venerdì 26 luglio 2024

Pappagalli e bolle

 

Dicono che l’Europa sarebbe obsoleta e la nostra Internet non sarebbe nulla senza le innovazioni dello Zio Sam (s’è visto la settimana scorsa). Per le innovazioni c’è l’ossessione attuale: l’intelligenza artificiale. Lo dimostrano i colossali investimenti effettuati nel corso del 2024, ovvero 200 miliardi di dollari per i quattro colossi Amazon, Microsoft, Google e Meta, con un aumento del 180% rispetto al 2019.

E che cosa importa se ricercatori di vaglia mettono pubblicamente in dubbio la reale rilevanza di questi strumenti? Invece secondo i guru della Silicon Valley e i loro leccapiedi, le IA (ce n’è più d’una) dovrebbero creare un mondo migliore gestendo compiti che noi poveri esseri umani non siamo in grado di svolgere da soli. Sono in realtà solo strumenti che emettono frasi casuali basate su probabilità algoritmiche. Pappagalli stocastici.

Un’eccitazione ingiustificata? Vedremo. Passano gli anni e le promesse che sono state fatte, come quella di sostituire gli esseri umani e quasi tutte le professioni (molto poco i “mestieri”), o di diventare super-intelligenti, sembrano piuttosto vuote e gli ultimi progressi, anche se restano spettacolari, non sembrano convergere in questa direzione.

Le IA accessibili al pubblico sono, per il momento, lungi dal lasciarci senza lavoro perché possono essere più veloci ma non necessariamente più affidabili. Casi comici sono già stati raccontati, quando l’IA inventa letteralmente un fatto presentandolo come verità assoluta. Avendo risucchiato tutti i dati disponibili, comprese le sciocchezze, ora si alimentano a vicenda di quella roba lì.

Ecco dunque la comparsa di articoli fasulli generati con metodi algoritmici. L’obiettivo: plagiare parti di articoli già pubblicati cambiando qualche parola qua e là, come pigri studenti che copiano interi brani da Wikipedia per la loro tesina. Ma usare un dizionario dei sinonimi alla cieca, la maggior parte delle volte finisce con scoppi di risate. Così un “tumore al cervello” si trasforma in un “tumore dello spirito”, un “infarto” diventa un “attacco cardiaco” (non sono la stessa cosa) e una “insufficienza renale” non equivale a “delusione renale”.

Nulla d’inventato in questo repertorio della comicità: un’immagine che doveva rappresentare una pompa cardiaca è diventata un dispositivo venduto da un negozio online e destinato a identificare le perdite d’acqua! E queste frodi interessano soprattutto gli articoli pubblicati dalle riviste scientifiche. Resta che un ministro non ha bisogno della IA come ghostwriter per i suoi strafalcioni.

Gli evangelisti di questo fenomeno sono soprattutto gli amministratori delegati di tutte quelle start-up che hanno interessi finanziari nel promettere la luna per attirare capitali attraverso la raccolta di fondi. E naturalmente broker e speculatori piccoli e grandi. Il 25 giugno scorso la stregonesca banca d’investimento Goldman Sachs ha pubblicato una nota venata di preoccupazione e dal titolo evocativo: “IA generativa: troppa spesa per troppo poco beneficio?”. Un mese prima, The Economist aveva espresso preoccupazione per questo “eccesso d’investimenti” poco giustificato.

Stiamo assistendo ancora una volta ad una “bolla tecnologica” come accadde alla fine degli anni Novanta con l’avvento di Internet (Dot-com Bubble), poi ancora nel 2012 con il boom dei social network? In questi due casi, i massicci investimenti dovuti all’entusiasmo attorno a questi nuovi strumenti avevano portato, tra l’altro, a massicci piani di partenza, poi a chiusure improvvise e alla bastonatura di decine di milioni di sprovveduti sovraeccitati (la maggior parte delle persone non può permettersi speculazioni rischiose).

Una buona percentuale delle aziende create nel settore dell’IA e che stanno acquisendo milioni di dollari di investimenti, non esisteranno tra 5 anni o non avranno l’importanza attuale. Ci sono semplicemente troppe aziende che fanno troppe cose simili e verranno fagocitate dai grandi attori monopolistici.

È come con la mania dei famosi bulbi di tulipani: nonostante la scarsità sia uno strumento potente nell’arsenale del venditore (non diversamente dalla complessità, che tende a essere l’equivalente dell’IA), una volta acquisito il bulbo, l’input è quello di scambiarlo di nuovo, e quindi il potenziale di guadagno è in realtà solo nella capacità di rivenderlo, a un prezzo gonfiato, a un altro acquirente, proprio come molte start-up che sono in grado di generare denaro, per i loro fondatori, solo attraverso la cessione della propria attività.

Lo spazio economico e applicativo dell’intelligenza artificiale è troppo vasto per essere una sola gigantesca bolla. I suoi sostenitori sono sempre pronti a dire che l’intelligenza artificiale è la nuova internet, una nuova architettura fondamentale per la tecnologia, e, se è vero, non c’è modo che possa essere una sola enorme bolla. Tuttavia è nella natura stessa del mercato che le bolle siano ovunque intorno a noi. Il fatto è che non c’è modo di far tornare una bolla nella schiuma nell’acqua saponata: soffi e soffi e o ti scoppia in faccia, o sopravvive abbastanza a lungo da fluttuare attraverso la stanza. E però poi inevitabilmente scoppia.

giovedì 25 luglio 2024

Il discorso del criminale sionista

 

Di seguito alcuni ampi stralci del discorso tenuto ieri dal Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu davanti alle due Camere del Congresso degli Stati Uniti riunite (testo così come diffuso dal suo ufficio).

Netanyahu a Washington ha trovato un pubblico che non può più trovare nel suo paese, come in molti altri. È infatti oggetto di una richiesta di mandato d’arresto da parte della procura della Corte penale internazionale dell’Aia per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Il Primo ministro israeliano ha trovato, soprattutto sui banchi repubblicani, un pubblico che è rimasto in piedi per 52 minuti, pronto ad offrirgli quasi cinquanta ovazioni.

*

Signore e signori,
gli uomini e le donne dell'IDF provengono da ogni angolo della società israeliana, da ogni etnia, da ogni colore, da ogni credo, di sinistra e di destra, religiosi e laici. Tutti sono permeati dallo spirito indomito dei Maccabei, i leggendari guerrieri ebrei dell'antichità [...].

Amici miei,
sconfiggere i nostri nemici brutali richiede sia coraggio che chiarezza. La chiarezza inizia conoscendo la differenza tra il bene e il male. Eppure, incredibilmente, molti manifestanti anti-Israele, molti scelgono di stare con il male. Stanno con Hamas. Stanno con stupratori e assassini. Stanno con persone che sono entrate nei kibbutz, in una casa, i genitori hanno nascosto i bambini, i due neonati, in soffitta, in una soffitta segreta. Hanno assassinato la famiglia, i genitori, hanno trovato il chiavistello segreto della soffitta nascosta e poi hanno assassinato i neonati. Questi manifestanti stanno con loro. Dovrebbero vergognarsi di sé stessi [...].

Abbiamo appreso di recente dal Direttore dell’intelligence nazionale degli Stati Uniti che l’Iran sta finanziando e promuovendo proteste anti-israeliane in America. Vogliono sconvolgere l’America. Quindi questi dimostranti hanno bruciato bandiere americane persino il 4 luglio [...].

Per quasi quattromila anni, la terra di Israele è stata la patria del popolo ebraico. È sempre stata la nostra casa; sarà sempre la nostra casa.

L’antisemitismo è l’odio più antico del mondo. Per secoli, il massacro degli ebrei è sempre stato preceduto da accuse selvagge. Siamo stati accusati di tutto, dall’avvelenamento dei pozzi alla diffusione di pestilenze, all’uso del sangue di bambini massacrati per preparare le matzos di Pesach. Queste assurde bugie antisemite hanno portato a persecuzioni, omicidi di massa e, infine, al peggior genocidio della storia, l’Olocausto.

