giovedì 27 ottobre 2022

Ciò che Massimo Cacciari non può dire esplicitamente

 


In autunno, Repubblica riapre la caccia.

Massimo Cacciari sostiene che è ora di finirla col paventare il fascismo, che è roba archeologica, che “i pericoli per la democrazia sono ben altri”. Figuriamoci se non sono d’accordo. Vado random su ciò che ho scritto in passato a tale riguardo.

In un post del 10 giugno 2010, dal titolo Il fascismo non marcia più in orbace, scrivevo: «La ex sinistra di lotta e di governo ha sposato, fin che morte non li separi, i principi del neo liberismo fallito: tagli alla spesa sociale, cuneo fiscale a favore delle imprese e incrementi demenziali per quella militare. La sinistra vetero, invece, è ancora ferma allo statalismo cialtrone e inefficiente del secolo scorso e al programma “anche i ricchi piangono”. Poveri illusi. [...] Tutto il peso della crisi è sulle spalle di chi lavora e ha meno, rilevando che non c’è nulla di democratico in questa politica economica. La classe dirigente sfrutta la crisi mondiale per arricchirsi sempre di più. Il fascismo non marcia più in orbace, ma con il passo felpato dei banchieri».

In un post del 29 giugno del 2011: «Il capitalismo finanziario, il cui scopo è la conservazione di questo stato di cose fallimentare e truffaldino, ha saputo costruire le basi sociali del regime reazionario di massa vigente anzitutto con la collaborazione degli elementi più marci, corrotti e antisociali del sistema, l’alleanza tra il potere economico e il parassitismo politico e le relative camorre sindacali».

In un post del 24 agosto del 2012: «Non c’è più bisogno della camicia nera o dell’orbace, delle adunate di massa. Il fascismo trionfa ovunque, ci solletica in tutti i modi, conosce le nostre debolezze e blandendoci e terrorizzandoci ci convoca plebiscitariamente a tutte le ore davanti a uno schermo per dire: Sì! Senza una continua campagna diffamatoria contro il passato delle lotte sociali e senza scatenare una continua tensione mediatica sulle questioni del debito sarebbe impossibile condurre l’offensiva economica contro di noi e raggiungere determinati scopi».

Per ciò che valgono le mie parole, ovviamente, ma è tutto nero su bianco e dio mi fulmini se ho cambiato una virgola.

Molto più di recente, il 19 ottobre: «Ovunque l’estrema destra prolifera, s’insedia nel paesaggio, poi nei sondaggi, poi al potere. Per quanto assurdo possa sembrare, dà a una proporzione sempre crescente di elettori più speranze di quella che fu la sinistra, che non riuscirà a farla franca gridando semplicemente “fermiamo il fascismo!”. Tanto più in un sistema di pensiero dominato dai social network, dove insulto e minaccia fanno da argomento e la parola “fascismo” non significa più molto, e anche la parola “nazismo”, come abbiamo visto, è stata in qualche modo sdoganata».

Qualche giorno prima, il 13: «Smettiamola pure di chiedere contorsioni senza senso, un servizio minimo di commemorazione o un segno di ravvedimento sono pur disposti a mostrarlo, sia pure a denti stretti e con circonlocuzioni che rivelano che la malattia non l’hanno ancora smaltita. Dalla notte dei tempi la destra reazionaria rifiuta la democrazia, mentre la destra conservatrice la accetta à la Orban».

Massimo Cacciari sostiene anche un’altra cosa: dice che Letta dovrebbe rispondere sul perché di questa sconfitta politica e culturale epocale della sinistra.

Letta e i suoi compari, Bersani compreso, non possono rispondere a questa domanda, se non latamente. Perché hanno sposato il liberalismo, come Bersani, o il neoliberismo, come molti altri. Dobbiamo intenderci bene: neoliberismo e liberalismo sono due concetti che rinviano alla stessa cosa, al massimo con sfumature diverse. Dominus in entrambe le versioni è il capitale!

Con l’affermazione del capitale multinazionale e della borghesia imperialista, gli strati di piccola e media borghesia sono stati sospinti verso la proletarizzazione e la perdita progressiva di potere politico ed economico. Questi settori di piccola borghesia si estendono dai piccoli e medi capitalisti, molti dei quali di origine operaia e artigiana, ai piccoli e medi commercianti, ai proprietari agricoli, ai professionisti, tecnici, impiegati.

Questi strati sono totalmente subordinati ai movimenti del capitale multinazionale, ed è pura illusione prefigurarsi la possibilità di sconvolgere l’ordine imperialista. Essi vivono, rispetto alla borghesia imperialista, contraddizioni conflittuali che non trovano nessuna sponda politica per essere organizzate e in qualche modo trovare risposte. In ciò sono spiegate le oscillazioni politiche della base elettorale in questi ultimi decenni e anche in avvenire, salvo la massiccia disaffezione dal voto.

Questo mi sarei aspettato di sentir dire da Massimo Cacciari, che pure un’infarinatura su queste questioni l’ha ricevuta in tempi antichi. Tuttavia, anche per quanto lo riguarda, così come per quanto riguarda Meloni e altri, non si può chiedere che cambino la propria natura, la propria posizione politica in rapporto alla loro oggettiva collocazione di classe.

L'altra Ucraina

 

Il The Kyiv independent è una lettura interessante. Scrive che il 25% degli ucraini vivrebbe in povertà entro la fine dell’anno e la percentuale potrebbe salire fino al 55% entro la fine del 2023, secondo Arup Banerji, direttore regionale della Banca mondiale per l’Europa orientale.

Ufficialmente, solo il 2% della popolazione era povera prima di febbraio 2022. Entrambe le cifre, il 25 attuale e il 2 per cento precedente, sono enormemente sottostimate, poiché l’Ucraina aveva già il PIL pro capite più basso o quasi (la Moldavia il più basso) di qualsiasi altro paese europeo prima della guerra, e il suo governo ha da tempo fissato una soglia di povertà assurdamente bassa nel tentativo di sottovalutare il numero di persone che vivono alla giornata.

La classe dirigente ucraina andrebbe giudicata e punita anche per ciò che è avvenuto prima dell’invasione russa, quando non venivano lesinati denaro e mezzi per bombardare il Donbass.

Il PIL dell’Ucraina – scrive The Kyiv independent – è sceso del 30% nei primi nove mesi del 2022. Il ministero dell’Economia osserva che l'invasione della Russia e il clima, che è stato piovoso e quindi ha rallentato il raccolto in alcune regioni, sono le cause di questo stato di cose.

In Ucraina stanno emergendo livelli di privazione dei beni di prima necessità che non sono stati osservati nel continente europeo dalla fine della seconda guerra mondiale. La disoccupazione è ora al 35% e gli stipendi sono diminuiti fino al 50% durante la primavera e l’estate per alcune categorie di lavoratori. Si stima che i segmenti meno pagati della forza lavoro – studenti e manovali – sopravvivano con un salario mensile di circa 290 euro.

I beni e i servizi di base non sono disponibili e sono inaccessibili per milioni di persone, poiché l’inflazione, che si attestava al 24,4% a settembre, consuma gli stipendi e le pensioni dei lavoratori. Uno studio congiunto recentemente pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Ministero della Salute ucraino ha rilevato che il 22% delle persone in Ucraina non può accedere ai medicinali essenziali. Per i 6,9 milioni di sfollati interni del paese, quella percentuale sale al 33%.

