domenica 31 ottobre 2010

Consigli per evitare gli acquisti inutili e dannosi



Il male che temi diventa realtà in seguito a ciò che tu stesso fai (Goethe).

La Repubblica italiana è fondata, ma solo in astratto, sul lavoro. In realtà essa si fonda, al pari delle altre, sullo sfruttamento del lavoro e sulla frode commerciale massiva.

Non c’è settore merceologico destinato al consumo privato che non impieghi metodi fraudolenti veicolati da pubblicità ingannevole o omertosa. Qualunque prodotto per il commercio al consumo porta con sé la sua piccola o grande frode, spesso ben occultata.

L’egoismo e l’avidità umana in tutto questo c’entrano solo secondariamente, come aggravante. Ad indurli, quando non a promuoverli direttamente, è il sistema economico stesso, in capo al quale ci sono personaggi senza scrupoli.

Del resto, se gli stessi rifiuti domestici e industriali sono un problema, è perché essi sono anzitutto una merce: per la raccolta, stoccaggio, selezione, riciclo, incenerimento, ecc. ecc.. La stessa multinazionale può controllare la raffinazione del petrolio, la produzione dei contenitori in plastica, la commercializzazione del prodotto, l’industria per il riciclaggio, cioè l’intera filiera. Perciò ha tutta la convenienza, per esempio, di produrre lo yogurt in confezioni di plastica anziché in quelle di vetro. E noi, popolo sovrano, dopo oltre otto ore di lavoro e di via vai, stanchi, alienati e nervosi, presi da altre preoccupazioni, non abbiamo nessuna voglia di produrci lo yogurt in casa, più comodo aprire il frigo. Le nostre nonne non usavano i “quattro salti in padella” solo perché ancora non c’erano, ma perché esse erano ancora padrone di gran parte del proprio tempo (e della propria testa).

E a proposito di contenitori di plastica e sostanze inutili, ecco di seguito, per chi non lo conoscesse, un consiglio utile per i non acquisti.

Se l'acqua di casa è dura, rimane una pellicola di calcare che indurisce le fibre che rimangono caricate negativamente per opera dei detersivi e quindi sono meno “gradevoli” per la pelle. Per eliminare tale carica negativa s’impiega il cosiddetto “ammorbidente”, il quale agisce sull'elettricità statica dei capi, eliminandola. Semplice.

Ecco quindi gli enormi e costosissimi (in tutti i sensi) contenitori in plastica sul tipo di Vernel, ecc.. Chissà quanti ne finiscono nelle discariche campane (e non solo).

L'ammorbidente è una sostanza ricavata dall'estratto di esterquat, che è una molecola la cui origine può essere vegetale o animale, e a cui l’industria aggiunge una serie di ingredienti di origine petrolchimica scarsamente o per nulla biodegradabili (additivi che amplificano l’efficacia dell’esterquat, profumi di sintesi, perlanti, addensanti, antischiuma, coloranti, conservanti).

L’ammorbidente è il peggior killer delle lavatrici (i detersivi chimici ed ecologici per lavatrice in commercio oggi contengono già sostanze – dette complessanti – che impediscono la formazione di calcare: zeoliti, citrati, pocarbossilati, silici lamellari; quindi gli anticalcare sono del tutto inutili. Anche nei detersivi biologici sono presenti complessanti che hanno la funzione di addolcire l'acqua).

Avete mai visto una cosiddetta pubblicità progresso della presidenza del consiglio che sconsigli l’uso degli ammorbidenti industriali a favore di un ammorbidente naturale di prezzo bassissimo? E non la vedremo mai.

L'aceto è efficacissimo usato come ammorbidente perché ha carica negativa. I panni non prendono MAI l’odore di aceto (provare per credere) e conservano il profumo del detersivo rimanendo più morbidi, inoltre ravviva i colori dei tessuti (più si usa l’aceto, ovvero dopo alcuni lavaggi, man mano che i residui dell’ammorbidente industriale e del calcare se ne vanno, maggiore comincia ad essere il risultato dell’aceto come ammorbidente naturale). Inoltre l’aceto svolge un’ulteriore funzione anticalcare.

Usare quindi aceto bianco (di poco prezzo), 50-100ml, al posto dell' ammorbidente. Non va usato insieme ai detersivi, che sono basici, altrimenti ne annullano l’effetto, ma solo nella fase di risciacquo.

L’aceto sostituisce perfettamente il cosiddetto brillantante in lavastoviglie.

Anche il bicarbonato di sodio (idrogenocarbonato di sodio o carbonato acido di sodio o carbonato monopodico) che tutti conosciamo, quello che acquistiamo per pochi euro al supermercato e con il quale laviamo frutta e verdura (in realtà, a tutti gli effetti, è un medicinale!) e che nelle etichette di altri prodotti è indicato come additivo E 500, è un’ottima sostanza da aggiungere al detersivo per lavatrice e per la lavastoviglie. Non va usato per lana e seta.

E sapete qual è la sostanza attiva di TUTTI gli shampoo?

sabato 30 ottobre 2010

Prodino, l'analcolico che si piace



Non che la cosa appassioni tanto, ma è a suo modo interessante leggere [qui] cosa ha detto Prodi a proposito di Bersani e dintorni:
"Quando un partito si chiede come conquistare il governo la prima persona a cui pensa è il segretario. Ma se ci fosse qualcun altro con maggiori possibilità, allora si può cambiare”.
Ci teniamo quella schiappa di Bersani con la fascia di capitano, ma se fosse disponibile un raccattapalle democristiano, Bersani lo potremmo mandare in tribuna. Il povero Pierluigi deve aver stappato una bottiglia quando ha letto questo franco e diretto atto di fiducia pronunciato in occasione della presentazione del gadget natalizio di Vespa (perché Bruno è un amico utile).
Prodi chiarisce subito chi potrebbe essere il candidato ideale:
“Il mio era un progetto molto preciso. Cambiare l'Italia mettendo insieme le quattro tradizioni politiche del Paese: cattolicesimo democratico, socialismo, liberalismo, ambientalismo. Fine della lotta secolare tra guelfi e ghibellini. Cattolici presenti nell'uno e nell'altro schieramento con la Chiesa forte nei principi ma fuori dalle battaglie quotidiane [sic!]. Con questo disegno ho vinto due volte. L'elettorato perciò l'ha capito, ma non i protagonisti, non i Poteri Forti. Eppure quel disegno è ancora caro agli italiani".
Quindi, “i protagonisti” non sono gli elettori, gli italiani, ma i Poteri Forti. Con le maiuscole. Mette insieme le quattro tradizioni “dimenticandone” una, ma sono quisquiglie. Anzi, tale dimenticanza è il vero messaggio dell’intervista: lui un governo con dentro i "comunisti" non lo rifarebbe.
Sorvoliamo poi sul fatto che Prodi non ha affatto messo fine alla lotta secolare tra guelfi e ghibellini, anzi.  È stata la causa, almeno apparente, dello stillicidio di veti incrociati che ha fatto cadere i suoi due governi (come molti altri).
Quindi chiosa ecumenicamente:
“Le strutture politiche sono ormai molto diverse. E perché se vinci per due volte e per due volte non riesci a portarlo a termine diventa più difficile presentarlo agli elettori".
Difficile non vuol dire impossibile, se i “poteri forti” lo acconsentono. E se ti liberi della zavorra “comunista” e imbarchi invece Tremaglia e Fini, Casini e Giovanardi.
Qualsiasi sia il futuro, Prodi non ne farà parte, scrive l’intervistatore. Nessun nuovo esecutivo con a capo il professore. Il quale però ci tiene a chiarire:
"Per due ragioni: la prima, non c'è una situazione politica adatta, la seconda, mi sono dedicato alla mia riacculturazione [sic], mi sto divertendo e mi piace moltissimo quello che faccio".
Se non mi candido a premier è per motivi seri e decisivi: sto leggendo dei libri impegnativi, per esempio quello del mio amico Bruno; poi perché voglio che mi chiamino e offrano delle garanzie (e la testa di qualcuno). E che sia questo il vero motivo lo conferma subito.
Pressioni, chiede il giornalista? "Uno ha sempre degli amici che magari gli dicono una bugia...".

