giovedì 30 settembre 2010

Che ci frega?


Naturalmente si parla prevalentemente d’altro nei media, e anche Santoro questa sera parlerà di cose diverse da quelle che seguono.
Così come i ladri, martedì notte si sono riuniti i ministri delle finanze dei 27 stati dell'UE, presente il padrone della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet e il presidente dell'Unione Europea Herman Van Rompuy. Il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble aveva già scritto una lettera a tutti i partecipanti esigendo dure sanzioni contro i paesi che violano le norme europee in materia di bilancio. Chiede ammende e la revoca delle sovvenzioni dell'Unione europea, nonché la revoca dei diritti di voto nel massimo organo della UE, il consiglio dei ministri.
Schäuble non è riuscito a far passare le sue proposte, data la resistenza dei paesi dell'Europa meridionale e, per altre ragioni, del ministro francese delle finanze Christine Lagarde, che si opponevano a sanzioni automatiche. Tuttavia i ministri delle finanze si sono detti d’accordo, in linea di principio, con sanzioni che dovrebbero essere significativamente inasprite per i paesi con debiti eccessivi.
Cosa significa in concreto? Ieri il commissario europeo Olli Rehn ha presentato un pacchetto di leggi per il cosiddetto rafforzamento del Patto di stabilità per quanto riguarda l’euro. Propone un "freno all'indebitamento", simile al modello tedesco, sanzioni più dure per gli Stati che superano il massimale di disavanzo e gli obiettivi fissati per la riduzione del debito, oltre a pesanti multe per i paesi che non rispettano i nuovi obiettivi.
Se le proposte di Rehn diventeranno operative, i membri dell'UE saranno costretti a fornire una "cauzione obbligatoria" dello 0,2 per cento del Pil. Se poi gli Stati debitori continueranno a non riuscire a raggiungere gli obiettivi di bilancio, quando il nuovo debito supera il 3 per cento del prodotto interno lordo (Pil), questo deposito sarà trattenuto come punizione. Le sanzioni si applicano "semi-automaticamente", cioè la Commissione avrà il potere di attuare il provvedimento senza una decisione del Consiglio, come previsto attualmente e mai verificato nella pratica.
Ma a noi che ci frega? Ci frega, eccome. Un esempio. Il commissario europeo Rehn, bontà sua, cerca anche di ottenere un’influenza diretta sulle politiche fiscali e salariali dei singoli governi. A tal fine, la Commissione intende monitorare le loro politiche economiche e di intervenire non appena si discostano dai principali indicatori economici. Questo includerà anche ordinare tagli salariali.
Nello specifico, i salari del settore pubblico sono ritenuti da questi lazzaroni un elemento essenziale della competitività nazionale. Nel caso della Grecia, per dire, i salari del settore pubblico, considerati troppo alti, sono ritenuti una delle cause della crisi. Non quindi l’acquisto di centinaia di carri armati dalla Germania, di quattro super sottomarini, delle motovedette dalla Francia, ecc., come ho dimostrato più volte in questo blog. Il funzionario della Commissione europea a capo degli affari economici, l’italiano Marco Buti, ha dichiarato: "Se i salari nel settore pubblico incidono negativamente sulla stabilità dei prezzi e della competitività, poiché influenzano fortemente il settore privato, allora ci sarà una chiamata per il paese per correggere questa tendenza”.
È evidente che l'Unione vuole adottare una linea molto dura. Dopo aver ordinato drastici programmi di austerità in Ungheria, Romania, Grecia, Spagna e Portogallo, la pressione è ora maggiore verso gli altri paesi, in primis l’Italia, per ridurre significativamente il livello di vita di ampi strati sociali.
Gli strateghi dell'UE, remunerati profumatamente, operano per conto dei circoli finanziari e commerciali più potenti, i quali insistono sul fatto che il deficit massiccio delle finanze pubbliche derivante dalla crisi economica e i salvataggi bancari, insomma la crisi che essi stessi hanno provocato, è da combattere tagliando salari e spesa sociale. La solita storia.
E ora godiamoci le vignette di Vauro.

Ottanta anni dopo, le medesime contraddizioni, gli errori di sempre



Il quotidiano la Repubblica, con una corrispondenza non firmata, lacunosa e scritta male [qui], informa che la “Camera dei rappresentanti Usa” ha dato il via libera “al progetto di legge che prevede l'imposizione di sanzioni commerciali nei confronti della Cina a causa dello yuan sottovalutato. Il progetto è stato approvato con 348 voti a favore e 79 contrari”.
Cos’è successo in realtà? Nei fatti quello che avevo già illustrato in un post alcuni giorni or sono [qui]. Ieri la Camera dei Rappresentanti Usa ha approvato una legge affidando all'esecutivo, cioè ad Obama, il potere di imporre dazi punitivi sulle esportazioni verso gli Stati Uniti dei paesi la cui moneta è giudicata "sostanzialmente sottovalutata". Il provvedimento è stato spinto dalla leadership democratica e sostenuto dalla stragrande maggioranza democratica del Congresso, con un sostanziale sostegno repubblicano.
La votazione è stata 348 a 79, con 99 repubblicani unitisi ai 249 voti dei democratici, mentre ha votato contro il provvedimento 74 repubblicani e 5 democratici.
Il disegno di legge è apertamente diretto contro la Cina, la quale è oggetto di una crescente pressione da parte dell'amministrazione Obama al fine di costringerla ad aumentare rapidamente il tasso di cambio della sua moneta, il renminbi (o yuan), in modo da rendere le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti meno competitive, ovvero meno costose quelle degli Stati Uniti per la Cina.
In realtà si tratta per gli Usa di ricostituirsi come paese manifatturiero, per diversi motivi, che vanno dal deficit della bilancia commerciale al problema della disoccupazione di massa, alla vera e propria rivalità economica e strategica con la Cina.
Ciò che inoltre la corrispondenza di Repubblica non dice, per ovvi motivi essendo un foglio del padronato italiano filoatlantico, è che al centro di questa politica c’è il progetto di un raddoppio delle esportazioni statunitensi in cinque anni, il quale, per essere realizzato, implica la riduzione drastica dei salari dei lavoratori americani e fa aumentare il loro sfruttamento, in modo da ridurre il differenziale di costo del lavoro tra gli Stati Uniti e le economie cosiddette emergenti. Questa promozione del nazionalismo economico e dello sciovinismo americano ha il pieno appoggio dei sindacati.
Altro punto fondamentale che la corrispondenza di Repubblica non menziona, è il fatto che il voto della Camera non è sufficiente per far diventare esecutivo il provvedimento, in quanto la proposta di legge dovrà passare prima al Senato, e le prospettive di passaggio al Senato, dopo le elezioni del prossimo novembre, non sono date per scontate.
Ma anche se approvato dal Senato e divenuto legge, il provvedimento avrebbe poco impatto diretto sul commercio Usa-Cina. Infatti, la disposizione che consente al governo di imporre dazi compensativi nei confronti di qualsiasi paese considerato responsabile di sottovalutare la propria moneta, è stata largamente spogliata, nei modi e nei mezzi, della sua efficacia dall’apposita commissione prima di essere portata al voto. In definitiva, il disegno di legge consente al Ministero del Commercio di definire la sottovalutazione di una valuta come una sovvenzione commerciale illegale e permette alle multinazionali che producono le merci importate (dalla Cina) di presentare una specie di petizione e di pagare una modesta sanzione. Ed è questo, evidentemente, il punto chiave della faccenda.
L’ufficio di bilancio del Congresso ha stimato che il disegno di legge non riuscirà in tal modo a far recuperare più di 20 milioni di dollari l'anno di sanzioni, rispetto a un miliardo di dollari di importazioni giornaliere dalla Cina.
Insomma la realtà è molto più contraddittoria di ciò che viene fatto intendere ai lettori di Repubblica e a quelli italiani in generale.
Tuttavia, il disegno di legge rappresenta un importante passo verso la guerra commerciale aperta con la Cina e intensificherà la diffusione delle svalutazioni competitive e le misure protezionistiche a livello internazionale. Gli sviluppi di tale conflitto, per ora sul piano mercantile e monetario, sono imprevedibili. Le principali economie cercano tutte di ridurre il tasso di cambio della loro moneta, al fine di ottenere un vantaggio commerciale competitivo in condizioni di crescita e di mercati stagnanti. Gli Stati Uniti stanno aprendo la strada perseguendo una politica di dollaro a buon mercato, il quale è diminuito del’11 per cento dal mese di giugno nei confronti di un paniere di valute ed è ora al livello più basso da febbraio (si pensi che la moneta brasiliana ha guadagnato in poco tempo il 30% rispetto al dollaro, con conseguenze disastrose per le esportazioni).
Anche l’Europa, guidata dalla Germania, sta facendo lo stesso per l'euro. Due settimane fa il Giappone, la cui moneta era salita di oltre il 10 per cento rispetto al dollaro dal mese di maggio, è unilateralmente intervenuta sui mercati valutari con la vendita di 1.000 miliardi di yen per forzare verso il basso il suo tasso di cambio.
Infine, c’è da osservare che il provvedimento di legge Usa, se approvato definitivamente, sarà in flagrante violazione delle norme commerciali internazionali e le disposizioni della World Trade Organization. Ciò nonostante, sta di fatto che Washington, per costringere la Cina a rivalutare la sua moneta, cercherà di allineare il sostegno internazionale sulla propria iniziativa al vertice del G20 che si terrà 10-11 novembre a Seoul.


