lunedì 7 marzo 2011

L'inquilino del piano di sotto



L’Italia, dal punto di vista dei suoi interessi, stava facendo la cosa giusta rispetto alla situazione libica. Aspettava. Poi la telefonata di Obama, la prona obbedienza di La Russa e di quell’ectoplasma di Frattini, quindi le intemerate interne di un centrosinistra che non sa di quel che parla. Ora l’Italia, sempre dal punto di vista dei suoi interessi, si trova col culo per terra. È il paese che ci rimette più di tutti.
Importa oltre un quinto del suo petrolio greggio e il 10 per cento del gas naturale dalla Libia. L’Eni, come tutti sappiamo, ha ampi investimenti in Libia, e gli appaltatori italiani stanno costruendo una nuova autostrada costiera, ferrovie e reti in fibra ottica. È il principale partner commerciale della Libia ed è il principale esportatore di armi dell'UE verso la Libia. La Libyan Investment Authority e altri investitori libici hanno partecipazioni in alcune delle più grandi aziende italiane. Eppure, la scorsa settimana, l'Italia ha sospeso il trattato di amicizia con la Libia per poter mettere le sue basi militari a disposizione degli americani e della Nato contro il regime di Gheddafi.
Tutto questo, detto francamente, perché nel febbraio 2011 abbiamo scoperto chi è Gheddafi, cioè l'inquilino del piano di sotto.
E dovremmo berci anche la panzana che la flotta Usa e inglese ha preso posizione davanti alle coste di un paese di sei milioni d’abitanti per la faccenda dei diritti umani. Un po’ tutti, ora, in primis la Gran Bretagna, tentano di stabilire con la presenza di proprie spie dei legami con l'opposizione. Tanto che otto membri del UK Special Air Service (SAS) sono stati fermati a Bengasi. Secondo Sky News gli otto che sono stati arrestati facevano parte di una squadra di 22 soldati che erano sbarcati da elicotteri a sud di Bengasi.
Uno dei possibili interlocutori sembra essere Abdul Fattah Younis al Obaidi, l'ex ministro degli interni libico e capo delle forze speciali di Gheddafi che ora sta dalla parte dei rivoltosi. Così per l'ex ministro della Giustizia, Mustafa Abdel-Jalil, alla ricerca di aiuti da parte degli Stati Uniti ed Europa. Quest’ultimo ha chiesto una no-fly zone da definire.
Obaidi, in particolare, è visto come il possibile uomo di paglia di un nuovo regime. Forse la sua defezione era già stata concordata a tale proposito dalla forze che hanno organizzato la rivolta, cioè dai clan tribali e dalle multinazionali. Ha lavorato a stretto contatto in passato con la SAS, che ha formato le forze speciali libiche. Per i funzionari britannici egli è l’uomo con cui poter fare business, secondo il Daily Telegraph.
Su un punto non ci piove: «i “rivoltosi”, da soli, al massimo possono servire il tè o prendere un barcone per l'Italia», scrivevo ormai nel lontano 22 febbraio. Perciò serve l’intervento. Da decidere il quando e soprattutto le modalità, ma non c’è dubbio che se ci dovesse essere, sarà un intervento di peso. Ma questa è solo un’opzione, perché il fatto saliente di tutta questa sporca faccenda (sporca di petrolio) è il rischio che vengano distrutti i campi petroliferi e le pipe-line. Altro che vite umane, a Milano, Londra, Francoforte, Hong Kong e New York gli frega un cazzo di quelle.
Resta aperta la soluzione diplomatica, cioè l’accordo con Gheddafi. Il ministro degli esteri inglese, William Hague, ha telefonato al ministro degli esteri Mussa Qusa. Questi, come ministro di Gheddafi ha giocato un ruolo chiave nei negoziati per l'accordo in base al quale Gheddafi ha riallacciato le relazioni con l'Occidente nel 2003. E si sta muovendo in tal senso anche la UE che prevede di inviare una delegazione ufficiale nei prossimi giorni. Catherine Ashton, alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha dichiarato: "Ho deciso di inviare questa missione di alto livello per ottenere informazioni di prima mano, in tempo reale, per alimentare le discussioni che avranno luogo l’11 marzo nel summit speciale tra i leader europei sulla Libia.
Ma le news più importanti le avremo come al solito dai TG italiani.

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