venerdì 29 ottobre 2010

La casta sindacale



Gli scioperi in Francia continuano sebbene siano in calo le adesioni. C’è malcontento diffuso, ma siamo ben lontani da un movimento ampio di rivolta. La legge sulle pensioni è passata e la protesta è stata in larga parte ben gestita dai sindacati così come dalle truppe mandate del governo a sgombrare il blocco delle raffinerie.  Il tradimento sindacale è stato tanto palese che alcuni operai intervistati da Le Monde hanno detto: "Non c'era nessun reale volontà di lottare da parte dei dirigenti sindacali”. Un altro ha detto che il sindacato “ha permesso all'azione sindacale di procedere, ma senza un convinto sostengono". Insomma, gli operai stanno comprendendo di avere il nemico in casa.
Le burocrazie sindacali, ieri come oggi, servono solo al padronato per garantirsi legalmente e far passare accordi sempre più al ribasso. La confusione in cui sono piombati i salariati, alimentata ad arte dai professionisti dell’ideologia, fa in modo che essi, in maggioranza, non riescano a cogliersi per ciò che effettivamente sono e rappresentano. È stato fatto loro credere che le classi sociali non esistono più se non nei gruppi di status, negli insiemi professionali, negli individui. E siccome le classi non esistono più, anche la lotta di classe sarebbe diventata un retaggio obsoleto di epoche passate.
«Si chiamano classi quei grandi gruppi di persone che si differenziano per il posto che occupano nel sistema storicamente determinato della produzione sociale, per i loro rapporti (perlopiù fissati e sanzionati da leggi) con i mezzi di produzione, per la loro funzione nell’organizzazione sociale del lavoro, e quindi, per il modo e la misura in cui godono della parte di ricchezza sociale di cui dispongono. Le classi sono gruppi di persone, dei quali l’uno può appropriarsi il lavoro dell’altro, a seconda del differente posto da esso occupato in un determinato sistema di economia sociale».
Perché l’appropriazione della ricchezza prodotta dai salariati possa continuare, la borghesia si serve anche della burocrazia sindacale, cioè di una categoria sociale, che come i preti, è una vera casta, e come in questa vi sono, salvo rare eccezioni, produttori e spacciatori di oppio al servizio dell’aristocrazia del  denaro.

giovedì 28 ottobre 2010

Il bluff



La fine dello spettro della penuria alimentare e la promessa dell’abbondanza, entro certi limiti e secondo determinate modalità, è stata realizzata nella società industriale soprattutto nella seconda metà del XX secolo. Si tratta di avere ben presenti tali limiti sia geografici che sociali, poiché la fame nuda e cruda e la denutrizione riguardano ancora più di un miliardo di esseri umani. Un discorso a parte meriterebbe anche la qualità di tale abbondanza.
Naturalmente, come c’era da aspettarsi, la realizzazione di tale promessa, sia pure parziale e delimitata, non è stata né spontanea e nemmeno priva di costi. Ma soprattutto essa rischia di non poter durare nel tempo, non solo a causa dell’insostenibilità del cosiddetto welfare, cioè del debito statale, ma soprattutto dell’insostenibilità dello sfruttamento della natura ai ritmi e nelle modalità attuali, nonostante  i più diversi palliativi della più moderna (e redditizia) industria “verde”.
Sulla insostenibilità finanziaria dell’intervento statale, cioè del deficit mostruoso raggiunto dai principali paesi, sviluppati e no, c’è da osservare preliminarmente e sostanzialmente che essa dipende in gran parte dalla natura stessa di un’economia di mercato laddove la distribuzione della ricchezza segue logiche tipiche del profitto e dell’accumulazione, cioè di un sistema basato sulla privatizzazione di una quota preponderante della ricchezza socialmente prodotta. In tal senso le politiche fiscali messe in atto dagli Stati non possono essere che dei meri palliativi per tentare di tenersi a galla, anche perché a decidere, in ultima analisi, di tali politiche sono pur sempre dei rappresentanti agli ordini dell’aristocrazia del denaro.
Appare sempre più evidente, specie con l’inasprirsi del ciclo economico, che il capitalismo, dopo aver favorito il trionfo di una numerosa classe media metropolitana utile in chiave politica interna e geostrategica, è ora deciso a muoversi secondo orientamenti diversi, dettando nuove parole d’ordine che i professionisti della propaganda crisaiola s’incaricano di divulgare.
Insomma, la pretesa del capitalismo di aver felicemente risolto i conflitti e le “aporie” esistenti con uno sviluppo lineare ed infinito delle forze produttive, si rivela ogni giorno di più, perfino agli occhi dei suoi più convinti e solerti sostenitori d’un tempo, come un bluff. Essi devono ammettere che persino la possibilità di bere, ora in alcune aree del mondo, in un prossimo futuro anche nelle metropoli, risulterà assai problematica, così come è già difficile dormire senza sonniferi e lavarsi o nutrirsi senza soffrire di troppe allergie o morire di cancro.
Per quanto riguarda infine coloro che, rendendosi conto della situazione e in parte delle prospettive ma non della natura meno apparente delle contraddizioni che generano tale stato di cose, vagheggiano un più o meno romantico ritorno all’idiozia della vita rurale di un tempo, c’è da osservare che tale atteggiamento, che non sa andare oltre la classica contrapposizione tra città e campagna (tra industrialismo e robinsonate), è tipico delle epoche di crisi e della piccola e grande borghesia reazionaria.

mercoledì 27 ottobre 2010

Poveri padroni



A sentire il dottor Sergio Marchionne, che a tempo perso guida maldestramente una Ferrari e siede nel board di Ubs, lui sarebbe un metalmeccanico, un fabbricante di auto, camion e trattori. Sostiene di lavorare diciotto ore al giorno a tale scopo. Ciò che invece egli forse non sospetta è il portato del suo ruolo effettivo, della sua figura di amministratore delegato di fabbrica, seppure di un’industria multinazionale. Egli rappresenta una realtà molto diversa da quella che gli suggerisce la sua falsa coscienza di schiavista, e cioè quella di un funzionario del capitale al quale interessa soprattutto un’efficiente gestione del tempo di lavoro (e di vita) di migliaia di operai costretti alla catena. Senza le condizioni per le quali il lavoro diventa una merce e fa dell’uomo la sua miglior conquista, la figura professionale di un Marchionne, così come il ruolo sociale dei suoi padroni, svanirebbe perché superflua, incongrua, patetica, esiziale. Egli s’illude su se stesso più di altri: non usa la frusta ma le armi dell’intimidazione e del licenziamento, letali contro chi ha la necessità di procurarsi sostentamento per sé e la propria famiglia.
I “suoi” lavoratori sono forzati dal bisogno, non dalla volontà di fabbricare merci mediocri destinate a precoce rottamazione per incrementare la valorizzazione del capitale. Sono costretti per almeno quarant’anni, cioè per tutto il periodo migliore della loro esistenza, a fare un lavoro che il dottor Marchionne non farebbe di sua sponte nemmeno per un’ora. Ed infatti cos’è una fabbrica, anche la più moderna, se non un’enorme colonia penale che cattura il tempo di vita di quei disgraziati che egli chiama “i nostri dipendenti”, soggetti a un lavoro ripetitivo e monotono, a mansioni rigide e controllate, di giorno e di notte? Quale attività può essere più oltraggiosa e contraria alla natura umana di quella espletata in codesto modo e allo scopo di far fare profitti e arricchire i padroni e i loro lacchè?
La diminuzione del lavoro umano doveva diventare una conquista dello sviluppo della scienza e della tecnica, riconosciuta un tempo da tutti come un traguardo. Invece, oggi, sotto il dominio di una cricca di avventurieri, tale prospettiva non solo è stata accantonata, ma è avvertita come una bestemmia, un reato contro la proprietà e il diritto di massimo sfruttamento. Infatti, di contro, si chiede, incutendo paura e minacciando catastrofi, di aumentare i ritmi e il tempo di lavoro (che chiamano produttività) per fabbricare le Panda inquinanti e le Ferrari a 300 all’ora, i gadget di plastica che adornano la nostra sopravvivenza e gli idoli che appagano gli sciocchi, la falsificazione degli alimenti, la TV e la tomba a rate, e la follia urbanistica come contenitore.
Marchionne, che non può concepire il lavoro senza obbligo e sanzione, si giustifica invocando la concorrenza internazionale, imperativo categorico pena la soccombenza a chissà quale destino di miseria. Questi tecnocrati, gonfi d’orgoglio, non meno che un’intera generazione di pensatori di “sinistra” innamorati dell'etica della competizione, hanno sempre pronta la scusa dell’ordine superiore e la salvaguardia del nostro “benessere”, in definitiva il mantenimento di un’organizzazione sociale autoritaria e demenziale, alla quale non sarebbe data alternativa. Come sono poveri questi padroni.

