giovedì 29 settembre 2016

Il costo umano di un sistema economico-politico criminale



In base agli ultimi dati disponibili, risalenti al 2012, nel mondo si contano circa 6,5 milioni di decessi legati all’inquinamento: ogni nove persone morte, una è vittima dell’aria contaminata. Circa il 90 per cento delle morti per inquinamento riguardano paesi a reddito medio-basso; i due terzi si registrano nel sudest asiatico e nel Pacifico occidentale. Il 94 per cento dei decessi a causa delle conseguenze dell’aria inalata – riferisce sempre l’Oms – è dovuto a malattie come quelle cardiovascolari, ictus, broncopneumopatia cronica ostruttiva e cancro ai polmoni. In Cina sono 1,03 milioni le morti riconducibili all’aria cattiva. In India 621.000 e in Russia 140.000. In Europa, sempre nel 2012, l’Italia — con poco più di 21.000 decessi — conta più vittime rispetto a Regno Unito (16.000), Francia (11.000) e Spagna (6.800). E oggi la situazione sembra essere addirittura peggiorata. L’inquinamento continua a incidere soprattutto sulla salute di donne, bambini e anziani, con conseguenze spesso imprevedibili.

mercoledì 28 settembre 2016

Una lunga vacanza



Problema fondamentale che riguarda il ponte sullo stretto tra Calabria e Sicilia non è quello legato alle difficoltà di ordine ingegneristico, né la spesa, sia essa di 8,5mld oppure di 10 o 15 miliardi come sarà più probabile, né i tempi di realizzazione, poiché il ponte in sé prima o poi verrà ultimato, né ancora il rischio sismico, mareale o altro. Il problema vero sarà quello di dargli un nome che metta d’accordo un po’ tutti o quantomeno non scontenti troppi.

Infatti, non sarà possibile non intitolarlo a qualcuno o a qualcosa. E qui si presenterà già una prima grana, non potendolo intitolare a un personaggio legato alla Calabria o alla Sicilia. Il problema della rivalità mi pare evidente, e bisogna evitare il rischio di barricate. Né la Calabria e la Sicilia potrebbero accettare il nome di un personaggio estraneo per origine e storia alle due regioni. E anche chiamandolo, poniamo, ponte Garibaldi, la questione aprirebbe una diatriba, non solo locale, ma più in generale politica. Figuriamoci cosa ne direbbero, per esempio, quelli della Lega; e anche altri mestatori della politica e per spirito opposto. Personalmente credo il nome di Garibaldi fosse quello in mente alla buonanima di Craxi. Pace. Anche il nome di un santo o di una santa fomenterebbe uno scontro tra laici e cattolici, per non parlare di cosa direbbe l’UAAR. E poi quale nome di santo metterebbe d’accordo i devoti?

martedì 27 settembre 2016

Non importa


E il merito? Chiedono con ruffiano stupore le coscienze impollastrite e soddisfatte di sé. Come se il merito riguardante il presente e il futuro di questo paese c’entrasse qualcosa con l’architettura parlamentare. Dove vivono?

Non importa se ad accalappiarsi la vittoria il 4 dicembre saranno i vecchi o i nuovi notabili. Sarà da vedere se il popolo e il popolino ne hanno abbastanza, se un senso di malessere ha guastato effettivamente ogni rapporto di fiducia, dunque se dentro la gente si sta cominciando a produrre qualcosa di essenziale. Non essendo questi ceti sociali in grado di unire le loro forze politicamente, potranno farlo almeno nel comune scontento. Sarà pur sempre un primo passo.



[...]



A quelli del Manifesto per ubriacarsi ormai basta solo l'aceto.

lunedì 26 settembre 2016

Contro la stupidità del cosmo



Che cos’è la stupidità e come difendersi dalle scemenze della vita quotidiana? Piergiorgio Odifreddi per spiegarlo ha scritto addirittura un Dizionario della stupidità di ben 378 pagine. Secondo Odifreddi “Il novanta per cento delle persone è stupido”. Una percentuale molto alta come fonte di “stupidaggini quotidiane”, ma al momento non conosco i criteri statistici addottati dal noto matematico e divulgatore scientifico.

Lo stesso Odifreddi, pur non credendo alle scie chimiche e cose del genere, tuttavia nell’intervista all’Huffington Post afferma convinto: “Certo che si può vivere in un mondo senza banche. Per metà del secolo scorso, l'Unione Sovietica ne ha fatto a meno”. Poi la butta sul classico, anzi, sul medioevale: “Nel Medio Evo, era considerato usuraio chiunque prestasse denaro, a qualsiasi tasso. Oggi il fastidio per i banchieri è tornato a essere forte”.

domenica 25 settembre 2016

... nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!



Esiste una moneta comune, quella che ti fa dire con nonchalance: un miliardo. Se il governo dicesse, per ogni miliardo sciorinato, duemila miliardi (di lire), la percezione, almeno quella, sarebbe diversa. E ben diversa sarebbe, da oltre un decennio, la percezione della spesa quando per un chilo di pane ti chiedessero oltre diecimila lire (ma quanto potrà mai costare un chilo di farina?). E quale sarebbe la percezione se le nostre spese militari giornaliere fossero espresse in 92.940.960.000 con un debito pubblico che sfiora i 5.000.000.000.000.000?

Chi ha firmato e approvato per entrare nell’euro a queste condizioni ­– tanto più sapendo che non sarebbe stato possibile e in nessun caso praticabile l’uscita senza un bagno di sangue – dovrebbe oggi percepire una pensione corrispondente a non più di 2.000.000 di lire il mese, anziché di 40.000.000, tanto per fargli comprendere tangibilmente e con stile la differenza di cambio.