mercoledì 29 settembre 2010

Qualcosa si muove



Sciopero generale in Spagna, milioni di salariati nelle strade e nelle piazze di molte città. Gli sgherri di Zapatero intervengono contro i manifestanti provocando decine di feriti e sequestrando altre decine di persone. La Repubblica scrive: «I sindacati accusano la polizia di aver compiuto azioni "indiscriminate e brutali" contro gli attivisti». Per il giornale padronale italiano chi sciopera è squalificato come “attivista”.
Per un resoconto: qui  .
Scioperi anche in Grecia. In Italia siamo ancora alle sceneggiate e alle rivalità di potere.


Va tuttavia notato il limite di questi scioperi: veicolati dai sindacati, essi sono ancora rivolti alle rivendicazioni economiche più immediate, non già anche contro il divieto di una vita diversa, non vissuta nella condizione di lavoro alienato e di godimento autorizzato.  
 

Il divin marchese


Il professor Massimo Cacciari, docente di “estetica”, con lo shampoo fatto di recente e la barba ben curata, imperversa. Ieri l’altro la signora Gruber ha funto da buca delle lettere, e ieri sera la simpatica signora Dandini, fresca di rinnovo contrattuale, si è data premura per il recapitato della raccomandata.
Si parte col refrain: la sinistra e la destra sono concetti superati. Il federalismo, la riforma della scuola, dell’università, il problema giovanile, non sono né di destra e nemmeno di sinistra (stanno in alto, stanno sopra, verrebbe da dire alla Grillo). “Gli stupidi cambiano idea ogni giorno, i cretini non la cambiano mai”, chiosa soddisfatto il cacciarone. Battuta vecchiotta ma con la quale, da showman consumato, riesce a strappare un facile applauso del pubblico addomesticato.
E allora? Il problema è dei partiti, della loro crisi, della mancanza di “armonia” (ha detto proprio così), di responsabilità e collaborazione tra politici. Se il Pd e il coacervo di transfughi centristi non trovano un accordo sul da farsi, Berlusconi e la Lega vinceranno sempre, ostrega.
Ma basta un simile accordo, o ci vuole un papa foresto, gli chiede la signora in nero con assist perfetto? Eh no, esclama Cacciari (altrimenti cosa l’hanno mandato a fare in televisione?) ci vuole un leader candidato a governare. Eccola qui l’altra chiarificazione pratica dei problemi esistenti, avere un leader terzo, al di sopra delle parti. La Dandini, come già la Gruber, suggerisce: Luca Cordero di Montezemolo? Proprio così, sorride sornione Cacciari, tanto più, aggiungiamo, che il nobile Luca è stato mandato a casa dalla Fiat e presto lo sarà anche dalla Ferrari. Insomma, risolviamo un problema alla volta, e per prima cosa troviamo un’occupazione a questo poveretto del signor Luca (vedi curriculum qui sotto!).
Quindi la crisi, a detta di Cacciari, è dei partiti, non del sistema. E basterà trovare un accordo parlamentare sulle riforme, cioè formare un governo con a capo il nobile Luca (che, va da sé, non è né di destra né di sinistra, ma uno dei tanti padroncini, ex presidente di Confindustria, che vogliono fare il bene anzitutto dei salariati e pensionati devastati dal welfare) per fare le “riforme”.
Non voglio farla lunga, chiedo semplicemente: quale riforma della scuola, per esempio, o quale legge sulle staminali o sul fine vita, o anche solo un modesto federalismo, si potrebbero mettere in campo con Casini, Rutelli, Binetti, Giovanardi,  e compagnia cantando? E per quanto riguarda l’Eni e il South stream, ci mandiamo Fassino o D’Alema? Ma per le centrali nucleari Luca e Veronesi sarebbero perfetti!
* * *
Luca Cordero di Montezemolo (Bologna, 31 agosto 1947) è un dirigente d'azienda italiano.
Presidente della Ferrari S.p.A. (dal 1991) di cui è stato anche Amministratore Delegato (fino a settembre 2006), presidente della FIAT S.p.A. (dal 2004 al 2010), della Fiera Internazionale di Bologna, ex presidente della Luiss (dal 2003 al 2010) e di NTV (Nuovo Trasporto Viaggiatori); Consigliere di Amministrazione del quotidiano La Stampa, del Gruppo francese PPR SA (Pinault/Printemps Redoute), Tod's, Indesit Company, Campari, ex presidente della Maserati (dal 1997 al 2005). Fa parte del Consiglio Direttivo e della Giunta dell'Assonime. È membro dell'International Advisory Board di Citi Inc.. Ha fondato Charme, fondo finanziario imprenditoriale, con cui nel 2003 ha acquisito Poltrona Frau SpA, azienda di arredamento di cui è anche Consigliere di Amministrazione, e, nel 2004, Ballantyne, marchio internazionale di cashmere, cui si sono poi aggiunti i marchi Cappellini, Thonet e Gufram.
Un tizio, il marchese Cordero di M., che non soffre il conflitto d'interessi. Adatto, insomma.

martedì 28 settembre 2010

Filosofi


Come Clemente Mastella e Pierluigi Bersani anche Massimo Cacciari è laureato in filosofia; anzi, per certi versi è considerato il “filosofo” per antonomasia, ovvero “la coscienza critica del Pd”, così come l’ha definito la signora Gruber ieri sera.
E anche in tale circostanza mediatica Massimo Cacciari non ha mancato di offrirci uno scampolo della sua saggezza filosofica, della sua elaborazione monotematica: la destra e la sinistra sono concetti superati e che non hanno più alcuna ragione di esistere.
Dichiarazioni come questa, ribadite e sottolineate in ogni occasione, hanno l’effetto dell’intimidazione (ipse dixit!), ma il loro scopo è altro, evidente forse un tempo ma ormai non più. Ed è quello di marcare la sconfitta, morale e storica prima ancora che politica, della “sinistra” e di ciò che essa, non solo come concetto, tradizionalmente e pure in modo assai contradditorio, ha rappresentato e significato per oltre un secolo nella realtà italiana e non solo.
L’esperienza del socialismo reale, un lager a cielo aperto, è stata subito identificata come la crisi, storica e irreversibile, del marxismo (da molti intellettuali nostrani superficialmente accolto) e delle “ragioni” del movimento antagonista e comunista. Di quale “marxismo” si trattasse dovrebbe essere ben noto, ma chi ha tempo e voglia ormai per disquisire e dare a Marx solo ciò che gli appartiene? Del resto chi può seriamente immaginare un Veltroni o un D’Alema chiosare i “sacri testi”? È questo il compito dei “filosofi”, e i Bersani e i Cacciari hanno detto che si tratta di roba vecchia e inutilizzabile. Conseguentemente si presenta l’altro aspetto della faccenda, e cioè l’aver considerato il marxismo come una "filosofia" della prassi compiuta, definitivamente svolta e perciò, nel giudizio anzitutto dei "marxisti" approssimati e ora pentiti, un “tentativo” fallito nei fatti.
Incombe una realtà diversa, quella del padroncino e dell’operaio leghista. La lotta è per la conquista del loro consenso, del voto per poi agire in alleanza con i cattolici e procedere alle necessarie “riforme”. Sulla base delle idee e dei programmi del liberismo che la sinistra parlamentare ha fatto propri (con l'inclusione di elementi di dottrina sociale cattolica). Partendo dal presupposto che tutto ciò che ancora non sta sotto il sigillo della proprietà privata, si deve svendere al miglior offerente, al meglio realizzando delle public company. Come la Telecom, per esempio!
Eccoci quindi nella trappola del liberalismo, o liberismo, che poi nella sostanza delle cose non sono tra loro diversi. E quindi non c’è da meravigliarsi se hanno preso piede, per accettazione convinta o per rassegnazione, le teorizzazioni come quelle del premio Nobel per l’economia Fredrich Hayek: “dobbiamo abbandonare il pregiudizio secondo cui ogni uomo che nasce ha diritto alla vita”.