martedì 26 ottobre 2010

Il governo del fare



«L'ubicazione della discarica di Terzigno all'interno del perimetro del Parco nazionale del Vesuvio, sito di interesse comunitario nonché zona di protezione speciale, è di per sé un' aberrazione. Nella relazione della Protezione civile si afferma che lo studio d' impatto ambientale realizzato è stato approvato dal ministero dell' Ambiente. Alla luce di quanto osservato nel corso della visita, è legittimo dubitare dell'obiettività e della validità di tale studio. Pur considerando che è una pratica frequente quella di adibire a discarica vecchie cave dismesse, questo particolare sito, posto entro i confini di un'area designata quale zona di protezione della natura, di notevole prestigio internazionale ed interesse naturalistico, sembra del tutto inappropriato».
firmato: Judith A. Merkies, Commissione per le petizioni del Parlamento europeo
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«Non mi frega una minchia e la Merkies si facesse i cazzi suoi».
Stefania Prestigiacomo, ministro per l’Ambiente. Se non l’ha detto, l’ha pensato.
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Replica della Merkies:
“Nei mesi scorsi le autorità regionali campane sono venute a Bruxelles assicurando che non sarebbero state aperte nuove discariche all’interno del parco nazionale. Se così non fosse, si possono scordare di vedere sboccati i 145 milioni di euro di fondi europei che attualmente sono congelati dalla Commissione”. Lo ha dichiarato il 22 ottobre a Bruxelles l’eurodeputata olandese Judith Merkies, capo della delegazione del Parlamento Europeo che nei mesi si è recata in visita in Campania nell’ambito dell’emergenza rifiuti.


Il nemico in casa



Nonostante il boicottaggio di fatto dei sindacati e le violenze da parte delle truppe governative, in Francia gli scioperi e i blocchi delle raffinerie continuano e sono molte le stazioni di rifornimento a secco. Anche i lavoratori del principale impianto di trattamento dei rifiuti nei pressi di Parigi, Ivry-sur-Seine, e i conducenti di autobus e i lavoratori dei trasporti sono stati in sciopero in numerose città.
Otto università continuano il loro blocco e si stanno predisponendo per uno sciopero nazionale, appoggiati dagli studenti delle scuole superiori per il 4 novembre; una protesta nazionale della gioventù si svolgerà oggi. Scrive oggi Le Monde:

Le principal syndicat étudiant appelle à des actions mardi contre la réforme des retraites, mais pas à des manifestations, faisant le pari de la mobilisation malgré les vacances de la Toussaint. Le syndicat étudiant n'appelle pas à des manifestations mais à des actions allant de sit-in devant les locaux de parlementaires, de l'UMP ou du Medef, à des rassemblements et à des "opérations coup de poing", sans plus de précision. Cette diversification des modes d'action a deux avantages : ne pas compter le nombre de manifestants, forcément inférieur à ceux des autres journées de mobilisation en raison des vacances, et prévenir tout débordement, après les violents accrochages qui se sont déroulés en marge des derniers cortèges de jeunes, notamment à Lyon.

Se non passeranno dalle marce all’insurrezione urbana presto se ne dovranno tornare a casa sconfitti.
Salariati e studenti sono in lotta contro lo Stato e la classe dirigente tutta, la quale ha capito che non può più permettersi di governare come prima. Tuttavia, l'assenza di prospettiva rivoluzionaria è la debolezza critica del movimento di sciopero, aggravata dall’atteggiamento dei sindacati e dei loro alleati politici di “sinistra”, il Partito Socialista, il Partito Comunista e il Nuovo partito anticapitalista, determinati a contenere il movimento a livello di una protesta sulla falsa premessa che il governo, i rappresentanti degli sfruttatori, della speculazione e del malaffare, possa essere indotto dalle loro blande pressioni ad abolire la "riforma" delle pensioni o a modificarla sostanzialmente. Insomma, è come avere il nemico in casa.
Il riformismo, sempre in scacco dei grandi e “superiori” interessi, è perdente. Non si tratta più di porre i problemi della vita alienata e del lavoro, di cercare conforto nei falsi beni e blandizie elargite dal sistema, ma di rivendicare la vita stessa.

lunedì 25 ottobre 2010

春秋時代



I conflitti monetari sono solo l’espressione di conflitti più profondi dell’economia mondiale. Pertanto, la contesa sui cambi è solo un percussore destinato a far scoppiare una lotta commerciale internazionale senza quartiere. Come si è visto alla riunione di Gyeoungju, il conflitto è qualcosa di più di una contesa Cina-Usa, anche se sulla scena questi sono gli attori principali.
Le decisioni prese possono essere interpretate in diversi significati da ciascun paese e perciò sono di fatto nulle o quasi. Ognuno dei contendenti tende a pararsi il culo, non è ancora riconosciuta la vera necessità di agire nell'interesse collettivo e data la natura del sistema e del conflitto in atto è inutile sperarci troppo. Sarà solo una questione di tempo prima che uno o più paesi ricorrano a misure decise di protezionismo commerciale come l'unico strumento nazionale a sostegno di un necessario riequilibrio. Ciò comporterà – come ha detto il governatore della Banca d'Inghilterra Mervyn King – una situazione di fatto come negli anni 1930, e “portare ad un crollo disastroso delle attività in tutto il mondo. Ogni paese subirebbe conseguenze rovinose”. In tal senso King non si è detto molto fiducioso.
Garantire un’effettiva cooperazione internazionale è impossibile sotto il capitalismo, perché i conflitti sono immanenti al sistema del profitto e al sistema dello stato-nazione. Che l'economia mondiale possa un giorno essere unificata sotto il capitalismo, è un mito della propaganda.
La razionalità capitalistica ha tratto gli individui dai loro angusti àmbiti locali e tradizionali e li ha legati ad una dimensione mondiale fatta di rapporti in tempo reale; ma la demenzialità insita nei processi di valorizzazione, apparentemente razionali ma divenuti ormai una realtà folle e insostenibile, li separerà di nuovo per farne dei nemici.
Mi rendo conto che questi temi coinvolgono in genere poco o nulla, distratti come siamo da eventi di più grande momento, ma essi sono invece centrali per comprendere che se non troveremo altre vie per uscire da questo manicomio, pagheremo, ancora una volta, un prezzo altissimo. Anzi, già lo paghiamo con anticipo con la politica economica dei tagli e del supersfruttamento.