Ora, proprio come per secoli sono state rivolte menzogne maligne al popolo ebraico, ora vengono rivolte menzogne maligne allo Stato ebraico. No, no. Non applaudire. Ascoltate. Le calunnie oltraggiose che dipingono Israele come razzista e genocida sono pensate per delegittimare Israele, demonizzare lo Stato ebraico e demonizzare gli ebrei ovunque. E non c’è da stupirsi, non c’è da stupirsi che abbiamo assistito a un’impennata spaventosa dell’antisemitismo in America e nel mondo.

E non fatevi ingannare quando le accuse di omicidio volontario contro lo Stato ebraico provengono da persone che indossano eleganti tuniche di seta e parlano con toni altisonanti di legge e giustizia.

Ecco un esempio: il procuratore della Corte penale internazionale ha vergognosamente accusato Israele di aver deliberatamente fatto morire di fame la popolazione di Gaza. Questa è una totale assurdità. È una totale invenzione. Israele ha permesso a più di 40.000 camion di aiuti di entrare a Gaza. Sono mezzo milione di tonnellate di cibo, e sono più di 3.000 calorie per ogni uomo, donna e bambino a Gaza. Se ci sono palestinesi a Gaza che non ricevono abbastanza cibo, non è perché Israele lo sta bloccando, è perché Hamas lo sta rubando.

Tanto per quella bugia, ma eccone un’altra: il procuratore della CPI accusa Israele di aver deliberatamente preso di mira i civili. Di cosa diavolo sta parlando? L’IDF ha lanciato milioni di volantini, inviato milioni di messaggi di testo, fatto centinaia di migliaia di telefonate per mettere i civili palestinesi fuori pericolo. Ma allo stesso tempo, Hamas fa tutto ciò che è in suo potere per mettere i civili palestinesi in pericolo. Lanciano razzi dalle scuole, dagli ospedali, dalle moschee. Sparano persino ai loro stessi cittadini quando cercano di lasciare la zona di guerra. Un alto funzionario di Hamas, Fathi Hamad, si vantava – ascoltate questo – si vantava che le donne e i bambini palestinesi eccellono nell’essere scudi umani. Le sue parole: “eccellono nell’essere scudi umani”. Che mostruoso male.

Per Israele, ogni morte di civile è una tragedia. Per Hamas, è una strategia. Vogliono davvero che i civili palestinesi muoiano, così Israele verrà diffamato dai media internazionali e pressato a porre fine alla guerra prima che sia vinta.

Ecco perché, nonostante tutte le bugie che hai sentito, la guerra a Gaza ha uno dei rapporti più bassi tra combattenti e vittime non combattenti nella storia della guerra urbana. E vuoi sapere dove è più basso a Gaza? È più basso a Rafah. A Rafah. Ricordate cosa hanno detto così tante persone? Se Israele entra a Rafah, ci saranno migliaia, forse anche decine di migliaia di civili uccisi. Bene, la settimana scorsa sono andato a Rafah. Ho visitato le nostre truppe mentre finivano di combattere i battaglioni terroristici rimanenti di Hamas. Ho chiesto al comandante lì, “Quanti terroristi hai eliminato a Rafah?”. Mi ha dato un numero esatto: 1.203. Gli ho chiesto, “Quanti civili sono stati uccisi?”. Ha detto, “Primo Ministro, praticamente nessuno. Con l’eccezione di un singolo incidente, in cui le schegge di una bomba hanno colpito un deposito di armi di Hamas e ucciso involontariamente due dozzine di persone, la risposta è praticamente nessuno”. Volete sapere perché? Perché Israele ha salvato i civili dai pericoli, cosa che la gente diceva che non saremmo mai riusciti a fare, ma ce l’abbiamo fatta.

Il presidente Biden e io ci conosciamo da oltre quarant’anni. Voglio ringraziarlo per mezzo secolo di amicizia con Israele e per essere, come dice lui, un orgoglioso sionista. In realtà, dice lui, un orgoglioso sionista irlandese americano.

Voglio ringraziare il Presidente Trump per la sua leadership nel mediare gli storici Accordi di Abramo. Come gli americani, gli israeliani sono stati sollevati dal fatto che il Presidente Trump sia uscito sano e salvo da quel vile attacco contro di lui, vile attacco alla democrazia americana. Non c’è spazio per la violenza politica nelle democrazie.

Voglio anche ringraziare il Presidente Trump per tutto ciò che ha fatto per Israele, dal riconoscimento della sovranità di Israele sulle alture del Golan, all’affrontare l’aggressione dell’Iran, al riconoscimento di Gerusalemme come nostra capitale e allo spostamento dell’ambasciata americana lì. Quella è Gerusalemme, la nostra capitale eterna che non sarà mai più divisa.

*

Al Jazeera ha riferito martedì che 89 palestinesi sono stati uccisi e 329 feriti in tutta la Striscia di Gaza mentre Israele ha lanciato un nuovo assalto alla città di Khan Younis, a circa sette miglia dal confine meridionale dell’enclave. Al Jazeera ha aggiunto che ci sono altri 68 dispersi sotto le macerie degli attacchi.

I carri armati israeliani sono rientrati a Khan Younis lunedì nel terzo assalto alla città e 70 palestinesi sono stati uccisi. L’agenzia Reuters ha riferito, “I palestinesi sono stati uccisi da salve di carri armati nella città di Bani Suhaila e in altre città che costeggiano il lato orientale di Khan Younis, con l’area bombardata anche dall’aria”, secondo i medici di Gaza.

Il ministero della Salute di Gaza ha riferito che tra i morti c’erano diverse donne e bambini e che almeno altre 200 persone erano rimaste ferite. Secondo la formula dello Stato sionista, il massacro di Khan Younis è stato giustificato perché l’intelligence israeliana ha affermato che i militanti stavano lanciando razzi dalla zona e che Hamas stava tentando di riorganizzarsi lì.

Tuttavia, le autorità palestinesi hanno affermato che nelle aree prese di mira vivevano 400.000 persone e decine di famiglie avevano iniziato ad abbandonare le loro case, ma non avevano avuto abbastanza tempo per abbandonare la zona prima che iniziassero gli attacchi aerei.

Questo uno spaccato della lotta al terrorismo da parte delle Waffen Ss sioniste il giorno prima del discorso del loro comandante in capo davanti ai suoi complici di Washington.

mercoledì 24 luglio 2024

La noia

 

La giustizia sociale non è diventata altro che un vecchio sogno sopravvalutato, la sinistra ex riformista ed ex tutto si è resa ridicola, veniamo sempre più espropriati delle nostre libertà diventate discutibili, dei nostri diritti divenuti effimeri, dei nostri desideri ormai dimenticati. Quanto abbiamo perso nel gioco della vita, dove abbiamo parcheggiato la materia umana?

La nostra società è arrivata a un punto tale di leninismo (la famosa “cuoca”) che abbiamo un ministro della cultura analfabeta e un ministro della giustizia che passa il tempo a leggere libri che non può comprendere. Che cosa dovremmo pensare di questi essere umani fin troppo umani? Si comprende come la noia possa prendere il sopravvento.

Possiamo liberare il mondo da questa noia infinita che ci avvolge come la materia oscura di cui tutti parlano ma della quale nessuno sa precisamente nulla? Uscire da questa noia è quindi un progetto politico? Sintonizzarsi sul grande “gioco della vita”, rivolgersi interamente all’esigenza di libertà e viverla senza freni, come una sfida febbrile rivolta all’esistenza stessa.

Vivere intensamente, come gli innamorati che reinventano l’amore folle. Un progetto politico che appartiene al passato, almeno per ciò che mi riguarda. Restare in vita sembra essere questo l’unico vero progetto politico nella noia organizzata del mondo. Tutto ciò che c’era di virtù negli umani sembra essere scomparso. È una verità diventata fatti di cronaca televisiva.

martedì 23 luglio 2024

L’UE ha un’origine nazionalsocialista?

 

Un Paese abitato sempre più da vecchi. Da schiavi chini sotto il sole a piombo per consentire a noi di pagare una bottiglia di passata di pomodoro a soli due euro, che però sono pur sempre quattromila lire. Un Paese le cui industrie e le società di fornitura più importanti sono proprietà di multinazionali estere. Un libero mercato che è soltanto il liberò arbitrio dei cartelli di taglieggiarci.