3.559.437.000.000.000 (con link di aggiornamento)



Il debito pubblico italiano a luglio di quest’anno è salito rispetto a giugno e ha toccato un nuovo record, a 1.838,296 miliardi di euro, pari a 3.559.437.000.000.000 di lire. È quanto si legge nei dati contenuti nel supplemento del Bollettino Bankitalia sulla Finanza pubblica.
Il PIL resta fermo e il debito aumenta, ergo il ratio debito/PIL non può che lievitare. Il trattato di Maastricht prevede un ratio debito/PIL pari al 60%, se no, multe salatissime per i trasgressori. L’autunno sarà molto caldo, bollente,  la crisi sarà fatta pagare a tutti, tranne che agli evasori, cioè ai ricchi e super-ricchi.
Tra pochi giorni si parlerà di manovra di rientro, cioè tasse, tagli e privatizzazioni.

* * *
Non era difficile prevedere: ecco cosa scrive oggi Il Sole 24 ore  .

lunedì 27 settembre 2010

Casinò Italia


Con la vendita d’importanti rami industriali dell’Iri, delle banche d’interesse nazionale, dell’IMI, del gruppo INA, quindi la privatizzazione di Eni e dell’Enel, la svendita del patrimonio immobiliare pubblico (comprese le imprese e le abitazioni di edilizia popolare), eccetera, si è realizzato il più grande saccheggio del patrimonio statale italiano di sempre. Dal 1985 al 2003, l’Italia ha incassato dalle privatizzazioni poco più di 107 miliardi di dollari, una cifra ridicola se si pensa a ciò che è stato ceduto in cambio.
Un esempio: la più importante azienda telefonica italiana (e una delle prime in Europa), proprietaria monopolistica delle reti e un patrimonio immobiliare enorme, viene privatizzata nel 1997. Il prezzo di collocamento delle azioni in borsa è di lire 10.908 (euro 5.63) e di 10.795 (euro 5.58) per i dipendenti. Da notare che CGIL-CISL-UIL danno il loro consenso all’utilizzazione del TFR, anche nel caso dei lavoratori che già ne hanno usufruito, per l’acquisto delle azioni Telecom (oggi con un’azione Telecom non compri neanche un caffé).
Viene venduta per pochi spiccioli (il Tesoro incassò dalla vendita 11,82 miliardi di euro) quindi svuotata del suo patrimonio (almeno 40 miliardi di lire di soli immobili), poi ceduta ad altri gentlemen con un debito di 80.000 miliardi di vecchie lire e il dimezzamento degli effettivi. Un gioco di scatole vuote che doveva però consentire a D’Alema di farsi un gruppo industriale amico. Nell’intermezzo c’è la vicenda Seat, che meriterebbe un capitolo a parte (non è possibile conoscere chi c’è dietro all’operazione Seat, ma si tratta di poche società, tutte residenti all’estero, che ricevono fiumi di denaro dalla sua compra-vendita).
La vicenda Alitalia è nota: la flotta aerea è diventata di proprietà di un manipolo di eroici patrioti che con poco più di 10 mila euro a cranio se la sono comprata. I debiti sono rimasti a noi.
Eccetera, eccetera.
A questo punto, sapere che un ministro diventa proprietario di un appartamento, ma a sua insaputa, oppure che il presidente della camera ha venduto un appartamento privato ma non sa ancora a chi, quale importanza riveste?

Basta con le stronzate rivoluzionarie, godiamoci la liquidazione (40mln euro)


Il corsivo di Valentino Parlato del 22 settembre in cui definiva Alessandro Profumo un banchiere di “sinistra”, e “forse per questo un banchiere di alta qualità”, ha sollevato, come scrive lo stesso Parlato sul manifesto di ieri, "accalorati dissensi".
Parlato sostiene  “che affermare che non ci possa essere un banchiere di sinistra mi sembra ridurre il marxismo a determinismo assoluto: chiunque gestisce denaro è di destra”. Quindi prosegue illustrando degli esempi: Parvus, Rathenau, Mattioli.
Parlato ha ragione, si può fare (quasi) qualunque mestiere ed essere “di sinistra”. Marx ed Engels erano oggettivamente due borghesi, ed Engels un industriale di Manchester. Dov’è il problema? Solo che i nomi di Marx ed Engels sono noti universalmente anche per dei particolari che invece non riguardano affatto i curricola di banchieri  e affaristi quali Parvus, Rathenau, Mattioli e, si parva licet, Profumo.
La “seconda giustificazione” di Parlato, “riguarda il termine «sinistra»”. Scrive: “essere di sinistra non significa essere rivoluzionari, ma democratici, per la giustizia sociale, per una crescita civile e culturale”. Insomma, basta non essere degli aperti reazionari per avere diritto alla tessera di “sinistra”. Del resto anche Veltroni è di sinistra e poco ci manca che anche Fini lo diventi d’ufficio.
Parlato ci vuole dire dunque che i banchieri di “sinistra” sono favorevoli ad un riformismo democratico che apporti all’attuale sistema economico e sociale, di volta in volta, con gradualità e moderazione, quelle migliorie previste dal manuale delle compatibilità, promuovendo una “crescita civile e culturale”. Domanda: questi capitalisti di “sinistra”, quando speculano, per esempio, quando tagliano posti di lavoro, altro esempio, quando trasferiscono gli investimenti produttivi per sfruttare i differenziali di sfruttamento della manodopera, quando fanno tutto questo e molto altro ancora, essi si adeguano alle regole del mercato e del profitto e quindi agiscono "altamente" e “qualitativamente” come un qualunque altro banchiere e capitalista, oppure no?
«Due anime abitano, ahimé, nel suo petto, e l'una dall'altra si vuol separare!»

Altra domandina: che rapporti hanno questi capitalisti di Pandora nei riguardi dei “rivoluzionari”, dei comunisti (un aggettivo che a Parlato non è venuto fuori dalla penna e chissà perché). Sarà per caso che sono antirivoluzionari e anticomunisti come i capitalisti terrestri?

domenica 26 settembre 2010

Trattamento Alzheimer

Ai tempi di Reagan e Gorbaciov, della Thatcher e di Kohl, c’era il Muro a Berlino, la guerra fredda, i comunisti del PCI e i neofascisti dell’MSI, i socialisti del PSI, i democristiani della DC. E c’erano anche loro: Massimo, Valter, Gianfranco, Giorgio, Fabrizio, Piero, ecc.. L’Umberto, quello del federalismo, era senatore. E ovviamente c’era anche Ciriaco, deputato dal 1963 (era ancora vivo JFK e Breznev solo un promettente funzionario di partito). E quell’altro, Francesco, segretario del Partito radicale (1983-1990) acerrimo avversario della DC del cattolicissimo Pierferdinando, pure questi deputato dal 1983. E Clemente, eletto dal 1976, cioè da prima che Jimmy Carter (qualcuno se lo ricorda?) diventasse presidente Usa. Che fine hanno fatto? Vado a dare un’occhiata su Wikipedia, prima che stamattina passino i dottori .

sabato 25 settembre 2010

L'allievo di Tartini





Se oggi tutto ci appare contraddittorio, è perché la realtà è da un'altra parte.


venerdì 24 settembre 2010

Al Papa nero basterà aver letto Sun Tzu?