Rotamiamo i bugiardi



In Italia, nel 2009, la Fiat ha prodotto 653.706 automobili su un totale di 1.246.810 prodotti dall’intero gruppo multinazionale. Non conteggiando gli autoveicoli Iveco\Astra e simili. Perciò un 53% circa del totale Fiat, di cui il 40% è stato prodotto per l’esportazione.
Di tutta la produzione italiana (oltre il 50 % del totale) la Fiat non ricaverà, nel 2010 , per quanto riguarda la produzione auto in Italia, nemmeno un euro di “utile” dei due miliardi previsti globalmente. Questo a sentire il filosofo italo-elvetico-canadese. Un’azienda messa così male, che cioè non produce utili per oltre la metà del suo fatturato auto, è chiaro che bisogna commissariarla, licenziarne l’A.D. responsabile di tale disastrosa gestione a discapito degli azionisti, citandolo per il risarcimento dei danni (*).
* * *
Naturalmente l’intervistatore non ha alcuna responsabilità in questo gratuito show di menzogne. Tiene famiglia.
* * *
Le chiacchiere stanno a zero: su internet è scaricabile la Relazione finanziaria annuale 2009 [qui].
Vediamo i dati a pagina 22:
I ricavi totali del settore auto rappresentano il 56,2% [perciò non è vero quello che si legge in   questo articolo], quello per le macchine agricole e le costruzioni il 20,1, per i veicoli industriali il 14,2, componenti 8,5, altri l’1 per cento.

dipendenti nel mondo: Italia 42,3%; resto dell’Europa 42,1; Nord America 5,9; Mercosur 22,3; resto del mondo 5,4.
Ricavi per area di destinazione: Italia 25,4%; resto dell’Europa 35,3; Nord America 10; Mercosur 19,6; resto del mondo 9,7.
Stabilimenti: Italia 64; resto dell’Europa 57; Nord America 16; Mercosur 27; resto del mondo 24.
Centri ricerca e sviluppo: Italia 48; resto dell’Europa 33; Nord America 15; Mercosur 10; resto del mondo 11.
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Insomma, sul piano commerciale, della produzione, della ricerca, sembra proprio che l’Italia nel gruppo Fiat non giochi un ruolo marginale. Inoltre, secondo i documenti Fiat, l'azienda con il Piano Strategico denominato “Fabbrica Italia” sarebbe intenzionata ad incrementare l’impegno per il rafforzamento della sua presenza industriale nel Paese. E allora perché Marchionne ha ventilato la possibilità che Fiat molli l’Italia? Perché la strategia è un’altra: quella dell’internazionalizzazione e dell’abbandono progressivo delle produzioni dall’Italia, soprattutto di quelle a più alto contenuto di manodopera. Sempre nella Relazione si legge:
L’accordo raggiunto a luglio con Guangzhou Automobile Group è mirato a costituire una joint venture paritetica in Cina che, a partire dalla metà del 2011, produrrà motori e autovetture destinati al mercato locale. L’impianto avrà a regime una capacità produttiva di 140 mila vetture e 220 mila motori l’anno.
La lettera d’intenti, firmata nel febbraio 2010 con il costruttore russo Sollers, segna una svolta nella presenza della Fiat su quel mercato, uno tra i più promettenti. Questa partnership ci permetterà di costruire in Russia fino a 500.000 veicoli l’anno entro il 2016 e di vendere nove nuovi modelli, sei dei quali nasceranno proprio dalla piattaforma Fiat-Chrysler. Questa operazione rappresenta un ulteriore riconoscimento del livello tecnologico raggiunto dalla nostra Azienda. Si tratta di un grande passo avanti per il Gruppo Fiat, in grado di proiettarci nel giro di qualche anno al secondo posto tra i costruttori presenti in Russia.

Diversamente non si spiegherebbe lo scontro in atto con la Fiom, per esempio, con il taglio di 10 minuti di pausa a fronte delle due settimane di cassa integrazione al mese.  La Fiat vuole lo scontro, perché in realtà vuole chiudere alcune produzioni adossandone la responsabilità agli operai.

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(*) In realtà gli azionisti Fiat non possono lamentarsi, anche se i conti Fiat sono in rosso. Infatti nella Relazione semestrale 2010 si legge: L’Assemblea degli Azionisti di Fiat S.p.A., svoltasi a Torino il 26 marzo, ha approvato il bilancio dell’esercizio 2009 e la distribuzione agli azionisti di un dividendo lordo di 0,17 euro per azione ordinaria, 0,31 euro per azione privilegiata e 0,325 euro per azione di risparmio, che è stato messo in pagamento a partire dal 22 aprile. In totale, il dividendo complessivo ammonta a 243,7 milioni di euro (237,1 milioni di euro escludendo le azioni proprie detenute).

domenica 24 ottobre 2010

La crisi terribile della Chiesa



Il vaniloquio di Valter Veltroni trova sempre gradita ospitalità nelle pagine del Corriere [*].
«Siamo stati gli italiani che andavano a Firenze per salvare le persone e i libri dall'alluvione», intona il dirigente PD. In realtà a Firenze c’erano gli altri, non lui. Per due motivi. Uno anagrafico: nel 1966 aveva appena compiuto 11 anni; l’altro antropologico: in vita sua non ha mai fatto un lavoro manuale.
Poi incalza ieratico: «Alla domanda "si può vivere senza valori?" lo spirito del tempo ha risposto sì». Eccolo qui finalmente acchiappato il responsabile della “crisi dei valori”: lo spirito del tempo! Nientemeno.
Che la crisi dei “valori” sia il prodotto del sistema e delle sue contraddizioni, della gerarchia della merce, del denaro e del lavoro, allo stesso titolo della pubblicità e del ciclotrone, questo vanesio nemmeno lo può sospettare. La malattia della ragione borghese è ereditaria e contagiosa.
«E non mi rassegnerò mai all'idea che gli unici valori per un paese come il nostro fossero quelli racchiusi nelle ideologie del Novecento». L’ex pseudo comunista pentitissimo, poi PDS, poi DS e ora PD, in aspettativa per compiere il salto della quaglia e l'approdo in ecumenica compagnia, abiura i valori del comunismo  perché,  come ben sappiamo, essi sono stati i veri responsabili del gulag staliniano. Povero uomo.
Il resto dell’intervista è un’omelia che prende di mira la “crisi terribile della Chiesa”, il cui sintomo davvero preoccupante è dato dalla sottovalutazione della gravità della bestemmia; quindi il leit-motiv per antonomasia, cioè l'esizialità dell'attuale palinsesto televisivo (altri tempi in cui c'era papà!). E dato che c’era il nostro Valter non si è fatto sfuggire l’occasione per proporre rimedi affinché si “stanino gli evasori”. Fiscali? No. L'evasione dell'Ici da parte del Vaticano? Nemmeno. Si riferisce agli “evasori” che non pagano il canone Rai. E ne ha un buon motivo personale, in quanto con i proventi del canone lui è stato mantenuto fin da piccolo. Ed ecco il risultato.