La stampa, in particolare quella italiana, si segnala per la foia con la quale descrive la guerra in Ucraina. Senza alcun pudore. Delle decine di milioni che soffrono a causa di questa guerra per procura, non importa nulla se non quando sia utile alla propaganda bellica.

Ora, ancor prima che finisca il conflitto o si paventi un tavolo per un armistizio, si parla “ricostruzione”. La guerra promette profitti. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il primo ministro ucraino Denys Shmyhal hanno aperto il quinto Business Forum tedesco-ucraino. La commissione per le relazioni economiche dell’Europa orientale (Ostausschuss der deutschen Wirtschaft), che ha organizzato il forum in collaborazione con altre associazioni imprenditoriali e il governo ucraino, si è rallegrata: “La grande affluenza alla conferenza ha mostrato l’ampio interesse delle imprese tedesche a partecipare alla ricostruzione. È stata la prima conferenza del genere in Germania dall’inizio della guerra e allo stesso tempo l’evento di più alto profilo del suo genere fino a oggi”.

Sono in gioco somme enormi. Una cosa è certa, la popolazione ucraina non ne vedrà nulla. A ingrassare saranno i conti bancari degli oligarchi ucraini e delle società occidentali. Queste ultime non solo si aspettano buoni affari dalla ricostruzione, ma anche un’influenza dominante sull’economia ucraina. Le multinazionali tedesche, in particolare, aspettano con impazienza di trarre profitto dalle conseguenze della guerra e di svolgere un ruolo di primo piano in Ucraina in futuro.

“Anche se si dovrebbe sempre fare attenzione ai confronti storici, la posta in gioco qui non è altro che la creazione di un nuovo Piano Marshall per il XXI secolo”, hanno scritto Scholz e von der Leyen in un articolo congiunto per la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Von der Leyen ha anche sottolineato che nessun paese o l’unione potrebbe gestire la ricostruzione da solo. Saranno necessari partner forti come Stati Uniti, Canada, Giappone, Gran Bretagna, Australia e altri paesi, nonché istituzioni come la Banca mondiale.

Il tentativo della Germania di affermarsi come la principale potenza economica in Ucraina è visto con sospetto negli Stati Uniti e in altri stati europei. Washington non è disposta a lasciare a Bruxelles o a Berlino la gestione della ricostruzione dell’Ucraina.

Già litigano per il bottino. 

mercoledì 26 ottobre 2022

La Cina dà i numeri (statistici)

 

Dopo un ritardo di una settimana, per via del Congresso del PCC ovviamente, il National Bureau of Statistics cinese ha pubblicato i dati sul prodotto interno lordo per il terzo trimestre, mostrando che l’economia è cresciuta del 3,9% nel corso dell’anno, un dato superiore alle attese del mercato (3,3%), ma ben sotto dell’obiettivo del governo del 5,5%, a sua volta il tasso più basso in più di tre decenni.

Contrariamente alla consuetudine, il Bureau of Statistics ha diffuso i dati senza tenere una conferenza stampa. Le cifre hanno mostrato una serie di crescenti problemi per l’economia cinese. Le vendite al dettaglio sono aumentate solo del 2,5%, la produzione industriale è aumentata del 6,3%, meglio delle aspettative, e gli investimenti fissi sono aumentati del 5,9% nei primi nove mesi dell’anno. Tuttavia, il mercato immobiliare ha continuato a contrarsi sotto l’impatto dei problemi finanziari irrisolti del gigante Evergrande e di altre società del settore.

È stato stimato che il settore immobiliare rappresenti oltre il 25% dell’economia cinese se si considerano i suoi effetti di flusso verso altre aree. Le vendite d’immobili sono diminuite del 22%, le nuove costruzioni del 38% e gli investimenti immobiliari sono diminuiti dell’8%. Si trae la conclusione che la minore crescita non è una flessione congiunturale, ma significa un cambiamento importante nell’economia cinese.

Gran parte della responsabilità per la minore crescita è stata attribuita alle misure di salute pubblica istituite dalle autorità cinesi, ma va anche segnalato che l’economia cinese è cresciuta rapidamente nei dieci anni precedenti la pandemia, in media del 7,7% ogni anno. La fase di crescita significativamente più lenta è nella logica delle cose, posto che il settore immobiliare era stato gonfiato a dismisura dalla speculazione e che la popolazione in età lavorativa, dapprima cresciuta rapidamente, si sta ora riducendo com’era del resto previsto.

Meno forza-lavoro da sfruttare significa che l’economia non può produrre tanto senza generare inflazione, a meno la crescita della produttività non acceleri l’estrazione di plusvalore relativo. Ciò richiede nuovo impulso allo sviluppo tecnologico, che è limitato dalle restrizioni radicali imposte alla Cina come parte dei preparativi di guerra statunitensi.

La guerra non è più solo un’eventualità, ma una certezza. Come chiarisce il recente documento sulla strategia di sicurezza nazionale, gli Stati Uniti considerano la Cina la più grande minaccia al suo dominio globale. Di rimando, nel suo discorso di apertura al congresso del partito il 16 ottobre, Xi ha menzionato la sicurezza sei volte di più di quanto non abbia fatto riferimento all’economia. La guerra in Ucraina sta assumendo sempre più le sembianze delle guerre balcaniche all’inizio del secolo scorso, prodromo di quello che accadde poco dopo.

Le restrizioni al commercio internazionale e alla tecnologia, così come le normative più severe sulle società che operano in Cina, ridurranno la crescita della produttività. Dopo aver paralizzato il colosso tecnologico Huawei, gli Stati Uniti stanno estendendo l’attacco all’intero settore tecnologico. Queste mosse ricordano l’embargo petrolifero e bancario imposto al Giappone alla fine degli anni 1930, che ha svolto un ruolo chiave nell’innescare la guerra nel Pacifico. In fatto di provocazioni Washington non deve prendere lezioni da nessuno.

Le difficoltà cinesi non saranno senza effetti anche qui in Europa. In passato, quando le nostre industrie hanno dovuto affrontare rallentamenti e crisi, potevano ancora fare affidamento sui consumatori e sulle aziende cinesi per l’acquisto automobili, prodotti chimici, macchinari, eccetera. E i cosiddetti consumatori europei potevano anche fare affidamento sulla Cina per continuare ricevere con abbondanza di prodotti economici.

Non sarà più così. La recessione incombe in Europa, ma questa volta non potremmo avvantaggiarci della Cina e le sue merci non saranno più abbondanti e a buon mercato.

La cricca di Washington non rappresenta solo la maggior minaccia per la pace mondiale, ma da molto tempo anche la più grave causa di crisi economica.

martedì 25 ottobre 2022

Davvero fu l'uomo che salvò il mondo?

 

Ogni generazione ha conosciuto le sue ore di paura. È normale a sette anni avere paura di qualcosa che non si conosce se non per ciò che ne paventano gli adulti. Ed era appunto ciò che accadde nella settimana dal 22 al 28 ottobre 1962.

La mia opinione, per ciò che vale ovviamente, è che Kennedy avesse bluffato. Un bluff pienamente riuscito: sapeva che Chruëv non avrebbe mai rischiato un confronto bellico diretto con gli Usa a causa di Cuba.