Il presidente Usa Obama ieri ha incontrato il premier cinese Wen Jiabao per un paio d’ore. Il NYT dedica al fatto un articolo qui. Il presidente ha minacciato esplicitamente la Cina, affermando che se “i cinesi non intraprenderanno azioni [tese a rivalutare la propria moneta], noi abbiamo altri mezzi di tutela degli interessi degli Stati Uniti” (“the Chinese don’t take actions, we have other means of protecting U.S. interests”).
I Democratici al Congresso minacciano di approvare una legge prima delle elezioni di medio termine per minare i vantaggi che Pechino ha goduto sulle tariffe delle proprie merci grazie ad una sottovalutazione del renminbi (o yuan), che gli esperti Usa dicono che è artificialmente indebolita dal 20 al 25 per cento.
Wen Jiabao, ha respinto tali critiche su uno yuan tenuto debole sui mercati finanziari per aiutare le esportazioni. Wen ha infatti dichiarato che lo yuan non è all'origine del deficit commerciale degli Stati Uniti: “La principale causa del deficit americano - ha precisato il premier - non è il tasso di cambio dello yuan, ma  la  struttura  degli  investimenti  e dei risparmi.  Fra  Cina  e  Stati  Uniti c'è  uno  squilibrio  commerciale  che non vorremmo e Pechino non persegue una  politica  di  surplus  intenzionalmente”.
Dal 19 giugno scorso, da quando la Cina ha annunciato una politica valutaria più flessibile, lo valuta cinese si è apprezzata dell'1,8 per cento nei confronti di quella statunitense, e ieri - attestandosi a 6,69 yuan per dollaro - ha raggiunto il livello maggiore dal 1993. Ma ciò evidentemente non è sufficiente e lo scazzo tra Cina da una parte e Usa-Giappone dall’altra, continua.
Ad ogni buon conto la disputa sui cambi costituisce solo uno dei morivi del contenzioso; inoltre, a giudizio di molti commentatori, un eventuale riallineamento non porterebbe necessariamente vantaggi in termini di economia reale agli Stati Uniti. “Uno yuan più forte probabilmente non si tradurrà in un aumento dell'occupazione negli Stati Uniti”, scrive per esempio David Leonhardt sulle stesse pagine del quotidiano newyorchese.
L’espansionismo economico della Cina preoccupa gli Usa a 360°: la Cina sta guardando sempre con maggiore interesse all'Europa orientale. Obiettivi principali sono gli appalti finanziati dall'Ue in diversi Paesi dell'est Europa e il grande business relativo ai campionati europei di calcio del 2012, che si svolgeranno in Polonia e in Ucraina.
Ma la Cina ha investito copiosamente anche in America latina in Africa. E proprio ieri si è aperta nella capitale del Togo, Lomé, la riunione della Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (Ecowas-Cedeao). Al centro delle discussioni, la possibilità di trasformare gli investimenti della Cina in un’opportunità per la crescita economica e sociale. Il vertice di Lomé – rilevano gli analisti – coincide in questi giorni con una serie d’incontri di alto livello tra Cina e Africa, a conferma degli ottimi rapporti bilaterali.
Tutto questo non potrà essere tollerato a lungo.

Il Papa straniero


I punti essenziali del discorso tenuto da Obama ieri all’Onu non potevano che riguardare la strategia geopolitica degli Usa, la quale ha come base l'arrogante pretesa (a dir poco) di avere il diritto di intervenire ovunque nel pianeta.
Il punto cruciale di tale strategia riguarda il confronto con la Cina, quindi l’egemonia Usa in Asia centrale, così come nel Sudest asiatico e nel Pacifico, nel Corno d’Africa, ecc.. Non per nulla il New York Times ha pubblicato un articolo, chiaramente basato sulla prospettiva dell'amministrazione degli Stati Uniti, sul rapporto sempre più teso Usa-Cina, riferendo che "l'aumento di attriti tra la Cina e i suoi vicini in queste ultime settimane sulle questioni della sicurezza” ha consegnato agli Stati Uniti l'occasione per riaffermare la propria leadership nell’area. Infatti, tra le righe, ha rilevato che Washington si è inserita nelle dispute territoriali tra la Cina e i paesi del sud est asiatico, organizzando provocatorie esercitazioni militari congiunte con la Corea del Sud vicino alle acque cinesi e ha rinsaldato la sua alleanza con il Giappone, paese in contrasto con l'influenza della Cina per motivi commerciali, i quali assumono le specie di dispute territoriali.
Si tratta complessivamente di una strategia di “display determination” già largamente collaudata in Europa ai tempi della Guerra Fredda.
Su tale linea Obama ha richiamato l'attenzione sul suo prossimo viaggio in Asia, elencando i paesi in cui si recherà: India, Indonesia, Corea e Giappone, e lodando ciascuno di essi per aver promosso i “principi democratici”, mentre ha esplicitamente negato che tali principi ispirino la visione della dirigenza cinese: “Yet the appeal of such an idea [la democrazia] faces challenges at bodies like the UN. This is not, for example, the future world that Chinese leaders envision”. L’itinerario comprende i quattro maggiori paesi che gli strateghi statunitensi immaginano come baluardi contro l'espansione dell'influenza cinese.
In tale chiave vanno lette anche le presunte aperture verso l’Iran. Gli Usa hanno sempre più la necessità di stabilizzare in qualche modo, con le buone o con altri mezzi, i conflitti nel Vicino e Medio Oriente, in modo da avere mano libera in Asia e nel Pacifico. A questo serve tutta la retorica banale circa la "Terra Santa" e "la nostra comune umanità", mentre si inviano  84 aerei F15 all’Arabia Saudita. Non è da escludersi, in tal senso e nel prossimo futuro, anche tentativi di più marcata distensione verso la Russia, interessi dell'area permettendo.
Non si può escludere a priori che gli strateghi Usa abbiano compreso che l’epoca delle portaerei finirà presto e che pertanto sarebbe opportuno provocare i cinesi per poi reagire con un’azione preventiva. Insomma battere la Cina finché si è più forti e in grado di farlo, risolvendo al contempo anche importanti problemi in campo economico e finanziario.
* * *
Ieri mattina, nel post qui sotto, ho messo in luce come la “notizia” della riduzione a meno di un miliardo del numero delle persone affamate nel mondo è in realtà una balla propagandistica, sia perché tale numero era già stimato sotto il miliardo, ma anche perché tale dato, poco meno di un miliardo appunto, invece di diminuire, tende ad aumentare.
Ieri sera su Repubblica è apparso questo articolo che vale la pena di leggere.