Ma anche un Paese di cosche di concessionari pubblici (acqua, spiagge, strade, cave, ecc.), lobby di tassinari, di disinvolti attori delle libere professioni e mestieri, e insomma di chiunque possa agire con la prepotenza legale e imporre il proprio dazio. Un debito pubblico gigantesco che non si vede come possa essere risanato. Dunque non è solo colpa della UE.

E però la sopravvalutazione dell’euro come tassa e l’omissione di informazioni essenziali su che cosa s’andava incontro aderendo alla moneta unica sono fatti. E le nostre “autorità” a eseguire pedissequamente gli ordini provenienti dalle cattedrali della fede neoliberale.

I burattinai del processo di “liberalizzazione” sono più occulti degli avatar della UE, del tutto indifferenti ed estranei alla produttività naturale dei paesi e agli interessi permanenti dei popoli interessati. Un’economia che non agisce secondo la gerarchia dei bisogni, ma nel culto dell’esportazione e dell’accumulazione, una vasta pompa aspirante di profitti da reinvestire nella speculazione.

A ben vedere non si è trattato infine dell’Europa di Spinelli e simili. Già durante la guerra mondiale, constatato il moribondo liberalismo prebellico, si era sviluppata l’idea generale di una “comunità europea” la cui costituzione era stata ritardata dagli “ostacoli idioti” e da altre “assurdità” del periodo tra le due guerre.

Si scontrano allora due concezioni di Europa: quella celebre di Aristide Briand, di una “Unione Europea” in forma federale, e all’opposto la concezione nazionalsocialista di una Unione Europea totalitaria. Non ci siamo fatti mancare niente anche in questo caso.

Nel 1942 è Raimund Schulz, ex direttore di una grande azienda aeronautica, a teorizzare (Il grande spazio economico europeo) che la visione liberale del mondo come un’unica grande area di libero scambio è stata minata dalla guerra e che una riorganizzazione deve essere intrapresa sulla base di grandi blocchi, definiti secondo criteri storici e geografici. Così concepisce la costituzione di un unico grande spazio in Europa, “necessariamente totalitario”, che inglobi tutte le “piccole vecchie autarchie” e le smantelli.

“Il vero crimine di Versailles è stato quello di aver sacrificato l’Europa”. La guerra ha permesso di delineare “un sogno futuro: l’unione doganale europea”, per fare del “mercato europeo un commercio interno”. Questa nozione di “comunità europea” non nascondeva la visione di un’intera costruzione europea organizzata a vantaggio della Germania. La differenza è di metodo: l’Europa manterrà l’economia gestita, la cui esperienza tedesca dimostra la sua superiorità rispetto all’economia liberale.

Sostituite “necessariamente totalitario” con “necessariamente democratico” e si tratta a grandi linee dello stesso schema di progetto unitario europeo così come s’è realizzato.

Che cosa si proponeva il modello nazista? Dopo la guerra la Germania farà progressi nell’organizzazione del mercato europeo. Di fronte all’America e all’Asia formerà un “grande spazio europeo”, i cui naturali complementi saranno l’Africa e la Russia europea. La Germania si dedicherà prima alla colonizzazione dell’Est, poi al continente africano, che sarà sfruttato a beneficio della comunità europea. Non ci sarà una chiusura ermetica degli scambi tra i tre “grandi spazi”, ma ciascuno avrà una vita economica propria e indirizzata.

Questo spazio economico sarebbe strutturato attraverso la definizione di un piano generale per la produzione europea, la stabilizzazione dei prezzi, l’unione doganale e la creazione di un grande organismo di compensazione centrale (antesignano della BCE), eccetera.

Anche i governi emigranti di Francia, Belgio e Paesi Bassi avevano le loro idee sul futuro europeo, e appunto il 21 ottobre 1943 firmarono un accordo finanziario per la “costituzione di un blocco economico, preludio a una politica di blocco che comprenda le nazioni che rappresentano la civiltà occidentale”. Tuttavia, durante la guerra, coloro che diffusero il progetto europeo più elaborato appartenevano al campo collaborazionista.

Gaston Riou, radicale, pacifista e un europeo convinto, figura non proprio di secondo piano all’epoca, optava per una forma federativa dell’Europa che implicava l’abbandono della sovranità: è necessario costituire “non una società delle nazioni d’Europa, ma un Reich d’Europa, gli Stati Uniti d’Europa, un vero Stato con unità doganale, monetaria, diplomatica, militare e navale”. Mi pare di aver letto qualcosa di simile recentemente sul Sole 24ore a firma di un ex presidente del consiglio.

La delusione provata di fronte all’inerzia parlamentare sulla questione europea nel periodo tra le due guerre, porta Riou a sostenere che “Ci sono altre forme possibili di democrazia oltre al parlamentarismo”. È noto l’anticomunismo di Riou, il suo odio per la Russia “eterna e imperialista”. In ogni caso, nella sua proposta non siamo lontani dalla specializzazione auspicata dal modello hitleriano: una Germania per l’industriale pesante, una Francia agricola, un’Italia artigianale e turistica, verrebbe da dire ... pastorale.

Riou, celebrando Enrico IV, “morto martire dell’idea europea”, invocava “un’Europa costituita come Repubblica o Impero, o in qualsiasi cosa che formi un organico – e all’interno del quale regnerà la pace”, chiedendo la creazione di “tre o quattro spazi economici”. Non è priva di contraddizione la sua idea: l’organizzazione economica dell’Europa deve bilanciare libertà e dirigismo, ma il suo commercio deve essere posto sotto il segno del libero scambio.

Anche altri propagandarono in quegli anni bellici l’idea di una doppia Europa, quella della potenza e quella del cavallo da tiro, un’Europa industriale del Nord-Ovest e un’Europa agricola del Sud e del Centro che dovevano essere unificate in particolare attraverso la diffusione del progresso tecnologico. Qualunque cosa ciò volesse dire.

Marcel Déat, già ministro e politico francese di lungo corso, dichiarerà nel mezzo del secondo conflitto mondiale: “La rivoluzione nazionalsocialista racchiude al suo interno una tale forza di rinnovamento economico e sociale che perfino una Waterloo non la fermerà”. La sua idea è di escludere Gran Bretagna (tutte le sue defezioni, in particolare il suo rifiuto di creare un comitato britannico per l’Unione doganale europea) e l’Unione Sovietica (per ovvi motivi) e propugna l’unione di ventisette nazioni europee: “Nostro dovere e via della salvezza è l’Unione Europea”.

Dagli albori del ‘900, in mezzo secolo di studi e pubblicazioni, queste molte “manine” devote all’idea dell’Unione Europea, come altri leader di associazioni europeiste, hanno fatto di più per portarla avanti rispetto a molti degli “statisti” che in seguito hanno occupato politicamente la scena in modo più ostentato.

All’epoca, non sono tutti per l’Unione Europea, la destra è paladina di un nazionalismo e regionalismo che vede nelle idee europeiste una minaccia contro l’unità nazionale e contro lo status quo. In Italia il dibattito più che marginale è clandestino (verrà ripreso molto dopo da degli spostati neonazisti). Non per la destra francese, con una visione sentimentale, radicata nella storia delle province francesi, la quale ispira un primo movimento negli ambienti tradizionalisti attorno al maresciallo Philippe Pétain. Altri si rendono consapevoli che questo schema rischia di offrire opportunità di annessione a Hitler in nome della storia e dei presunti diritti della razza.

La seconda guerra mondiale aveva accentuato il divario delineato negli anni Trenta all’interno delle associazioni europeiste tra due modelli di unione europea. C’è chi credeva di riconoscere il suo modello di Europa regionalizzata e integrata nel progetto di Hitler e chi, invece, affermava la linea liberale.

È in tale contesto storico che vanno lette le metamorfosi in cui si è evoluta l’idea europeista e le forme oggettive che poi ha assunto la sua costruzione, dalle molteplici proprietà e determinazioni, ma fondamentalmente elitaria, tecnocratica e di carattere irrimediabilmente antidemocratico. L’aspetto fondamentale di questi progetti e modelli di costruzione dell’unità europea è che essi in ogni caso avevano lo scopo di mantenere ben saldi i rapporti sociali di produzione capitalistici.