La partita era già persa in partenza. Come avevano potuto pensare, al Cremlino, che l’Operazione Anadyr, con la dislocazione dei missili a Cuba, sarebbe passata inosservata a lungo e che la reazione di Washington non sarebbe stata forte e decisa?

Oppure Chruëv puntava ad altro? Nelle sue memorie scrive che lui e il suo ministro della Difesa, Rodion Malinovsky, avevano ben presente la minaccia derivante dai missili PGM-19 Jupiter schierati in Turchia (10 minuti per raggiungere l’URSS), e il conseguente svantaggio per l’Unione Sovietica contro la NATO. Nacque così nella testa di Krusciov il progetto di schierare missili a Cuba.

Alla fine della storia, Chruëv ritira i propri missili da Cuba e Kennedy i suoi dalla Turchia.

Eppure, secondo una certa propaganda odierna, gli eventi non furono completamente sotto il controllo dei due leader. Molti anni dopo s’è detto che un incidente nucleare fu evitato per un caso. Le ricostruzione date da Wikipedia e altre fonti a questo evento sono alquanto frammentarie e imprecise, direi romanzate. Mi servo di fonti professionali per la ricostruzione dell’ormai famoso caso del sottomarino sovietico B-59.

*

Il 1° di ottobre 1962, il sottomarino B-59, battello che fungeva da ammiraglia di una flotta subacquea composta dal B-36, B-4 e B-130, avevano lasciato la base della penisola di Kola in direzione del Mar dei Caraibi al fine di garantire il trasporto di armi sovietiche in consegna a Cuba. Il B-59 era comandato da Valentin Grigoryevich Savitsky, ed era armato anche di un siluro nucleare con potenza di 10 kiloton (Hiroshima = 16 kt).

lunedì 24 ottobre 2022

Quella volta che de Gaulle fuggì dall’Eliseo

 

Il 2 maggio 1968, un giovedì, alle ore 7.45 scoppia un incendio nell’ufficio della Federazione generale degli studenti di Lettere, alla Sorbona. Siamo vicini al dramma, perché sopra l’ufficio c’è un’abitazione. Sul posto intervengono i vigili del fuoco. Sulla parete un cerchio con una croce celtica rivendica l’attentato.

Gli studenti si mobilitano. Alain Peyrefitte, uomo di De Gaulle e ministro dell’Educazione Nazionale nel quarto governo Pompidou, fa chiudere la facoltà di Nanterre. Il giorno successivo, gli studenti tengono un meeting tempestoso nel cortile della Sorbona. Il preside Grappin fa intervenire la polizia che arresta tutti. Questo è l’episodio che scatenerà la rivolta studentesca e l’inizio degli scontri di strada.

sabato 22 ottobre 2022

Che cosa possiamo attenderci ?


Il fascismo ha il pelo lungo, ed è facile accusare e ironizzare sui fascisti e i reazionari che fanno semplicemente quello per cui sono al mondo. Sono nemici di una società organizzata sui diritti di tutti e senza bisogno di calpestare quelli degli altri. Ora, che sono passati dalla speranza al potere, agiranno apertamente, e più passerà il tempo e meno inibizioni avranno, sia in politica e sia per le strade. Vi sarà un ritorno a una violenza politica, con aggressioni, percosse, linciaggi, manifestazioni piene di braccia tese, bandiere naziste e ritratti del duce? Perché fino ad oggi che cosa è avvenuto? (*).

Quella che si spaccia per sinistra è incapace di fare mea culpa. Continuerà a voler dimostrare una superiorità autoritaria, a vivere tranquillamente come prima, non essendo davvero interessata a conoscere il perché delle cose e non stupendosi mai di nulla. Perché i fasci hanno moltiplicato per sette i loro voti in quattro anni? Perché sono saltati i legami che strutturano una società, e non basta gel e mascherina per proteggersi dalla voracità del capitale e dalle sue crisi (siamo diventati tutti liberali), e dunque dai rigurgiti del fascismo che sono un tipico prodotto storico della crisi.

C’è bisogno di un minimo di stabilità che allevi le ansie di una società che oscilla costantemente nel marasma creato dai repentini cambiamenti economici e sociali. Invece da ultimo le è stata regalata una guerra crudele e vana nella quale l’Occidente si è impegnato per assecondare gli interessi di Washington. Una guerra che è il frutto degli stessi errori commessi a danno dell’Iraq, della Libia, della Siria, e prima e dopo ancora a danno di molti altri.

Contro quelle guerre imperiali, crimini tra i più orrendi che hanno coinvolto decine di milioni d’innocenti, non si levarono, tranne eccezioni, quelle voci autorevoli che invece avrebbero dovuto urlare il proprio sdegno, come invece fanno ora ma in modo unilaterale, convinte quelle persone che a dare loro ragione su ogni punto in discussione basti evocare l’aggressione russa del febbraio scorso.

Che cosa possiamo attenderci a fronte della crisi economica che si profila ancora più grave e alla guerra di cui siamo parte in causa? Che cada il governo attuale messo di fronte alle difficoltà, oltre che per le proprie divisioni interne? Per sostituire questa destra fascistoide, nostalgica e reazionaria con che cosa? Siamo alle solite: hic Rhodus, hic salta!

(*) Non c’è stato un solo giornale che in questi mesi di campagna elettorale abbia ricordato, per esempio, che nel dicembre 2016, un intero quartiere della periferia est di Roma insorse, sostenuto da Forza Nuova, al grido di “non vogliamo negri”, per sfrattare una famiglia marocchina che occupava legalmente alloggi comunali. Il 21 gennaio 2017 Lega e Fratelli d’Italia hanno manifestato a Roma contro l’apertura da parte del comune di un centro d’accoglienza per migranti. Tre giorni dopo, Forza Nuova, CasaPound e il gruppo Roma ai romani hanno impedito a una famiglia egiziana di stabilirsi, ancora legalmente, in alloggi comunali. Il 25 aprile, a Milano, un migliaio di fascisti (finiamola con il neo e il post), accompagnati dai vertici di Forza Nuova, Lealtà, Azione e CasaPound, hanno marciato per commemorare la repubblica di Salò. A maggio, attivisti di Forza Nuova hanno fatto irruzione nella sede dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni a Roma, avvertendo: “La prossima volta non saremo così gentili”. Eccetera.

Certo, se la situazione dovesse degenerare un po’ troppo, l’Unione europea finirà per “preoccuparsi”. Possiamo scommettere che non si muoverà di un centimetro per attuare finalmente una vera politica comune per la gestione dei flussi migratori e l’accoglienza dei rifugiati. E questo esempio vale per altre questioni, da ultimo il gas. Senza alcun coordinamento, senza alcun ordine di marcia comune a tutti, nessuno, individualmente, ne uscirà. E l’Europa sarà condannata a ripetere gli errori tragici del passato. 

venerdì 21 ottobre 2022

Pensate non c’entri con l’aumento delle bollette?

 

I media ci torturano con le intemerate di un anziano in preda a un imponente scarico di ego troppo a lungo represso (come sapevano gli antichi, la pazzia porta a dire anche cose sgradevoli da sentire e che l’ipocrisia e la convenienza altrimenti tacciono), e c’intrattengono trepidanti di conoscere la lista dei ministri e della solita pletora di sottosegretari del nuovo governo. Intanto altri eventi accadono nel mondo, confermano il nudo potere del capitale finanziario e il modo in cui esercita la sua dittatura (in tal caso nessuno canta Bella ciao).

