di cantar vittoria. Facciano pure, ma mi sembra molto azzardato contare sul fatto che il conflitto possa aver termine per abbandono della Russia, prostrata dalle sanzioni e dai costi della guerra. Non solo l’élite russa, ma i russi in generale sanno che in caso di resa il loro paese andrebbe in pezzi per sempre. E anche la Cina, checché se ne dica a sproposito, non ha interesse che ciò accada.

Non resta che la trattativa, ma per arrivarci molte cose dovranno cambiare. Anche a Kiev.