Su questo punto non c’è da farsi alcuna illusione, l’Europa unita è l’Europa del grande capitale e della sua classe sfruttatrice. Ciò non toglie che essa, pur dovendo affermare e favorire le condizioni di valorizzazione dei singoli capitali, deve tener conto anche degli interessi contrastanti degli Stati nazionali che la compongono, che a loro volta devono tener conto degli interessi contrastanti di tutte le classi sociali, strati, o ceti che vivono nel loro territorio.

È proprio questa contraddizione, data dalla concorrenza tra gli Stati nazionali, il loro conflitto tra interessi diversi, che minaccia l’Unione Europea. Non tanto oggi, ma quando una grave crisi finanziaria finirà per inghiottire molte illusioni sull’Eldorado capitalistico e le sue soluzioni tecnologiche. 

Death of a president

La politica è sangue e merda (cit.).
Spesso è più luna che laltro.

Joe Biden, lo zombie più famoso d’America. A chi interessa il suo caso dopo 48 ore dalla annunciata rinunzia? Neanche fosse Celestino V. I capibastone del Partito democratico hanno recuperato le chiavi della macchina del nonno, che ora potrà essere messo sotto naftalina in una RSA di lusso.

E però si tratta sempre del presidente della prima potenza mondiale, forse anche della prima potenza militare della Via Lattea. Vai a sapere in queste classifiche. Biden sembrava convinto di incarnare la migliore opzione dei democratici per le elezioni presidenziali. Va detto che l’ex numero due di Obama è comunque riuscito nell’impresa di rimuovere Donald Trump dalla Casa Bianca. E questo mi pare nessuno l’abbia ricordato. Ingratitudine.

Ma il tempo passa, la vista si affievolisce, la memoria si indebolisce. E in meno di un trimestre, l’affascinante anziano si è trasformato in un vecchio affetto da demenza senile. Che comunque fino a gennaio prossimo avrà una delle chiavi della famosa valigetta. E di qui a sei mesi tante cose possono succedere. Lo dico per scrupolo: al vecchio Willy Loman, oltre alle chiavi dell’auto, toglietegli anche quelle dell’Apocalisse.

Riavvolgiamo l’ultimo nastro di Biden. 27 giugno 2024, set della CNN. Joe intende chiudere le saracinesche ai calunniatori. Di certo non è più giovanissimo, ha ottantuno anni, ma chi pensa che questo possa essere un ostacolo alla sua rielezione venga a dirglielo in faccia. E però fin in dai primi minuti – davanti a un Donald Trump in gran spolvero – il presidente sprofonda: incoerenze, vuoti di memoria, parole disordinate ... Uno shock per i molti del suo entourage e dei suoi grandi supporter che da tempo fingevano di non vedere lo stato del presidente. Alla fine del dibattito, nessuno poteva negare che il suo ritiro dalla sfida di novembre fosse necessario.

Il giorno successivo, il rispettabilissimo New York Times, organo ufficioso dei democratici, ha mostrato i denti titolando: “Per servire il Paese, il presidente Biden deve abbandonare la corsa”. Biden non sarebbe altro che “l’ombra di un leader” dopo aver “fallito il test”. Il più grande servizio pubblico che possa rendere oggi è togliersi dalle balle, spiegava il giornale.

L’8 luglio, sempre il New York Times spinge per il licenziamento rivelando che un medico specializzato nella malattia di Parkinson, Kevin Cannard, ha visitato la Casa Bianca otto volte in otto mesi. L’équipe del presidente nega categoricamente: il vecchio ha visto un neurologo solo tre volte in tre anni e le visite del medico erano legate al trattamento di altre persone. Queste smentite hanno lo stesso sapore di quelle di Nixon.

Qualche settimana dopo, Joe torna sulla brace. Un’intervista sulla ABC che sembra un test di prontezza mentale. Kaput. In un articolo pubblicato sempre sul New York Times, anche quella faccia di gomma di George Clooney, fedele sostenitore dei democratici e già protagonista di una campagna di raccolta fondi per Biden, gli chiede di dimettersi perché “l’unica battaglia che non può vincere è quella contro il tempo”. Ce ne ricorderemo.

A pugnalare il cadavere, ci penserà quel Nobel per la pace che risponde al nome di Barack Hussein Obama. Biden gli offre il petto: “Signore e signori, presidente Putin”, dice rivolto a Volodymyr Zelenskyj al vertice della NATO a Washington l’11 luglio. Non è semplicemente un lapsus, è una diagnosi fatale. Chi può ancora immaginare Biden come leader della guerra contro la Russia e in prospettiva contro la Cina?


Donald Trump, come tutti sappiamo, il 13 luglio diventa il messia della destra cristiana (e non solo). Per coincidenza, lo stesso giorno, Joe Biden è risultato positivo al Covid-19. È la terza volta che lo becca. Per l’opinione pubblica ciò dimostra innegabilmente che il suo sistema immunitario è fragile e rafforza l’idea che non sia in buone condizioni di salute. Un paziente di fronte al Donald Trump sopravvissuto per volere di dio.

Non c’è più partita. Il 18 luglio, ci pensa il Washington Post, giornale dei lavoratori americani. Nessuno trattiene più i colpi. Fuoco a volontà. La democrazia americana è fatta di denaro, il polmone di una campagna elettorale. Chiudere il rubinetto del denaro è il modo per metterti fuori gioco. Joe/Willy consegna le chiavi. 

lunedì 22 luglio 2024

Un popolo di ricchi pieni di debiti

 


La popolazione totale degli Usa è di 333.271.411, quella adulta è stimata in 260.046.087 (2022), ossia il 78% del totale.


Stando a questa tabella, negli Stati Uniti 78.000.000 di persone possiede azioni per un valore superiore a 500.000 dollari.

Questi sotto sono altri dati tratti da uno studio dalla Federal Reserve di Richmond.


Mi pare evidente che i dati della Apollo Accademy non coincidano con quelli della Federal Reserve.

Troppo poco, troppo tardi

 

Le pressioni che hanno costretto al ritiro dalle prossime elezioni il presidente Joe Biden, dimostrano ancora una volta il bluff della democrazia statunitense e le vaste dimensioni della crisi politica negli Stati Uniti.

Nel giro di soli nove giorni, il candidato repubblicano alla presidenza è sfuggito a un tentativo di assassinio, mentre il presidente in carica, dopo aver dichiarato per settimane che non si sarebbe ritirato dalla corsa, è stato costretto a porre fine alla sua campagna per la rielezione. Quali commenti avrebbe scatenato una simile vicenda se fosse accaduta altrove?

Biden, ex vicepresidente di Obama, alla fine si è piegato alla pressione dei principali leader del partito al Congresso e dei donatori miliardari. A decidere delle sorti della “democrazia” sono ancora una volta l’oligarchia finanziaria e i rappresentanti dell’apparato militare- intelligence.

Ciò riporta alla memoria quanto accadde nel 1968, quando la politica americana fu sconvolta dalla guerra del Vietnam, dagli assassinii di Martin King Jr. e Robert Kennedy e dalla decisione del presidente Lyndon Johnson di rinunciare alla rielezione. Tuttavia la crisi attuale è ancora più grave poiché il prossimo presidente sarà, ancora una volta, espressione di una classe media bianca che si sente espropriata della sua cultura e del proprio Paese da minoranze e dall’élite liberale globalizzata.

Vogliono anche un ritorno a un’epoca in cui la popolazione bianca era la maggioranza e deteneva gran parte del potere; il fattore razziale è molto importante negli Stati Uniti. Che una parte non trascurabile di questa classe si sia radicalizzata in un’orgia di reazione fascista, d’isteria suprematista, di survivalisti (sono convinti che la fine del mondo sia vicina) e fondamentalismo cristiano, è solo una conseguenza di una crisi che nasce da lontano.

Non vanno trascurati i cosiddetti “veterani”. Gli Stati Uniti sono stati costantemente in guerra fin dalla seconda guerra mondiale. C’è stata la Guerra Fredda, la guerra del Vietnam, la prima guerra del Golfo e le guerre in Iraq e Afghanistan. Per dire solo delle principali. Sono 2 milioni i soldati in servizio, 18 milioni i veterani in totale, a cui vanno aggiunte le loro famiglie e le persone che vivono di armamenti.