Partiamo da cose che sembrano distanti dal nostro quotidiano anni luce.

giovedì 20 ottobre 2022

Tutta colpa di chi s’è astenuto

 

Il pittore incaricato dal parlamento britannico ha completato oggi frettolosamente il ritratto ufficiale di Liz Truss. Truss infatti si è dimessa da primo ministro dopo soli 45 giorni in carica. Tradizionalmente, il ritratto ufficiale di un capo di governo britannico deve essere completato entro la fine del suo mandato per essere appeso in Parlamento nel cosiddetto “Corridoio dei Primi Ministri”.

Il pittore ha quindi completato il lavoro con una procedura affrettata prima di consegnarlo a un funzionario del Parlamento. Chi ha potuto vedere il dipinto, parla di un’opera espressionista.

*

Giorgia Meloni sarà il prossimo presidente del consiglio. Se poi dovesse succedere qualcosa a Mattarella, dio non voglia, ci troveremo con La Russa presidente supplente della Repubblica. Gli subentrerà al Senato il suo vice, Gasparri. Il presidente della Camera, sappiamo, è quel cristianissimo di Fontana. Naturalmente è tutta colpa di chi s’è astenuto dal voto. Per il ministero degli Esteri si pensa a una figura di alto profilo e sicura esperienza. Si parla di Galeazzo Ciano, ma anche Dino Grandi sembra avere delle chance.

mercoledì 19 ottobre 2022

Non abbiamo mai fatto i conti

 

A quella che fu la sinistra non basterà cantare Bella ciao. L’opposizione tra classi abbienti e classi povere non è più rilevante. Se solo i milionari votassero per la destra, in un mondo in cui il 10% più ricco detiene il 76% della ricchezza mondiale, la sinistra dovrebbe essere al potere in tutto il pianeta. È un fatto, verificato ovunque avanzi, l’estrema destra fa appello soprattutto alle classi lavoratrici. E sa quali corde toccare. Non solo piccola borghesia, ma anche proletari e sottoproletari votano Meloni, Bolsonaro, Orbán, Le Pen o Trump.

Ovunque l’estrema destra prolifera, s’insedia nel paesaggio, poi nei sondaggi, poi al potere. Per quanto assurdo possa sembrare, dà a una proporzione sempre crescente di elettori più speranze di quella che fu la sinistra, che non riuscirà a farla franca gridando semplicemente “fermiamo il fascismo!”. Tanto più in un sistema di pensiero dominato dai social network, dove insulto e minaccia fanno da argomento e la parola “fascismo” non significa più molto, e anche la parola “nazismo”, come abbiamo visto, è stata in qualche modo sdoganata.

Un esempio, quello del Brasile. Anche se Lula vincesse il 30 ottobre, cosa dubbia, il Brasile sarebbe ben lontano dall’aver chiuso con il bolsonarismo e le sue conseguenze. L’estrema destra sta vincendo le elezioni legislative e quelle per il rinnovo dei governatori e delle assemblee dei 27 stati federati. Così come gli Stati Uniti non hanno finito con il trumpismo (si vedrà), la Francia con il lepenismo (tutt’altro), e noi siamo alle prese con quello che chiamano “postfascismo”, che in realtà è nostalgia fascista che non ci ha mai lasciato, perché con il fascismo non abbiamo fatto mai veramente i conti.

La sinistra non esiste più da un pezzo, e se un nuovo soggetto politico che la rimpiazzi (ma non si vede chi e come), vuole recitare un ruolo, più che mai dovrà fare tabula rasa dell’esistente (impossibile) e puntare sull’immaginazione (manco per sogno).

martedì 18 ottobre 2022

Gli occhi con i quali guardiamo il domani

 


Molti di noi non hanno votato, hanno capito che il voto non paga. Tuttavia, sappiamo che non basta astenersi dal voto. E allora che cosa si fa? Come disse l’antico danese: prender l’arme e combattendo disperderli. L’arme è intesa qui come metafora, ossia al momento basterebbero dei classici forconi (suvvia, chi di noi non ha un forcone in casa?).

Siamo troppo attaccati a ciò che abbiamo per tentare una sortita per un domani di cui, ovviamente, nessuno conosce l’esatto approdo. Attendiamo con rassegnazione che si compiano le tragedie verso cui ci stanno portando, non certo inopinatamente, quei deficienti che decidono per noi?

Gli occhi con i quali guardiamo allo sviluppo dell’umanità sono un prodotto di quello stesso sviluppo che è stato reso possibile con la transizione dalla biologia alla cultura. Da allora la trasmissione culturale ha affiancato, integrato e in larga misura sostituito quella genetica nella funzione di agente di stabilità e di cambiamento, che ci ha condotti dalle prime piccole comunità alle grandi società.

Al contrario di ciò che possono decidere delle scimmie, spetta a noi stessi costruire la società nella quale vivere.

lunedì 17 ottobre 2022

La sveglia

 

Questa guerra mette ogni Paese europeo di fronte ai propri guai. C’è chi non riesce più a pagare le bollette, e chi invece non ha la carta igienica. Se noi avessimo il gas russo al prezzo di prima, non avremmo il problema del caro bollette. Se i russi avessero Repubblica, avrebbero il necessario per pulirsi il culo.

In attesa che un Nobel ci istruisca su come procurarci il fuoco sfregando un bastone tra le foglie secche e a conservarlo sulla pietra del focolare, consacriamo col nostro sangue l’amore sacro alla patria.

La sveglia è regolata per l’ora del disastro.


Non volevamo morire democristiani

 

Comè noto, la Germania si è data un piano di sostegno da 200 miliardi di euro per i suoi industriali. Infatti, le notizie non sono buone: inflazione al 10% quest’anno, recessione prevista per il 2023, forti tagli alla produzione nelle fabbriche. Olaf Scholz ha così inventato un aggeggio chiamato “freno sul prezzo del gas”, per analogia con il famoso “freno al debito”, sancito dalla Costituzione tedesca.

A proposito, questi 200 miliardi non faranno esplodere il debito pubblico? Certo, ma quando si tratta di salvare il culo le regole di prima non valgono più. Di fronte alle critiche della Corte dei conti tedesca, Christian Lindner, ministro delle Finanze, ha dichiarato che la creazione del suo Fondo di stabilizzazione ha permesso di “separare dal bilancio ordinario le spese per la lotta alla crisi finanziaria”. Ah, le regole! Sono invocate solo quando si tratta di aggredire i greci, gli italiani, i giovani, i precari e disoccupati, i poveri.

Per tutti gli altri europei, il piano tedesco pone due grossi problemi. Costituisce una chiara violazione delle regole della concorrenza libera e non distorta, in cui credono solo gli sciocchi e quelli che un tempo erano i partiti di sinistra. Inoltre, abbassando artificialmente il prezzo del gas per i consumatori e gli industriali tedeschi, si sostiene la domanda, che alimenta l’inflazione, non solo in Germania (ma attutisce gli effetti della sua recessione!), ma date le dimensioni di questo Paese, anche in tutta Europa.