giovedì 23 settembre 2010

Ultime news dal conflitto d'interessi


Si è concluso alle Nazioni Unite il Millennium Development Goals, ovvero il "vertice sulla povertà", nel corso del quale è emerso come la risposta delle grandi potenze capitaliste alla fame, miseria e sfruttamento delle aree più povere del mondo sia, ancora una volta, fallita, così come, a fronte della peggiore crisi economica dal 1930, gli intendimenti siano quelli di aumentare gli attacchi contro i posti di lavoro, gli standard di vita e condizioni sociali dei lavoratori, mentre si palesa sempre più la tendenza verso il militarismo e le spese per armamenti.
L'incontro ha visto la presenza di numerosi capi di stato per annunciare il loro platonico impegno, lo stesso adottato da un vertice analogo esattamente dieci anni fa. Nessuno infatti di tali obbiettivi dal 2000 ad oggi è stato lontanamente raggiunto per quanto riguarda la povertà estrema, la fame, la salute infantile e materna.
La propaganda mediatica, non ultima quella italiana, ha sottolineato entusiasta che le persone che soffrono la fame più cronica sono scese sotto il miliardo. La realtà è molto diversa da quella annunciata trionfalmente dalla disonestà di questi “giornalisti”: mentre 830 milioni di persone vivevano sull'orlo della fame quando gli obiettivi sono stati adottati un decennio fa, questo numero è salito a oltre 1 miliardo durante le non infrequenti crisi alimentari e rimane attestato a 915 milioni. Secondo la Banca mondiale, 980 milioni di persone sono costrette oggi a vivere con meno di un dollaro al giorno, solo leggermente inferiore al dato 1.250 milioni registrato nel 1990. Ma bisogna tener conto che sono passati vent’anni e della forte svalutazione del biglietto verde!
L'ONU ha approvato una "Dichiarazione del Millennio" ove proclama che “la sfida centrale che dobbiamo affrontare oggi è quella di garantire che la globalizzazione diventi una forza positiva per tutti i popoli del mondo”.
Il decennio intercorso si è fatto beffe di questa affermazione, che, fin dall'inizio si è rivelata solo un ottimo pretesto per lo sfruttamento finanziario dei paesi più oppressi. L’integrazione economica globale, pur rendendo possibile una crescita enorme della tecnologia, della produzione e della comunicazione, è stata totalmente subordinata ai profitti delle banche e delle corporazioni con l'accumulo di oscene quantità di ricchezza a vantaggio di una piccola aristocrazia finanziaria.
Per le masse più povere del mondo, miliardi di persone, la globalizzazione capitalista ha comportato una serie di catastrofi e di crescenti disuguaglianze sociali. La globalizzazione dell'agricoltura capitalista, per esempio, legata alla vendita all'ingrosso, alle privatizzazioni e speculazioni internazionali delle materie prime, ha prodotto una crisi alimentare nel periodo 2007-2008 che ha immerso centinaia di milioni di persone in uno stato di vera insufficienza alimentare. Secondo la Banca mondiale, ulteriori 50 milioni di persone sono state messe in queste condizioni nel 2009, e altro 64 milioni sono attese a condividere la stessa sorte nel 2010.
Dopo un intero decennio, 9.2 milioni di bambini continuano a non vivere oltre il loro quinto compleanno, soprattutto a causa della malnutrizione e delle malattie prevenibili. Analogamente, l’impegno di ridurre la mortalità materna del 75% è stato frantumato dalla realtà di mezzo milione di donne che muoiono ogni anno per complicazioni della gravidanza e del parto. L'Onu aveva promesso di fermare la diffusione dell'Aids, ma dopo un decennio, solo un terzo dei 33,2 milioni di persone infettate dal virus sono in grado di ottenere il trattamento, mentre i finanziamenti sono stati tagliati, come nel caso delle nazioni europee che stanno dando per l’Aids 623.000.000 $ in meno rispetto all'anno precedente.
Martedì scorso l’arrogante cancelliere tedesco Angela Merkel ha respinto gli impegni assunti nel 2000: "La comunità internazionale si è data obiettivi reali 10 anni fa," ha detto, "purtroppo oggi dobbiamo riconoscere che probabilmente non siamo in grado di raggiungere tali obiettivi”, cui ha fatto seguito l’accusa ai paesi più poveri per il mancato raggiungimento di tali obiettivi, avvertendoli che "l'aiuto allo sviluppo non può continuare indefinitamente."
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama il giorno dopo ha sviluppato temi simili, dichiarando che gli aiuti degli Stati Uniti, solo lo 0,22 per cento del reddito nazionale della media dei 7 paesi più ricchi, sono subordinati alla "strategia di sicurezza nazionale". Obama ha cinicamente esortato i delegati delle Nazioni Unite a muoversi “oltre il vecchio dibattito su quanti soldi che spendiamo”. Il nuovo approccio proclamato dal presidente degli Stati Uniti consiste nel dirigere gli aiuti ai paesi poveri che si prestano senza riserve al predominio del capitale finanziario americano. Infatti, ha sottolineato che è intenzione della sua amministrazione di “cambiare il nostro modo di fare business” (“changing the way we do business”) in relazione agli aiuti internazionali. “Per troppo tempo abbiamo misurato i nostri sforzi per la quantità di soldi che abbiamo speso”, ha detto. Egli ha sostenuto inoltre come le nazioni povere dovrebbero creare "situazioni locali attraenti per gli investimenti" (“create business environments that are attractive to investment”) e di "incoraggiare l'imprenditoria", per liberare il "cambiamento", quindi sconfiggere la corruzione.
In altre parole, la ricetta di Obama per la povertà globale, cioè per le regioni storicamente più oppresse e saccheggiate del globo, è una dose ancor più massiccia di libero e incondizionato sfruttamento capitalistico, cioè di quella stessa tossina che tanta parte ha nelle cause del cosiddetto sottosviluppo.
Quanto alla corruzione, l’intero pianeta sta soffrendo le conseguenze delle azioni criminali degli speculatori finanziari di Wall Street e delle altre piazze affaristiche. Gli speculatori americani sono stati aiutati e incoraggiati, con denaro pubblico, per la somma di oltre 12.000 miliardi dollari da parte delle amministrazioni Bush e Obama. Un solo esempio della speculazione che Obama si guarda bene dal denunciare: l’Africa sub-sahariana riceve circa $ 10 miliardi di dollari in aiuti per anno, mentre paga più di $ 14 miliardi nel pagamento dei debiti verso le banche di Wall Street e la City di Londra.
Obama dovrebbe guardare il luridume in casa sua prima d’impartire lezioni d’igiene ad altri.

