martedì 29 marzo 2011

La monarchia repubblicana



Tra le più esiziali sciagure storiche patite dall’Italia c’è il papato, tutt’ora vigente, e la monarchia sabauda. L’ultimo re, Vittorio Emanuele (Umberto non conta, non ha regnato nemmeno nella sua camera da letto), tra i tanti e nefasti difetti, aveva tuttavia il buon gusto di usare il Quirinale, già residenza dei Papi, quasi solo per le cerimonie ufficiali, risiedendo d’ordinario nella sua villa privata in Roma. Una residenza non sontuosa, in cui egli abitava piacevolmente perché in tal modo, diceva, poteva mettere un chiodo dove gli pareva e i suoi figlioli potevano ancora con la loro irrequietezza fare dei piccoli guasti senza danneggiare il patrimonio artistico e culturale dello Stato. Ciò non toglie che il monarca abbia invece, per altre vie, provocato guasti e tragedie di specie ben peggiori.

Cessata la monarchia, ma non estinti i suoi retaggi e quelli del fascismo, i primi due presidenti della repubblica furono dichiaratamente di sentimenti monarchici. Il primo presidente, provvisorio, era un galantuomo [*] che non volle mai mettere piede al Quirinale, vivendo in un modesto appartamento. Il secondo, un economista borghese, sempre defilato durante il fascismo e che “non aveva mai partecipato in vita sua ad alcuna lotta veramente politica, se non come uomo della Monarchia”, secondo le parole di un suo autorevolissimo compagno di partito e vicino di seggio in Parlamento, era uomo divenuto famoso per la sua parsimonia. Come ministro delle finanze minacciò tagli a destra e a manca, tagliando però sempre dalla stesa parte (ricorda qualcosa?).

Nel 1948 la sua conversione fu istantanea, da “italiano più monarchico” a più alto rappresentante della repubblica. Ed essendo monarchico il distacco dalla monarchia gli riuscì bene, ma non quello dai fasti e dalle spese tipiche di quei regimi. Ed infatti, eletto presidente della repubblica, andò ad abitare al Quirinale, succedendo alla monarchia anche nello sfarzo  dei riti e dei costumi.

Nonostante le distruzioni del conflitto bellico, la miseria nera in cui versava il “popolo sovrano” di allora, la dotazione presidenziale fu di 180 milioni all’anno (escluse le spese del segretario generale della presidenza che rimanevano a carico del bilancio dello Stato), più un milione al mese quale assegno personale (in lire 2010 il coefficiente ufficiale di rivalutazione è 35,9, ma bisogna tener conto che si tratta solo di un’indicazione Istat). Lo stipendio medio mensile di un operaio non superava le 20-25mila lire. Insomma si trattava di un appannaggio enorme “e senza alcun paragone coi maggiori assegni dei presidenti della repubblica di paesi meno poveri o assai più ricchi di noi”, ebbe a scrivere un ex presidente del consiglio.

Al Quirinale il presidente parsimonioso si ritrovò tra decine di corazzieri e staffieri, ereditati dal precedente regime, e tra uno stuolo di servitori in livrea rossa e blu (le stesse uniformi dei Savoia), impiegati, funzionari e faccendieri. Una vanità burlesca e dispendiosa che superava quella del precedente monarca. Nel tempo le cose sono andate peggiorando, il numero degli “addetti” è aumentato e le spese sono cresciute senza eguali nel mondo, cioè centinaia di miliardi di lire che solo l’escamotage dell’euro riduce di tre cifre.

L’apposita commissione parlamentare ai tempi di Luigi Einaudi ebbe a scrivere: «Il Presidente di una repubblica democratica fondata sul lavoro non ha bisogno di attingere il suo prestigio al fasto che si accompagna alle corti». Ma è proprio perché si tratta di una repubblica fondata sul lavoro che gli attuali monarchi e le relative corti possono vivere alla grande e a sbaffo.

[*] Ebbe però a collaborare col fascismo, per esempio fece parte delle Commissioni preparatorie del Codice Rocco (R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, p. 351).

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