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venerdì 23 settembre 2016

La disuguaglianza dev’essere ragionevole



Uno degli errori più comuni quando si misurano le disuguaglianze sociali è quello di prendere a riferimento i più ricchi. Come se il padrone di un’azienda con 100 operai – ossia lo sfruttatore del lavoro di 100 operai, ma anche solo di 20 – possa trovarsi nella stessa situazione di qualsiasi dei suoi 100 operai. Quel padrone non fa parte di quell’uno per cento di cui parlava Joseph Stiglitz, ma del famoso 99 per cento che non può vantare decine di milioni o miliardi.

Premi Nobel e ideologia servono proprio a questo: confondere le cose. In questo modo si riesce a trasformare il padrone e l’operaio, la moglie del padrone e la sua cameriera, il direttore del Sole 24ore e lo scribacchino di redazione, il proprietario fondiario e il raccoglitore di pomodoro, come parte di un tutt’uno, di quel 99 per cento.


giovedì 22 settembre 2016

Elemento identitario comune (con aggiornamento)


È bizzarro come, all’improvviso, inaspettatamente, qualcosa che sembrava impossibile e nessuno vedeva evidente si è rivelato come per magia. La Camera, in attesa della ratifica del Senato, ha proclamato “ufficialmente il vino come patrimonio ambientale, culturale e paesaggistico del Paese”. Il presidente di Federvini, inebriato più del solito, ha dichiarato che “si è capita finalmente e all'unanimità l'importanza del vino come elemento identitario del Paese”. Dal canto suo, il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, inzuppando un cantuccio in un flûte di prosecco, ha intonato: “Con questo provvedimento rendiamo il vino italiano sempre più forte”.

Tra le novità inserite nel provvedimento è prevista una disposizione sulla salvaguardia e il recupero dei vigneti specialmente nelle aree soggette a rischio di dissesto idrogeologico o di particolare pregio paesaggistico. Dunque, innanzitutto salviamo i vigneti, al resto provvederemo in caso di bisogno con un sms di due euro a cranio. Inoltre è istituito dal Mipaaf, cioè dal ministero, uno schedario viticolo contenente informazioni aggiornate sul potenziale produttivo nel quale dovrà essere iscritta “ogni unità vitata idonea alla produzione di uva da vino”. Pertanto, se avete un filarino d’uva dietro casa non pensiate di farvi una damigianetta di Malbec o Syrah clandestino.

Pertanto non è vero che questo governo non ha fatto nulla. Oltre ai famigerati 80 euro, sui quali è campato Renzi finora, finalmente questo paese ha un elemento identitario comune: l’alcol.

*


Dire che un determinato prodotto alimentare rappresenti l’elemento identitario di un Paese, mi sembra una forzatura. Il fondamentale elemento identitario di un paese, quello cioè che maggiormente sottolinea il senso di appartenenza, è la lingua (compresi i cosiddetti dialetti) e dunque la cultura. In questa trovano posto moltissimi elementi, com’è ovvio, e indubbiamente anche l’alimentazione e le tradizioni gastronomiche, che possono assumere anche una connotazione forte, ma per nulla tale da costituire di per sé un elemento identitario del paese. Potremmo mai sostenere che, tanto per esemplificare, la birra rappresenta l’elemento identitario dei paesi germanici, il riso quello degli asiatici, il whisky quello della Scozia, e dunque il vino quello dell’Italia? In quest’ultimo caso i tedeschi hanno sempre avuto un altro stereotipo a riguardo degli italiani. Da notare poi, che le maggiori estensioni di vigneti sono in Spagna (1,021 milioni di ettari), in Cina (0,82 milioni di ettari, con una crescita di 34.000 ettari nel 2015), e in Francia (0,78 milioni di ettari). L’Italia, nel 2010, registrava 0,67 milioni di ettari, e in prospettiva storica, cioè dal 1982, perdeva il 45% del suo vigneto. Il calo non si è arrestato, come conferma la tabella qui sotto. Come l’Italia riesca a risultare il primo produttore di vino al mondo è un altro paio di maniche.

Integrati



Guardate questa foto: l'unto regna sovrano già nell'ingresso. Immaginiamo la cucina, la toilette e il resto di questa trattoria. Questa è Roma, e c'è anche di peggio. Il sindaco Raggi aveva in questo caso un dovere preciso: chiamare i vigili per un controllo e far chiudere il locale. Invece a Roma non cambierà nulla o molto poco, sono perfettamente integrati nell'ambiente in cui vivono.

mercoledì 21 settembre 2016

Sua madre ...



In Italia s’innova poco, e scarsi sono gli investimenti. Eppure, in piena rovina neoliberale, abbiamo sottomano un’ottima opportunità per mettere in sintonia i nostri bisogni – non importa si tratti di beni essenziali o di ossessioni edonistiche – con le altrimenti modeste possibilità economiche. Non mi riferisco a trovate della spumeggiante fantasia di politicanti poi reclamizzate da devoti opinionisti, ma a qualcosa di assolutamente concreto: una materia prima da trasformare addirittura in oggetti preziosissimi da vendere eventualmente sul mercato, oppure da dare in pegno a Bruxelles in cambio di un po’ di spesa pubblica aggiuntiva. Che cosa si tratti di valorizzare opportunamente è presto detto. Se è in picchiata la natalità è invece in aumento la mortalità. In attesa dell’Istat, fidiamoci dei bollettini parrocchiali. Non ci mancano dunque i cadaveri da trasformare in diamanti. Non ci credete? Scrive l’autorevole quotidiano torinese La Stampa:

«I giapponesi fanno la fila. E così i tedeschi, gli austriaci, gli svizzeri. Popoli diversi per latitudine, cultura e religione, accomunati dalla pratica di cremare i defunti. Quando gli si propone di fare un passo più in là, e di portare alle estreme conseguenze il processo di cremazione, trasformando le ceneri del caro estinto in un diamante - cosa che da una decina di anni è possibile in uno stabilimento in Svizzera - non si tirano indietro scandalizzati. […] Se nel mondo si procede al ritmo di 800-900 diamanti umani all’anno, in Italia a malapena c’è una decina di casi. E la società Algordanza non nasconde la delusione. «Siamo lontani dalle attese», riconosce l’amministratore delegato della consociata italiana, Walter Mendizza.»

Prosegue l’intraprendente Mendizza:


«Per noi, la cosa peggiore è l’abbandono dei defunti. Intendo i nostri cimiteri, luoghi senza alcuna grazia, inadatti ad accogliere i nostri cari. Peggio ancora per la dispersione delle ceneri in aria. Capisco l’aspetto romantico, ma siamo agli antipodi. Il defunto deve essere sempre con noi, in un diamante che portiamo al collo o al dito». E mentre parla, indica un diamante che porta al collo: “È mia madre”.»  

Après



Après nous le déluge, sembrano dire quelli del governo e i suoi sostenitori, citando una frase attribuita a madame Jeanne Antoinette Poisson. Ed infatti, dopo l’inetto Luigi XV venne il povero Luigi XVI, che tanti debiti fece per aiutare gli ingrati indipendentisti americani. Oggi ricorre il 224° anniversario della proclamazione della prima repubblica francese. In Italia, invece, la terza repubblica dovrebbe nascere tra alcuni mesi, non appena il governo deciderà la data del referendum costituzionale. Sempre che al plebiscito vinca il Sì. Se invece dovesse vincere il No, allora pioverà di brutto e non saranno escluse inondazioni. Renzi potrà dire a sua volta: après moi le déluge! È l’incomprensione che separa il genio dalla plebe. Gli rimarrà solo la stima lontana e impersonale del mercato. Oppure nevicherà copiosamente fino alle quote basse, le scuole resteranno chiuse e nelle farmacie saranno presto esaurite le benzodiazepine. Tutto dipende, dunque, dalla data nella quale si andrà a votare e dall’esito del voto.

martedì 20 settembre 2016

Un paese di valore ... aggiunto


Alle mie latitudini non si dovrà attendere domani per l’autunno. Nella primavera scorsa erano cominciati gli incontri tra governo e sindacati per sbrogliare la matassa complicatissima (si fa per dire) delle pensioni, ossia per apportare qualche correttivo alla famigerata legge Napolitano-Monti-Fornero. La riunione finale era stata calendarizzata per la fine dell’estate, ossia per il 12 scorso, poi spostata al primo giorno d’autunno per consentire a governo e sindacati di “lavorarci”. Oggi si viene a sapere che l’incontro di domani è stato spostato al 27 di questo mese. Forse, perché quello è il giorno della trasmissione della nota di aggiornamento del Def, il Documento di economia e finanza, al Parlamento. In quella nota ci saranno tutte le nuove cifre dell'economia italiana. Dunque che cosa contratteranno mai i sindacati col governo in tema di pensioni che già non sia stato deciso dal governo stesso?

Pertanto, si può star sicuri che per quella data non si definirà un bel nulla, e si mangerà la zuppa preparata e offerta da via XX settembre. Prova ne sia, come anticipavo la scorsa settimana e come conferma oggi Repubblica, che “in buona sostanza non ci sarebbe ancora nulla di scritto – un piano, dei numeri, qualche proiezione – da mettere sul tavolo. Mancherebbe cioè la sostanza, dopo tante chiacchiere e indiscrezioni” (*).

Un paese di magliari e di buffoni, non c’è da meravigliarsi più di nulla. Un paese in cui si paga un’imposta del 22 per cento per la carta con cui ci si pulisce il culo. Sul valore aggiunto, appunto!

(*) “Ma perché il vertice salta? Curiose le giustificazioni. Per Palazzo Chigi il contrattempo è dovuto alle difficoltà "di uno dei leader sindacali". No, è il governo ad avere "problemi tecnici", trapela da fonti sindacali”.


Loci communes



Nell’ormai lontano gennaio 2010, in uno dei primi post di questo blog, scrivevo che “La quantità di tutto ciò che questa società ci impone e ci infligge ha già superato la soglia oltre la quale ogni equilibrio faticosamente costruito viene rotto con violenza”. Quanto ai problemi che ci troviamo ad affrontare, soggiungevo che “oggi siamo giunti precisamente al punto in cui non è più possibile risolverne nessuno senza risolverli tutti”. Questa riflessione, se si vuole anche in sé banale, nel tempo ha trovato modo di farsi sempre più vera e attuale.

Abbiamo di fronte una crisi economica che diventa ogni giorno di più crisi sociale acuta, e dall’una e dall’altra, strettamente connesse, non si uscirà per vie pacifiche. Crisi degli Stati nazionali, che un tempo erano proprietari di una cospicua struttura produttiva e di una fitta rete comunicativa. Crisi politica gravissima, laddove i partiti di massa, che per decenni avevano dominato la scena, sono diventati, nel disincanto che diventa discredito pressoché generale, meri comitati elettorali. È crisi degli organismi sociali intermedi, dal sindacato alle corporazioni, delle Chiese e della scuola, e crisi irreversibile dell’istituto della famiglia. Insomma, è in crisi profonda la società civile organizzata per come l’abbiamo conosciuta.