mercoledì 22 settembre 2010

Conflitti e instabilità monetaria


Dietro le tensioni “territoriali” e la guerra dei “pescherecci” tra Cina e Giappone, si celano le profonde contraddizioni in corso nell'economia capitalistica.
Le controversie tra Stati Uniti e Cina per il corso del dollaro-renminbi hanno alimentato le tensioni monetarie internazionali per qualche tempo. Mercoledì scorso il conflitto ha acquisito un'altra dimensione quando il governo giapponese è intervenuto sui mercati valutari con 23 miliardi dollari a sostegno dello yen troppo caro, spingendo così verso il basso il valore dello yen di circa il 3% rispetto al dollaro USA.
Il significato dell'intervento non stava solo nella sua dimensione, ma nel fatto che il governo giapponese ha agito unilateralmente. Questo ha prodotto una severa critica da parte delle autorità europee per le quali le "azioni unilaterali non sono il modo di affrontare gli squilibri globali" e la condanna del Senato degli Stati Uniti che per bocca del presidente della commissione bancaria Chris Dodd ha detto che l’intervento unilaterale di Tokyo “ha rotto gli accordi internazionali”. Significativamente, però, l’amministrazione Obama, che considera il Giappone come un alleato essenziale nell'area e nel suo conflitto con la Cina, non ha fatto commenti.
Infatti le tensioni Usa-Cina, per quanto riguarda un ventaglio di temi, sono palesi. A cominciare dalla questione del cambio che rende le merci cinesi tanto competitive. La scorsa settimana il segretario del Tesoro americano, Timothy Geithner, nella sua testimonianza davanti al Congresso, ha chiesto alla Cina di permettere alla sua moneta di crescere a un ritmo più veloce rispetto al dollaro. L'amministrazione americana, ha detto il segretario, sta “esaminando la questione per mettere in campo un mix di strumenti per poter aiutare le autorità cinesi a muoversi più rapidamente in tal senso".  Si tratta di un eufemismo diplomatico per dire che gli Usa sono “sul punto di minacce di sanzioni commerciali”, come non ha mancato di osservare Robert Reich, l’ex Segretario del lavoro di Clinton. Altri commentatori hanno inoltre rilevato come il conflitto sulle valute stia assumando un significato molto simile al tipo di guerra commerciale che ha caratterizzato gli anni Trenta.
La fonte immediata degli antagonismi è data dagli effetti della stagnazione dell'economia mondiale e dalla necessità vitale che gli stati hanno di sostenere le proprie esportazioni. L'amministrazione Obama vuole un dollaro più basso per rendere più competitiva l'industria americana; di contro, le autorità cinesi temono che un troppo rapido aumento del renminbi colpirebbe le imprese manifatturiere che operano su bassi margini di profitto, favorendo la disoccupazione e l'aumento delle tensioni sociali; gli esportatori giapponesi, dal canto loro, dopo vent’anni di stagnazione e deflazione, sostengono che non possono sostenere un corso del dollaro-yen come negli anni '80 e insistono per una rivalutazione delle altre monete forti rispetto allo yen. Le potenze europee, soprattutto la Germania, nazione guida, dove le esportazioni rappresentano circa il 40 per cento del Pil, vogliono mantenere il valore dell'euro a circa $ 1.30, piuttosto che il livello di 1.50  com’era fino ad epoca recente.
Mentre questi conflitti sono alimentati dall’immediata situazione economica mondiale, essi peraltro marcano un profondo significato storico, rappresentando palesemente una delle forme della contraddizione irrisolvibile nel cuore stesso del sistema capitalistico: quella tra l'economia globale e la divisione del mondo in stati-nazione rivali.
Ogni nazione capitalista ha una propria moneta, sostenuto dal potere dello Stato all'interno dei suoi confini. Ma nessuna moneta è di per sé il denaro mondiale. Tuttavia, per funzionare, il sistema capitalistico ha bisogno di uno strumento di pagamento riconosciuto a livello internazionale.
L'accordo di Bretton Woods del 1944, in base al quale la moneta Usa era legata all’oro al prezzo di 35 dollari per oncia, era inteso a istituire un sistema monetario mondiale vitale senza il quale l'economia globale sarebbe ritornata rapidamente alle condizioni e alle tensioni del 1930.
L'accordo stabilì che il dollaro USA, in virtù della schiacciante superiorità economica del capitalismo americano, avesse effettivamente funzione di moneta mondiale, svolgendo un ruolo decisivo nel ristabilire i flussi del commercio mondiale e degli investimenti. Tuttavia il sistema di Bretton Woods si basava su una contraddizione che il tempo avrebbe messo in luce. Il mantenimento della liquidità internazionale ha richiesto un deflusso di dollari dagli Stati Uniti al resto del mondo, ma questo deflusso imponente di cartamoneta ha infine minato il rapporto tra dollaro e oro, cioè la quantità di dollari in circolazione nel mondo era andata ben oltre la quantità d'oro in possesso del Tesoro degli Stati Uniti. Saltava quindi la base dell’accordo, ovvero la possibilità teorica e pratica di convertire biglietti verdi in oro lucente.
Infatti, il divario dollaro-oro costantemente ampliato per tutto il 1960, costrinse il presidente Nixon alla famosa dichiarazione del 15 agosto 1971, con la quale si stabiliva che il dollaro non sarebbe più stato convertibile in oro. Con la fine del sistema di Bretton Woods, la capacità del dollaro di continuare a funzionare come moneta mondiale subiva un durissimo colpo, prodromo di ulteriori crisi, non ultima quella dei cosiddetti petrodollari del 1973.
Tutto questo dimostra la centralità dell’oro quale equivalente universale e ancora una volta la giustezza e la potenza dell’analisi marxiana (v. in particolare il cap. III del I Libro de Il Capitale, per la critica dell’economia politica).
Entro la fine degli anni 1980 gli Stati Uniti perdevano la propria supremazia e da paese creditore del mondo, erano diventati il suo principale debitore, dipendente dagli afflussi di capitali dal resto del mondo. Questo afflusso veniva e viene mascherato, in una certa misura, dal marciume interno e dal decadimento del sistema finanziario americano come dimostrano le ricorrenti crisi finanziarie, a partire dal crollo del mercato azionario nel 1987, la crisi del legame del 1994, il tracollo del fondo hedge Long Term Capital Management nel 1998 e la cosiddetta crisi-tecno del 2000-2001, per arrivare al tracollo di Lehman Brothers il 15 Settembre 2008.
Come ho già detto, l'economia capitalistica globale, prescindendo da altre sue contraddizioni immanenti al processo di accumulazione, richiede una moneta di riserva mondiale stabile che garantisca le transazioni. Ma, come detto, il dollaro è sempre più incapace di svolgere quel suo vecchio ruolo, né c’è un’altra moneta che possa sostituirlo: né l'euro o lo yen,  ovvero il renminbi.
La crescente mancanza di fiducia in tutte le valute di carta si riflette nel prezzo crescente dell'oro, che raggiunge periodicamente nuovi record (e ben presto ne raggiungerà altri). Ma un ritorno al gold standard non è una soluzione auspicabile (ma non inevitabile) anche perché porterebbe ad una contrazione massiccia di credito, gettando l'economia mondiale in una depressione addirittura più grave a quella del 1930.
L’economia mondiale sarà quindi sempre più instabile e l’incubo di conflitti militari sempre più probabile.

martedì 21 settembre 2010

Finanza cristiana



Pochi giorni or sono, Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello IOR e adepto dell’Opus Dei, aveva scritto su Il Sole 24 ore queste alate parole:
«sono stati rinnegati negli ultimi anni i nostri valori culturali, è stato dimenticato che la crescita economica è uno strumento e non un fine e sono stati ignorati molti fondamentali della crescita stessa».
Quindi passava in rassegna le scelte necessarie, i soliti refrain, per far crescere il paese: fare più figli; selezione scolastica; evitare di trasformare l'impresa “in un prodotto finanziario da commercializzare”.
Oggi c’è la notizia che il galantuomo papalino è indagato dalla procura di Roma di violazione della normativa antiriciclaggio e ha disposto il sequestro di 23 milioni di euro.
Già nel novembre scorso la Procura della capitale aveva avviato un’inchiesta su alcuni conti correnti aperti in una delle due agenzie della Banca Unicredit (ex Banca di Roma) di via della Conciliazione, conti che risultano essere nella disponibilità dello Ior, la banca vaticana. Sui conti riferibili all’Istituto per le Opere di Religione sarebbero transitati centottanta milioni negli ultimi tre anni.
La segnalazione della «non trasparenza» della titolarità dei conti correnti è stata fatta dall’Unità di informazione finanziaria, la struttura di «Financial intelligence» italiana della Banca d’Italia. Il sospetto della Procura è che la sigla dell’Istituto per le opere di religione sia stata utilizzata come «schermo opaco», e che dietro si possano celare persone fisiche o società che attraverso il conto presso la ex Banca di Roma abbiano costituito un canale per il flusso di risorse tra la banca vaticana e l’Italia.

Di questo Ettore Gotti, predicatore di carità, amore e saggezza, mi ero occupato in un post dello scorso marzo qui .

L'opportunismo dei corrotti


Il capitalismo, nel suo stadio imperialistico, conduce decisamente alla più universale socializzazione della produzione; trascina, per così dire, i capitalisti, a dispetto della loro coscienza, in un nuovo ordinamento sociale, che segna il passaggio dalla libertà di concorrenza completa alla socializzazione completa.
Viene socializzata la produzione, ma l'appropriazione dei prodotti resta privata. I mezzi sociali di produzione restano proprietà di un ristretto numero di persone.
[…]
l’evoluzione del capitalismo è giunta a tal punto che, sebbene la produzione di merci continui come prima a "dominare" e ad essere considerata come base di tutta l’economia, essa in realtà è già minata e i maggiori profitti spettano ai "geni" delle manovre finanziarie. Base di tali operazioni e trucchi è la socializzazione della produzione, ma l’immenso progresso compiuto dall'umanità, affaticatasi per giungere a tale socializzazione, torna a vantaggio... degli speculatori.
[…]
I capitalisti di uno dei tanti rami industriali, di uno dei tanti paesi, ecc., raccogliendo gli alti profitti monopolistici hanno la possibilità di corrompere singoli strati di operai e, transitoriamente, perfino considerevoli minoranze di essi schierandole a fianco della borghesia del rispettivo ramo industriale o della rispettiva nazione contro tutte le altre. Questa tendenza è rafforzata dall'aspro antagonismo esistente tra i popoli imperialisti a motivo della spartizione del mondo. Così sorge un legame tra l'imperialismo e l'opportunismo; […] Più pericolosi di tutti, da questo punto di vista, sono coloro i quali non vogliono capire che la lotta contro l'imperialismo, se non è indissolubilmente legata con la lotta contro l’opportunismo, è una frase vuota e falsa.
(L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, 1917)

lunedì 20 settembre 2010

Cattivi bidelli



Questa sera ho assistito a una vera e propria azione di brigantaggio mediatico che si è avvalsa di un miserabile intellettuale che pretendendo di collocarsi in tutt’altra area politica persegue invero il medesimo obiettivo dei padroni e dei loro servi. Questo spudorato senza vergogna ha detto testualmente che “la ricchezza non viene più creata nelle fabbriche”, che “il plusvalore ha una origine nella società diffusa”, che trae origine anche dalla “borsa”.
L’ex “cattivo-maestro” di un marxismo riveduto e corretto, non è nuovo a simili tesi, anzi le ripropone ormai da più di un trentennio. Sostiene, in sostanza, che vivremmo attualmente in un’epoca storica di capitalismo avanzato laddove la legge del valore si sarebbe ormai estinta e il capitale perpetuerebbe il suo potere grazie al puro dominio del suo comando, cioè d’imperio.
Non voglio tediare con citazioni da Marx, mi limito ad osservare lo scopo oggettivo a cui si presta tale résumé delle teorie  negriane: rafforzare certi modelli ideologici e liquidare le ragioni stesse della lotta di classe.
A latere, il manager Fiat Sergio Marchionne, rispondendo ad una domanda circa la sproporzione tra il suo stipendio e i salari operai, ha detto livoroso: «Provate voi a fare la vita che faccio io». E se provasse lui a vivere per qualche mese da salariato?

