mercoledì 31 maggio 2023

Illimitati


I vigili urbani da tempo non si chiamano più così. Si fanno chiamare “polizia locale”. Non usano più la classica paletta per dirigere il traffico, che sembra non essere più compito loro. Sono armati di pistola, manganello, manette e altri aggeggi così. Andatura a gambe leggermente divaricate e braccia alla King-Kong, nella loro nuova veste di sceriffi si sentono dei Rambo. È aumentato il tasso di delinquenza urbana o solo il senso d’insicurezza?

A scorrere la pagina on-line dei quotidiani c’è davvero da chiedersi che cosa sia successo nella nostra società negli ultimi lustri: stupri, omicidi, sparatorie, persone che scompaiono nel nulla, medici pestati nei pronto soccorso, genitori che picchiano insegnati e alunni che minacciano armati di coltelli. Ma non c’è solo questo. Mi riferisco invece al degrado della cosiddetta convivenza civile, che è molto più comune e generalizzato, perché quello che traspare da questi drammi è il progressivo affievolirsi del legame che unisce gli individui di una stessa società.

La miriade di autori di piccole violenze e soprusi quotidiani, che sembrano non essere più obbligati a nulla, rifiutando ogni vincolo legale, morale o etico nei confronti degli altri. La convivenza con gli altri è diventata per loro insopportabile e la vita comunitaria un insulto. Si torna sempre alla stessa osservazione: la dimensione collettiva dell’esistenza è sempre più segnata da preoccupanti pretese individualiste, dove l’assenza di limiti, spesso e in buona sostanza di creanza e rispetto, è questione centrale delle nostre società.

Lo so, i problemi sono ben altri, tipo come nutrire 9,6 miliardi di esseri umani nel 2050 in un mondo che si sta prosciugando, bruciando o annegando. E però al momento permettetemi di occuparmi anche dell’idiota che a velocità folle ti sfiora con il monopattino e del cretino che nelle ore più impensate usa il tagliaerba o ci delizia con il karaoke. Sarà che sto invecchiando male, ma una sommatoria di sgradevolezze subite ogni giorno mi manda fuori dai gangheri.

Dunque e più in generale non si tratta solo di marginalità, povertà, precarietà e cose così. Penso si tratti anche del senso dell’illimitato che ha pervaso le nostre vite. Ci vendono consumi illimitati, chiamate telefoniche illimitate, internet illimitato, chilometraggio illimitato, tutta una serie di promesse illimitate. “Illimitatoè una parola abusata da inserzionisti e venditori (anche “gratuito”). Perché poi sorprendersi se il nostro agire ha la pretesa di essere illimitato? 

martedì 30 maggio 2023

Una sola opzione

 


Quando le maggiori potenze guidate dagli Stati Uniti imposero sanzioni economiche e finanziarie contro la Russia all’inizio della guerra in Ucraina, ritenevano che queste misure avrebbero rapidamente paralizzato l’economia russa, portando a una capitolazione o a un cambio di regime dall’interno dell’oligarchia dominante.

Le decisioni più significative sono state l’esclusione della Russia dal sistema di pagamenti globali SWIFT e il congelamento dei 300 miliardi di dollari di attività finanziarie detenute dalla banca centrale russa.

Tuttavia il tracollo russo non c’è stato, e Mosca ha trovato il modo di aggirare le sanzioni, almeno finora. Ma le misure imposte dagli Stati Uniti (l’Office of Foreign Assets Control del Tesoro sovrintende alle sanzioni) hanno avuto conseguenze indesiderate, e non solos in l’Europa, che resta comunque la più colpita.

Queste misure di ritorsione contro la Russia, che da anni subisce le provocazioni e l’aggressione della NATO, hanno potuto essere intraprese grazie al ruolo del dollaro come valuta di riserva globale del mondo. Il congelamento dei beni delle banche centrali russe ha provocato un’onda d’urto in tutto il sistema finanziario globale, andando ben oltre la Russia, perché è stato riconosciuto che un’azione del genere poteva essere intrapresa contro altri Paesi renitenti al diktat imperialista degli Stati Uniti.

Da qui un crescente allontanamento dalla dipendenza dal dollaro come valuta globale preminente da parte di Paesi importanti. La Russia, la Cina, l’Arabia Saudita e il Brasile, tra gli altri, hanno cercato di concludere accordi commerciali nelle proprie valute, piuttosto che in dollari. Le mosse fatte finora sono ben al di sotto della sostituzione del dollaro, ma non ci sono dubbi sulla tendenza, che se continuerà, potrà avere gravi conseguenze.

Di questo pericolo ne è consapevole, ovviamente, anche il segretario al Tesoro americano, Janet Yellen: “Quando utilizziamo sanzioni finanziarie legate al ruolo del dollaro, c'è il rischio che nel tempo possa minare l'egemonia del dollaro”, anche se poi ha aggiunto in tono rassicurante (che altro doveva dire?) che “il dollaro viene utilizzato come valuta globale per ragioni che non sono facili per altri paesi nel trovare un’alternativa con le stesse proprietà”.

L’aumento del prezzo dell’oro e, soprattutto, l’aumento degli acquisti di oro da parte delle banche centrali, esprimono bene lo stato di preoccupazione generale. Lo scorso anno le banche centrali hanno acquistato 1079 tonnellate di lingotti, il massimo da quando sono iniziate le registrazioni nel 1950.

All’indomani della seconda guerra mondiale, il dollaro divenne la principale valuta globale e riserva di valore, in grado di svolgere questo ruolo grazie alla vasta supremazia economica statunitense e alla decisione presa alla conferenza di Bretton Woods nel 1944 affinché i biglietti verdi fossero convertibili in oro al tasso di 35 dollari l’oncia.

Com’è noto, quel sistema terminò nell’agosto 1971, e da allora il dollaro ha funzionato come valuta fiat, cioè senza il sostegno di una sottostante materiale, come l’oro, che incarni un valore reale. La forza del dollaro si basava sul potere economico-finanziario e politico degli Stati Uniti, in altri termini sul suo status di economia più grande del mondo, sulla pervasività e ampiezza dei suoi mercati finanziari e la maturità e stabilità istituzionale quale garanzia del rispetto per lo stato di diritto.

Le tre condizioni per la stabilità del dollaro sono state scosse dalle fondamenta: gli Stati Uniti saranno presto superati dalla Cina come prima economia mondiale (se già ciò non è avvenuto); i mercati finanziari sono stati soggetti a shock sempre maggiori, minacciando l’intero sistema finanziario globale.

Senza entrare troppo in dettaglio e rifare la storia della crisi finanziarie dal 1987 al 2008, è sufficiente prendere in considerazione che nel marzo 2020, il mercato del Tesoro statunitense, che vale 22.0000 miliardi di dollari, base del sistema finanziario statunitense e globale, si è bloccato in modo tale che per diversi giorni non ci sono stati acquirenti per il debito del governo statunitense, considerato ufficialmente come il più sicuro strumento finanziario del mondo.

La disintegrazione dell’intero sistema finanziario è stata scongiurata solo da un massiccio intervento della Fed, che ha acquistato altri 4.000 miliardi di dollari di asset finanziari. Poi, a partire da marzo 2022, gli aumenti dei tassi d’interesse della Fed hanno dato il via a tre dei quattro più grandi fallimenti bancari nella storia degli Stati Uniti, dimostrando che le misure normative post-2008 erano sostanzialmente prive di valore. Solo il ripetuto intervento delle autorità governative impedisce di volta in volta una rottura “sistemica”.

Quando all’idea che gli Stati Uniti godano di stabilità istituzionale e di rispetto per lo stato di diritto, questa è stata infranta dal tentativo di colpo di stato del 6 gennaio 2021 da parte di Trump (tentativo ben più grave di quanto i media siano autorizzati a raccontare). Quindi il ripetersi del conflitto sul tetto del debito degli Stati Uniti, la situazione sociale interna, l’inflazione più alta degli ultimi quattro decenni, eccetera.