Insomma, la Germania scarica i suoi problemi e la sua inflazione sugli altri, e riducendo i costi di produzione, le industrie tedesche saranno più competitive di altre, e quindi continueranno a guadagnare quote di mercato.

Questo è ovviamente l’obiettivo principale del piano. Se ci mettessimo nei panni di Olaf Scholz, faremmo come lui: l’industria è per la Germania ciò che il turismo è per l’Italia, cioè il cuore della sua identità, delle sue politiche di compromesso, della sua stabilità sociale.

Con la differenza che le nostre strutture turistiche sono già entrate in crisi e lo saranno molto di più nei prossimi mesi. Mi è accaduto di vedere, già in questo fine settimana, bar, ristoranti e negozi di antica tradizione che hanno cessato l’attività. Il mix di caro-bollette e affitti (è scattato l’adeguamento Istat) è diventato insostenibile.

Era già avvenuto in nome della competitività della sua industria, minata dopo la riunificazione del Paese nel 1990. La Germania, sotto l’impulso del suo cancelliere “socialdemocratico” Gerhard Schröder, aveva varato la legge Hartz, dal nome dell’ex capo del personale della Volkswagen. Tagliando i sussidi ai disoccupati, creando i minijobs a 800 euro, queste norme avevano notevolmente accresciuto la concorrenza tra lavoratori sottopagati e disoccupati, portando un calo dei salari. L’industria tedesca diventava ipercompetitiva in Europa nel momento stesso che ci si preparava alla moneta unica mutuata sul marco.

Dopo quel dumping sociale, i nostri amici tedeschi stanno ora instaurando un dumping energetico. Danke schön.

Mentre tutto ciò accade, noi siamo alle prese con la solita robaccia. Una destra che finalmente avrebbe dovuto cogliere l’occasione per mostrarsi diversa da com’è sempre stata, ossia ambigua e reazionaria, e invece già con la scelta dei presidenti di senato e camera, ha una volta di più mostrato di essere incapace di cambiare pelle, ossia di stabilire, giusto quanto scrivevo il 2 ottobre, un dialogo effettivo con altre culture e tradizioni politiche, di diventare, per dirla in breve, una destra laica e riformista, conservatrice quanto basta, che guarda avanti e non inciampa sul passato remoto.

Non volevamo morire democristiani, ma pur con ampio uso di litote, ci toccherà morire fascisti.

domenica 16 ottobre 2022

Non basta essere critici

 

Troppo tardi e troppo poco per un ravvedimento. Sarete spazzati via dalla crisi, dall’onda reazionaria che in questi casi è sempre pronta ad approfittarne. Non avete imparato nulla dalle tragedie del passato. Non perché siete ignoranti (anche), ma perché la vostra posizione di classe vi ha impedito, per esempio, di leggere nell’Unione Europea un progetto di ingegneria istituzionale e politica che risponde a interessi economici esclusivi della borghesia imperialista e, in particolare, del suo segmento più forte, quello tedesco. E così vale per la NATO e gli interessi dell’imperialismo statunitense.

*

Gli status symbol sono appesi sempre più in alto per le classi medio-alte, e questo accade non immeritatamente. Ed è solo l’inizio.

Non basta essere proletari o precipitati in una condizione proletaria per avere una coscienza di classe proletaria. L’una è condizione dell’altra, ma non è condizione sufficiente.

Non basta essere critici del capitalismo, o anche anticapitalisti, è necessario essere comunisti! Se vi dicono che il comunismo è fallito miseramente, dovete pensare che chi lo afferma è un miserabile bugiardo. Possiamo chiamare onestamente comuniste quelle società basate sulla penuria sistematica e su un imponente apparato burocratico che tutto decideva autoritariamente? Dopo il primo slancio rivoluzionario, che ebbe a sovvertire un sistema dispotico largamente premoderno, in quelle nuove formazioni sociali non è stato costruito nulla di più lontano dall’idea di socialismo e di comunismo.

La formazione in ciascuno di noi di una coscienza comunista è un processo di lotta, di lotta ideologica di classe, contro l’ignoranza, contro i riti, le false rappresentazioni e i vuoti concetti dell’ideologia borghese, quella a sostegno del “mercato” senza se e senza ma, che divide le persone, le spinge le une contro le altre, crea un inconciliabile antagonismo degli interessi, mente cercando di nascondere o giustificare tale antagonismo, corrompe tutti con la menzogna, l’inganno e l’ipocrisia. Contro l’egoismo e l’individualismo dell’ognuno per sé, contro la guerra degli uni e degli altri.

Per un processo di ricomposizione dell’insieme sociale e di trasformazione radicale dei rapporti sociali, di elaborazione di un progetto di costruzione collettiva e senza fine di una comunità evoluta, di una coscienza del NOI, di una volontà di classe ferma e strutturata: la comunità reale della rivoluzione comunista.

venerdì 14 ottobre 2022

Il brusio ci perderà




«Solo il 3% dei gruppi stranieri ha già lasciato la Russia dopo la guerra in Ukraina». Les Echos, vale la pena ricordarlo, non è un foglio bolscevico o filoputiniano, ma è proprietà di una multinazionale e conglomerata francese con sede a Parigi. In Francia i giornalisti non sono ancora del tutto delle merde sciolte, sono ancora capaci di un’analisi senza fake news, senza recitare la parte delle vergini spaventate a senso unico. 

Le tasse sui profitti sono il futuro!

 

La cosa più rivoluzionaria che possiamo fare
è dire ad alta voce e forte quello che sta succedendo.
Rosa Luxemburg

Tutto sta diventando super, al momento, superprofitti, super dividendi. Anche le bollette. In attesa che tutto diventi iper. In Francia, per esempio, l’altra sera in Parlamento, che chiamano appropriatamente Assemblea nazionale, il governo è stato battuto su un emendamento che fissa una tassazione sui “super-dividendi”, cioè quelli che superano del 20% il loro livello medio osservato nel periodo 2017-2021.

227 parlamentari hanno votato a favore di questo emendamento e 88 contrari. Visto che votare ed eleggere i propri rappresentanti funziona, almeno in Francia!

Ovviamente l’emendamento non sarà trattenuto nella legge finanziaria finale che sarà adottata senza votazione, mediante l’articolo 49 comma 3 della Costituzione, secondo il quale il governo può impegnare la propria responsabilità su un testo, e dunque non tenerne conto. In tal caso il governo corre il rischio di cadere con una mozione di censura.

Visto che la volontà dei parlamenti conta qualcosa!

Tuttavia questa mozione di sfiducia dev’essere adottata dalla maggioranza assoluta dei deputati, cosa che non ha alcuna possibilità di accadere, posto che questa maggioranza, alla resa dei conti, non esiste. L’approvazione di quell’emendamento, con gli scioperi in corso in Francia e il razionamento dei carburanti, è solo fumo negli occhi.

In un momento in cui i capitali si muovono per il pianeta più velocemente di quanto io raggiunga il supermercato di fronte a casa, in un’epoca in cui tutti gli Stati hanno abbassando le tasse ai ricchi, e continuano a farlo come nel Regno Unito (anche se i tagli alle tasse concessi da Liz Truss sono meno del previsto in seguito al panico sulla sterlina), pretendere di più dagli azionisti è una vana illusione. Il grande capitale domina il mondo incontrastato e incontrastabile.