Problemi? Scrivi a Giuliano Amato



Giuliano Amato (sì, è vivo e si fa pagare profumatamente i suoi editoriali dalla Confindustria) scrive su un tema scottante: i rom.
«Immaginiamo comunque di avere tutti i mezzi legali per liberarci di chi è pericoloso e anche per allontanare con più efficacia chi non ha mezzi di sussistenza. Avremmo così risolto la questione dei Rom? I Rom non sono una congerie di diseredati che si ritrovano nei campi uniti solo dalle loro precarie condizioni di vita. Sono una minoranza con tradizioni culturali e linguistiche che, per cominciare, include italiani e non italiani, comunitari e non comunitari, cristiani e musulmani, cattolici e ortodossi. Hanno vissuto per secoli allevando cavalli ed eccellendo in attività artigiane e di manutenzione, che li hanno resi in passato fiorenti. Poi si sono trovati in un mondo che non aveva più bisogno di loro, le loro comunità hanno vissuto fra difficoltà crescenti e da un lato si è estesa nelle loro file la piccola criminalità come fonte di sussistenza, dall'altro molti di loro hanno cominciato a divenire stanziali e a integrarsi nei modi di vita che noi consideriamo normali».
Quindi?
«Decisivo è diventato a questo punto l'atteggiamento verso di loro delle nostre società, cioè di tutti noi. [È necessario] cogliere i loro nuovi bisogni, accettarli dunque via via che loro stessi accettano forme nuove d’integrazione, che pure salvaguardino la loro identità. […] dove la si è praticata, l’integrazione funziona».
È questione di “atteggiamento”. Non quello dei rom, il nostro. E quali sarebbero le “forme nuove d'integrazione”? Lavorare in fabbrica da Marchionne, in cantiere da Ligresti, oppure come domestici a casa di Amato?
Rassicura Amato:
«Le visite che ho fatto nei campi Rom mi hanno dato più di una prova dell'errore che facciamo usando solo la durezza e usandola in modo indifferenziato. L'unico risultato è che si rinserrano le fila e viene frustrato così il desiderio (formulatomi esplicitamente) di non vivere più fianco a fianco con i ladri e i delinquenti che invece spadroneggiano nel necessitato silenzio degli altri».
E allora?
«Non facciamone una partita fra duri e buonisti, perché comunque finisca noi la perderemmo. La partita si vince se la si gioca su entrambi i fronti e, se lo si fa, noi stessi possiamo uscirne più soddisfatti».
Ecco svelata la soluzione al problema. Le partite si vincono se si gioca un po’ di qua e un po’ di là, un po’ per una squadra e un po’ per l’altra, per i “duri” ma anche, come direbbe Veltroni, per i “buonisti”. Del resto Amato e quelli come lui non temono i rom. I Vip vivono blindati e scorazzano con scorta. A noi invece resta il senso di colpa del nostro pregiudizio.

domenica 19 settembre 2010

Bagliori di guerra


Anche la stampa italiana se ne sta accorgendo: gli scazzi tra Giappone e Cina sono roba seria. Ne avevo parlato in questo  post del 14 settembre.

La Cina ha congelato gli scambi bilaterali con il Giappone a livello ministeriale. La mossa di Pechino segue la decisione nipponica di prolungare la detenzione del capitano di un peschereccio cinese fermato al largo delle isole contese tra i due paesi. La contesa riaccende gli animi già infiammati in seguito a un altro scontro che vede opposti i due paesi per lo sfruttamento di giacimenti di gas naturale in un'altra zona del mar della Cina orientale. Sullo sfondo c'è la lotta per la supremazia geopolitica in Asia e la fame di materie prime dei due giganti economici che lottano per il secondo posto come maggiore economia globale dietro gli Stati Uniti (Sole 24ore 19-9-10).

Dietro a tutto questo c'è anche la querelle dovuta al fatto che la Cina mantiene ostinatamente e artificialmente la propria moneta molto bassa, oltre ad aumentare l'acquisto dei titoli di debito giapponesi.

La crisi è sistemica, non congiunturale, e la ripresa vera e propria non è in vista. La crisi del debito sovrano europeo e la debolezza economica americana spingono i governi di tutto il mondo a cercare di ottenere quote maggiori di mercato. A questo si aggiunge una guerra senza quartiere, sotterranea,  per il controllo delle materie prime. Insomma, la lotta per la supremazia è solo all'inizio, le controversie sempre più acute, la guerra, prima o poi, inevitabile. 

Caro Chevalley



"Insieme al Pd possiamo vincere tutte le elezioni, alla Regione, al Comune di Palermo e nelle Province". Il governatore Raffaele Lombardo abbraccia il Partito democratico, mentre tratta con i finiani e il Pdl Sicilia di Dore Misuraca per la composizione della nuova giunta, che presenterà martedì all'Ars e che sarà sostenuta anche "da Mpa, Pd, Udc di Casini e Api" (19-9-2010).
Un uomo «temibilissimo perché ha costruito un sistema di potere clientelare spaventoso che ha riportato la Sicilia al Medioevo». Parole pronunciate da Anna Finocchiaro, la «donna forte» della sinistra siciliana. Ora con tale “temibilissimo” uomo il PD siciliano si appresta a governare la Sicilia. Nel segno di un potere clientelare spaventoso che non riporterà la Sicilia al Medioevo, non essendone mai uscita.
* * *

Scrive Scalfari oggi: «Sarà difficile trovarlo un "federatore" che corrisponda all'identikit, ma questa è la scommessa per vincere questo durissimo scontro in difesa della democrazia, della libertà, dell'eguaglianza e della fraternità, offese e ferite».
In Sicilia l'hanno trovato.

* * *
«Era appena giorno; quel tanto di luce che riusciva a trapassare il coltrone di nuvole era di nuovo impedito dal sudiciume immemorabile del finestrino. Chevalley era solo; fra urti e scossoni si bagnò di saliva la punta dell’indice, ripulì il vetro per l’ampiezza di un occhio. Guardò; dinanzi al lui sotto la luce di cenere, il paesaggio sobbalzava, irredimibile.»

sabato 18 settembre 2010

L'ipocrisia di sempre


Dopo aver derubricato i violentatori in tonaca a semplici “malati”, Ratzinger ha detto che le "immense sofferenze" causate dai preti pedofili alle loro vittime fanno parte delle "prove e tribolazioni" che ci sono "nella vita della Chiesa" tra cui quelle dei "martiri di ogni tempo".

Come a dire che si tratta di "prove" inevitabili per chi testimonia la propria "fede", e "martire" è, per definizione, colui che le accetta.  Si dà il caso, invece, che la maggior parte delle vittime siano degli adolescenti affidati, incautamente per la verità, alla tutela della chiesa.
Contro questo briccone è in corso una grande manifestazione a Picadilly  [qui].

Parliamo d'altro


Procediamo per ordine di cazzate:
Un cittadino tedesco, naturalizzato papa, è attualmente turista a Londra. Si dice che cinque netturbini algerini progettavano di ammazzarlo. Ma perché mai? Infatti nel corso delle perquisizioni non è stata trovata né una bombetta e nemmeno un coltellino rituale. Scotland Yard invece tace su un particolare oggetto ritrovato e che svela le reali intenzioni degli islamici: una scatola magnum di Settebello.
* * *
«Una mamma in burqa diventa la "maestra nera" che terrorizza i bambini dell'asilo. E a Sonnino, in provincia di Latina, scoppia il caso. Una donna di nazionalità marocchina con indosso l'abito tradizionale da pochi giorni accompagna il proprio figlio alla scuola materna, dove il bambino è iscritto al primo anno» (Repubblica).