La dura realtà degli Stati Uniti e di gran parte dei Paesi europei è che hanno più debito che PIL. Una crisi del dollaro, a causa di uno shock inaspettato, come un ampio ritiro dal mercato del debito statunitense da parte di un importante investitore come la Cina o il Giappone, o per altre cause, avrebbe implicazioni finanziarie e politiche di vasta portata. Finora la Fed ha affrontato i crolli finanziari grazie allo status globale del dollaro, ma se tale status svanisce, l’America affronterà una resa dei conti che la scuoterà dalle fondamenta.

Né la cooperazione globale né il dominio occidentale sembrano reggere. Quando le cose prenderanno una certa piega, possibile e di alta probabilità, resterà only one option.

lunedì 29 maggio 2023

“It’s the politics, stupid”


A Trento si è tenuto il tradizionale festival dell’economia, ossia un meeting in cui è totalmente assente la critica al modo di produzione capitalistico.

Del resto, per quale motivo degli economisti, dei politici, dei sociologi, dei giornalisti e altre teste di legno, ben serviti e ottimamente retribuiti, non dovrebbero ritenere questo sistema economico sociale come il migliore possibile?

sabato 27 maggio 2023

Auguri Henry, vecchia canaglia


L’ex sergente Heinz Alfred Kissinger copie oggi cent’anni. Ha scritto in gioventù un grande e insuperato saggio sulla diplomazia della Restaurazione, poi s’è trovato, a mio avviso quasi per caso, dalla parte del Partito repubblicano. Come statista il giudizio è (stato) molto controverso, ma oggi, in questa nostra epoca di diserzione, di Kissinger non si ricorda quasi più nessuno. Fu tra i pochi ad accorgersi, a un certo punto, che la causa del Viet-Minh era prima di tutto un nazionalismo prima che ideologia, anche comunista (non erano i dollari, la marijuana, i Rolling Stones o le puttane di Saigon a far cambiare idea ai viet minh). Così come oggi è sbagliato confinare nei loro presupposti ideologici i combattenti ucraini, che non sono tutti nazisti (*).

Avercene oggi di statisti come Nguye"n Sinh Cung o Henry Kissinger. Questo mio giudizio l’ho già espresso, anche sul blog, in più di un’occasione, facendo storcere il naso a qualche lettore che ricorda il Cile di Pinochet (che cos’è oggi la Polonia?). Che avrebbe dovuto fare un segretario di Stato nel suo “cortile di casa”? Lo stesso vale oggi per la Russia di Putin. E poi i suoi libri vanno letti, non solo commentati.

Grande diplomatico Kissinger, almeno con lui si sapeva con che canaglia si aveva a che fare. Un diplomatico è un uomo educato, che deve saper discutere amabilmente con avversari subdoli e subdoli come lui. Lo statista sa mettere a tacere le sue emozioni che lo indurrebbero a piagnucolare ogni volta che gli vengono mostrate foto di bambini straziati dalle bombe o dalla fame. Ciò non significa che sia insensibile, ma che sa controllare le sue emozioni e reprimerle se necessario. Un diplomatico sa trattenere le lacrime di fronte all’orrore. Oggi Tocqueville, in redingote, fuggirebbe dall’America su un camion della spazzatura, come un comune delinquente.

(*) Ai suoi giorni, Nixon aveva cercato di fare pressione sui nordvietnamiti avviando l’operazione Rolling Thunder, che doveva schiacciarli sotto tonnellate di bombe. Nixon pensava che i nordvietnamiti si sarebbero detti: “questo furfante è così pazzo che è meglio discutere con lui al tavolo delle trattative”. Ma i vietnamiti del nord non erano turbati dai B-52. Kissinger suggerì di bombardare le dighe per inondare le risaie e far morire di fame i vietnamiti. Il resto della storia è noto. La capacità del diplomatico è quella di prendere decisioni spietate, ma indispensabili per portare avanti un dossier difficile. Altrimenti c’è la vita monastica.

venerdì 26 maggio 2023

L'ultimatum alla Russia

 

Quando nel 1975 fu istituito il forum intergovernativo che conosciamo come G7, i paesi che vi aderivano rappresentavano circa il 60% della produzione economica mondiale. Oggi solo il 31%. Basterebbe solo questo dato per chiarire molte cose, prima tra tutte la volontà o comunque l’accettazione da parte di questi Paesi di un conflitto bellico mondiale che ridisegni i rapporti di forza.

Durante il recente vertice G7 di Hiroshima (quanta ipocrisia nell’aver scelto questa città) è stato intimato alla Russia di fermare la sua aggressione, di ritirare immediatamente, completamente e incondizionatamente le sue truppe e le sue attrezzature militari dall’intero territorio dell’Ucraina riconosciuto a livello internazionale (dunque anche dalla Crimea).

Non si tratta di uno dei comunicati a cui siamo abituati durante questi summit. È stato lanciato un ultimatum alla Russia che non lascia spazio a soluzioni diplomatiche, in cui si chiede la resa incondizionata di Mosca, peraltro senza offrire garanzie di sicurezza per Mosca o la rinuncia all’ammissione dell’Ucraina alla Nato. Tutt’altro.

La dichiarazione impegna i Paesi aderenti a “fornire il sostegno finanziario, umanitario, militare e diplomatico di cui l’Ucraina ha bisogno per tutto il tempo necessario”, cioè fino alla sconfitta militare della Russia. È ovvio che la Russia non può soddisfare questo ultimatum senza firmare la propria condanna a morte. Un ultimatum il cui unico scopo è continuare la guerra finché la NATO non raggiungerà il suo obiettivo: l’instaurazione di un regime fantoccio a Mosca e la distruzione della Federazione Russa.

Ci sono precedenti storici per tali ultimatum inaccettabili. Il più famoso è l’ultimatum austro-ungarico alla Serbia nel 1914. Si chiedeva alla Serbia di rinunciare alla propria sovranità come Stato indipendente. L’Austria voleva la guerra ed era sostenuta dalla Germania. Le grandi potenze non sono semplicemente “scivolate” in quella guerra: volevano la guerra o almeno l’accettavano come condizione per rompere i rapporti di forza stabilitisi negli ultimi quarant’anni.

Le potenze industriali emergenti di Germania e Stati Uniti erano assetate di materie prime, mercati e opportunità di investimento che erano in gran parte controllate dai loro rivali Gran Bretagna e Francia. Cambiano (alcuni) attori nello scacchiere, ma il gioco è sempre quello.

Mercoledì, la Norvegia ha dichiarato che sosterrà i programmi di addestramento degli Stati Uniti per i piloti ucraini per pilotare aerei da combattimento F-16. Lo stesso giorno la USS Gerald R. Ford è arrivata a Oslo. La USS Ford è la più grande nave da guerra mai costruita e la prima di una nuova generazione di tali portaerei commissionata dagli Stati Uniti. Il gruppo d’attacco guidato dalla Ford comprende due sottomarini a propulsione nucleare, due incrociatori lanciamissili classe Ticonderoga e uno squadrone di cacciatorpediniere. Una dimostrazione di forza e di determinazione.