Dati gli attuali rapporti sociali e nel quadro geopolitico che si è venuto a determinare nell’ultimo trentennio, la realtà s’incarica di dirci che nessun cambiamento è ormai possibile, non senza terribili scosse. Abbiamo davanti a noi due prospettive: quella di un conflitto armato generale e quella di una rivoluzione sociale senza precedenti. È più difficile stabilire se questa seconda prospettiva farà effettivamente seguito alla prima. Una cosa sembra certa, qualcosa di nuovo e di sconvolgente accadrà molto presto, al massimo nel prossimo decennio.

«A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.»

Marx, sempre con questo maledetto vecchiaccio dobbiamo fare i conti, ci piaccia o no.

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lunedì 19 settembre 2016

E non potrà che andare peggio senza poi andare meglio


Nella vecchia Europa i partiti tradizionali non vanno oltre il 20-25 per cento dei voti, mentre aumenta l’astensione o il voto per i partiti di destra. È questo un segnale inequivocabile di sfiducia, di rassegnazione per il presente e di angoscia per il futuro. Pertanto, vedere un partito come Alternativa per la Germania prendere il 20 per cento dei voti, non deve sorprendere. Se poi si tratta del 14 per cento alle amministrative di Berlino, città di “sinistra”, fingere sorpresa è ancor più da ipocriti.

I popoli europei sono in via d’estinzione, primi tra tutti gli italiani, e nondimeno l’ondata migratoria dall’Africa e dall’Asia pone più problemi di quanti ne risolva.  La crisi che si manifesta nel fenomeno della sovrapproduzione diffonde ovunque una povertà che si era appena risolta. L’inesorabile procedere della venalità e del profitto mette a sacco ogni cosa. Non c’è più traccia di valori morali nelle parole e nei comportamenti.

L’Europa politica non ha un progetto comune, se non quello di oliare i meccanismi dell’accumulazione di capitale e si disinteressa del progresso sociale dei suoi popoli. C’è una moneta comune, ma non una legislazione fiscale, e ogni paese cerca per proprio conto di stimolare la produzione e l’espansione commerciale a scapito di chiunque. I proprietari di azioni e di fabbriche acquistano e rivendono compiaciuti, la disoccupazione giovanile è un dato strutturale, il lavoro, quando si trova, è precario e malpagato, quando non si tratta di vero e proprio caporalato.

E non potrà che andare peggio senza poi andare meglio, schiacciati dalle matematiche del profitto e laddove la finanza internazionale è padrona assoluta delle nostre vite e ha stabilito con la società un rapporto da extraterrestre.

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domenica 18 settembre 2016

Il capitalismo che non piace a Renzi


Solo poche settimane fa, Renzi si trovava insieme a Merkel e Hollande su una portaerei nei pressi dell'isola di Ventotene, un vertice che aveva, secondo le intenzioni, lo scopo di rilanciare l'unità europea dopo Brexit e piani di lunga data per trasformare l'UE in un’alleanza militare, progetto bloccato fino ad ora dalla Gran Bretagna con l'appoggio degli Stati Uniti. Per Merkel e Hollande si è trattato di una vacanza a spese del contribuente italiano. Rientrati nelle loro capitali, i loro ministri della difesa, Ursula von der Leyen e Jean-Yves Le Dirian, hanno cominciato a fare sul serio senza l’Italia.

Ieri l’altro, a Bratislava, Renzi ha rifiutato di partecipare alla conferenza stampa finale con il cancelliere tedesco e il presidente francese e ha attaccato il documento partorito dal summit dichiarando apertamente il suo disaccordo sui temi dell’economia e dell’immigrazione. Una fonte del governo tedesco, alla richiesta di un commento sulle parole di Renzi, ha dichiarato all'Ansa che “l'agenda dei prossimi mesi è stata approvata all'unanimità”. Poi la fonte del governo tedesco ribadisce: “la roadmap ieri è stata condivisa e concordata da tutti e 27”.

Renzi ha anche attaccato frontalmente la Germania: “Così come i Paesi devono rispettare le regole del deficit, allo stesso modo si devono rispettare altre regole, come quella sul surplus commerciale. E ci sono alcuni Paesi che non la rispettano, il principale è la Germania”. Ha sostenuto che se i tedeschi portassero il loro surplus commerciale, oggi al 7,6%, entro i limiti europei del 6%, ci sarebbero circa 38-40 miliardi di euro di investimenti da fare in Italia (*).

Renzi, al quale è stato proibito di mettere altra marmellata sul piatto del referendum e delle “riforme”, si duole della politica di potenza della Germania e più in generale di come funziona il capitalismo.

(*) La Germania nel 2013 ha avuto un surplus commerciale pari 197,6 miliardi di euro, nel 2014 di 213,6mld e l’anno scorso il record di 247,8mld. Negli Stati membri dell'Unione europea (UE), nel 2015, la Germania ha esportato merci per un valore di 693.9 miliardi di euro, ed importato per  621.6 miliardi di euro. Rispetto al 2014, le esportazioni nel 2015 sono aumentate nell’insieme dei paesi UE del 7,0% e le importazioni da quei paesi del 4,5%. Nei paesi della zona euro nel 2015 le esportazioni sono state per un valore 435 miliardi (+ 5,9%) e le importazioni per un valore 426,5 miliardi (+ 3,8%). Nella UE non euro, nel 2015 le esportazioni sono state per un valore 258,9 miliardi di euro (+ 8,9%), e le merci importate per un valore di 195,1 miliardi di euro (+ 5,9%).