In Marocco non si porta il burqa. Le donne indossano un tipo di velo che si chiama hijab e appartiene ad una tradizione assai più antica dell’islam. Si tratta di un fazzolettone che copre la testa e lascia libero il volto, così come lo portavano le nostre nonne. I bambini «che non vogliono più andare all'asilo intimoriti dalla "maestra nera"», in realtà è probabile che si riferiscano alla suora cattolica. Oppure a una delle tante Befane uscite dal coiffeur.

venerdì 17 settembre 2010

Rapporto sulla povertà in Usa


Ieri il Census Bureau Usa ha comunicato [qui] che il numero di persone che vivono in povertà in America è salito a 43,6 milioni nel 2009. Si tratta del numero più elevato da quando l'agenzia ha iniziato a fare queste stime 50 anni fa e rappresenta un aumento di 3,8 milioni rispetto al 2008.
Il tasso ufficiale di povertà, 14,3 per cento, è il più alto dal 1994. Nel 2008 era del 13,2 per cento. Ogni sette americani uno è povero, secondo la stessa definizione del governo relativamente alla povertà. Ci sono attualmente 8,8 milioni di famiglie che vivono in povertà, tra cui un bambino su cinque. Questo è lo stesso tasso di povertà infantile che esisteva quasi cinque decenni fa, quando il presidente Lyndon B. Johnson aveva annunciato la sua “guerra alla povertà”. Tale iniziativa ebbe un discreto successo: il numero dei poveri scese ad un livello di 23 milioni prima della recessione 1974-1975. Poi è aumentato notevolmente nel 1980, raggiungendo 40 milioni del 1993, quindi un forte calo a 31 milioni nel 1999. È aumentato costantemente da allora, in un processo che ha accelerato drammaticamente con l'inizio della crisi.
Nel 2009 l’aumento della povertà ha riguardato tutti i gruppi razziali ed etnici, ma è stato molto più elevato per i neri e gli ispanici. Il tasso di povertà per i neri era al 25,8 per cento e del 25,3 per cento ispanici. Per i bianchi il tasso di povertà era del 9,4 percento, in crescita da 8,6 per cento nel 2008.
Un’intera sezione del rapporto è dedicata alla copertura assicurativa sanitaria. L'eliminazione massiccia di posti di lavoro negli ultimi due anni ha avuto un effetto devastante sulla copertura sanitaria, che negli Stati Uniti è in gran parte legata al lavoro.
Il numero di persone senza assicurazione sanitaria ha superato i 50 milioni nel 2009 da 46,3 milioni nel 2008.
Il 16,7 per cento della popolazione era nel 2009 senza copertura sanitaria, contro il 15,4 per cento nel 2008. Questa cifra è sottostimata, perché un individuo dove essere senza copertura per l'intero anno per poter essere contato come non assicurato. Un lavoratore licenziato nel luglio 2009 e perdendo la sua copertura di tre mesi dopo, sarebbe stato conteggiato come assicurato per l'anno in corso.
Il numero di persone con una copertura sanitaria governativa è aumentato da 87.4 a 93.2 milioni a causa di un aumento di iscrizione in Medicaid, Medicare e il Children's Health Insurance Program. Ma questo aumento era più che compensato da una diminuzione del numero di persone con copertura assicurativa privata, che è sceso da 201 a 194.5 milioni. Solo il 55,8 per cento della popolazione dispone di un'assicurazione sanitaria sul posto del lavoro.


Il limone


«I giovani non hanno nulla perché i vecchi hanno tutto».
Ieri il blog di Beppe Grillo chiudeva così. D’istinto, da un certo punto di vista, verrebbe da dire: eh sì, per molti giovani non c’è futuro; le persone più anziane, invece, non hanno più bisogno di futuro, ad esse è sufficiente il passato, cioè quanto maturato e accumulato, la rendita, la pensione. Dal lato delle garanzie economiche, per esempio, a Beppe Grillo, 62 anni, benestante, anzi, ricco, il futuro lo preoccupa molto meno che non a un neolaureato. Normale.
Quindi, con questi slogan, Grillo vuol dirci che il conflitto non è più tra classi sociali, tra ricchi e poveri, tra chi comanda e chi subisce, ma diventa il conflitto, come egli stesso scrive da molto tempo, tra generazioni, tra chi è vecchio “ed ha tutto” e chi è giovane e “non vede futuro”.
Ecco servito un bel piatto di populismo, di demagogia reazionaria spicciola. Grillo ignora, finge d’ignorare, che i “vecchi” non godono della sua stessa posizione economica e sociale. Un’occhiata alle statistiche dell’Inps, e veda un po’ quanti milioni di “vecchi” sopravvivono con molto meno di 900 euro al mese, quanti con poco più di 500.
Grillo è un comico che da quando si è messo in politica, poiché di fatto la sua è attività politica, una variante personale della forma spettacolo assunta dalla politica, non passa giorno che non spari cazzate. Con buon senso comune, senz’altro, ma sempre cazzate. Intorbida l’acqua.
Il conflitto tra capitale e lavoro (mai sentito parlare di “manodopera di riserva”?), tra denaro e bisogno, tra diritti e “flessibilità” e “compatibilità”, ha ben poco a che vedere con il conflitto generazionale. Il conflitto sociale non è qundi tra chi “gode” di una modesta pensione e il giovane in cerca di occupazione, l’operaio o il ricercatore disoccupati. Il conflitto ha come causa la natura di questo sistema economico, il quale ha bisogno di poche teste e moltissime braccia, ma queste ultime le trova in Serbia, in Cina, in India, Brasile, Romania, cioè ovunque i livelli di sfruttamento  e l’assenza di diritti minimi consente al capitale di accrescere maggiormente i profitti.
Grillo vorrebbe cambiare questo sistema politico, lo stesso che, paradossalmente, è alla base del suo “successo”, del suo show, delle sue fortune spettacolari. Vuole migliorarlo, renderlo più “presentabile”, più “onesto”, più “controllato”, più “diretto”, insomma, lo vuole più efficiente e migliore. Infatti ha fondato un movimento politico che concorre alle elezioni. Basta non chiamarlo “partito” ed il gioco per un po’ riesce. Vuole anche le “fonti rinnovabili”, la “raccolta differenziata” fatta come dio comanda, il risparmio energetico, l’aria pulita e lo yogurt che sa di latte. Tutte cose di buon senso, o quasi. Ma per quanto riguarda il fondamento essenziale di questo sistema, e cioè l’economia capitalistica, egli si limita ad inveire genericamente contro la “speculazione” che lo ha fregato. L’azionista Grillo, l’entourage che gli scrive le battute, non va oltre, non potrebbe.
Una spruzzatina di limone su un sistema rancido.

giovedì 16 settembre 2010

Sintesi


Le definì «case vere, belle, eterne», tirate su a Bazzano, l’Aquila, in via Mia Martini. Il primo prefabbricato è intitolato a Mariele Ventre, animatrice dello Zecchino d’oro.
* * *
Scrive la Padania: coinvolgere nella politica «innocenti e disinformati bambini» è «meschino e spregevole». Proclama Berlusconi: «È inaccettabile strumentalizzare i bambini». Soggiunge la Gelmini: «È vergognoso che si strumentalizzino i bambini».
* * *
«È un’assemblea storica per la Fiat. Nasceranno due Fiat forti, ambiziose, con persone pronte a realizzare gli obiettivi». Lo ha detto poco fa al Lingotto di Torino il presidente, John Elkann, aprendo l’assemblea degli azionisti convocata per deliberare sullo spin-off ».
Fiat Group ha immatricolato ad agosto 45.720 unità, in calo del 24,2% rispetto ad agosto 2009. A luglio invece le immatricolazioni del gruppo torinese sono state 79.038, in flessione del 31,4% sul pari periodo 2009. Sempre nell' Ue a 27, nei primi otto mesi dell'anno Fiat Group ha immatricolato 723.356 unità (-13,9 per cento) e nei primi sette mesi 677.636 unità (-13,1%). In Europa occidentale (Ue a 15 più Efta) ad agosto il solo marchio Fiat ha immatricolato 34.344 unità, con un calo del 25,9% rispetto ad agosto di un anno fa.
Il tutto a causa di quei terroni sfaticati e sabotatori di Pomigliano.