Dopo aver lasciato Oslo (la Norvegia condivide, senza motivi di contesa, un confine terrestre con la Russia e un confine marittimo nel Mare di Barents), il gruppo d’attacco si recherà nell’Artico, per effettuare operazioni di “libertà di navigazione”, un termine provocatorio usato dagli Stati Uniti per navigare vicino alla costa russa, dove l’”incidente” è sempre possibile.

mercoledì 24 maggio 2023

Mi sarebbe piaciuto

 

Vogliono scoreggiare più in alto del loro culo. Del resto quando gli ricapiterà un’occasione del genere? Gli ricapiterà, gli ricapiterà. L’ideologia del boia chi molla apre sul vuoto. Che cosa possiamo aspettarci altrimenti quando vediamo lo stato di disintegrazione e compiacimento del mondo intellettuale sempre alla ricerca di distruggere ciò che di buono era rimasto della vecchia socialdemocrazia capitalista? E il conseguente impoverimento della vita di tutti! Esiste ancora un dibattito pubblico che non sia stato infestato negli ultimi decenni da vari tipi di zecche, da personaggini mediatici che non hanno nessuna idea vissuta e dunque l’esperienza che dissolve la banalità, che quando non sanno le cose se le inventano e quando credono di saperle è pure peggio? Non mi riferisco solo alle ultime patetiche esternazioni di chi parla dell’alluvione come un qualunque teppista di Dio, ma va bene anche quel lacerto come esempio della follia che trabocca. Senza contare che oltre a queste domande, dovremmo far confluire nella nostra testolina quelle vertiginose che nessun pixel potrà rendere interessanti quando ciò che invece attrae corrisponde alla piattezza degli schermi.

Mi sarebbe davvero piaciuto parlarti di qualcos’altro. Cordiali saluti.

giovedì 18 maggio 2023

Ma levati di torno

 

Armando Torno è stato responsabile del supplemento Domenica de Il Sole 24 Ore fino al 2000. Attualmente è editorialista dello stesso supplemento e ogni settimana in terza pagina ci delizia di un suo articolo. Nei suoi due ultimi ha citato nientemeno che Karl Marx.

Nell’articolo di domenica 7 maggio, la citazione è la seguente: “I reazionari di ogni tempo sono buoni barometri degli stati d’animo della loro epoca, come i cani per le tempeste”. Armando Torno trae questa citazione marxiana dagli Scritti politici giovanili. Un riferimento bibliografico un po’ generico tuttavia sufficiente per rintracciarlo a pagina 130 dell’edizione Einaudi (nella MEOC, I, p. 183).

Accade spesso che nel citare Marx non ci si curi troppo e anzi per nulla di offrire al lettore un riferimento bibliografico preciso. Ricordo a riguardo un noto autore che rimandava semplicemente e ripetutamente a questo luogo: Il Capitale. Si guardava bene dall’indicare perfino se il primo, secondo o terzo libro.

La seconda citazione di Torno riguardo a Marx è di domenica scorsa, ed è la più interessante:

«In una sua celebre lettera, l’Epistola a Meneceo, in cui tratta i temi della felicità e della morte, Epicuro parla degli dei. Essa sarà meditata dai Padri della Chiesa e dai pensatori di ogni tempo: Karl Marx, che scelse la tesi di laurea su Democrito ed Epicuro, ne riprende alcuni passi e li utilizza per dare corpo al suo ateismo».

Siamo in presenza, nel caso di Armando Torno, di un classico esempio di citazione di seconda o terza mano, e anche di un esempio di chi nel far proprie cose altrui le copia male o le trova già errate: in nessun luogo della sua dissertazione di laurea (1841), Marx cita l’Epistola a Meneceo. Marx invece cita ampiamente tale epistola in un altro suo lavoro, ovvero nei Quaderni sulla filosofia epicurea, scritti fra l’inizio del 1839 e al massimo il febbraio del 1840 (MEOC, vol. I).

La dissertazione marxiana, cui allude Torno, Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, è anzitutto da leggere per sé stessa, perché di tante cose tratta, salvo l’intento di Marx, come vorrebbe Torno, di utilizzarla, citando Epicuro (ma non l’Epistola a Meneceo), di dar “corpo al suo ateismo”. È sufficiente leggere l’indice della dissertazione per rendersi conto che di tutt’altro Marx si occupa in essa.

Dunque, è necessario interrogare la dissertazione senza iscriverla nel comune stereotipo. Come dichiarato dallo stesso Marx, in una lettera a Ferdinand Lassalle nel 1857, la sua tesi aveva per lui un significato politico piuttosto che semplicemente filosofico nel senso stretto del termine. E del resto, possiede anche un significato filosofico di non poco conto, poiché già in essa si possono scorgere gli elementi filosofici portanti di un discorso che si farà sempre più impegnato, forte e sicuro ma mano che il giovane Marx metterà a punto la sua concezione storico-materialistica.

Per orientarsi nella tesi è opportuno tenere presente che l’importanza dell’epicureismo, dello stoicismo e dello scetticismo è dovuta, secondo Marx (vedi la Prefazione), al fatto che essi costituiscono i “sistemi che sono la chiave della vera storia della filosofia greca”, nel senso che ne segnano sia il culmine e sia il declino (in Epicuro “il declino della filosofia antica si presenta [...] perfettamente oggettivato).

Il sistema filosofico di Epicuro, sempre secondo Marx, risponde essenzialmente a una polis che declina e poi crolla, lasciando il posto alla forma imperiale. Il “declino della filosofia antica” corrisponde quindi alla fase di declino della polis, la esprime e, così facendo, vi partecipa.

L’originalità di Marx, come indica il titolo stesso della sua tesi, consiste nell’evidenziare la “differenza nelle filosofie naturali”, nel mostrare la “differenza essenziale” che le separa. Questa differenza sembra essere facilmente individuabile fin dall’inizio: per Democrito l’essere appare governato dalla “necessità”, nel senso che gli atomi che lo compongono sono legati tra loro da causalità, in modo che il percorso di alcuni è determinato da quello di altri; per Epicuro, al contrario, non c’è altro che una “possibilità di essere”, il che significa che “il destino [...] non è” dato, poiché tutto alla fine si riduce alla contingenza, ossia al caso. Necessità da una parte, caso dall’altra. L’opposizione non potrebbe essere più chiara.

Al che questa opposizione non vieta affatto di riunire Democrito ed Epicuro facendo di loro due difensori del materialismo, uno supponendo che la materia sia governata dalla causalità e per l’altro dal caso (*). Marx rifiuta una tale proposizione: il “modo di spiegazione” che Epicuro adotta, sostiene, e questa è la tesi principale che difende sul suo argomento, non mira alla conoscenza della “realtà oggettiva della natura”, che designa come “atarassia”, che significa la tranquillità dell’anima o della coscienza.

Che cosa significa tutto questo? Per Marx, fu Lucrezio il primo a capire chiaramente che cosa fosse la fisica di Epicuro. Questa fisica deve essere considerata secondo Lucrezio come rottura delle “catene del destino”, è “quel qualcosa che può combattere e resistere”, il “libero arbitrio”, la “libera scelta” o la “libertà” che profetizza contro.

Ma quale libertà, si chiede Marx? Dobbiamo qui considerare il contesto storico e politico in cui si colloca la riflessione filosofica in Epicuro (nacque nel 341, la battaglia di Cheronea è del 388). Descrive una “caduta della vita sostanziale” e la “sua condizione all’interno di questa vita”, di un “mondo lacerato”, e dunque non trova più quella libertà esercitata nella polis morente. Insomma, la libertà non si realizza più nella e attraverso la polis e con altri cittadini, ma piuttosto scappando da loro, ignorandoli. La famosa “atarassia”, per dirla spiccia.

Quanto sia attuale tale riflessione (che qui per necessità espositiva e di sintesi ho volgarizzato ignobilmente), lo può giudicare il lettore prendendosi la briga di leggere la dissertazione marxiana di prima mano, nel caso ne fosse interessato.

(*) «Al determinismo ci si sottrae elevando a legge il caso, alla necessità ci si sottrai elevando a legge l’arbitrio» (Quaderni sulla filosofia epicurea, MEOC, I, p. 507). Marx aveva altresì ben chiaro il rapporto dialettico tra caso e necessità.