sabato 23 ottobre 2010

In un certo senso




«In un certo senso Karl Marx aveva ragione. Siamo testimoni di una grande crisi rivoluzionaria, una crisi in cui le istanze dell’ordine economico cozzano contro quelle dell’ordine politico (Ronald Reagan, discorso alla Camera dei Comuni inglese tenuto in occasione della sua visita dell'8 giugno 1982)». Naturalmente Reagan si riferiva all'Urss, ma tali parole possono ben testimoniare, a distanza di quasi tre decenni, la situazione in cui si dibatte l'Occidente dopo la sua vittoria sull'Impero del male: gli interessi del capitale, non solo cozzano ogni giorno di più contro l'ordine politico e sociale "democratico", ma nello stesso momento storico, la distruzione irreversibile del pianeta, testimonia il fallimento del sistema ben oltre ogni ragionevole dubbio.
* * *
Una differenza di rilievo tra la crisi economica degli anni Trenta e quella odierna sta nell’enorme accumulo di debito degli Stati, il quale deficit impedisce il mantenimento di politiche di sostegno e di intervento, anzi, impone tagli draconiani a quel welfare “opulento” di cui si è nutrita per decenni la propaganda occidentale, consentendo a centinaia di milioni di persone di vivere soprattutto di superfluo e illusioni. Sullo sfondo del rapido degrado delle condizioni stesse della sopravvivenza, si staglia sempre più imponente una vecchia figura delle società di classe, cioè la povertà, il costante aumento del divario tra ricchi e poveri, l’annichilimento graduale delle classi medie ormai divenute un peso dopo la “vittoria” sullo stalinismo.
Senza il forte e diretto intervento degli Stati occidentali nell’economia e nel welfare, la cosiddetta “guerra fredda”, il confronto tra i blocchi basato sulla colossale proliferazione degli armamenti e la creazione del consenso, avrebbe potuto configurarsi anche con esiti diversi. «Il grandioso successo dinamico del capitalismo – scrisse Reagan nelle sue memorie – ci ha fornito una potente arma nella battaglia contro il comunismo: il denaro. I russi non potrebbero mai vincere la corsa agli armamenti, mentre noi possiamo sperperare all’infinito».
Naturalmente anche l’”infinito” ha un limite, soprattutto se il debito statale è basato sulla “fiducia” dei cosiddetti investitori. L’espansione economica sostenuta dalla spesa (e dallo sperpero) statale alimenta sicuramente l’espansione del ciclo economico e con esso un maggior gettito fiscale, ma questo si rivela di gran lunga insufficiente a coprire le spese, anche per il forte disequilibrio nella distribuzione del carico fiscale e quindi, in definitiva, nella distribuzione del plusvalore prodotto socialmente (Eugenio Scalfari, ogni domenica, nei suoi editoriali di critica laterale, ne auspica una più “equa” distribuzione per far fronte ai drammi sociali causati dalla crisi, senza mettere ovviamente in discussione la sostanza del problema).
L’aver svincolato le monete da ogni rapporto con la realtà del valore economico, ha prodotto per decenni una forte inflazione e una crescente instabilità culminata nei vari tentativi di regolazione dei cambi. Nel 1971, un’oncia d’oro valeva 35 dollari (come stabilito a Bretton Woods); con la fine della convertibilità, in meno di quarant’anni l’oncia ha raggiunto un prezzo 35 volte superiore. E si tratta, a ben considerare, in rapporto ad altri prezzi di riferimento, di un livello suscettibile di ulteriori cospicui innalzamenti a breve e medio termine. Questo non dipende se non in minima parte dalla brama di tesaurizzare ovvero da un motivo eminentemente speculativo, ma è causa soprattutto dell’incertezza e dell’instabilità del sistema economico mondiale, dell’assenza di prospettive positive per il futuro del capitalismo.
Siamo a quella che la pubblicistica chiama “crisi fiscale dello Stato sociale” e che, in effetti, rappresenta la crisi degli istituti di classe come riflesso e fenomeno più generale della crisi del sistema economico capitalistico. Sta di fatto che gli Stati non possono più continuare ad incrementare il proprio debito per sostenere, come in passato, certi livelli di spesa a sostegno dell’economia e dei redditi. Anzi, hanno l’urgente necessità di rientrare dal proprio debito e non solo di ridurne l’incremento in rapporto al Pil, come stanno invece continuando a fare e peraltro senza molto successo. Prepariamoci, quindi, anche in Italia a lacrime e sangue sul modello irlandese, greco ed inglese.
La natura delle contraddizioni, di cui Marx ci ha dato certezza scientifica e che solo i parassiti e gli imbecilli possono ignorare, non permette ad alcuno di farsi illusioni. Infatti sul fallimento del sistema non c'è più da discutere, e nemmeno sulla sua scadenza storica, ma si tratta di trovare dei rimedi, dei palliativi, per poterne protrarre l'agonia. Ecco dunque perché le élites politiche e finanziarie più accorte, preso atto della impossibilità della continuazione del capitalismo nelle tradizionali forme della democrazia illusoria, stanno valutando seriamente di “riformarne” gli istituti, come avevo già accennato in questo  post.


venerdì 22 ottobre 2010

Per esempio



Negli alberghi della costa abruzzese sono alloggiati, dopo un anno e mezzo, ancora dei terremotati. E chissà fino a quando l’Aquila potrà godersi le sue macerie.
In Campania c’è guerriglia urbana, nel vero senso del termine, per la solita, già annunciata come risolta, questione dei rifiuti.
I vari monopoli italiani, dalle banche alle società di telefonia e diservizi vari (pensiamo all’acqua) fanno quel cazzo che gli pare.
In Francia è guerra nelle strade per la cosiddetta “riforma “ delle pensioni. Il governo a messo la fiducia al senato. In Inghilterra il governo ha tagliato 480.000 posti di lavoro nel pubblico impiego. Ad Haiti c’è il colera. In Asia la tensione è altissima per questioni commerciali.
Nell’Italia televisiva, invece, i problemi sono altri. Non da oggi, a causa di un individuo loschissimo eletto democraticamente grazie alla manipolazione mediatica e alla rappresentanza di interessi diffusi quali l’evasione fiscale, la corruzione e la frode.
Poi c’è chi sostiene che il merito va pagato. Soprattutto in televisione. Con milioni di euro, secondo i “valori” del mercato. Lo dice e lo ripete senza vergogna, senza chiedersi quale valore di “mercato” ha la vita di un operaio che muore di lavoro o di disperazione. Per esempio.

giovedì 21 ottobre 2010

Una tigre di latta?


A giudicare dall'immagine non si direbbe!


La Cina ha aumentato i tassi. E chi se ne frega!
Si tratta invece di una manovra necessaria: primo perché i tassi reali erano ormai in negativo; secondo, perché deve raffreddare l’economia per evitare l’incendio. Se questo aumento dei tassi, e conseguente rivalutazione dello yuan, comporti anche una corsa degli investimenti esteri verso la moneta cinese è cosa tutta da verificare. Invece potrebbe provocare un rallentamento dei consumi cinesi a danno delle esportazioni coreane, giapponesi, americane ed europee. Si tratta comunque di tendenze e controtendenze tutte da dimostrare.
Il dato macro resta: la Cina è una potenza economica e militare di tutto rispetto, quindi un antagonista assai poco gradito agli Usa. Ma non alle multinazionali Usa che operano in Cina o vi esportano. E meno ancora alla miriade di produttori di materie prime, in primis di idrocarburi, che fanno affari  d’oro con la voracità energetica del Dragone. Se la Cina saprà crearsi dei canali di approvvigionamento svicolati dal controllo e dall’eventuale minaccia militare Usa, avrà centrato un importante obiettivo.
Ma una pipeline può essere distrutta, da chi ne possiede i mezzi necessari, in pochi minuti. Ecco perché in questo  post  citavo le parole di Robert Gates, uno degli uomini più potenti del pianeta, non da oggi.