Ognuno, sulla base di questi dati annuali, tragga le proprie considerazioni, che saranno senz’altro tra loro molto diverse e variopinte. Per la fonte cliccare qui.

sabato 17 settembre 2016

Filantropi


Leggo che Bill Gates avrebbe dichiarato che il 95 per cento del suo patrimonio non gli serve per vivere. Si sbaglia. Per campare assai bene gli basterebbe, ad essere larghi, lo 0,1 per cento della sua ricchezza. Gates non dice che gran parte della ricchezza accumulata è costituita da lavoro non pagato, soprattutto di operai e tecnici che non sono mai stati alle dipendenze delle sue aziende. Anche questa è una forma di redistribuzione (del plusvalore).

Sarebbe bello se questi filantropi globali, che lucrano da mane a sera nella cyber-economia, devolvessero parte delle loro ricchezze a chi arranca davvero la vita. E se tutti pagassero le tasse in proporzione ai loro redditi. Sono in molti a sostenere che in tal modo i problemi sociali che affliggono le nostre società sarebbero in gran parte risolti. E invece delle disuguaglianze sociali e di tante altre nequizie avremmo finalmente un capitalismo dal volto umano.

In un libro pubblicato lo scorso anno (*), la buonanima di Luciano Gallino faceva risalire la sconfitta dell’uguaglianza alla “doppia crisi, del capitalismo e del sistema ecologico”. La crisi del capitalismo l’attribuiva all’incapacità di vendere tutto quello che produce. Mi limito ad osservare: mai il mondo è stato così tanto misurato, mai come nella nostra epoca è possibile conoscere e censire ogni cosa, sapere cosa serve o non serve; pertanto non si tratta dell’incapacità di vendere, ma del modo in cui si produce.

Per quanto riguarda la disuguaglianza sociale, essa è la base su cui poggiano le società di classe. Per quanto riguarda l’impiego delle risorse, è appena il caso di rilevare che migliaia di miliardi di pubblico denaro sono destinati per il salvataggio di banche che hanno perso fantamiliardi in arrischiate speculazioni finanziarie e in crediti facili.

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venerdì 16 settembre 2016

Realtà italiana e umorismo tedesco


Il presidente Mattarella ha affermato che la sovranità “appartiene agli elettori”. Chiaramente replicava alle dichiarazioni dell’ambasciatore Usa in merito al referendum. Tuttavia sappiamo bene che la Costituzione, in riferimento alla sovranità, non cita gli elettori bensì il popolo. Per quanto questo termine nelle moderne democrazie non significhi nulla. Ad ogni modo il richiamo di Mattarella fa venire in mente quanto ebbe a scrivere, ben adattandosi ad ogni analoga situazione, J.-J. Rousseau ne Il Contratto sociale (*):

“Il popolo inglese crede di essere libero, ma s’inganna assai; esso non è libero se non durante l’elezione dei membri del parlamento: non appena gli ha eletti, che torna schiavo e non è più niente.”

Nessuna sovranità, se non nominativa, appartiene al popolo; nessun reale potere è nella volontà del parlamento o nelle facoltà dei governi. Nessuna riforma potrà ormai invertire la rotta. La vera sovranità e il reale potere sono saldamente nelle mani di entità sovranazionali, così come, per la loro parte, di quei ceti sociali nazionali, gruppi, corporazioni, "famiglie" che controllano il sistema mediatico e hanno sempre resistito al cambiamento e portato questo paese alla bancarotta. Ad ogni modo troppe cose stanno cambiando e la miccia è accesa, l'esplosione del malcontento sociale è questione di circostanze.


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Meglio di altri ci conoscono i tedeschi, non a caso l’umorismo della Frankfurter Allgemeine ieri ha così tradotto la celebre frase del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa:

«Muss sich nicht alles ändern, wenn wir wollen, dass alles bleibt, wie es ist (**).»



(*) Ed. del 1850, Pinerolo, pp. 166-67.

(**) Wenn wir wollen, dass alles bleibt wie es ist, muss sich alles ändern.



giovedì 15 settembre 2016

«Addio stipendi d'oro»


Se le vostre famiglie arrancano con 1.500 il mese, ma fossero pure 2.000, sappiate che ora il parlamento ha messo fine allo scandalo degli stipendi d’oro: non più di 240.000 euro annui di retribuzione per amministratori, dipendenti e consulenti della Rai. Il Pd e la maggioranza ­­– ha intonato il sottosegretario alle comunicazioni, Antonello Giacomelli – “hanno inteso dare un ulteriore forte segnale in questa direzione”. Nondimeno un certo Calderoli della Lega ha affermato: "Questa è la fine del bengodi della mamma Rai”.

L’emendamento approvato si riferisce al ddl che ha per titolo: "Istituzione del fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione e deleghe al governo per la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell'editoria, della disciplina di profili pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti”. Dentro a questo provvedimento c’è un po’ di tutto, compresa la normativa per “l'accesso ai prepensionamenti per i giornalisti”. Ecco il testo dell'emendamento approvato (clicca per ingrandire):


E siamo già alle eccezioni di cui alla legge n. 214/2011 articolo 23bis.