Si parla di “grande stagnazione”. Certamente, ma è quella dei salari, soprattutto di quelli italiani. Profitti netti e dividendi sono invece in grande spolvero da decenni. Quanto alla tassazione di certi dividendi, le scappatoie legali non mancano, come per esempio sui dividendi corrisposti da società “figlie” italiane a società “madri” (5%); come per gli interessi corrisposti da società italiane consociate di società europee (possono essere esenti o con aliquota al 5%); stessa esenzione per i proventi derivanti dalle partecipazioni in fondi per il venture capital; anche per gli utili distribuiti a società europee, diverse da quelle cui si applica il regime “madre-figlia”, l’aliquota è poco superiore all’uno per cento; agli utili distribuiti dai fondi pensione nazionali ed europei è applicata l’aliquota dell’11%, eccetera. Insomma, le imposte sono belle purché siano molto variegate per gli investitori e speculatori, mentre non c’è scampo per gli altri.

giovedì 13 ottobre 2022

Dalla speranza al potere

 

È d’uopo occuparsi, sia pure per breve accenno, del fatto del giorno. Che la dice lunga più su chi l’ha votato l’Ignazio Benito che sull’eletto stesso. Il quale ha già annunciato le proprie intenzioni: anche l’anniversario dell’Unità d’Italia deve diventare festa nazionale. Mi pare un intento chiaro e moderato. Seguirà la giornata dell’8 settembre come lutto nazionale, e prima ancora il 25 luglio, e quattro giorni dopo invece festa grande per il genetliaco di Lui.

Che cosa aspettarsi da questa gentucola o gentaccia? Possono occuparsi solo di queste cose miserevoli, cioè a chi intestare le cadenze festive, non potendo, per impedimento di capacità e di autonoma volontà, occuparsi di cose più serie. E del resto la trilogia dio, patria e famiglia gli è rimasta nel cuore. Impossibile negare la filiazione ideologica.

Smettiamola pure di chiedere contorsioni senza senso, un servizio minimo di commemorazione o un segno di ravvedimento sono pur disposti a mostrarlo, sia pure a denti stretti e con circonlocuzioni che rivelano che la malattia non l’hanno ancora smaltita. Dalla notte dei tempi la destra reazionaria rifiuta la democrazia, mentre la destra conservatrice la accetta à la Orbán. Ecco, sono ancora indecisi tra queste due opzioni, non tra il 1922 e il 2022.

Diciamo che non rivendicano il pedigree originale e sono più “radicali” che estremisti. Il sequel di Io sono Giorgia sarà ecumenico: Dalla speranza al potere. Perciò non aspettiamoci dichiarazioni sulla disuguaglianza razziale e le camere a gas.

L’operazione di comunicazione del governo non avrà difficoltà, almeno all’inizio, a convincere gli elettori che è la “sinistra” a mettere i bastoni tra le ruote. Solo poi, quando le cose dovessero mettersi proprio al peggio, potranno sempre accusare i comunisti di essere delle bestie.

La farsa dei Nobel

 

Post lungo, tempo di lettura 3 giorni, notti e pasti compresi.

A proposito di premi Nobel, ieri cadeva l’anniversario della morte di Anatol France, uno scrittore che rifiutò la legione dell’onore, che fu favorevole alla rivoluzione bolscevica, le cui opere furono poste all’indice dai preti, e già solo questo fatto dovrebbe rendercelo caro.

*

Il presidente degli Stati Uniti Barack Hussein Obama fu insignito del premio Nobel per la pace nel 2009, dopo meno di otto mesi in carica, per i suoi “sforzi straordinari per rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli”. Quando ha lasciato l’incarico, nel 2017, gli Stati Uniti erano stati in guerra per tutti gli otto anni della sua presidenza.

Esiste un capitalismo “buono”?

 

Prima di rispondere alla domanda se esiste un capitalismo buono, è necessario chiarire in che cosa differiscono fondamentalmente i diversi ordinamenti sociali che si sono succeduti storicamente. Come ognuno sa, l’ordine sociale antico e quello feudale si fondavano sulla schiavitù e la servitù, mentre quello capitalista è basato sullo sfruttamento del lavoro salariato. Poi si possono aggiungere a ciò molte altre cose, ma la sostanza è quella.

Pertanto, tenuto conto di circostanze e condizioni totalmente differenti, ha senso chiedersi se vi sia un lato “buono” nel capitalismo? In chiave di emancipazione di alcune libertà individuali e collettive, considerando che le forme di sfruttamento della forza-lavoro avvengono generalmente a uno stadio superiore rispetto al passato. È però necessario fare almeno una precisazione.

I singoli capitalisti, dopo aver raccolto le mele d’oro, possono permettersi di atteggiarsi a filantropi, tuttavia ciò non muta sostanzialmente le condizioni generali del modo di produzione capitalistico e dell’ordine sociale classista che gli corrisponde.

Del resto è normale che una parte dei privilegiati della società desideri portar rimedio alle più palesi aporie del sistema, ma ciò avviene, con diverso grado di consapevolezza, per garantire la continuità dei rapporti sociali che definiscono lo status della borghesia.

Rientrano in questa categoria economisti e riformatori, che hanno in tasca la miglior ricetta della società possibile, proclamandone l’imparziale superiorità su tutte le altre. E poi viene tutto quel mondo di filantropi, organizzatori di beneficenze, fondatori di società caritatevoli, impregnati di rugiada sentimentale, febbricitanti di amore per il prossimo e che non rinuncerebbero mai alle proprie ossute verità eterne, non meno che al proprio variegato personale di servizio domestico.

Alla resa dei conti il capitale segue le sue leggi e il capitalista persegue i propri interessi e inclinazioni personali. Nient’altro è dato al momento su questo pianeta.

La vera domanda pertanto non è se esiste un capitalismo buono, ma dove ci sta portando il capitalismo. Mi pare indubbio che esso ci stia conducendo, tra meraviglie tecnologiche che sempre più ci ingabbiano in subdole e stringenti forme di asservimento e alienazione, verso situazioni umane e ambientali incontrollabili e irreversibili.

L’alternativa a questa tendenza non è quella di escogitare chissà quali riforme e assecondare il vangelo sociale della borghesia filantropica, ma di costruire le premesse per un salto di binario. Che ovviamente non può avvenire pacificamente, poiché da questo lato la classe dominante non lascerà la presa e cercherà in ogni modo di prevenire e respingere qualsiasi azione rivoluzionaria dovesse proporsi.

mercoledì 12 ottobre 2022

Grandi malfattori al timone

 

Se ne trovano sempre nel mondo di persone più o meno instupidite, anche tra persone di alto livello che, viste da vicino, sia pure televisivamente parlando, non sono ciò che si potrebbe credere.

Ieri sera, per la prima volta in questa stagione, ho ascoltato una trasmissione televisiva dove dovrebbe svolgersi dibattito e approfondimento sui temi correnti. Breve notazione di costume: gli ospiti erano tutti bruniti di una tintarella recente. Muratori e braccianti, senz’altro. Si parlava del mondo d’oggi, ovviamente, perfino di “povertà”, però come se essa dipendesse dal malvolere degli dèi. Anche in questa occasione non s’è sentita pronunciare una certa parola, che ormai sembra estinta: “capitalismo”.