Smemorati d'Italia

 


Non giustifico queste forme di repressione poliziesca e giudiziaria, tuttavia vorrei ricordare, ai numerosi indefessi difensori dei principi democratici e titolari esclusivi del giudizio storico-sociale, le numerose condanne a decine di anni di carcerazione da parte dei tribunali italiani per il reato di “concorso morale”, oppure quando sono rifiutati i benefici di legge ai detenuti con queste (non rare) motivazioni:

«secondo il giudice di sorveglianza nei suoi testi, in particolare nel libro, Esilio e castigo (2005) dove aveva raccontato i retroscena dell’estradizione, spiegava il fenomeno della lotta armata avrebbe mostrato un atteggiamento “che si concepisce come controparte rispetto a tutte le istituzioni pubbliche”, accusate di scrivere la storia da vincitori assumendo atteggiamenti vendicativi attraverso le relazioni delle commissioni parlamentari, le sentenze della magistratura ecc. (pag. 43 del volume Esilio e Castigo, edizioni La Città del Sole)», mostrando secondo il magistrato «il perdurante disprezzo delle istituzioni dello Stato di diritto» che «seppur praticato con una maturità che gli consente di esporre le proprie idee in modo da rispettare le regole sociali» (come correttamente rilevato nella relazione di sintesi), «non si concilia con la condivisione dei valori fondanti del sistema giuridico- democratico italiano». 

mercoledì 17 maggio 2023

Quella merda di Manzoni


C’è chi si occupa della merda di Manzoni. Si sono scritti un’infinità di articoli sull’argomento, addirittura dei saggi e tanta altra roba mediatica. Ultimamente se n’è occupato anche un convegno internazionale tenutosi al Dipartimento di cultura e civiltà dell’Università di Verona.

Non c’entrano gli escrementi di Alessandro Manzoni, bensì quelli di un lontano parente dello scrittore: Piero Manzoni. Morto trentenne nel 1963, Piero fu icona di una teoria rivoluzionaria: l’artista è un re Mida che trasforma in arte tutto ciò che tocca. E non solo ciò che tocca con mano: infatti Piero è noto universalmente e in particolare per una sua opera seriale: 90 esemplari di scatolette etichettate come Merda d’artista.

Ebbene, Laura Mensi, dell’Istituto universitario di architettura di Venezia, ha avuto il compito di studiare lo stato di conservazione delle scatolette, e Nicola Ludwig, Università statale di Milano, quello di stabilire il reale contenuto dei manufatti. Mensi ha constatato che le scatolette hanno resistito bene e al tempo e soprattutto mantengono il loro valore per i collezionisti (275mila euro cadauna).

Ludwig, invece, ha affrontato l’impresa scientifica di verificare se il contenuto delle scatolette corrisponde esattamente a quanto indicato in etichetta. Usando mezzi fisici non invasivi a disposizione del suo laboratorio, in particolare i raggi X, ha osservato la presenza di una seconda scatoletta più piccola contenente materiale radiopaco, probabilmente gesso o argilla; inoltre l’esame spettrografico del poco percolato presente, ha escluso tale esso provenga da feci essiccate.

Finalmente è stata data risposta a un interrogativo che da sessantadue anni teneva occupati esperti e cultori della materia: il contenuto di quelle scatolette non è conforme a quanto dichiarato in etichetta, dunque non è materiale attinente all’arte contemporanea, ma si tratta invece di un prodotto di buon artigianato.

N.B.: Traggo questa notizia dal numero di maggio della rivista le Scienze. Ho controllato se presso i docenti dello IUAV risulti una Laura Mensi. Nessuna docente corrisponde a tale nome, ma vi è invece una Luisa Mensi, esperta di conservazione e restauro, che leggo essere in stretta collaborazione con la Fondazione Archivio Piero Manzoni di Milano. Quanto a Ludwig Nicola Gherardo, leggo sia professore associato e si occupa di tecniche fisiche avanzate applicate ai beni culturali. 

martedì 16 maggio 2023

Il ritorno del fascismo

 

Dieci e più anni fa era estremamente difficile dare risposte chiare alle domande: “che cos’è il fascismo oggi?” e “si può parlare di un ritorno del fascismo in Italia e in Europa?”.

In un post del 10 giugno 2010, dal titolo Il fascismo non marcia più in orbace, scrivevo: «La ex sinistra di lotta e di governo ha sposato, fin che morte non li separi, i principi del neoliberismo fallito: tagli alla spesa sociale, cuneo fiscale a favore delle imprese e incrementi demenziali per quella militare. La sinistra vetero, invece, è ancora ferma allo statalismo cialtrone e inefficiente del secolo scorso e al programma “anche i ricchi piangono”. Poveri illusi. [...] Tutto il peso della crisi è sulle spalle di chi lavora e ha meno, rilevando che non c’è nulla di democratico in questa politica economica. La classe dirigente sfrutta la crisi mondiale per arricchirsi sempre di più. Il fascismo non marcia più in orbace, ma con il passo felpato dei banchieri».

Il 24 agosto 2012: «Non c’è più bisogno della camicia nera o dell’orbace, delle adunate di massa. Il fascismo trionfa ovunque, ci solletica in tutti i modi, conosce le nostre debolezze e blandendoci e terrorizzandoci ci convoca plebiscitariamente a tutte le ore davanti a uno schermo per dire: Sì! Senza una continua campagna diffamatoria contro il passato delle lotte sociali e senza scatenare una continua tensione mediatica sulle questioni del debito sarebbe impossibile condurre l’offensiva economica contro di noi e raggiungere determinati scopi».

Quei miei timori di allora potevano sembrare esagerati ai miei lettori, sparuti ma saldi come rocce, e tuttavia nel frattempo non c’è stata un’inversione di rotta, tutt’altro. Relegato per decenni ai margini del dibattito politico a causa del suo apparente anacronismo, il neofascismo è tornato alla ribalta della scena politica italiana e tornerà sempre più inesorabilmente alla ribalta europea.

Se si può considerare che le ideologie del Novecento sono definitivamente esaurite (il marxismo-leninismo per ciò che è stato, specie nella sua versione stalinista), e con esse il fascismo nelle sue concretizzazioni storiche (lo spettro mussoliniano o franchista, per esempio), tuttavia ovunque in Europa l’estrema destra reazionaria e fascista, mutevole e proteiforme, facendo leva sul malcontento sociale e guadagnando nuovi e inaspettate forme di legittimazione, ha preso piede e in tanta parte governa o governerà (in Francia, tra quattro anni, per esempio).

Prevalentemente due termini sono usati oggi per caratterizzare l’emergere e il rafforzarsi di vecchi e nuovi movimenti di estrema destra: neofascismo e postfascismo. Lo si declini nominalmente come si vuole ma ciò non ha impedito e non impedirà domani lo spostamento a destra della popolazione e della classe politica, confermando l’inesorabile regressione dei partiti tradizionali e la spinta verso una riformulazione culturale e antropologica di un fascismo che si presenta oggi in forme aggiornate.

Pensare che si tratti solo dell’effetto della crisi economica (pur importante) e della crisi del tradizionale sistema democratico, significa sottovalutare altri fattori decisivi che segnano il cambio d’epoca al quale stiamo assistendo.

Lo vediamo bene in Polonia e in Ungheria, dove le libere elezioni ci sono ancora e dove rimane almeno formalmente la libertà di stampa (nel post di ieri ho cercato di chiarire in che cosa consista in generale la libertà di stampa). Dunque non si tratta del rifiuto della libertà di stampa laddove i media sono proprietà di famiglie e di gruppi, né del rifiuto della democrazia rappresentativa in un sistema dominato da “un’oligarchia dinamica incentrata sulle grandi ricchezze ma capace di costruire il consenso e farsi legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi elettorali” (Luciano Canfora, La democrazia, p. 331).