Inoltre, Trump ha il sostegno di una parte sostanziale dei padroni del denaro, tra i quali un plurimiliardario come Elon Musk, e dunque la possibilità che s’instauri a Washington un regime apertamente reazionario, non è una mera congettura, ma è una realtà politica.

Nella sua recente intervista con ABC News, a Biden è stato chiesto: “Ha avuto tre mesi per sfidare Trump, perché non l’ha fatto?”. Biden ha risposto: “Ho fatto un sacco di altre cose, come guerre in giro per il mondo”.

I boss del Partito democratico si riuniranno mercoledì 24 luglio per decidere la nomina del loro candidato. Non è scontato sarà Kamala Harris. I democratici hanno bisogno, per avere una chance di successo, di un candidato che parli, pur se non esclusivamente, anche all’America bianca. Ma è troppo poco e troppo tardi.

domenica 21 luglio 2024

Consigli di lettura

 

Sicuri che l’America di Trump sia roba di questo scorcio di secolo e non invece retaggio di cose vecchie e anzi stravecchie?

Certo, l’isolazionismo, i dazi commerciali, America first, ecc.. Che però è l’altra faccia dell’imperialismo americano, del “destino manifesto”, della “diplomazia del dollaro”. Per Theodore Roosevelt (divenuto presidente dal 1901, dopo l’assassinio del suo predecessore William McKinley), il suo desiderio era quello di affermare ovunque il “prestigio” degli Stati Uniti, prestigio minacciato quando dei capitali stranieri sono investiti laddove avrebbero potuto essere investiti capitali americani.

Il suo successore, William Taft, in un discorso del 3 dicembre 1912 al Congresso, disse che “Scopo costante del governo attuale è stato l’incoraggiare l’impiego di capitale americano nello sviluppo della Cina”. Quanto all’America Centrale e ai Caraibi, “gli Stati Uniti erano contenti di incoraggiare ad appoggiare i banchieri americani che avevano accettato di tendere una mano soccorrevo a questi paesi per il loro riassestamento finanziario”.

Taft tendeva ad attribuire alla “diplomazia del dollaro” un significato morale. Tuttavia egli praticava su vasta scala pressioni diplomatiche e interventi militari, che erano conseguenze normali del metodo della diplomazia del dollaro. All’origine profonda dell’espansionismo stava il desiderio di acquistare delle basi per accedere alla “potenza marittima”, secondo la dottrina del celebre ammiraglio Mahan, abbinato, in modo complesso, al desiderio di controllare politicamente, direttamente o in maniera latente, dei territori atti ad assorbire le eccedenze del capitale americano.

“Il dominio americano sugli altri popoli, è stato sempre esercitato con un certo rimorso di coscienza”, scriveva Dexter Perkins nel 1951. Glielo si può concedere, ma il fatto di voler conciliare il loro ideale con il loro interesse particolare, per dirsi soddisfatti di sé stessi, non sposta di una virgola la realtà storica dell’aver trasformato una conquista in “missione”, un intervento in “punizione dei cattivi”, una guerra in “crociata”.

Ed è proprio in questi termini testuali che si esprimeva un grande storico della diplomazia più di sessant’anni fa: Jean-Baptiste Duroselle, Da Wilson a Roosevelt. La politica estera degli Stati Uniti dal 1913 al 1945, Capelli editore. L’Autore analizza, tra l’altro, l’origine degli scrupoli “morali” e della volontà “isolazionista” (a pancia piena) dell’élite statunitense a cavallo tra XIX e XX secolo, che però non impediva di dichiarare guerra alla Spagna o di invadere Santo Domingo, di alimentare in pochi anni “un bilancio diciotto volte maggiore del più grosso bilancio di Theodore Roosevelt” per la flotta da guerra.


sabato 20 luglio 2024

Nazisti

 


Non sono come i nazisti. Sono nazisti. Come chi li giustifica.


Mah

 


Stanno parlando di rendere possibile l’immortalità o quasi, il cyborg umano, l’essere umano geneticamente programmato, l’intelligenza artificiale cosciente, o la colonizzazione di pianeti ostili alla vita ... e poi basta un niente e si ferma tutto. Neanche più lo sciacquone della toilette funziona perché anche quello è collegato a un computer.

Viviamo in un universo tecnologico che in gran parte non sappiamo come sia fatto realmente. Smanettiamo in continuazione ma sappiamo poco di ciò che realmente accade dietro le quinte (la struttura) delle grandi tecnologie combinate che hanno trasformato radicalmente il nostro rapporto con il mondo, l’ambiente e gli altri.

Dietro uno smartphone ci sono i componenti, la rete cellulare, il wifi, il touch, il girostato, l’accelerometro, la biometria, i satelliti, ecc. In totale, migliaia di tecnologie diverse, la maggior parte delle quali sono fondamentali per rendere possibile ciò che è lo smartphone! Senza dire dei materiali occorrenti, l’approvvigionamento dei quali rinvia alla contesa geopolitica e a ciò che ne consegue.

Grazie ai progressi dell’elettronica, dell’informatica e delle telecomunicazioni, sono state gettate le basi per questa nuova era. Oggi assistiamo al proliferare delle innovazioni tecnologiche, che interessano un numero crescente di ambiti e settori di attività. I confini tra le discipline si stanno sfumando e le innovazioni derivanti dalla convergenza delle diverse tecnologie si stanno diffondendo a una velocità senza precedenti.

E questo è ancora niente rispetto a quello che si prospetta: la realtà estesa o XR, che comprende VR (realtà virtuale), AR (realtà aumentata), MR (realtà mista), blockchain e intelligenza artificiale. Queste tecnologie hanno già iniziato a trasformare la nostra società e il loro impatto non potrà che aumentare man mano che la loro adozione si espanderà. Mi chiedo quale sarà il nostro posto nella società, soprattutto di chi già non è al suo apice, vale a dire miliardi di esseri umani, tra i quali molti hanno ancora difficoltà ad accedere al cibo e alla sanità, ai quali sarà precluso l’accesso alle tecnologie più avanzate ma le dovranno subire, come già in effetti sta accadendo.

Ma quello che sicuramente hanno in mente i padroni del mondo sono sistemi di sorveglianza integrati che utilizzano la realtà aumentata per identificare e tracciare i cittadini nello spazio pubblico in tempo reale, l’intelligenza artificiale per analizzare il loro comportamento e orientarlo, con dati archiviati sulla blockchain per ottimizzare le future campagne di manipolazione. Quindi sfruttamento della privacy a scopo di lucro, come già avviene, e isolamento sociale di massa.

E però l’argomento del giorno è la signora Ursula Gertrud Albrecht. Mah.

venerdì 19 luglio 2024

Che cosa fare per stare finalmente in pace

 

Un’interruzione planetaria dell’IT sta attualmente bloccando ospedali, aeroporti, banche e media. Possiamo comunque contare sui fax. Aver ritardato la digitalizzazione sta dando i suoi frutti. Siamo immuni da problemi così moderni, al massimo i treni si bloccano a Firenze o in galleria.

Non solo i fax degli uffici pubblici sono stati risparmiati, ma anche i sistemi Windows 98 che funzionano ancora con orgoglio. All’ufficio anagrafe del mio Comune questa mattina erano tutti sorridenti. Ho chiesto all’impiegato un atto notorio con il quale autorizzo l’incinerazione dei resti mortali di un mio famigliare presso il cimitero di un altro Comune.

Anche i cimiteri si evolvono. Senza contare il fatto che anche i vivi hanno il loro posto nei cimiteri, nei locali destinati al personale amministrativo e manutentivo. Quelli che ogni anno per posta ordinaria mi mandano la fattura, con tanto di marca da bollo, relativa alla luce votiva e altri comfort. Questo rende il cimitero un luogo non riservato solo ai morti, ma dove hanno il loro posto i vivi che se ne prendono cura.