Hanno ragione, il capitalismo narrato è roba vecchia, la nuova economia ha messo tutta la società a valore, vi sono laboratori di tutto il mondo che intascano miliardi grazie alle cellule prelevate settant’uno anni fa da una paziente di colore, a sua insaputa, senza averle pagato un solo centesimo.

Nessuno di quelli che passa la televisione ha interesse a mostrarci con che tipo di legna e a che prezzo ci dobbiamo scaldare nei prossimi inverni. Hanno l’elettrico sotto il culo, e a noi ci raccontano il ritorno ai piaceri semplici. A guardarli bene, ci si accorge che il primo dei loro organi sessuali non si trova sotto la cintura ma al centro del viso.

Questi critici della borghesia morente non possono che negare di essere il prodotto dell’ordine economico e sociale capitalistico, di far parte di quell’imperialismo che rimpiange lo strapotere avuto fino a ieri. Perciò fingono di muovere aspre critiche a questo o a quell’aspetto del grande fallimento, proponendosi magari di fondare un nuovo partito tutto loro, nel frattempo promuovendo la vendita di un proprio librino di aria fritta.

Sia chiaro: stesse critiche che in genere muovo anch’io nel mio bloggino, con la differenza che non chiedo voti, soldi o altro. E del resto, cari amici dell’insurrezione e dell’ozio, non posso dirvi, come fece già Sandro Pertini a suo tempo (molto tempo prima di diventare presidentissimo), andate a prendere le armi dove si trovano, ossia nelle caserme, quindi di mandarvi avanti standomene comodamente in tastiera.

Chi comanda nel mondo? È una domanda seria. Biden? Suvvia non scherziamo, e poi tra un paio d’anni dovrà arrangiarsi a proprie spese per il cambio di pannolone. Putin? In Russia, forse e pro tempore. James Dimon della JPMorgan bank, la più grande banca al mondo? Se ci mettiamo assieme Bank of America, Citigroup e Wells Fargo, viene fuori una bella “cupola”.

Bisognerebbe indagare la rete di proprietà internazionali e quella del controllo detenute da ciascun attore globale. La “super-entità” economica (economic “super-entity”), ossia quelle grandi corporation che controllano oltre l’80 per cento delle più importanti imprese del mondo, laddove, per dirla in altri termini, 3/4 della proprietà delle imprese è nelle mani di imprese dello stesso conglomerato. Chi tra quella gente abbronzata che ho visto ieri sera ha voglia di prendersi la briga di andare a fondo su queste cose?

L’abolizione della proprietà privata è già un dato di fatto da lunga pezza, e la grande proprietà è in mano a un’élite che domina il mondo e le vite di tutti. Venite a parlarci di libera concorrenza, signori pezzi di merda che scrivete sugli “autorevoli” giornali della stessa grande proprietà. Al massimo potete ricopiare diligentemente i comunicati stampa emessi dopo le riunioni che si tendono a porte chiuse nei covi della UE, della Bce, del FMI, della Federal Reserve, eccetera. Quando mai farete una “maratona” in diretta da quei covi di malfattori?

Il dettaglio della cravatta di seta


Vi sono settimane in cui il Domenicale si sfoglia e poi si getta direttamente nel cestino; altre, in cui qualche articolo si legge e più raramente si ritaglia, accomodando poi e come sempre Gianfranco Ravasi nella differenziata.

La scorsa domenica è stata una di quelle fortunate, con un articolo di Francesco Maria Colombo. Già il titolo è intrigante: Per illustrare un bel cimitero serve un vero snob. Per me i cimiteri rappresentano un tema irresistibile.

Colombo può starci agli antipodi per le pose e l’austero tweed col quale conduce la sua trasmissione il giovedì sera su Classica HD, però va riconosciuto il suo valore poliedrico, che non lesina di esibire non solo come critico musicale.

Nell’articolo in questione parla di Philippe Jullian, un illustratore e scrittore di cui in italiano esce un libro: Il circo del Père Lachaise, Medusa editore. Le illustrazioni di Jullian possono piacere oppure no, ma il suo talento è indiscutibile, i suoi scarabocchi sottili e delicati, scapricciati e nervosi, sono densi di significati, spesso irriverenti e graffianti (illustrò Proust, Wilde e Dickens), e fu autore di una critica molto seria e inquietante dei suoi (e nostri) tempi.

Per dire del tipo d’uomo, era uno che teneva i poster (originali) di Alphonse Mucha in bagno, e a una hostess che gli offriva un budino al cioccolato e crema chiamato Nègre en chemise, rispose: “Io li preferisco senza”. Impensabile nell’ipocrisia di oggi.

Jullian, espertissimo di belle cose antiquarie, è anche autore di biografie di personaggi fin de siècle e di romanzi. Colombo nella sua recensione cita “un libro di culto, ormai introvabile, romanzo folle e visionario che in francese si conosce come La Fuite en Égypte”. Riedito da Franco Maria Ricci nel 1973, con il titolo di Madame, non è proprio introvabile in lingua originale. Fantasia barocca, anche questo libro di Jullian richiede una società colta, diversa da quella delle classifiche top ten dello stesso Domenicale, diversa da quel cretinetti che ieri mi ha rinfacciato di aver usato la foto di un bambino in un post.

Alvar González-Palacios, un altro distintissimo signore che assomiglia nella postura a Francesco Maria Colombo, in un profilo uscito nel meraviglioso Persona e maschera (Archinto, 2014), definiva Jullian come un uomo piccolo e delicato, “un uccelletto”. Un burlone incallito che diceva di aver ereditato l’amore per i bei mobili e per i begli uomini dalla nonna materna. Come scrisse Giorgio Villani, “il dettaglio della cravatta di seta con la quale s’impiccò conferisce alla sua morte qualcosa ancora una volta di settecentesco”. 

martedì 11 ottobre 2022

Compagni di scuola

 


– Tesoro, chi è stato?
– Un bambino ucraino.
– Caro, in questi casi si dice: russofono. 

Fino a quando non viene giù tutto


Si era presentata come l’erede di Margaret Thatcher, ma era solo per la foto. Appena eletta, Liz Truss, la nuova inquilina di 10 Downing Street, ha tirato fuori il libretto degli assegni come mai era successo prima d’ora. Non meno di 45 miliardi di sterline (50 miliardi di euro) di tagli alle tasse per i più abbienti, diciamo pure ricchi, non compensati da nuove entrate fiscali, in nome dell’”attrattiva”.

Nel programma della Truss c’è la rimozione della fascia del 45% dalle aliquote d’imposta sul reddito, riduzione delle tasse sulle transazioni immobiliari e rimozione del tetto ai bonus bancari. I tagli alle tasse sono stati regressivi, dando al 10% più povero delle famiglie 13 sterline in più all’anno, ai redditi medio-alti 700 sterline e ai più ricchi 2.290 sterline, ma la realtà è anche peggio.

Secondo l’Institute for Fiscal Studies, “l’introduzione delle politiche e del congelamento delle tasse e dei benefici entro il 2025-26 è sostanzialmente regressivo, con i più poveri che vedono un calo del reddito del 2,8% del reddito e i più ricchi di solo l’1,1%”. Ogni anno, il divario si allarga, con i più poveri che perdono il 4,7% entro il 2030-31 e i più ricchi solo l’1,3%.