Il forte ritorno alla questione dell’identità e delle preoccupazioni sulla sicurezza (per quanto gonfiate dai media, ma non a caso), la promozione del nazionalismo su base etnica e una certa convergenza tra xenofobia e rifiuto della “contaminazione”, la denuncia del “complotto ambientale”, eccetera, eccetera. Sono motivi, sfrondati dalle mitomanie, che hanno una loro ragione d’esser (se non altro come fenomeno sociale) e sui quali la sinistra non vuol farsi ragione e risponde in modo stereotipato e sbagliato, in buona sostanza irridendoli tout court.

Ciò vale anche per le altre questioni sociali, del lavoro, delle tutele e dei redditi, che la sinistra governativa negli anni non ha fatto altro che inasprire con la sua aperta e totale adesione ai principi del neoliberismo. La destra reazionaria e fascista è stata invece capace, con un messaggio politico e mediatico accattivante (si pensi al cosiddetto “anticapitalismo dei poveri” che però non mette in discussione i grandi interessi, tipo i “balneari” per citare cosa nota a tutti), di guadagnare e incanalare il malcontento popolare allargando la propria base elettorale facendo leva proprio su quelle questioni sociali un tempo appannaggio della sinistra. Poi non deve stupire che ai nostalgici venga anche facile il rimando a un mitico passato (i treni in orario e le “cose buone”).

La solita domanda: che fare? Non si può certo invertire un processo storico, dove un ruolo non secondario a livello culturale e dunque ideologico è svolto dalle nuove tecnologie, con qualche ritocchino un programma politico di una ex sinistra affannata e senza identità che ha integrato nel suo linguaggio le linee di pensiero dell’ordine imperialista.

Sarebbe preliminare e necessario che quelle forze sensibili della società civile, che credono ancora a certi valori, la smettessero di spararsi tra di loro a palla incatenate. Per esempio sulla vexata quæstio della guerra in Ucraina, prendendo atto che quel conflitto, in atto dal 2014, non è solo il prodotto dell’”aggressione russa” (imperialismo locale che difende ciò che gli resta), ma è fomite del più arrogante imperialismo: quello americano. Un conflitto provocato da Washington in alleanza con il nazionalismo estremista ucraino, e che nuoce enormemente agli interessi dell’Europa e invece favorisce la componente politica e sociale più reazionaria.

lunedì 15 maggio 2023

Vivre à la carte

 


Perché un capitalista dovrebbe impegnare i propri capitali in un’attività editoriale che a priori sa essere economicamente fallimentare e che nei fatti contraddice il razionalismo mercatista? Evidentemente perché considera la produzione delle aziende editoriali, segnatamente quella di giornali e riviste, come un prodotto originale rispetto ad altre produzioni economiche, ossia un’attività che non garantisce un utile economico ma di tutt’altra natura. E quale può essere questo ritorno positivo se non di natura politica?

Senza tante mene assiologiche o divagazioni sulla struttura del mercato della stampa e di altri media, ciò chiarisce quali siano i limiti effettivi della libertà di stampa e quale sia invece il ruolo dei sottaciuti ma evidenti interessi (e del loro conflitto) delle “famiglie” in rapporto al potere politico (Fininvest, Gedi, Cairo, Mainetti, Angelucci, Caltagirone, Confindustria, Eni, eccetera), quindi la selezione dei “fatti” e i rapporti di forza tra stampa e governo o i mercati.

In realtà si tratta di stabilire quali sono le condizioni oggettive di esercizio dell’attività di giornalista, tenendo conto della necessità dei giornalisti di guadagnarsi il pane e dunque, nella stragrande maggioranza, di dover scrivere con una sorta di palla al piede.

Sia chiaro: i quotidiani non sono un prodotto del recente capitalismo. In origine le notizie che pubblicavano erano di natura politica, ma la loro predilezione era per le notizie insolite provenienti da tutto il mondo. Il giornalismo sensazionalistico è una costante storica, e se oggi tale tendenza è diventata prevalentemente trash, ciò dipende dal fatto che la società nel suo insieme gradisce ed è trash. Non è una novità che lo spettacolo dell’informazione/intrattenimento è modello e allo stesso tempo immagine riflessa della società.

Quanto alla réclame è essa stessa da molto tempo diventata un settore specifico dell’attività economica ed è quindi lo sviluppo di questa settore economico che instaura tra giornali e inserzionisti una ineludibile dipendenza.

Tuttavia dire la stragrande maggioranza non significa includere tutti i giornalisti. Vi sono delle eccezioni: gli editorialisti, vale a dire le grandi firme e le vedette televisive del giornalismo, che hanno prevalentemente funzioni di diversione.

Sono dei divi ben pagati, i loro nomi stampati in grassetto, gli editoriali sono articoli di lusso, le loro comparsate televisive le più gettonate. Possono scrivere e dire quello che vogliono, così s’ingenera l’impressione che si possa scrivere e dire quello che i giornalisti vogliono. Sono dei capitani nella loro vasca da bagno: la loro indipendenza recintata dà l’odore dell’indipendenza, la loro stravaganza dà un tocco di brio, il loro indomito coraggio nel sostenere opinioni a volte impopolari dà l’impronta dell’anticonformismo. Se poi a causa di un editoriale o di un report televisivo si perdono anche dei contratti pubblicitari, questa diventa la prova dell’indipendenza della testata. Il rovescio della libertà dell’editorialista è la non libertà della redazione.

Dopodiché si dovrebbe passare all’esame del ruolo culturale, vale a dire ideologico, svolto dalla stampa (magari sui cambiamenti in atto e sulle tendenze di sviluppo), quindi della neutralità, scientificità e legittimazione delle metodologie delle scienze sociali e della loro produzione di dati, ma questo discorso ci porterebbe troppo lontano, e so bene che la curva dell’attenzione è già sull’orlo dello strapiombo.

Risultati delle elezioni presidenziali turche



Recep Tayyip Erdoan, il leader del Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP), che governa in coalizione (islamisti ortodossi, riformisti islamici, conservatori, nazionalisti, centro- destra, e gruppi d’affari) la Turchia dal 2002, e il suo avversario Kemal Kılıçdarolu, leader del Partito popolare repubblicano (CHP), andranno al ballottaggio, a meno di sorprese nei conteggi dell’ultimo momento. Il secondo turno è previsto per il 28 maggio.

Questo secondo il sito dell’agenzia ufficiale Anadolu (ore 5,15 italiane). Recep Tayyid Erdogan ottiene il 49,34% dei voti, Kemal Kiliçdaroglu il 45% e Sinan Ogan il 5,23%. Se lo spoglio è quasi completo in Turchia (99,95% delle urne), è ancora in corso tra i turchi all’estero (65,37%), ma sembra improbabile che l’attuale presidente raggiunga la soglia del 50% grazie a questi voti.

I 64 milioni di elettori dovevano anche scegliere i 600 deputati che siederanno nel parlamento di Ankara. L’Alleanza popolare guidata dall’AKP mantiene la maggioranza (322 eletti su 600) in Parlamento, ma il partito presidenziale avrà 266 seggi contro i 295 del 2018. L’AKP aveva vinto più seggi parlamentari di ogni altro partito nelle ultime quattro tornate elettorali del 2002, 2007, 2011 e 2015, con il 34.3%, 46.6%, 49.8% e 49% dei voti.

Qui il sito per seguire i risultati.

Le possibilità di Kılıçdarolu di vincere le elezioni al primo turno erano aumentate dopo che Muharrem nce, fondatore e leader del Partito della Patria (CHP), si era ritirato dalla corsa giovedì scorso per le accuse di uno scandalo sessuale (un presunto video), che nce ha negato e attribuito a Fethullah Gülen, il noto predicatore islamista da lungo tempo asset della CIA negli Stati Uniti.