Nella maggior parte dei cimiteri il verde è quasi assente, con preferenza per la pietra, perfino il bitume, che orrore! Nel cimitero dove riposano i miei famigliari e dove l’individualismo post mortem ha ancora una parte importante, non è così: ci sono dei tecnici che studiano anche la vegetazione, con alternanze di alberi sempreverdi e le caduche piante fiorite: un dialogo tra l’eternità immutabile e l’attimo effimero.

Con l’aria condizionata a tutta manetta, l’impiegato al quale mi rivolgo per l’atto notorio mi informa che l’atto stesso dovrò consegnarlo personalmente al Comune che me lo ha richiesto. Stento a crederlo e me lo faccio ripetere.

La mia osservazione (e se fossi residente a Toronto o a Canberra?) non ha smosso l’imperativa decisione dell’impiegato, né la granitica dirigente dell’ufficio. C’è voluta una trattativa di un’oretta buona e lo scambio di telefonate tra i due comuni perché finalmente si acconsentisse a trasmettere l’atto via posta certificata. Avviene così in tutta Italia, gli ha rinfacciato con giustificata superiorità l’impiegato all’altro capo del filo del telefono. Non qui da noi, ha replicato perentoria e con marcato accento la dirigente.

Storie di vita vissuta. In Svizzera invece è un po’ tutto diverso, dopo la cremazione potete anche far disperdere le vostre ceneri nel luogo che più preferite. Potete anche scegliere di riposare in pace sotto a un albero, facendo spargere le vostre ceneri in un «cimitero nel bosco», ai piedi di un albero personale. Insomma, per stare in pace ci si deve far incenerire.

giovedì 18 luglio 2024

Jean-Luc Mélenchon, una carriera

 

Sapete chi era Pierre Lambert, pseudonimo di Pierre Boussel? Se a vostro tempo non avete bazzicato un qualche gruppo bordighista semiclandestino è difficile che possiate saperlo. Peccati di gioventù. Basta non aver perseverato.

Jean-Luc Mélenchon, il leader de La France insoumise (LFI), Pierre Lambert l’ha conosciuto bene. Militante trotskista prima della Seconda guerra mondiale, leader del Partito dei Lavoratori Indipendenti (POI), erede dell’Organizzazione Comunista Internazionalista (OCI), di cui Lambert divenne leader storico, sciolta da De Gaulle con decreto presidenziale del 12 giugno 1968 contemporaneamente ad altre organizzazioni di sinistra.

Mélenchon nel 1972, all’età di 21 anni, a Besançon, si unì all’OCI e ne divenne rapidamente il leader, prima di scomparire improvvisamente.

Non fu l’unico dei futuri politici francesi ad aderire all’OCI. Lionel Jospin, per esempio, fu sodale e amico di Pierre Lambert, grazie al quale perfeziona la sua formazione politica, intellettuale e personale. Quando poi divenne primo segretario del PS nel 1981, Jospin negò per anni la sua militanza trozkista, sostenendo di essere stato confuso con ... suo fratello Olivier, ma più tardi, a babbo morto, riconobbe i suoi legami con l’OCI.

Nel 1976, Mélenchon, all’età di 25 anni, andò a seppellirsi in un minuscolo villaggio del Giura, Montaigu. Come per magia diventa socialista e lavora come freelance per Les Dépêches du Jura. Titolo di un suo articolo dedicato alle fabbriche tessili: “Dalle corde ai fili... l’importante è non perdere il filo”! In un altro rimpiange “il buon pane di una volta”, che non ha più nulla a che fare con il “pane com’è oggi”. Grandi temi.

Nel 1978 iniziò un’importante avventura. Nel Partisto socialista infuriava la battaglia tra la corrente rocardiana e quella mitterrandista per chi sarà il candidato alle elezioni presidenziali del 1981. A quell’epoca nessuno conosce Mélenchon, ma Claude Germon, un mitterrandista sindaco di Massy, promuove Mélenchon a suo capo di gabinetto.

Germon sapeva della trascorsa militanza trozkista di Mélenchon? Anche Germon è fortemente sospettato di essere stato lambertista. Ha detto di Lambert: “Era un personaggio interessante, con il quale mi piaceva chiacchierare regolarmente”. Pierre Lambert, leader indiscusso dell'OCI, è morto il 16 gennaio 2008 e la sua sepoltura al Père-Lachaise dimostra le dimensioni della sua influenza.

Mélenchon quando ha rotto con l’OCI, se ha davvero rotto? Il fatto è che, dal 2017, il POI- OCI sostiene Mélenchon in tutte le sue imprese. A poco a poco, e per decisione esclusiva di Mélenchon, il movimento lambertista divenne uno dei pilastri de LFI. Almeno venti tra incontri e seminari, incontri e conferenze stampa del movimento si sono svolti al numero 87 di rue du Faubourg-Saint-Denis, nella storica sede parigina dei Lambertisti.

Mélenchon, decideva di presentare sei candidati del POI sotto l’etichetta Nupes. Il 26 marzo 2023, Mélenchon era presente a un’assemblea POI. Jérôme Legavre, pilastro del POI, appena rieletto deputato de LFI, pronuncia queste parole: “Dal 2017, sono coinvolto nelle campagne de La France insoumise. Innanzitutto nella campagna di Jean-Luc Mélenchon, che vi chiedo di salutare, perché è presente nella stanza, e lo ringraziamo per la sua presenza”.

Mélenchon è sempre stato un convinto laicista, un convinto oppositore del fanatismo islamista. Ha “mancato” il secondo turno delle presidenziali per 600.000 voti, e il deputato Éric Coquerel lo convincerà che esiste una notevole riserva di voti nelle periferie. Tra i musulmani. Nel novembre 2018, Coquerel organizza gli Incontri Nazionali dei Quartieri Operai.

In pochi mesi decisivi, Mélenchon ha reso l’islamofobia una lotta essenziale per La France insoumise. Nel 2019 ha partecipato a una marcia vergognosa, co-organizzata dal Collettivo contro l’islamofobia in Francia (CCIF), i cui legami con i Fratelli Musulmani hanno portato alla sua messa al bando. Nelle elezioni presidenziali del 2022, secondo un sondaggio, il 69% dei musulmani francesi avrebbe votato per il candidato Mélenchon.

Certi personaggi e le loro carriere non sono solo un prodotto italiano.

Due buone notizie

 


Finalmente posso dare una buona notizia, anzi due buone notizie. La prima: la ricchezza netta globale ha registrato una significativa ripresa nel 2023, crescendo del 4,3% dopo un anno difficile nel 2022. Secondo il Global Wealth Report 2024 di UBS, il numero di milionari globali, 73.000 persone super- ricche, i cosiddetti “individui con un patrimonio netto ultra elevato”, come li chiamano gli analisti del mercato finanziario, è destinato a continuare ad aumentare nei prossimi cinque anni.

Si prevede che il numero di adulti che possiedono 1 milione di dollari o più aumenterà in 52 delle 56 economie sviluppate e in via di sviluppo intervistate tra il 2023 e il 2028. I guadagni saranno guidati dalla potenza tecnologica di Taiwan, dove il numero di milionari è destinato ad aumentare del 47% grazie al boom dell’industria dei microchip e all’aumento dell’immigrazione di ricchi stranieri.

Questa crescita della ricchezza dei già ricchi vede la Turchia con un aumento del 43%, Kazakistan 37%, Indonesia 32% e Giappone 28%. I due Paesi in cui hanno sede il maggior numero di milionari, gli Stati Uniti (26.000) e la Cina continentale (8.300, uno ogni 170.000 abitanti), vedranno aumentare le loro cifre rispettivamente del 16% e dell’8%.

Il Regno Unito è attualmente il terzo paese al mondo per numero di milionari in dollari. Le 6 più grandi fortune della perfida Albione pesano tanto quanto i 13.000.000 più poveri dell’isola! In Francia entro il 2028 dovrebbero esserci un incremento del 15% dei milionari.

Da dove vengono tutti questi soldi? In parte grazie alle numerose agevolazioni fiscali di cui beneficiano, ma soprattutto dall’incremento del “valore aggiunto”, che altro non è che plusvalore estorto a chi lavora e distribuito ai possessori di prodotti finanziari di ogni tipo (*).