Ce n'est qu'un debut



In tutta Europa e nel mondo si stanno intensificando le lotte contro le politiche governative, dettate dall’aristocrazia finanziaria, intese a far pagare la crisi e il gigantesco processo di ristrutturazione in atto alle classi salariate. Senza risparmio di mezzi, in Francia e in Grecia vengono mobilitati gli sgherri antisommossa contro operai e studenti. In Italia, contro la Fiom si sono schierati i media padronali e statali con una campagna di allarme terroristica per il solo fatto che i manifestanti hanno lanciato delle uova fresche. Ci sono stati invece scioperi generali di un giorno e manifestazioni di massa in Spagna, Portogallo e Irlanda, scioperi dei salariati in Romania e in Cina, India, Cambogia e Bangladesh.
Non saranno queste proteste, pur significative e generalizzate, a far recedere i governi e le organizzazioni sovrannazionali dalla loro strategia. In Gran Bretagna, per es., il governo di coalizione liberal-conservatore impone tagli senza precedenti nella storia, raggiungendo 83 miliardi di sterline, il che comporterà la perdita di almeno 500.000 posti di lavoro nel settore pubblico  [anche Sole 24ore conferma] e 500.000 posti di lavoro in quello privato. Il tradimento dei sindacati istituzionali è stato palese sia nel caso dei lavoratori della metropolitana di Londra che in quello  dei lavoratori della BBC e della British Airways, i quali avevano votato per lo sciopero ma i leader sindacali hanno rifiutato di indirlo.
Anche negli Usa l'incapacità della Casa Bianca e dei democratici di prendere le distanze dagli interessi delle élite economiche è resa ancora una volta palese da numerosi fatti, tra i quali la decisone di non aumentare gli aiuti sociali e di non aderire alla richiesta di moratoria dei pignoramenti delle abitazioni. Anche tra gli operai dell’auto sta aumentando l’insofferenza e l’opposizione per i drastici tagli salariali.
Ciò che emerge da queste esperienze di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, è l'incompatibilità del sistema capitalista con i loro bisogni più elementari: lavoro, abitazione, istruzione, futuro. Anche per coloro che finora si erano mantenuti illusi sulla reale natura di questo sistema, sempre più si va rivelando chiaramente la dittatura esercitata di fatto delle banche e delle multinazionali sulla vita economica e politica, e perciò la necessità di uscire dai vecchi schemi e dalle infide appartenenze per costruire movimenti autonomi, radicalmente e autenticamente antagonisti e alternativi.
A qualcuno questi discorsi potranno apparire vecchi e perfino stereotipati. Sì, si tratta di vecchie questioni che però si ripresentano quotidianamente, per esempio, a chi ha perso o rischia di perdere il lavoro o ne ha mai avuto uno. Non perché si sia amanti di questo schifo di lavori, ma perché essi garantiscono un minimo di salario e di mantenimento. Discorsi vecchi quanto un sistema di sfruttamento che non ha più alcuna ragione d’essere, sterotipati come le sue beghe sui cambi e le sue lotte per il controllo delle risorse, delle pipeline e delle rotte di comunicazione e di traffico; un sistema al tramonto che ci porterà inevitabilmente a nuovi conflitti, ancora più terrificanti che in passato, forse definitivi.

mercoledì 20 ottobre 2010

La chiappa democratica



Il responsabile economia e lavoro del Pd, tale Stefano Fassina, un economista che ha pubblicato molti saggi su come “governare il mercato” e “riformare le pensioni”, ha scritto ieri su il manifesto una «Risposta “democratica” all’editoriale di domenica» dello stesso giornale, in cui veniva criticata la mancata adesione del Pd alla manifestazione della Fiom.
La tesi di Fassina e del Pd qual è? Anzitutto una premessa metodologica:
«un partito serio non è la giustapposizione delle domande inevitabili di interessi parziali o di movimenti tematici. Un partito serio non è collezione di adesioni a piattaforme altrui. Un partito serio è declinazione autonoma, sintesi possibilmente alta, di interessi parziali e rivendicazioni tematiche intorno ad una visione orientata all'interesse generale».
Quindi, la Fiom, nella sua manifestazione di sabato, rappresentava degli interessi legittimi ma giudicati dal Pd come “interessi parziali”, non “orientati all'interesse generale”, cui invece tende il partito. Diritti del lavoro, il contratto collettivo, ecc., rappresentati dal maggior sindacato dei metalmeccanici, non sono “sintesi alta” dell'interesse generale.
Aveva un bel chiedersi, giorni or sono, Alberto Asor Rosa:
«è proprio vero che la «condizione operaia», il modo d'essere operaio, il «punto di vista» di classe, il suo rapporto non solo economico ma anche «sociale» con il resto del mondo, sono estranei alla «condizione generale», «sociale» e «civile», «politica» e «istituzionale», del nostro paese, dell'Europa, del mondo? Si direbbe, - anzi, questo con sicurezza si può dire, - che, per stare al gioco, gli operai dovrebbero rinunciare alla contrattazione; al diritto di sciopero; ai diritti di cittadinanza; al diritto di mangiare, cagare e pisciare in fabbrica».
Scrive Fassina:
«Aderire alla piattaforma di altri vorrebbe dire smarrire sul terreno economico-corporativo l’insostituibile funzione etico-politica distintiva del partito. In altri termini, vorrebbe dire indebolire la funzione di proposta generale nella rincorsa di domande di rappresentanza parziali».
Ecco perché, in caso di sciopero generale del più grande sindacato italiano, di gran lunga il più rappresentativo della classe operaia, contro le politiche economiche del governo e del padronato, il Pd non aderirebbe perché si tratterebbe di “indebolire la funzione di proposta generale nella rincorsa di domande di rappresentanza parziali” favorendo iniziative “corporative”. Cioè, di classe!
Ed infati, Fassina precisa:
«la divisione indebolisce i lavoratori sul terreno strettamente sindacale. In secondo luogo, perché la divisione indebolisce le prospettive dell’alternativa politica. Per una credibile alternativa politica è necessario ricongiungere larga parte dei lavoratori e delle loro rappresentanze».
E chi è stato causa di questa divisione delle “rappresentanze”, cioè del sindacato? Quale tipo di linee di politica economica, anche da parte del Pd, hanno favorito tale divisione? Risponde implicitamente Landini, il segretario generale della Fiom nel suo discorso di sabato:
«Vi faccio un esempio personale. Quando ho cominciato a lavorare, quando entravo in fabbrica, dal centralinista al progettista, sotto lo stesso tetto, tutti avevano lo stesso contratto e gli stessi diritti. Oggi se tu vai in un luogo di lavoro scopri che non è più così. Mentre chi comanda è sempre quello, noi siamo frantumati e divisi. Ci sono diversi contratti: le cooperative, l'appalto, il subappalto, il lavoratore precario. Noi abbiamo bisogno, alla luce anche di questa grande manifestazione, di dire con chiarezza che l'obiettivo di un sindacato degno di questo nome è riunificare i diritti in questo paese. E per fare questo, se c'è bisogno di pensare a qualcosa di nuovo, io credo ci sia bisogno non di meno contratti, non di questa storiella secondo cui ognuno si può contrattare nella sua fabbrica o nel suo territorio (se non c'è un contratto nazionale che fissa i diritti per tutti, la contrattazione è una contrattazione a perdere, fabbrica per fabbrica). C'è una novità da dire: bisognerebbe pensare a un contratto dell'industria, a uno dei servizi, un altro del pubblico impiego. Dobbiamo cioè pensare a come si riunificano i lavoratori.
Siamo sicuri che il Pd, la Cisl e la Uil non siano corresponsabili di tale stato di cose?
Conclude Fassina:
«A differenza di movimenti leaderistici ansiosi di superare la soglia elettorale del 5%, il Pd non può permettersi il lusso di lasciare ad altri il gravoso compito della costruzione dell'unità dei lavoratori».
E invece come pensano di affrontare “il gravoso compito” gli strateghi del Pd, visto che sono sostanzialmente d’accordo con le posizioni di Finmeccanica e della Confindustria, quindi con Cisl e Uil?
Facciamo così: dato che la Fiom e la CGIL non sono abbastanza rappresentativi degli “interessi generali” (cioè compresi quelli della Confindustria, ça va sans dire), alle prossime elezioni gli operai non daranno il proprio voto al Pd, perché non “unitariamente” rappresentativo degli interessi collettivi delle classi salariate. E non venite a ricattarci con lo spauracchio di Berlusconi: siete l’altra chiappa della stessa faccia di culo.