Kılıçdarolu ha lanciato una raffica di accuse secondo cui il presidente russo Vladimir Putin avrebbe interferito nelle elezioni. Kılıçdarolu non ha fornito alcuna prova per queste accuse. A tale riguardo si ricorderà il fiasco dell’impeachment del Partito Democratico dell’allora presidente Donald Trump, dopo aver speso decine di milioni di dollari per l’inchiesta sulle presunte interferenze/connivenze russe che alla fine giunse alla conclusione che non vi era stata alcuna interferenza.

In politica estera le differenze tattiche dei due principali contendenti: mentre Erdoan intende continuare a manovrare tra Stati Uniti da un lato e Russia e Cina dall’altro, Kılıçdarolu promette di servire meglio la NATO. Questo rappresenta un fattore decisivo del sostegno per Kılıçdarolu di Washington e delle capitali europee, che sono in guerra con la Russia in Ucraina e preparano la guerra contro la Cina. 

domenica 14 maggio 2023

Antropocene e presenze aliene

 

Nel 2000 il chimico olandese Paul Crutzen, premio Nobel per le sue ricerche sullo strato di ozono, e l’ecologo americano Eugene F. Stoermer avevano avanzato la tesi che le attività umane avessero trasformato la Terra a tal punto da definire la nostra epoca col nome di “Antropocene”, “l’era dell’umano”.

sabato 13 maggio 2023

La guerra continua

 

Che cosa c’è di credibile nelle trattative che si dicono avviate per portare a un cessate il fuoco in Ucraina?

Gli Stati Uniti sembrano aver cambiato rotta passando dal rifiuto totale a un’apertura cauta e condizionata. In realtà, sebbene determinata a perseguire i propri obiettivi bellici, Washington sta manovrando per impedire a Pechino di approfittare delle crepe aperte nell’alleanza NATO (le dichiarazioni di Macron di ritorno dal suo viaggio a Pechino sulle differenze strategiche all’interno dell’Europa e con gli Stati Uniti) e più in generale con i suoi tradizionali alleati.

Grazie all’intermediazione della Cina, l’Iran e l’Arabia Saudita hanno concordato di ristabilire le relazioni diplomatiche e riaprire le ambasciate dopo anni di tensioni. Non è cosa da poco. Quindi l’Arabia Saudita è diventata “partner di dialogo” della SCO, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (di cui fa parte anche la Russia): primo passo verso un’adesione a pieno titolo. La Saudi Aramco ha firmato un accordo con la Cina del valore di 3,6 miliardi di dollari, acquistando una partecipazione del 10% nella cinese Rongsheng Petrochemical.

Da ultimo, il presidente siriano Bashar al Assad è stato invitato formalmente a partecipare alla prossima riunione annuale della Lega Araba prevista a Riyad, in Arabia Saudita, il prossimo 19 maggio. Era da 12 anni che non succedeva.

Il governo cinese ha annunciato a febbraio un piano in 12 punti per facilitare i colloqui “in modo da ridurre gradualmente il conflitto e raggiungere infine un cessate il fuoco”. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha criticato la proposta, sostenendo che qualsiasi richiesta di cessate il fuoco “che non includa la rimozione delle forze russe dal territorio ucraino” significherebbe “la ratifica delle conquiste russe”.

Tuttavia, Pechino ha continuato a sostenere il piano. Il presidente cinese Xi Jinping ha parlato con Volodymyr Zelensky il 26 aprile. La Cina ha insistito sul mantenimento di una posizione neutrale, rifiutandosi di condannare l’intervento militare russo ma, allo stesso tempo, non sostenendo le annessioni russe del territorio ucraino.

Pur ribadendo che non ci potrebbe essere pace a scapito di compromessi territoriali, Zelensky ha dichiarato che è stata “una telefonata lunga e significativa” con il leader cinese che ha coperto l’intera gamma delle questioni bilaterali. “Particolare attenzione è stata prestata alle modalità di una possibile cooperazione per stabilire una pace giusta e sostenibile per l’Ucraina”, ha affermato una nota. Cosa che può significare tutto e nulla.

Il ministro degli Esteri cinese Qin Gang è stato in Europa questa settimana per colloqui con i suoi omologhi in Germania, Francia e Norvegia. Il ministro degli Esteri tedesco, Baerbock, ha battibeccato pubblicamente con il ministro degli Esteri cinese. Qin ha insistito sulla neutralità di Pechino nella guerra in Ucraina, ma Baerbock, pur affermando retoricamente che la Cina potrebbe svolgere un ruolo significativo nel porre fine alla guerra, ha respinto la posizione diplomatica di Pechino, affermando che “neutralità significa schierarsi dalla parte dell'aggressore”.

Nel frattempo, gli Stati Uniti e i paesi satellite della Nato continuano a fornire all’Ucraina armi in grande quantità e sempre più potenti e sofisticate.

Il 3 maggio, in una intervista rilasciata al Washington Post, il segretario di Stato Blinken ha detto: «Il colossale fallimento della Russia nel raggiungere i suoi obiettivi militari dovrebbe ora spronare gli Stati Uniti e i suoi alleati a iniziare a pensare alla configurazione [the shape] dell’Ucraina del dopoguerra e a come creare una pace giusta e duratura che sostenga l’integrità territoriale dell’Ucraina e le permetta di scoraggiare e, se necessario, difendersi da ogni futura aggressione. In altre parole, la Russia non dovrebbe essere in grado di riposare, riorganizzarsi e riattaccare».

Commenta David Ignatius, l’intervistatore: «Il quadro di deterrenza di Blinken è in qualche modo diverso dalle discussioni dello scorso anno con Kiev sulle garanzie di sicurezza simili all'articolo 5 della NATO. Piuttosto che un tale impegno formale del trattato, alcuni funzionari statunitensi credono sempre più che la chiave sia dare all’Ucraina gli strumenti di cui ha bisogno per difendersi. La sicurezza sarà garantita da potenti sistemi d’arma insieme a un’economia forte e non corrotta e all’appartenenza all’Unione europea.

«La Crimea è un particolare punto di discussione. È opinione diffusa a Washington e a Kiev che riconquistare la Crimea con la forza militare possa essere impossibile. Qualsiasi avanzata militare ucraina quest’anno nell’oblast di Zaporizhzhia, il ponte di terra che collega la Crimea e la Russia, potrebbe minacciare il controllo russo. Ma una campagna ucraina a tutto campo per impadronirsi della penisola di Crimea non è realistica, credono molti funzionari statunitensi e ucraini. Ciò è in parte dovuto al fatto che Putin ha indicato che un assalto alla Crimea sarebbe un tripwire per l’escalation nucleare».

In buona sostanza siamo al punto di partenza e dunque la guerra continua.

venerdì 12 maggio 2023

“Manco il figlio di un serial killer”

 


In riferimento alla protesta studentesca per il caro-affitti, tale Nicola Biondo, che si presenta come “Giornalista, scrittore, consulente parlamentare, perito giudiziario”, e con “un paio di incarichi universitari” (quante cose si possono fare con una laurea in scienze politiche) ha scritto quella che chiama una lettera aperta ai “colleghi di tenda”.

Comincia così: «Io in tenda ho vissuto veramente il primo anno di università da fuorisede. [...] Da giorni osservo questa storia degli alloggi con prezzi impossibili, la mancanza di campus e le immancabili questioni sul privilegio e ho ripensato a quei mesi, estivi e invernali, passati al camping Aurelio tra libri, zanzare e pini giganteschi, a imparare a cucinare e nello stesso tempo stringere bene la bombola del gas sennò esplodevo io e mezzo raccordo anulare».