Questo per quanto riguarda i ricconi. E per quanto riguarda la ricchezza media? L’Italia non è messa benissimo, anzi nel 2023 retrocede di un posto nella classifica mondiale, portandosi al 24esimo con 220.216 dollari a cranio. Questo declassamento è il risultato della reticenza a dichiarare i propri redditi al fisco.

Si tratta della ricchezza media dei ricchi, non della ricchezza mediana, che riguarda tutti gli adulti, compresi i poveri cristi. Il confronto tra le due classifiche è significativo perché dà un’idea della ripartizione della ricchezza tra i cittadini: più il patrimonio mediano è vicino a quello medio, più la ricchezza è distribuita in modo equo; più i due valori sono distanti, più la ricchezza si concentra nelle mani di pochi. L’Italia qui è 13esima, con 113.754 dollari, seguita dagli Stati Uniti con un patrimonio mediano di 112.157 dollari.

Un’altra buona notizia: i Millennials e la Generazione X erediteranno 83.500 miliardi di dollari nei prossimi due decenni. Sì, lo so, tassare l’eredità è una cosa assolutamente orribile: perdi una persona cara (beh, non necessariamente) e per di più devi pagare l’imposta di successione (e donazione). In Italia la più bassa in Europa, con esenzioni per i titoli di Stato italiani e di altri Paesi UE, le polizze vita, le aziende, i rami di azienda o le quote di controllo in società di capitali (**).

Due buone notizie in un solo post.

(*) Il "valore aggiunto" non è esattamente la stessa cosa del plusvalore. I leccaculi calcolano il plusvalore (chiamandolo valore aggiunto) in rapporto all’intero capitale (dunque come se i profitti fossero prodotti da ogni componente del capitale), mentre in realtà il plusvalore è il prodotto del solo lavoro umano e dunque va calcolato in rapporto al capitale variabile (salari). Una differenza non da poco.  

(**) L’imposta di successione è nata con il DPR 637/1972, che prevedeva per gli eredi diretti (coniuge e figli) l’aliquota massima al 27 per cento (da 200 a 400 milioni aliquota al 7%, fino a 800 il 10%, aliquota del 22% da 1,5 a 3 tre miliardi, oltre i 3mld il 27%), mentre per chi non era parente poteva arrivare al 33 per cento. Anche le franchigie erano piuttosto limitate.

Il taglio delle aliquote fu introdotto nel 2000 dal governo Amato, con il passaggio da una franchigia unica complessiva a franchigie per ciascun beneficiario (ognuna del valore di 350 milioni di lire) e, soprattutto, con un taglio drastico delle aliquote: si eliminò la progressività adottando un’aliquota unico, che variava tra il 4 e l’8 per cento a seconda del grado di parentela.

Nel 2001 il governo Berlusconi (quello dell’aeroporto) abolì completamente l’imposta, che fu poi ripristinata da Prodi ma secondo lo schema di Amato. Grandi statisti di sinistra.

mercoledì 17 luglio 2024

La festa è finita

 

Le elezioni legislative francesi sono ormai lontane e quasi non se le ricorda più nessuno. Oggi tiene ancora banco Trump, l’attentato e i relativi complotti. Nondimeno Repubblica se ne occupa da par suo. Ha ragione Elon Musk, la questione dei dazi sulle auto cinesi è più importante perfino dell’altra dirimente questione planetaria, quella degli extraterrestri. Testuale.

Ieri, a Parigi, il tempo era instabile e l’aria soffocante. Nel salone da ballo dell’Eliseo, un grande tavolo era stato allestito per ospitare l’ultimo consiglio dei ministri del governo di Gabriel Attal. A 35 anni, il più giovane primo ministro della storia della Quinta Repubblica, ha occupato rue de Varenne per appena sei mesi. Certe cose non succedono solo in Italia. Anche il fatto che l’ultima edizione della Gazzetta Ufficiale francese contiene un fracco di nuove nomine dell’ultimo momento. Vorrai mica che i trombati restino disoccupati?

Emmanuel Macron si unisce a questo consiglio allargato dei ministri, ha cura di ringraziare tutti per “l’azione intrapresa”, assicurando loro che potranno essere “orgogliosi dei risultati ottenuti per oggi e per le generazioni future”. Se i risultati ottenuti sono stati così orgogliosamente strabilianti tanto da essere tramandati alle generazioni future, perché ha indetto nuove elezioni?

Intanto, i cosiddetti leader del Nuovo Fronte Popolare, vale a dire l’ammucchiata che ha vinto il ballottaggio del 7 luglio in Francia, non hanno trovato l’accordo per indicare a Macron il candidato a formare un nuovo governo. Si sapeva ancor prima che nascesse il Nuovo Fronte Popolare, lo si sa da sempre che a sinistra prevalgono i super-ego.

Marine Tondelier si dice “arrabbiata, disgustata” dalla “guerra di leadership” tra PS e LFI all’interno del Nuovo Fronte Popolare. Sapete chi è questa Carneade della politica francese? Non ha importanza, ciò che conta è che “Questa speranza si è trasformata in rabbia, la nostra gioia si è trasformata in vergogna”. Oddio, che dramma, che strazio, ma soprattutto chi l’avrebbe mai previsto.

Dopo lo scampato pericolo la festa è stata di breve durata. Bevuto lo champagne arrivano sempre i postumi della sbornia. Tutti gli scenari indicano, se va bene, un governo indebolito e che avrà difficoltà ad approvare le leggi e dare risposte alla rabbia della gente. Sui manifesti elettorali del NFP c’era scritto: “Votez, pour tout changer”. Tradotto in italiano: vota, fatti prendere unaltra volta per il culo

Eppure basterebbe un po’ di buon senso, ossia che il nome che il Nuovo Fronte Popolare deve proporre a Emmanuel Macron fosse scelto attraverso il voto dei deputati eletti del NFP e non attraverso negoziati tra le sedi del partito. Tuttavia Mélenchon & C. non si faranno portar via il boccone, ed infatti proprio La France insoumise è contraria a questa soluzione.

Purtroppo siamo ancora lontani da ciò che paventava il New York Times già il giorno dopo il ballottaggio: considerava “le dimissioni” di Emmanuel Macron un fatto compiuto; oppure il Times, che riteneva che il presidente fosse ormai “seduto sul sedile posteriore dell’auto”. Tranquilli, conoscendo Macron, presto raddrizzerà le penne e tornerà a pavoneggiarsi sulla scena internazionale. Le Olimpiadi sono a un passo.

Macron rimane al comando (la nomina dell’inquilino di Matignon resta una sua prerogativa), ma è solo questione di tempo. Quando la borghesia vede sfumare il consenso, la pace sociale, per un po’ ci prova con i vecchi partiti, poi li molla e ricorre ad un altro usato sicuro. Non voglio insistere troppo con le equivalenze storiche, ma che si chiami bonapartismo o fascismo, sempre di quella roba lì si tratta.

martedì 16 luglio 2024

Resteranno gli insetti su un gigantesco barbeque

 


Il suo orecchio sanguinava, il pugno alzato, urlava con rabbia: “Combatti, combatti, combatti!”. Quelli dei servizi di sicurezza (?) cercavano di tirarlo indietro, il tutto sullo sfondo di una bandiera americana che garrisce al vento. Questa immagine di un eroe e di un miracolo di dimensione biblica, rimarrà indelebile non solo per chi già lo venerava.

Da sabato 13 luglio Trump sente appoggiata sulla sua spalla la mano di dio. Al primo fastidio negli affari internazionali è perfettamente in grado di lanciare una pioggia di missili nucleari urlando “Yippee-ki-yay, figlio di puttana!”. E sarà molto meno divertente di Bruce Willis.

Se Biden resiste nel mantenere la sua candidatura fino alla convention democratica del 19 agosto a Chicago, le elezioni presidenziali di novembre vedranno confrontarsi due candidati a dir poco preoccupanti: uno che pensa di essere in un film, e l’altro che, la metà delle volte, non sa dove si trova.

Nessuno può dirsi sicuro di che cosa può pensare Biden quando vede un pulsante rosso in una certa valigetta. Dato che gli Stati Uniti restano la principale potenza militare mondiale e rappresentano la più grave minaccia di guerra, abbiamo il diritto di essere preoccupati.