Inoltre, “il congelamento della soglia di £ 50.000 alla quale gli assegni familiari iniziano a essere ritirati ha portato il 26% delle famiglie con figli (2 milioni) a perdere alcuni o tutti gli assegni familiari, il doppio rispetto a quando la misura è stata introdotta un decennio fa”.

Insomma, nient’altro che misure a favore dei più bisognosi. Con il loro solito understatement, gli inglesi hanno definito la manovra un “mini budget”. Tuttavia nessuno, tranne loro, ha visto nulla di “mini”. I mercati finanziari hanno venduto massicciamente sterline spaventati dall’entità del dono fiscale. Sull’agonia dei fondi pensione del Regno Unito ho fatto un accenno qui.

Ed è proprio sul funzionamento di fondi d’investimento aperti (OEF) che potrebbe innescarsi una potenziale crisi per il sistema finanziario globale. Questi fondi consentono agli investitori il riscatto quotidiano dei loro investimenti mentre i fondi stessi investono in attività illiquide a lungo termine che non possono essere trasformate rapidamente in contanti, per cui le banche centrali devono intervenute durante episodi di grave stress dei mercati per fornire sostegni di liquidità ai settori finanziari, compresi questi OEF, vedi il programma di acquisto di obbligazioni da 65 miliardi di sterline avviato dalla Banca d’Inghilterra fino al 14 ottobre (e poi?).

Questi fondi sono costruiti su un inganno, come tutto del resto, ossia che puoi avere liquidità quotidiana e anche speculare sugli asset, che però fondamentalmente non sono liquidi (*).

In via generale, il Regno Unito, già duramente scosso dalla Brexit, sta mostrando tutti i segni di un’economia malata: deficit pubblico elevato, deficit commerciale massiccio, inflazione ufficiale al 10%, calo della valuta e forte aumento dei tassi d’interesse. Pertanto, le obbligazioni britanniche a dieci anni sono scambiate a un tasso d’interesse annuo del

3,7%, rispetto al 2,3% tedesco e al 2,5 francese. Come sappiamo bene noi italiani (4,6% a 10 Y), un piccolo punto di differenza rappresenta miliardi di rimborso annuo.

Il Regno Unito, lungi dal diventare più “attraente” in seguito a questi stupidi tagli alle tasse, e mentre le sue infrastrutture crollano velocemente quanto le nostre, ha perso “credibilità”, quasi pari a quei paesi poveri che spaventano gli investitori stranieri. Questa non è la prima volta, essendo il Fondo Monetario Internazionale (FMI) intervenuto nel Regno Unito nel 1976, quando la situazione finanziaria del paese era altrettanto catastrofica.

Insomma, al potere ancora degli incapaci (e dio ci scampi dai “capaci”). Del resto “la teoria del gocciolamento” (poiché di questo si tratta ancora), o del trickle-down (come dicono quelli che avevano la tata inglese) ha portato più disuguaglianze, più crisi, più debito pubblico e un totale disinteresse per la sorte di tutto il resto. A forza di minare i loro servizi pubblici e in nome di una presunta “attrattiva”, non sono pochi i Paesi che si stanno avviando a capofitto verso il sottosviluppo.

Attendiamo ora degli imitatori italiani, che certamente non mancheranno, almeno nelle intenzioni (che altro è la flat-tax?). Il capitale ha messo a valore l’intera società, per la questione sociale (guerre e sanzioni comprese) deve pensarci lo Stato, naturalmente a deficit crescenti. Debito pubblico che è, da sempre, uno dei pilastri della speculazione finanziaria. Tout se tient, diceva mio nonno. Fino a quando non viene giù tutto.

(*) La natura conflittuale tra breve e lungo termine degli investimenti è una caratteristica dei mercati finanziari ed è sempre stata un fattore importante nell’amplificare gli effetti delle turbolenze finanziarie. L’inasprimento della politica monetaria più completo che si sia mai visto, farà il resto. È solo questione di tempo, poi la “colpa” sarà data alla “guerra” e non al capitalismo. 

Un altro crack bancario a lieto fine

 

Quando si parla di giustizia di classe, a che cosa ci si riferisce in concreto? Che cosa diceva a tale riguardo Bertolt Brecht sul miglior modo per rapinare una banca? Di fondarne una! C’è chi ha preso questa raccomandazione molto sul serio, rapinando la banca essendone a capo, facendola sostanzialmente franca grazie alla complicità tra esponenti della stessa classe sociale, appunto. È proprio in queste faccende che si vede quanto sia democratica la nostra cara società.

Nel marzo del 2021 il giudice del tribunale di Vicenza aveva condannato a 6 anni e 6 mesi l’ex presidente della Banca Popolare di Vicenza Gianni Zonin per il relativo crack. In tale occasione erano stati condannati anche gli ex dirigenti Emanuele Giustini (6 anni e 3 mesi), Paolo Marin e per Andrea Piazzetta (entrambi 6 anni). Al processo di primo grado Zonin ebbe a dichiarare: «Io rimango ottimista, sono sereno come lo sono sempre stato in questi anni. Non dimentichiamo che anche la mia famiglia ha investito 25 milioni e li ha persi tutti».

Pochi mesi dopo, scatta la prescrizione (pilastro della nostra giustizia penale, come ben sa, tra gli altri, Berlusconi), che ha di fatto estinto alcuni dei reati come il falso in prospetto e, parzialmente, l’aggiotaggio. In tal modo, per gli imputati le condanne stabilite in primo grado solo pochi mesi prima sono state quasi dimezzate dalla Corte d'Appello di Venezia: l’ex presidente della banca vicentina dovrà ora scontare 3 anni e 11 mesi. Stessa pena anche per gli ex vicedirettori Andrea Piazzetta e Paolo Marin.

Quando la pena detentiva da eseguire non è superiore ai 4 anni, scatta la sua sospensione e non si fa un solo giorno di carcere.

Nel febbraio 2018 il gup aveva disposto il sequestro conservativo di beni della famiglia Zonin, imprenditori vinicoli, per 176 milioni di euro, che nel frattempo il capostipite aveva donato ai familiari. Nel marzo 2018 il tribunale di Vicenza aveva ordinato, nella villa palladiana di Montebello, un nuovo sequestro di beni di Zonin per 19 milioni, nominando custode dei beni un figlio del Zonin. Quattro anni fa, in cambio di 65 milioni, la 21 Invest della famiglia Benetton ha rilevato il 36% dell’azienda.

Zonin possedeva case, beni e terreni, anche all’estero, in California, Sudafrica, Canada, Argentina, eccetera. Si procederà ora, dopo la sentenza d’appello, con il pignoramento o con la liberazione dei beni custoditi in Italia? Tranquilli, la famiglia Zonin non farà fatica ad arrivare alla fine del mese e continuerà ad alloggiare presso le proprie ville. La sentenza ha revocato la confisca disposta nei confronti degli imputati, per l’importo di 963 milioni di euro.

Quanto agli incauti (eufemismo) investitori della Banca Popolare di Vicenza (118 mila), purtroppo (sì, purtroppo) verranno almeno in parte risarciti con il Fondo per il risarcimento per le vittime dei crack bancari, istituito con la legge di bilancio 2019, e in tal modo potranno essere risarcite perfino le azioni e le obbligazioni subordinate. Indovinate, alla fine chi pagherà? Risposta esatta.

Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them?