sabato 29 giugno 2024

L’America è bellissima

 

Salvo eccezioni, la stampa italiana, dopo la recente catastrofe televisiva di Biden, ha cercato in tutti i modi di raccontare storie scelte in modo da soddisfare il pubblico sempre più ristretto che legge quei fogli di merda, piuttosto che permettere a un pubblico curioso di leggere il mondo e poi trarre le proprie conclusioni.

Un Paese di oltre 300 milioni di abitanti, la culla del razzismo, che non riesce a trovare un puttaniere come Kennedy o un ex alcolizzato con Bush jr. per candidarlo a far finta di essere il commander in chief. C’è chi invoca Michelle Obama, la quale può vantare il solo merito di essere la moglie di uno stronzo premio Nobel per la pace che si divertiva a veder ammazzare i figli di Osama Bin Laden dai suoi scagnozzi.

La strada per diventare il prossimo Re Presidente Trump la trova dritta e spianata. Del resto, se Kamala Harris è l’attuale vicepresidente e anche presidente del Senato, presidente degli Stati Uniti potrebbe diventarlo anche uno come La Russa o addirittura Gasparri. Ma facciamo attenzione nel diffondere suggerimenti.

E pensare che Joe Biden, fervente cattolico, è stato a lungo presentato dai repubblicani come un “radicale di sinistra”. Ci voleva davvero molto coraggio per qualificare Joe Manichin anche come centrista, uno che non ha annullato i folli tagli fiscali per gli ultra-ricchi decisi da Trump e considera normale che nel West Virginia non meno di 10.000 bambini dormano per strada.

Ma sappiamo bene che l’America è bellissima e siamo tutti dalla sua parte.

venerdì 28 giugno 2024

Le isole che non sono scomparse


Comincia così un articolo del NYT:

Si prevedeva che le nazioni insulari tropicali basse sarebbero state le prime vittime dell’innalzamento del livello del mare. Ma la ricerca racconta una storia sorprendente: molte isole sono stabili. Alcune sono addirittura cresciute.

E poi: «... quando decenni or sono il mondo iniziò a prestare attenzione al riscaldamento globale, queste isole, che si formano sopra le barriere coralline in gruppi chiamati atolli, furono rapidamente identificate come alcuni dei primi luoghi che il cambiamento climatico avrebbe potuto devastare nella loro interezza. Con lo scioglimento delle calotte polari e l'aumento dei mari, questi incidenti della storia geologica erano destinati a essere sommersi e le minuscole isole tornare all'oblio acquatico, probabilmente nel corso di questo secolo».

E invece non è successo quanto paventato: «... non molto tempo fa, i ricercatori hanno iniziato a vagliare le immagini aeree e hanno trovato qualcosa di sorprendente. Hanno esaminato prima un paio di dozzine di isole, poi diverse centinaia e ormai quasi 1.000. Hanno scoperto che negli ultimi decenni, i bordi delle isole avevano oscillato in un modo e nell’altro, erodendosi qui, aumentando là. Nel complesso, però, la loro area non si è ridotta. In alcuni casi è avvenuto il contrario: sono cresciute. I mari si sollevarono e le isole si espansero con loro».

Gli specialisti della materia sono giunti a comprendere alcune ma non tutte le motivazioni di questo fenomeno. Gli scienziati hanno raccolto foto aeree di 27 isole del Pacifico a partire dalla metà del XX secolo. Quindi, le hanno confrontate con le recenti immagini satellitari: «Il livello del mare si è alzato di circa un centimetro ogni decennio, eppure le onde hanno continuato ad accumulare sedimenti sulle coste delle isole, tanto da significare che la maggior parte di esse non era cambiata molto in termini di dimensioni. La loro posizione sulla barriera corallina potrebbe essere cambiata. La loro forma potrebbe essere diversa. Qualunque cosa stesse succedendo, chiaramente non era così semplice come l’innalzamento degli oceani e l’erosione delle isole».

Lo studio del dottor Webb e del dottor Kench, pubblicato nel 2010, ha ispirato altri scienziati a cercare foto più vecchie e a condurre ulteriori analisi. Tutto è straordinariamente coerente tra le circa 1.000 isole che hanno studiato: alcune si sono ridotte, altre sono cresciute e molte sono stabili. Questi studi hanno anche rivelato un altro fatto: le isole nelle regioni oceaniche dove l’innalzamento del livello del mare è più rapido generalmente non si sono erose più di quelle poste in altre zone.