Dunque un’esperienza che se non altro ha insegnato a Nicola che il gas va chiuso per bene, ma gli ha anche dato la consapevolezza di essere figlio «di una generazione che aveva mangiato tutto, aveva vomitato e chiedeva altro cibo ancora». La prosa non è brillante ma si capisce che si tratta di risentimento, soprattutto verso i propri genitori: «perché alla fine padre e madre questo mi hanno messo a disposizione e questo ho provato a sfruttare, bene o male. Non gliene voglio, acqua passata».

Sui reali sentimenti celati in quest’ultima frase, mi permetto delle riserve, anche perché Nicola domanda retoricamente a chi legge: «Cosa mi è rimasto di tutta questa vita che io adesso vi ho raccontato in maniera divertente ma che davvero mi ha procurato buchi emotivi che manco il figlio di un serial killer può capire?». Pronta la risposta: «Che le ingiustizie della vita credo siano altre». Ecco dunque spiegata la mia curiosità per questo cahier de doléances di Nicola Biondo.

La prima fondamentale ingiustizia della vita patita da Nicola: «Una volta, scocciato delle lezioni di Dottrine politiche, me ne andai a bighellonare a Lettere. Teneva lezione uno dei più famosi intellettuali italiani, Alberto Asor Rosa altresì detto “il Barone rosso”, [...] era il più rigido e osservante critico letterario dichiaratamente comunista. Uno che le ha cantate chiare a gente come Vittorini e Calvino che annoverava come scrittori populisti, l’accusa massima che uno come lui poteva scagliare».

Scrive Nicola: «Il mio istinto da drop-out si mise subito all’erta: l’eloquio del Prof era eccelso ma lui mi appariva come uno di quei capitalisti stile zio Paperone che ammansisce i suoi dipendenti, “imparate ad obbedire e un giorno potrete essere al mio posto”. Finale della storia: qualche anno dopo il “barone Rosso” a cui la facoltà aveva detto di no alla nomina della sua compagna come titolare di cattedra fece una scissione, duplicò il dipartimento di Italianistica e diede una cattedra alla signora».

Che cosa c’entra tutto ciò con la questione del caro-affitti? Nulla, però il “fatto” attiene alle “ingiustizie della vita” subite da Nicola, che un giorno, “scocciato delle lezioni di Dottrine politiche”, ascoltò una lezione del prof. Asor Rosa, e dunque questa novella gli serve per comunicarci che «Con storie così si è forgiata la mia anima anarchica».

Sull’anima politica di Nicola non desidero entrare nel merito, ammesso che egli ne abbia una. Sul racconto che il “barone rosso” avesse sdoppiato il Dipartimento di italianistica per dare una cattedra alla sua compagna, voglio semplicemente evidenziare il fatto che il professore in questione è morto da alcuni mesi, per cui eventualmente non può difendersi da tale grave accusa. Però potrebbe farlo la sua compagna, Marina Zancan. Ma Nicola sa bene che la professoressa Zancan non lo farà, poiché gli è noto l’epilogo della causa intentata contro il prof. Ferroni.

Insomma, Nicola sa quali sono le miserie della vita. Soprattutto le sue.


Nostalgia canaglia

 

giovedì 11 maggio 2023

La grande bugia

 

La teoria alla base della propaganda ha due suoi postulati principali: più è grande e più ripeti la bugia, e più facilmente verrà creduta.

È così che la guerra in Ucraina è diventata la prima della storia senza precedenti storici o motivi economici e strategici, la prima guerra basata interamente sulla psicologia di un uomo: Vladimir Putin.

La Casa Bianca e tutti i media statunitensi hanno proclamato che il conflitto è una “guerra non provocata” lanciata da un solo uomo il 24 febbraio 2022. La locuzione “non provocata” è diventata onnipresente nella descrizione della guerra da parte dei media statunitensi. Il Washington Post, il New York Times e le reti televisive hanno usato la frase centinaia di volte, così come i media russi usano la dizione “operazione speciale” per definire la stessa guerra. Fanno da controcanto i media dei paesi satellite dell’una e dell’altra parte.

La differenza sta nel fatto che il mantra della “guerra non provocata” è diventato per l’Ucraina quello che le “armi di distruzione di massa” fu per la guerra in Iraq, o il “Ricordati del Maine” per la guerra ispano-americana (che in questo blog ho più volte ricordato).

Tuttavia c’è a segnalare una novità: l’altro ieri il Washington Post ha pubblicato un’intervista con il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, il quale ha affermato che la guerra in Ucraina “non è iniziata nel 2022. La guerra è iniziata nel 2014. E da allora, la NATO ha implementato il più grande rafforzamento della nostra difesa collettiva dalla fine della guerra fredda.” [And since then, NATO has implemented the biggest reinforcement of our collective defense since the end of the Cold War].

Continua il pacifista segretario della NATO: “Per la prima volta nella nostra storia [cioè dal 2014], abbiamo truppe pronte al combattimento nella parte orientale dell’alleanza, i gruppi tattici in Polonia, Lituania, nei paesi baltici, in realtà tutti gli otto gruppi tattici dal Mar Baltico fino al Mar Nero. Maggiore prontezza delle nostre forze. E aumento della spesa per la difesa”.

Tutte cose che si sapevano, ma è di un certo interesse sentirle confermare da chi fino a ieri sosteneva che la guerra in Ucraina “non è stata provocata”, che dunque il conflitto ha uno sfondo storico, che l’invasione del 2022 è stata una risposta disperata all’accerchiamento attuato dalla NATO agli sforzi crescenti della stessa per portare l’Ucraina nella sua orbita.

Stoltenberg afferma che la guerra è iniziata nel 2014, ma non spiega cosa sia realmente accaduto quell’anno, iniziato con l’operazione, sostenuta apertamente dagli Stati Uniti (Victoria Nuland ha vantato “oltre 5 miliardi di dollari” di finanziamenti statunitensi), di cambio di regime in Ucraina, con il rovesciamento del governo del presidente Victor Yanukovych, che si era opposto a misure per integrare l’Ucraina in un patto politico- commerciale con l’UE, in vista dell’integrazione nella NATO.

I soliti democratici col culo degli altri potranno osservare (sorvolando sul colpo di Stato): sarà ben diritto dall’Ucraina di aderire alla Nato? Provino a fare questo raggionamento, se ci riescono: sarebbe diritto del Messico stipulare un’alleanza militare con la Cina ospitando truppe cinesi e il relativo armamento?

L’operazione cambio di regime sostenuta dagli Stati Uniti e dalla NATO aveva lo scopo di provocare uno scontro con la Russia. Il colpo di stato ha provocato una risposta da parte del Cremlino, che ha ovviamente capito che se avesse ceduto il controllo della penisola di Crimea, sede della flotta russa del Mar Nero, alla NATO, ciò avrebbe consentito agli Stati Uniti di stazionare la propria flotta nel porto di Sebastopoli, conferendo al dominio militare statunitense il Mar Nero e l’Asia Centrale.

Pur affermando pubblicamente di sostenere un cessate il fuoco nel quadro degli “accordi di Minsk”, le potenze della NATO hanno invece incanalato miliardi di dollari in armi in Ucraina in preparazione di una guerra il cui obiettivo delle forze fasciste ucraine era la pulizia etnica dell’Ucraina orientale e la “riconquista” della penisola di Crimea.

Nel 2021 il governo ucraino ha approvato anche ufficialmente una strategia per la riconquista militare della penisola di Crimea, che è stata poi de facto codificata con il partenariato strategico USA-Ucraina del novembre 2021 (ne ho già scritto a suo tempo).

Gli Stati Uniti e la NATO sono determinati a realizzare, attraverso la guerra e fino all’ultimo ucraino, gli obiettivi che hanno motivato il colpo di stato del 2014. La menzogna della “guerra non provocata” è stata accettata e promossa dai media padronali e da quelli finanziati dagli Stati (dunque tutti i media), ma anche da quelle forze politiche che passano per essere, almeno nominalmente, di sinistra, ma che in realtà rappresentano settori privilegiati dell’alta borghesia, in piena sintonia con le dichiarazioni di Stoltenberg e di tutta la cricca imperialista.