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«Addio stipendi d'oro». Quanto a questo modo di fare informazione, che dire ancora? L’articolo 21 della Costituzione stabilisce il diritto del giornalista ad informare, ma non quello del cittadino ad essere informato senza abusare della sua credulità. Non si tratta di una sottigliezza. La linea editoriale dei giornali è dettata dalla proprietà della testata, e dunque essa riflette i rapporti e le relazioni di potere espresse nei consigli di amministrazione, ossia quei circoli ristretti che uniscono saldamente le “famiglie” economiche italiane e tutte le lobby a garanzia dei loro interessi.

mercoledì 14 settembre 2016

Baruffe fasulle tra buffoni



Che questa Italia sclerotica e nevrotica fosse un paese da burla cui nessuno crede più, che la sua classe dirigente – “tra le più premoderne, violente e predatrici della storia occidentale” – fosse lo specchio fedele della sua arretratezza civile e culturale, si sapeva ed è stato confermato mille volte anche da tragiche vicende. Charlie Hebdo con le sue vignette ritrae un paese di mafiosi d’ogni ordine e grado che piangono sulle vittime di crolli ampiamente prevedibili, di scuole collassate non appena messe – a parole – in “sicurezza” antisismica (*). Una riprova? Gli dèi non vogliano ma l’avremo alla prossima scossa di terremoto: verranno giù altre scuole, case e chiese, e però il tema di questi mesi è stato (e sarà) quello delle olimpiadi a Roma. Una baruffa tra buffoni.

Non sono le parole a gonfiare il populismo, ma l’assenza di una qualsiasi politica di concreto miglioramento (o non peggioramento) della vita quotidiana.

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Dopo anni di annunci e mesi d’incontri tra governo e sindacati in tema di pensioni, di tavoli tecnici e tavolini politici, dichiarazioni giornaliere e paginate sui giornali, si viene a sapere che non è stato fornito un solo documento, un pezzetto di carta, una cifra da parte del governo. Solo a metà settembre la signora Camusso scopre che in queste condizioni il prossimo 21 settembre sarà impossibile un “accordo”. Buffoni e pornografi.

(*) Oltretutto, tollerare tutte le opinioni non significa farsene sostenitori. Un paese dove è bandita o censurata un’opinione, un’ideologia, una religione, è un paese illiberale. Per contro, nessuna idea o credo possono sottrarsi alla critica, all’irrisione, al ridicolo, alla parodia, allo sberleffo, alla caricatura, alla contraffazione. Aveva ragione il poeta Louis Scutenaire: “Ci sono cose su cui non si scherza. Non abbastanza!”.


lunedì 12 settembre 2016

Se non cade il palco



Una delle più straordinarie (ri)scoperte di questo secolo è la povertà in paesi dove questa piaga sembrava destinata a percentuali fisiologiche. L’attuale non è la solita noiosa povertà del buon tempo antico. Si parla di “nuove povertà”, al plurale. Man mano che arrivano le famigerate “buste arancioni” i giovani virgulti del bel paese scoprono essere essi stessi i destinatari delle povertà future. Chi l’avrebbe detto qualche decennio addietro? Per quanto riguarda il presente, ci sarà la possibilità di andare in pensione a 63 anni (i padroni si liberano della forza-lavoro anziana facendo pagare agli anziani stessi l'anticipo). Se hai una pensione di millecinquecento euro netti può essere che te la cavi con 150 euro il mese, vale a dire che ci lasci la tredicesima più la mancia per i poveri banchieri in tempi di tassi negativi e le assicurazioni. Per vent’anni. A 84-85 anni potresti anche riavercela tutta la pensione per far fronte alle spese dell’ospizio o del caro estinto. Se nel frattempo non cade il palco con tutta la scena.



domenica 11 settembre 2016

Il tiro al Padoàn


Oggi abbiamo il piacere di leggere su Repubblica l’articolo di un maestro di vita astratta ed esperto di politica economica, a suo tempo – ma molti di voi sono troppo giovani per ricordare – chiosatore a L’errore monetario dell’Occidente, di Jacques Rueff. Eugenio Scalfari si è sempre illuso di giocare al ruolo di suggeritore discreto dei potenti pro tempore. Leggiamo:

Io non so cosa pensi [Draghi] in concreto che l'Italia debba fare. Ma poiché a questi problemi penso anch’io, la mia proposta a Renzi ed a Padoan è questa: un taglio se non totale almeno della metà del cosiddetto cuneo fiscale.

Il cuneo fiscale è il nome che si dà all'ammontare dei contributi che imprenditori e dipendenti versano all'Inps. Pesa molto su tutte e due queste categorie e produce una notevole differenza tra salari e profitti lordi e salari e profitti netti. Il taglio di almeno la metà di tale contribuzione produrrebbe un aumento dei salari e dei profitti. Un aumento tale da stimolare la domanda dei lavoratori e di profitti degli imprenditori. Nel complesso, secondo me, è questo il vero strumento per rimettere in moto il sistema. Romano Prodi fece qualche cosa di simile con il suo primo governo, ma il taglio fu del 3 per cento, eppure qualche beneficio lo produsse. Qui parliamo non del 3 ma del 50 del cuneo fiscale: secondo me una rivoluzione.

Se non totale, almeno della metà! Buona idea quella di Scalfari, anche se nessuno la prenderà in considerazione per un attimo, se non per sorridere. Resterebbe da definire come andrebbe distribuito tra padroni e salariati il taglio secco del 50 per cento, ma poniamo che il buon Samaritano intenda fifty fifty. Ciò da un lato rilancerebbe le gozzoviglie dei salariati e, dall’altro, una parte dei maggiori profitti padronali andrebbe, si canta e si spera, in nuovi investimenti. È il classico dei due piccioni presi al volo con un po’ di acqua e farina.

sabato 10 settembre 2016

Quel postaccio che chiamano Stati Uniti d'America


Nel 2014 gli omicidi volontari sono stati 468 (impossibile avere dati Istat per il 2015). Nel paese più libero e democratico del mondo, gli Stati Uniti d’America, pur con una popolazione cinque volte quella italiana, gli omicidi sono, secondo una statistica stilata da Wikipedia, oltre 12mila l’anno. Il sito del F.B.I. fornisce dati al 2012: 14.827 omicidi, ma non distingue tra le varie tipologie (*). Perciò è molto difficile ricavare dei dati federali analitici e complessivi, anche perché di preferenza tali dati vengono forniti per “città”.