I ricercatori hanno studiato le immagini aeree e satellitari di 184 isole dell’atollo di Huvadhoo, un anello a forma di zucca di 241 isole nelle Maldive meridionali, per vedere come sono cambiate negli ultimi decenni. Quasi il 42% delle isole aveva perso superficie a causa dell’erosione, ma una percentuale simile, il 39%, era relativamente stabile in termini di area, anche se cambiava forma, mentre il 20% delle isole è cresciuto, alcune di esse perché gli esseri umani hanno aggiunto nuove superfici.

Un esempio è dato da Hulhumalé, un’isola artificiale. Decenni fa, la capitale delle Maldive, Malé, che ha una superficie inferiore a 2 kmq, iniziò ad affollarsi. Così il governo iniziò ad accumulare sabbia su una barriera corallina vicina per creare una nuova isola, Hulhumalé. Ciò ha reso Hulhumalé più grande di Malé e, soprattutto, più alta: circa sei piedi sopra il livello del mare, rispetto ai quattro della capitale. Ora anche Hulhumalé si sta riempiendo (65.000 residenti) e recentemente i funzionari hanno aperto i battenti, per così dire, su un’altra nuova isola, Ras Malé. Questa sarà il più grande e il più alta della zona, collegata a Malé tramite un tunnel sottomarino.

A parte questo episodio singolare, il motivo preciso per cui alcune isole si sono ridotte e altre no è ciò che gli scienziati sperano ora di capire. Quanto allo sbiancamento dei coralli, esso non è necessariamente dannoso per le isole. Quando i coralli diventano bianchi e fragili, possono essere infestati da ancora più cianobatteri che i pesci pappagallo amano sgranocchiare. Fioriscono i pesci pappagallo, che producono più sabbia. Alla fine, il corallo si riprende. Ma gli scienziati non sono sicuri di cosa accadrà alle riserve di sabbia poiché gli episodi di sbiancamento dei coralli sono sempre più frequenti e massicci.

Tra gli scienziati che studiano le isole e le coste, il consiglio più comune per affrontare l’innalzamento del livello del mare è non fare nulla. Coesistenza, significa accettare che il potente oceano farà quello che vuole e imparare a convivere con esso. Significa pianificare in modo intelligente l’acqua marina piuttosto che cercare di tenerla lontana con costosi progetti di ingegneria, che portano con sé una complicata serie di effetti collaterali ambientali.

Il Paese ha investito in nuovi aeroporti, porti e strade per promuovere lo sviluppo economico oltre la capitale. Sono le isole meno popolate dove gli scienziati dicono che le persone possono ancora imparare a convivere con le coste in espansione e in contrazione, per adattarsi al dare e avere della natura. Sempreché nuove dighe marittime, frangiflutti e bonifiche del territorio, non portino a diminuire la resilienza naturale delle isole. 

giovedì 27 giugno 2024

Sputiamogli in faccia

 

Domenica prossima si terranno le elezioni legislative in Francia. Fate le vostre puntate! Oppure: ce ne può fregare di meno? I più grandi ciarlatani sono in scena per la in campagna elettorale. Lo scioglimento dell’Assemblea nazionale da parte di Macron il narciso ha stuzzicato l’appetito. Molti di loro, di destra o di sinistra, attraverseranno le tangenziali per la prima volta per entrare nei quartieri popolari.

Le “sinistre” si sono unite in un Nuovo Fronte Popolare (NFP), tipici i loro “coffee meeting” dal titolo “Far vincere la sinistra”. La crème de la crème, la sinistra del caviale, un’accozzaglia dell’ego, candidati che cercano uno stipendio – e che stipendio! – per i prossimi cinque anni. Tutta questa mobilitazione perché il Raggruppamento Nazionale, ossia i fascisti mascherati Saint Laurent, è alle porte del potere.

Questa è la quarta volta che viene messo in piedi un fronte popolare o repubblicano contro i fascisti. La prima fu nel 2002, quando dietro Jacques Chirac arrivò Jean-Marie Le Pen. Al secondo turno la sinistra si rassegnò a votare per Chirac. La stessa situazione si è ripetuta nel 2017 e nel 2022 tra Emmanuel Macron e la figlia di Jean-Marie, ossia Marine Le Pen. Quante volte verrà usata questa trappola per costringere i francesi a votare alla cieca per i candidati presentati sotto quell’etichetta?

A differenza dei casi precedenti, questa volta non si vota per un presidente, ma per i deputati. Gli elettori non dovranno scegliere tra due candidati, ma tra 4.011 candidati sparsi su tutto il territorio nazionale, in 577 circoscrizioni elettorali. Niente a che vedere con il 2002, 2017 e 2022. Il “fronte” quindi non ha motivo di esistere! Al primo turno si potrà votare per chi si vuole. Forse la questione si porrà solo al ballottaggio del 7 luglio.