Gli unici che avranno qualche motivo per vedere calmate le proprie ansie sono gli eco-ansiosi. Perché continuare a temere un’apocalisse climatica quando tutto potrebbe finire con una classica apocalisse nucleare?

I criminali di guerra non scrivono poesie per i bambini

 

Il Rastrellamento del Velodromo d’Inverno (Rafle du Vélodrome d’Hiver) è avvenuto a Parigi tra il 16 e il 17 luglio 1942. Anche ad Amsterdam e a Berlino ci furono numerosi “raid”, e anche due grandi retate, nel 1943, ma con un numero di vittime inferiore (tra 5.000 e 6.000). La retata del Velodromo d’Inverno è stata, in assoluto, la più importante organizzata nell’Europa occidentale. Organizzata dalla polizia francese! Il risultato: 13.152 arresti, di cui 4.115 bambini, 5.919 donne e 3.118 uomini, mentre erano state prese di mira più di 35.000 persone.

Nel velodromo vi sono rimaste ammassate 8.160 persone, in condizioni igieniche deplorevoli. Non era previsto nulla per accogliere così tanti prigionieri. Mancano acqua e cibo; i servizi igienici, in numero insufficiente, si intasano rapidamente. Un odore pestilenziale invade il velodromo. Le grida dei bambini si mescolano all’angoscia e all’incomprensione degli adulti. Alcuni cercano di porre fine alla propria vita. Fuori gli arresti continuano fino al 20 luglio.

Ah, dimenticavo. Gli arrestati erano di religione ebraica. Ma può essere che tra essi vi fossero degli agnostici, dei non credenti, chissà. La ferocia delle fedi, religiose o politiche, non fa distinzioni. Com’è accaduto tante volte, oggi per esempio a Gaza e nel resto della Palestina. Vorrai mica mettere sullo stesso piano le due cose? E perché no? Che differenza c’è tra uccidere bambini ebrei e bambini palestinesi, oppure iracheni o ucraini? I massacri non sono solo un problema di scala e di modalità, non sono semplicemente un dato statistico sul quale innescare polemiche. Non si tratta solo di un “eccesso di morti”. Merde che siete.

Abbiamo già dimenticato l’assedio di Sarajevo, il più lungo della storia moderna. Solo colpa di Karadzic? Solo colpa di Netanyahu? Di Hitler?

Nell’estate del 1942 gli arresti colpirono anche gli ebrei della zona non occupata, caso unico in Europa di deportazione senza presenza tedesca. In totale, compresi gli arresti effettuati durante operazioni minori, 33.000 ebrei furono deportati dalla Francia dal 17 luglio al 30 settembre 1942, ovvero circa 3.000 deportati a settimana.

È ancora meno noto il fatto che gli archivi che custodivano notizie e nominativi dei deportati furono distrutti in seguito ad un ordine del ministro degli Interni nel dicembre 1946. Ansioso di applicare l’ordine relativo al “ripristino della legalità repubblicana”. A Parigi, tutti i registri del censimento degli ebrei nei commissariati di polizia sono stati in gran parte distrutti. Fino all’inizio degli anni ‘80, la partecipazione di quasi 4.500 poliziotti e gendarmi francesi alla grande retata del 16-17 luglio 1942 venne ignorata.

Erano quasi tutti ebrei stranieri (erano esenti gli ebrei titolari della tessera di legittimazione dell’Unione Generale degli Israeliti di Francia), apolidi o con lo status di rifugiato: polacchi, cechi, tedeschi, austriaci, russi, eccetera. Tra gli arrestati più di quattromila bambini, nella maggior parte dei casi francesi nati da genitori stranieri (e nessuno dei quali tornò dai campi di sterminio), mentre i tedeschi avevano chiesto solo ebrei di età superiore ai 16 anni e normodotati al lavoro.

lunedì 15 luglio 2024

Le balle sull'America raccontate dal WSJ

Se invece di prendere in considerazione solo quattro anni, dal 1968, il giornalista del WSJ avesse preso in considerazione anche i precedenti cinque anni, avrebbe potuto citare gli omicidi di J.F. Kennedy e di Malcom X, quindi, altro esempio, avrebbe potuto raccontare quanto è successo tra il 13 e il 16 agosto 1965. È una storia rimossa, come tutto ciò che va a detrimento dell’immagine edulcorata che va sotto il nome usurpato di “America”.

In quei giorni di agosto la popolazione nera della città di Los Angeles si sollevò. Non bastarono i crescenti rinforzi delle forze di polizia per riprendere il controllo della situazione. Verso il terzo giorno i neri saccheggiarono le armerie accessibili, e così hanno potuto sparare anche agli elicotteri della polizia. Migliaia di soldati e poliziotti (una divisione di fanteria appoggiata dai carrarmati) si lanciarono nella lotta per circoscrivere la rivolta nel quartiere.

Gli insorti hanno proceduto al saccheggio generale dei negozi, applicandovi il fuoco. Secondo le cifre ufficiali ci sarebbero stati 32 morti, tra i quali 27 neri, più di 800 feriti, 3000 incarcerati. Quei fatti presero il nome di rivolta di Watts.

Alcuni mesi prima, l’episodio noto come “Bloody Sunday” del 7 marzo 1965: durante una marcia di protesta per l’uccisione, da parte di un poliziotto, di alcuni dimostranti per i diritti civili, i poliziotti attaccarono la folla raccolta in preghiera colpendo i dimostranti in maniera indiscriminata; una seconda marcia guidata da M.L. King, il 9 marzo, fu interrotta al ponte Edmund Pettis a Selma (fu ucciso un manifestante), la terza marcia ugualmente guidata da King ebbe luogo da Selma a Montgomery, il 21 marzo, fu la spinta decisiva per l’approvazione, nello stesso anno, della legge sul diritto di voto senza discriminazioni di razza. Fino ad allora, nel Paese che si proclamava come il più libero e democratico del mondo, tale diritto non era ancora stato sancito per legge.

Il movimento dei diritti civili poneva, con mezzi legali, soltanto problemi legali. È normale appellarsi legalmente alla legge, quello che è irrazionale è mendicare legalmente davanti all’illegalità patente da parte del potere.

Come ho raccontato più volte in questo blog, gli Stati Uniti sono un Paese dominato in lungo e in largo dalla violenza, di qualsiasi tipo, dove la condizione economica individuale determina una netta e forte differenza tra cittadini in termini di libertà, difesa personale e accesso ai diritti civili. Se sei povero, diventi un reietto, uno scarto della società. Se anche non sei bianco, va molto peggio.

Torme di disperati dell’America Latina tentano la fortuna, ossia di approdare negli Stati Uniti per uscire da condizioni di estrema miseria e prevaricazione in cui sono sottoposti nei loro paesi d’origine, ritenendo i diritti civili e la dignità personale questioni accidentali.

Oggi non è più solo una crisi dello status dei neri o degli immigrati, è la crisi dello status degli Stati Uniti d’America. Già all’epoca di Martin Luther King, le rivolte, come quella di Watts, non erano più solo tumulti razziali, ma di classe. La rivolta contro la merce, contro il mondo della merce e del lavoratore/consumatore gerarchicamente sottomesso alle condizioni della merce.

Già allora, i frigoriferi rubati da chi non aveva l’elettricità, o a cui era stata tagliata la corrente, era la migliore immagine della menzogna dell’abbondanza per tutti. La produzione mercantile, soltanto quando è pagata in denaro, in quanto segno di un livello di sopravvivenza, è rispettata come un mirabile feticcio.

Già allora non si trattava di un’abbondanza naturale e umana, ma un’abbondanza di merci, cioè di prodotti che mostrano la volontà magica di farsi pagare, sia che si tratti di un frigorifero o di un fucile. Quei neri possono saccheggiare e rubare per tutta la vita, ma non recupereranno mai ciò che a loro, così come alla maggior parte dell’umanità, viene realmente e quotidianamente sottratto da questo sistema di rapina.

L’umanità è senza avvenire nel sistema delle merci; dovrà presto e di necessità operare una scelta, quella di un’altra qualità della vita, diversa da quella del presente, un presente irrecuperabile, falso e vergognoso.