Ad ogni modo, a destare allarme negli Usa è l’escalation degli omicidi nelle città.

La crisi colpisce duro, e la criminalità aumenta, poiché non solo gli omicidi sono in forte aumento ma anche i reati contro la proprietà e le persone. Di questo le nostre televisioni, troppo impegnate sul salvataggio dei gattini terremotati e sulle “notizie” e il “dibattito” intorno al sindaco Raggi, non danno notizia. Se a Mosca vi fosse lo stesso tasso di omicidi di New York (352), sarebbe dichiarato l’embargo turistico. La palma d’oro va comunque a Chicago, con 488 persone assassinate. Naturalmente c’è disaccordo tra gli “esperti” sulle cause di questa impennata di omicidi e di reati. A commetterne di più non sono senz’altro gli appartenenti alla classe sociale della signora Clinton o di Trump.


Scrive il NYT citando uno degli esperti:

Areas with “long-standing conditions of alienation, hopelessness, poverty and lack of opportunities” also have the greatest distrust of the police and the greatest complaints of police abuse, said Craig Futterman, a University of Chicago law professor who directs a civil rights and police accountability project at the law school.

That means homicides go unsolved, perpetuating a dangerous cycle because people committing the crimes are still out there. In some neighborhoods, the city’s clearance rate, the percentage of homicides in which the police arrest or identify a suspect, is less than 20 percent, he said.

Dr. Futterman said the city’s problems were intensified in recent years by the closing of more than 50 public schools in 2013, the dismantling of public housing throughout the 2000s, and the federal government’s successful prosecution of big gang leaders, which destabilized gang hierarchies, territories and illegal drug markets.


(*) La legislazione americana manca di una figura delittuosa unitaria di omicidio e individua una serie di delitti distinti a seconda della gravità con cui l'uccisione di una persona viene compiuta. Anche da un punto di vista della classificazione  e della terminologia vi sono delle differenze da Stato a Stato. Ad ogni modo qui è sufficiente considerare questa classificazione: first degree murder; second degree murder; voluntary manslaughter.

venerdì 9 settembre 2016

Inesorabilmente clandestina


Nel primo trimestre 2016 le nuove pensioni liquidate dall'Inps erano calate del 34,5%. Nel secondo trimestre sono diminuite del 41,4% le richieste di pensionamento da parte dei lavoratori (-47% per le donne, nel primo trimestre il calo per esse era stato del -64,9%, media -56%). In compenso sono aumentati i licenziamenti (+7,4% sul secondo trimestre 2015). Anche la strombazzata riforma del part-time agevolato è un flop: 150 (centocinquanta) domande. Così come lo fu l’anticipo del tfr (sempre in accordo con le banche) e così come sarà prossimamente per la famosa Ape: “Ad esempio se uno prende 1.500 euro al mese, se accetta di andare con 1.470 euro, può andare via prima”. Renzi dixit, due giorni fa. Pertanto si preannuncia sarà un esodo. Ne riparleremo nella prossima primavera, dati alla mano.

Tutto molto scenico, tuttavia il punto di partenza è lo stesso d’arrivo dopo due anni e mezzo di gabinetto. Renzi avrà tutta una vita per riflettere sul proprio fallimento, ma non servirà a nulla. Lui ha rappresentato semplicemente un risucchio d'aria. 

D’Alema, invece, alla modestia ha sacrificato la sua esistenza. Oggi rappresenta l'opposizione bolscevica di sinistra nel partito, laddove Stalin, se redivivo, rappresenterebbe la destra. D'Alema il Partito democratico lo conosce meglio di tanti altri, e gargarizzaa sarcastico che “leggere è contrario alla linea del partito”. Non da oggi, compagno Massimo.

Rossana Rossanda, dirigente che il Pci conosceva direttamente molto bene dell’interno, nella sua autobiografia (La ragazza del secolo scorso) ebbe a scrivere:

«Il marxismo era, sicuro, una filosofia [sic!] e se si vuole un umanesimo [ri-sic!!], ma non si poteva tirare in tutte le direzioni, fin fuori dalla sua origine, nella crudele estraneazione del modo di vivere e produrre nel capitale: né si poteva giocare allegramente Gramsci contro Marx, o addirittura Vico contro Gramsci. Eravamo sempre là, al crocianesimo di ritorno nella formazione del gruppo dirigente comunista» (p. 301).

Rossanda, un monumento a confronto degli attuali lacerti. E del resto, rimarcava nella stessa pagina, Marx “nessuno lo leggeva”.

La coscienza possibile della nostra epoca resta inesorabilmente clandestina.

giovedì 8 settembre 2016

Immaginiamo



Immaginiamo il New York Times dedicare, per giorni, settimane, mesi, tutto questo spazio al sindaco di Washington, oppure Le Monde al sindaco di Parigi.