martedì 19 ottobre 2010

Le barrique



La commissione Affari costituzionali ha approvato con 15 voti a favore e 7 contrari l'emendamento del relatore Carlo Vizzini al lodo Alfano in base al quale "i processi nei confronti del presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio, anche relativi a fatti antecedenti l'assunzione della carica, possono essere sospesi con deliberazione parlamentare". I finiani hanno confermato che anche alla Camera voteranno l'emendamento Vizzini.
Bersani non aderisce alla manifestazione operaia contro padroni e governo, ma aderirebbe volentieri ad un governo con Tremaglia e Fini per fare quelle due o tre cose che servono. Ecco, una di quelle due o tre cose le hanno fatte senza di lui.
Faremo le barricate con tutte le forze che abbiamo, ha detto Bersani. Le barricate? Conoscono solo le barrique.
Le cose ovviamente non stanno così come sembrano. Le comari schiamazzano ma forse sotto c’è un do ut des. Un salvacondotto? Lo scrissi mesi or sono. Potrebbe essere.

Alla coque



Anche la libera stampa nostrana si sta accorgendo che in Francia c’è subbuglio. Il movimento di protesta però, ora come ora, è tutt’altro che diretto dai sindacati, i quali non vedono l’ora che arrivi giovedì e il Senato approvi ‘sto cazzo di “riforma” delle pensioni. Che la Francia non è l’Italia si sapeva, e quella in corso è un’ulteriore prova che le uova, i francesi, le prediligono alla coque piuttosto che regalarle ai sindacalisti.
Se la protesta assumerà i caratteri della rivolta politica contro questo ameno sistema di libero mercato nel quale i padroni continuano a realizzare profitti abnormi e i salariati a pagare i costi sociali della crisi, essa potrà avere qualche chance di successo ed offrirsi come esempio da imitare. Ma è proprio per tale motivo che politica, padronato e sindacati cercheranno in tutti i modi di stopparla.
Tutto questo segnala a quale punto sia lo scontento e la decomposizione delle strutture dello stato liberista, ma anche quanto sia ancora lontana la formazione, sia dal lato della critica che da quello del movimento reale, di un’ampia e autonoma corrente rivoluzionaria che dichiari  guerra, ad un tempo, alla vecchia società, al riformismo cialtrone, così come a tutto ciò che di obsoleto ci ha lasciato il Novecento.

lunedì 18 ottobre 2010

Sulla stessa barca



Radiocor - Terzo trimestre positivo per il gruppo Fiat e per le controllate Iveco e Cnh prima del previsto scorporo delle attivita' industriali da quelle dell'auto. Secondo le stime medie di un consensus di 27 analisti raccolte dalla societa' e consultate da 'Radiocor' l'utile della gestione ordinaria del gruppo e' atteso a 385 milioni di euro a luglio-settembre (308 milioni nello stesso periodo 2009) e l'utile netto a 65 milioni (25 milioni). I risultati del gruppo torinese saranno pubblicati giovedi' prossimo 21 ottobre.
Ai gentiluomini della Cisl e della Uil si potrebbe chiedere sommessamente: sentite razza di somari, chi è che ha prodotto quel plusvalore, il lavoro di operai, impiegati e tecnici o Marchionne che gioca a scopone? Dato che Bersani dice che padroni e schiavi stanno sulla stessa barca, a chi vanno in tasca quegli “utili”? Sapete bene, coglioni, che a remare sono sempre gli schiavi e a dar frustate i padroni. Le vostre sono le tipiche idee dei piccolo-borghesi, di coloro che non sono mai ciò che credono di essere.

Le illusioni del cambio fisso



Si sente parlare di un nuovo accordo sui cambi sul tipo di quello dell’Hote Plaza del 1985. Gli accordi sui cambi fissi non servono a nulla e non durano. È la storia che lo dimostra. Senza risalire alle calende greche basterà citare Bretton Woods, un accordo che ebbe vita assai travagliata e finì fallito; il “tunnel smithsoniano” (dal dicembre 1971 al febbraio 1973); la fine dell'area della sterlina (23 giugno 1972) costituita prevalentemente da Paesi membri del Commonwealth; il famoso “serpente monetario” europeo, il Sme (sistema monetario europeo), quindi gli accordi del Plaza e del Louvre (1987).
Insomma, un accordo sui cambi fissi, in una situazione con monete nazionali e differenziali di sviluppo molto marcati, è pura illusione. Il conflitto in tema di cambi nasconde, si fa per dire, il conflitto tra aree capitalistiche antagoniste, quindi un conflitto interimperialistico che non potrà, ancora una volta, che avere uno sbocco di scontro aperto. Se non subito, nel volgere di qualche lustro.
Gli Stati Uniti sono pronti, ancora una volta, ad invadere il mercato con una valanga di cartamoneta, lo ha annunciato Ben Bernanke; ciò significherà, indirettamente, una rivalutazione delle altre monete. La Cina, per questioni interne, non può permettersi una marcata contrazione delle sue esportazioni. Alla lunga, qualsiasi pretesto sarà buono per la resa dei conti in Asia, anche perché gli Usa hanno ben chiaro che un competitore su scala globale così potente e pericoloso o lo fermano ora …..
* * *
Remarks by Secretary of Defense Robert Gates at a Meeting of the Economic Club of Chicago:
Il Dipartimento della Difesa ha bisogno di pensare e di preparare la guerra in un modo profondamente diverso rispetto a quanto siamo stati abituati nel secolo scorso.
In verità, prepararsi per il conflitto del 21° secolo significa investire realmente in nuovi concetti e nuove tecnologie. Ciò significa tener conto di tutti i mezzi e le capacità che può portare alla lotta.
Si consideri che nel 2020 gli Stati Uniti prevedono di avere circa 2.500 aerei da combattimento di tutti i tipi. Di questi, circa 1.100 saranno i più avanzati, di quinta generazione: F-35s e F22s. La Cina, invece, si prevede che non avrà aeromobili di quinta generazione entro il 2020. Ed entro il 2025, il divario si allarga: gli Stati Uniti avranno circa 1.700 tra i più avanzati aerei da di combattimento di quinta generazione, rispetto a una manciata di aerei comparabili per i cinesi.
Il documento integrale  qui .

Naturalmente gran parte della partita si gioca sul controllo ((pipeline, rotte commerciali) e approvvigionamento delle risorse strategiche, in primis sugli idrocarburi, i minerali rari, ecc..