E quella stessa sinistra italiana che si dichiara antifascista e antimperialista, che però non disdegna stretti rapporti con gli esemplari più rappresentativi dell’atlantismo guerrafondaio e del neofascismo.

mercoledì 10 maggio 2023

La legge più importante dal punto di vista storico

 

Conosciamo il ritornello, lo ripetono da decenni finché l’abbiamo fatto nostro: qualsiasi sciopero, qualsiasi movimento sociale viene ad un certo punto accusato di essere un arcaismo, una sorta di futile e irresponsabile ripetizione delle lotte del passato.

Contrariamente a quanto vorrebbero farci credere (e ci riescono benissimo), la Francia non è l’unico paese a sperimentare movimenti sociali di protesta, ossia di gente mai contenta, che stanno “paralizzando la crescita” (quella dei milionari e miliardari).

Negli Stati Uniti la scorsa settimana gli sceneggiatori di Hollywood hanno scioperato di nuovo. Il diritto del lavoro americano (non ridete) è tale che d’ora in poi l’unico settore che ha la possibilità di scioperare, perché si è dotato di un potente sindacato, il Writers Guild of America (WGA), è quello degli sceneggiatori. Il loro ultimo “ringhio”, nel 2007-2008, è durato 100 giorni ed è costato all’industria cinematografica 2 miliardi di dollari.

Certo, anche 520 lavoratori dello stabilimento di batterie Clarios in Holland, Ohio, hanno scioperato questa settimana, ma questo non fa notizia, tantomeno in Europa.

Lo sciopero di oltre 11.000 iscritti al sindacato WGA è entrato nella sua seconda settimana contro i grandi conglomerati dell’intrattenimento come Amazon, Disney, Fox, Netflix, Sony, Paramount e Warner Bros. Cosa chiedono gli sceneggiatori? La stessa cosa di tutti gli scioperanti del pianeta: aumenti salariali. E cosa rispondono gli studi e le piattaforme? Lo stesso di tutti i colossi industriali del pianeta: vaffanculo, dobbiamo tagliare i costi e aumentare i dividendi degli azionisti e gli stipendi dei dirigenti: 46 milioni di dollari nel 2022 per il CEO di Disney, 51 milioni per quello di Netflix ... .

Lunedì, il presidente Biden ha rotto il silenzio sullo sciopero degli sceneggiatori. Alla proiezione serale alla Casa Bianca del nuovo spettacolo Disney+ “American Born Chinese”, il presidente ha dichiarato: “Questa è un’industria americana, iconica e significativa, e abbiamo bisogno che gli scrittori, tutti i lavoratori e tutti i soggetti coinvolti raccontino le storie della nostra nazione, le storie di tutti noi”.

Lo scorso dicembre, l’amministrazione Biden, insieme a Democratici e Repubblicani al Congresso, ha votato per bloccare uno sciopero dei ferrovieri e imporre un accordo che i lavoratori avevano rifiutato.

La protesta e lo sciopero degli sceneggiatori hollywoodiani ha una specificità che potrebbe rapidamente diventare una generalità: la minaccia che l’intelligenza artificiale rappresenta per il loro lavoro (presto anche per i trader, statene certi). Tra le richieste della WGA c’è quella che riguarda l’uso dell’intelligenza artificiale perché sia rigorosamente regolamentato.

Non si tratta del timore che l’AI sia utilizzata per scrivere sceneggiature originali o per riscrivere il lavoro degli autori: una sceneggiatura hollywoodiana che non è stata ritoccata, cancellata, riscritta da almeno una dozzina di persone non è degna di questo nome. Solo in questo modo la maggior parte dei film americani diventa spazzatura apprezzata dai consumatori di tutto il mondo.

Gli autori chiedono che le loro creazioni non vengano utilizzate per addestrare e alimentare i futuri elaboratori di script ChatGPT con i loro lavori. Esigenza respinta in blocco dai capi dei maggiori studi, che hanno ancora meno motivi per privarsi del ricorso massiccio all’AI rispetto alla maggior parte della loro produzione, che non è altro che rimaneggiamenti, rifacimenti, sequel, prequel, remake e cliché in sintonia con i tempi.

L’intelligenza artificiale, il culmine della fantasia transumanista dell’uomo “aumentato”, quando diventa una realtà tangibile incute paura a tutti, compresi certi suoi stessi progettisti. Colpisce nel mondo del lavoro categorie professionali finora risparmiate da tutte le successive “rivoluzioni”: meccanizzazione, delocalizzazione, smaterializzazione, ecc.. Questa sì che sarà una grande sostituzione, ma non sarà etnica, bensì robotica.

Quella contro l’impiego dell’intelligenza artificiale da parte del capitale è una battaglia in gran parte persa. La scienza e la tecnica sono al suo servizio, e agli azionisti non importa che cosa si produce e come. Sarà più facile sostituire gli amministratori delegati che non l’impiego di macchine che aumentano la produttività del lavoro e dunque dei profitti.

Tuttavia la lotta è l’unico mezzo di difesa, possibile in diverse forme secondo le situazioni e le epoche. Tuttavia non saranno le forme di lotta tradizionali come lo sciopero a poter cambiare la tendenza storica del capitalismo.

Dal lato oggettivo dei processi sociali, il fatto che il capitale tenda, per mezzo dell’innovazione tecnologica, a ridurre il tempo di lavoro a un minimo, mentre dall’altro pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza, dimostra che è esso stesso la contraddizione in processo.

La stessa legge che produce per il capitale sociale un aumento della massa assoluta del profitto, determina una diminuzione del saggio del profitto. E ciò ha delle conseguenze decisive per il modo di produzione capitalistico e la società che lo rappresenta. Questa legge, ci ricorda Marx, è “sotto ogni aspetto la legge più importante della moderna economia politica [...] È la legge più importante dal punto di vista storico”.

Non ridere


Siamo piegati sotto la malinconia che ci mangia la testa, depressi della poca vita che ci viene imposta, della povertà dei sogni che ci lascia, della radicale assenza di poesia, dall’autoritario degrado di un governo che si crede rispettabile. Stiamo morendo; come società civile siamo già morti.

Il dio-macchina dei transumanisti ci sterminerà tranquillamente per non aver pensato abbastanza al nostro mondo e a quello del dopo. Provvederanno le macchine a imballare i pacchi nei capannoni, guidare i camion e i droni che li consegnano e scansionare la nostra spesa al supermercato.

Ce lo siamo dimenticati a forza di farci coccolare dalla pubblicità: il nostro mondo (il capitalismo integrato che ci viene imposto negli ultimi trent’anni,) è un disastro sociale, mentre miliardari mentalmente incrinati sognano di bere i loro drink su Marte.

Completamente sbiaditi, senza speranza e senza altra voglia che sputare in faccia a questi cialtroni, tutti, il cui ruolo dovrebbe essere quello di fornirci una vita migliore e di non ridurci alla sopravvivenza.

È il progetto di adeguamento della vita comune che ha raggiunto il culmine con l’ordine generale del marzo 2020. Abbiamo servito generosamente come cavie, dai terrazzi e dai balconi. Lo abbiamo rimosso: contavano solo certi morti, ma non quelli che muoiono sempre. Non esistiamo se moriamo per qualcos’altro che non sia deciso da loro.

Si sono organizzati contro di noi, ci attaccano. E una volta promulgate leggi canaglia hanno ancora l’ignominia di rimproverarci perché non ci inchiniamo. Vogliono “i voti del popolo”. Manipolatori d’infamia. Preparano il “dopo”. Non ridere.