Quando ce vo’ ce vo’



Da settimane questo meraviglioso paese sembra non aver altri problemi e turbamenti – salvo la breve parentesi del terremoto – che le vicende di un assessore alla monnezza. Non è un complotto, sicuramente. Chiamiamola convergenza d’interesse e d’interessi. Ricorda la lunga campagna mediatica che aveva ad oggetto il parcheggio dell’auto dell’ex sindaco Marino. Dopo decenni che a Roma è trionfato il buongoverno, soprattutto nel settore della monnezza, questo episodio che vede coinvolto l’assessore Muraro è davvero intollerabile. E bene fanno gli esponenti del Partito degli Affari e delle Banche ad alzare il ditino, a reclamare onestà e sincerità, chiarezza e trasparenza. Diamine, quando ce vo’ ce vo’.

martedì 6 settembre 2016

Gli omeopati del capitalismo


È caratteristico della crisi intellettuale e della decadenza dell’odierna economia politica borghese che essa non si ponga – nemmeno sotto il profilo teoretico – il problema della transitorietà del modo di produzione borghese. Faccenda di cui invece ebbero ad occuparsi gli economisti classici. Nella nostra epoca gli economisti e gli intellettuali in genere, diventati gli omeopati del capitalismo, non si occupano di simili questioni, che tanto più sono scomode e tanto più sono manipolate o, come capita più spesso, semplicemente ignorate. Essi prospettano le cose in due modi, vedendovi il lato buono e quello cattivo, il vantaggio e lo svantaggio, che presi insieme formano la contraddizione (sic!) in ogni categoria economica. Tutto il problema da risolvere consiste nel conservare il lato buono, eliminando quello cattivo.

Lo stesso dicasi per la politica, laddove si ricerca il lato buono e vantaggioso per la società nel suo insieme, prescindendo – dicono – da ogni considerazione ideologica. Solo che anche la società borghese nel suo insieme non esiste senza classi sociali, con ciò che consegue.

Già ai suoi tempi Marx osservava: “Ai ricercatori disinteressati subentrarono pugilatori a pagamento, all’indagine scientifica spregiudicata subentrarono la cattiva coscienza e la malvagia intenzione dell’apologetica”.

*

Sciacalli e sciacalletti


Siamo troppo presi oggi a contare i capelli bianchi alle mummie riunitesi intorno a D’Alema per parlare di ciò che d’importante invece avviene. Francamente non mi ci trovo a spartire simpatia tra D’Alema e Renzi.

Del terremoto ci siamo già stufati. Dopo aver inviato sms da due euro e pacchi di pasta e carta igienica, dei buoni propositi di prevenzione antisismica riparleremo al prossimo infausto evento, cioè al massimo tra 5-6 anni. Ognuno facendo i propri scongiuri, ovviamente.

Sempre sulle prime pagine dei giornali, invece, troviamo la responsabile dei disastri della capitale, ossia Virginia Raggi. Il trevigiano Totila a suo tempo aveva miglior stampa. La cura Marino funziona.

Nei prossimi giorni sarà la volta delle pensioni, una nuova riforma in vista del referendum di dicembre (?). La platea da accontentare dovrà essere la più ampia possibile, anche solo una mancia o una promessa di elemosina in certi casi potrà bastare. Vedrete che si arriverà a un do ut des assai esplicito in tal senso.

*

Abbiamo assistito all’ennesimo fallimento del G20, questa volta a Hangzhou in Cina. I cosiddetti “grandi” avrebbero dovuto trovare un modo per aumentare la crescita globale. Ognuno per la sua strada e si continuerà, per tentare di tenere in piedi il sistema, di pompare altre migliaia di miliardi nel sistema finanziario globale per stimolare l'espansione dell'economia reale, nonostante il fallimento di queste politiche monetarie.

Sintomatico che in condizioni in cui si prende atto che il problema economico centrale è la mancanza d’investimenti e della domanda, l’unica reale misura adottata miri a ridurre la produzione nel settore siderurgico globale, una misura evidentemente diretta contro la Cina.


Pur non nominando direttamente la Cina, il G20 ha deciso di istituire un Forum globale sulla sovrapproduzione di acciaio. Il provvedimento è stato fatto passare con la minaccia da parte dell'Unione europea che, se la Cina non era d'accordo, vi sarebbe stata una decisione negativa sulla richiesta di “status di economia di mercato” nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio.

lunedì 5 settembre 2016

Come si somigliano Angela e Frauke (Veronica)


Le elezioni in Meclemburgo-Pomerania Anteriore – un Länd abbastanza esteso che confina col Mar Baltico ma con scarsa popolazione (1,6 mln) – confermano che attualmente in Germania esistono due partiti di destra (qualunque significato si voglia attribuire ai termini “destra” e “sinistra”). Quello tradizionale di Wolfgang Schäuble e di Angela Merkel, la CDU, cioè l’Unione Cristiano-Democratica (la CSU è presente solo in Baviera), e il nuovo partito della Frauke Petry, Alternativa per la Germania (AFD) (*). Questi i risultati delle ultime tornate elettorali locali:

21% in Meclemburgo-Pomerania Anteriore
24% in Sassonia Anhalt
15% in Baden Württemberg
12% in Renania Palatinato.

L’affluenza alle urne in Meclemburgo-Pomerania, collegio della cancelliera, è aumentata di 9,9 punti percentuali (61,5%), i giornali titolano che ha vinto la SPD, ma in realtà i socialdemocratici (continuano a chiamarsi così) hanno perso in termini assoluti e percentuali (-5%) più voti del partito di Merkel che ha perso 4 punti. La Linke crolla al 13,2% dal 18,4%, e spariscono dal parlamento del Land i Verdi. E anche i “bruni” del Npd.