Il "nuovo" trasformismo



Da un intervista di repubblica a Pierluigi Bersani:
«Sono irritato per come qualcuno ci descrive. Noi non siamo incerti, non abbiamo una linea opportunista. Chi lo dice non capisce un accidente».
Con chi ce l'ha?
"Con qualche commentatore. Il Pd è un partito che discute. Ma soprattutto ha un compito diverso da quello di aderire o meno a manifestazioni sindacali".
In definitiva qual è l’idea di Bersani?
"Serve un nuovo "patto sociale". In tutto l'occidente c'è la crisi del lavoro. Certamente bisogna spostare l'attenzione sul livello aziendale di contrattazione e flessibilizzare il livello nazionale".
Anche lei definirebbe Marchionne un dittatore?
"No, semmai è diventato un po' americano. Ma il problema è che non ha avuto un governo e un ministro. Nessuna interlocuzione, non hanno fatto niente. In questo contesto Marchionne fa un po' il battitore libero".
* * *
Il Compito del Pd non è quello di stare attivamente dalla parte dei salariati, di aderire alla loro protesta contro il governo e il padronato. Il compito del Pd è di chiacchierare, di aderire alle convention della Confindustria, agli incontri con gli Istituti dell’imperialismo, con i bureau finanziari, fare il ruffiano con il Vaticano, dirigere organismi dell’intelligence, di sedere con propri rappresentanti nei consigli di amministrazione, di “avere una banca”, ma soprattutto di rendere innocua la lotta di classe. Insomma, una classe politica “nuova”, formatasi esclusivamente nelle organizzazioni di partito, negli uffici studi, nelle università, nei traffici degli enti pubblici e nelle professioni forensi, che ha come scopo quello di “salvare” lo Stato mantenendo sostanzialmente intatte le basi tradizionali dello Stato stesso, cioè l’alleanza tra il parassitismo industriale del nord e le camorre del sud, con un piede nei consorzi di “privatizzazione” e l’altro negli organismi del business nucleare, eccetera. Un “nuovo” trasformismo di stampo giolittiano.

domenica 17 ottobre 2010

Le basi sociali del conflitto di classe



Gad Lerner scrive su Repubblica un articolo preoccupato, nella veste non isolita di pompiere. È preoccupato per due motivi: perché l’atteggiamento di Marchionne e della Confindustria può produrre un pericoloso antagonismo operaio (ancor prima che un problema sindacale). Egli denuncia quindi l’avidità padronale e la miopia della classe dirigente, auspicando una maggiore moderazione e ragionevolezza. Lerner ha ben presente che “Da trent'anni una distribuzione squilibrata del reddito – che a differenza da altri paesi neppure la fiscalità e il welfare riescono a correggere – provoca un'imponente decurtazione della quota di ricchezza nazionale destinata alle buste paga”. Naturalmente tale consapevolezza, in senso meramente riformistico, richiederebbe una spiegazione nei termini di quella che un tempo lo stesso Lerner chiamava “analisi di classe”, ovvero l’analisi delle basi sociali di questa democrazia. Se si esenta il Vaticano dalle tasse e le si aumenta ai salariati, se oltre l'80 del gettito Irpef è dei lavoratori dipendenti, se si comprano armi e si tagliano risorse all'università e alla scuola [*], un qualche motivo ci sarà!
Egli sa bene che la situazione sociale si è deteriorata, che per continuare a metterlo in culo ai salariati ci vuole astuzia. Né, del resto, esiste una classe dirigente omogenea (mai data in Italia), coesa, attiva, basata sopra gruppi di forze reali sane e capaci di sviluppo;  da noi prevalgono le classi corrotte, di rentiers, i gruppi industriali con base familiare, l'evasione fiscale di massa, gli alti burocrati e pescecani dell'appalto pubblico, le vecchie consorterie clientelari nel Mezzogiorno che esercitando un dominio di carattere feudale. Si persegue il noto gattopardesco obiettivo: “sopire le tensioni” per meglio poter “fronteggiare la gestione della crisi economica”, cioè calmare le acque della protesta sociale perché tutto continui come prima e a vantaggio dei soliti. E per far questo ci vuole il sostegno politico della "sinistra", dice in sostanza Lerner. E infatti lo stato comatoso della "sinistra", il distacco abissale dagli interessi dei salariati ormai incolmabile, rappresenta l’altro suo motivo di allarme:
Il Partito Democratico soffre più di chiunque altro questa divisione sindacale e paga il prezzo di non aver saputo delineare un suo impegno politico diretto nel mondo del lavoro, influenzando anche le dinamiche interne alle tre confederazioni.
[…] La verità è che l'intera classe politica del centrosinistra, qualunque sia la sua matrice culturale, si è macchiata di un'inadempienza storica. Rescisso il legame esistenziale con gli operai, interrotto il circuito virtuoso per cui la rappresentanza delle classi subalterne si tramutava anche in leadership espresse direttamente dal mondo del lavoro, non ha allontanato solo il suo tenore di vita e la sua sensibilità dal popolo delle formiche. La classe dirigente del centrosinistra si è autoconvinta che un'adesione acritica alla cultura neo-liberale fosse il requisito indispensabile per candidarsi al governo del paese, supportata dal consenso di un establishment che nel frattempo si arricchiva spogliando risorse, anziché promuovere lo sviluppo.
Insomma, il padronato è miope se vuole andare allo scontro aperto e peraltro senza l’attivo sostegno delle forze della “sinistra” istituzionale che sempre hanno garantito la moderazione e l’inganno; ma anche la "sinistra" si deve dare una mossa su tale fronte se vuole essere ancora funzionale al sistema. Discorso che ha una sua logica, ovviamente, ma che non tiene conto della radicalità della crisi e dello scontro sociale in atto e di quello che verrà, del dispiegarsi e inasprirsi dei conflitti commerciali e geopolitici entro i quali l’Italia e il suo apparato produttivo possono solo adeguarsi. Un discorso, quello di Lerner, che sembra non tener conto che nel prossimo decennio saremo ad una svolta decisiva.

L'opportunismo di ieri e quello di oggi



Esattamente il 17 ottobre 1910, i sindacati francesi cessarono uno sciopero paralizzante dei ferrovieri, dopo che il primo ministro Aristide Briand aveva dichiarato lo sciopero una "rivolta" e quindi ordinato una violenta repressione governativa con l’intervento dell’esercito e la militarizzazione dei ferrovieri, l'arresto di decine di capi dello sciopero e di attivisti socialisti.
Lo sciopero aveva avuto inizio l’11 ottobre paralizzando il trasporto di persone e merci in gran parte della Francia, ottenendo il sostegno di altri settori della classe operaia. Aristide Briand aveva correttamente calcolato che i leader sindacali non avrebbero rischiato le implicazioni rivoluzionarie di uno scontro frontale con il governo.
Briand sapeva bene che uno sciopero che puntava solo su questioni di natura economica era destinato al fallimento. Era stato un membro di lunga data del Partito Socialista, un sostenitore del sindacalismo, uno dei fondatori del quotidiano socialista L'Humanité, e compagno del leader socialista francese Jean Jaurès.
Dopo aver accettato un ministero minore in un governo borghese nel 1906, fu espulso dal partito. Quattro anni più tardi, aveva ordinato l'arresto di sostenitori di uno sciopero nella sede de L'Humanité, lo stesso giornale che aveva contribuito a fondare. Il giorno dopo la fine dello sciopero, Briand aveva ordinato una carica della polizia contro una folla di lavoratori che era appena stata ad un comizio di Jaurès.
Briand fu ampiamente elogiato in circoli dominanti per la sua "evoluzione", per es. dal New York Times che lo definì "un vero patriota ". Briand rimase una figura di spicco della politica borghese francese fino alla sua morte nel 1934.
Questa memoria del 1910 dimostra due cose: l’opportunismo e il tradimento sono un tratto comune e costante delle organizzazioni sindacali e politiche della sinistra istituzionale; uno sciopero di rivendicazione meramente economica è destinato a fallire se non è capace di mutarsi in un forte movimento antagonista. Questo fatto è dimostrato anche dalla grande mobilitazione attuale in Francia contro il taglio delle pensioni. Sfilare per le strade non basta, è la tattica dei sindacati e la speranza dei padroni che i salariati limitino la loro protesta a blande passeggiate e a rivendicazioni solo di natura economica. Del resto, nel momento in cui settori della classe operaia prendono iniziative diverse, come in questi giorni con il blocco parziale dei rifornimenti di carburante, queste si rivelano pertinenti dal punto di vista dell’obiettivo tattico, ma insufficienti sotto il profilo strategico, cioè dell’organizzazione (per ora inesistente) e della mobilitazione di massa che deve puntare e predisporsi allo sciopero generale ad oltranza.