C’è dentro di tutto, perfino il Pôle de renaissance communiste en France (PRCF). Il loro slogan? “Porre fine a Macron-Le Pen e all’Ue-Nato”. La possiamo immaginare la Francia, oppure l’Italia o la Germania, fuori dalla Ue e della Nato? Programma elettorale irrealistico, ma che assumerebbe un altro significato se fosse lo slogan di tutto il NFP. Questo Fronte popolare non ha nulla a che vedere con quello del 1936, che fu un vero e proprio movimento popolare sostenuto dagli scioperi. Oggi è solo una macchina elettorale che non reggerà un minuto (un solo minuto!) dopo le elezioni.

La domanda che la sinistra francese (e quella italiana!) non si pone realmente e radicalmente è come si sia arrivati a questa impasse, a giocarsela con i fascisti. È una sinistra che non si vergogna per il suo cinismo, la disonestà intellettuale, per i suoi incessanti tradimenti degli ideali di un tempo, vale a dire quelli socialisti e comunisti. Non rappresentano più nulla, non meritano nulla. Non spetta agli elettori, per tenere lontano lo spauracchio dei fascisti e i loro orrori di casting, rimediare agli errori di certa gentaglia, che nemmeno si preoccupa che decine di milioni di persone non vanno più a votare perché li schifano. Meritano solo di essere sputati in faccia, se anche questo gesto non rischiasse di dare loro un valore che non hanno.

mercoledì 26 giugno 2024

Cianfrusaglia in deliquio


La graduale trasformazione della working class in working poor, per dirla nell’idioma dell’inganno. Si lavora per garantirsi, a fatica, la mera sopravvivenza. Il mondo del lavoro è troppo frammentato per poter semplicemente suddividere le persone in colletti bianchi e colletti blu. I salariati oggi solo raramente lavorano in fabbrica alla catena di montaggio, la maggior parte è impiegata nella cosiddetta economia informale, senza un reddito stabile o regolare, non di rado senza adeguate tutele legali e sociali. Puliscono, portano pacchi su per le scale e biancheria sporca giù per le scale, siedono alla cassa del supermercato o riempiono gli scaffali, installano internet veloce e rispondono al numero verde.

La si sente la “sfortuna” che attualmente colpisce la vita delle persone? Sotto la rabbia, si sente una tristezza abominevole, la disperazione passiva di essere costretti a non amare più niente. Non sanno più, non vivono più, non hanno soldi o troppo pochi. Non sanno per chi votare, perché nessuno presta loro attenzione; e poi alla fine se andranno a votare lo faranno malvolentieri, senza alcuna ideologia, senza illusioni, solo la stanchezza dell’insoddisfazione e dell’infelicità.

Ma la maggioranza ha scelto di non voler più ascoltare il concerto di voci false, ha capito che il voto non paga, che si tratta di una rapina politica. Ha ben chiaro che la sinistra è cianfrusaglia in deliquio e non ha alcuna intenzione di smontare la gigantesca truffa dei contratti, e che la destra, in pieno trionfo ideologico, vuole tagliare le tasse a chi già le evade. Insomma hanno capito che non esiste alcuna via “democratica” che possa cambiare la loro condizione.

Si sostiene che ciò favorisce la destra oltranzista e fascista. Ma anche basta con questi ricatti. Sono decenni che la sinistra fa il gioco dei padroni e dei padroncini. Perché nasca una reale e attiva resistenza contro il sistema si dovrà pagare il conto, questo è evidente. I tempi storici sono difficili da misurare, tantopiù in anticipo, ma viene anche il tempo della sorpresa, quello esplosivo della creazione, cui saremmo costretti dalla forza delle cose. 

martedì 25 giugno 2024

Un mondo di sabbia

 

Per quelli che parlano e scrivono di “economia ormati basata sull’informatica e non più sull’industria”. Che sciocchezze. Anche le nuvole, comprese quelle digitali, sono fatte di vile materia.

Secondo te, quale di questi oggetti di uso quotidiano contiene sabbia: cellulare, computer, bicchiere, vino, cibo disidratato, dentifricio, pneumatico? Tutti! Gran parte del nostro mondo, anche quello digitale, è fatto di sabbia. La seconda risorsa più importante del pianeta, dopo l’acqua, è la sabbia.

Costituita da detriti derivanti dalla degradazione di rocce, conchiglie o scheletri di corallo. Ciò spiega la grande varietà dei suoi colori: nero, bianco, granato, rosa. Molto leggera, la sabbia si muove costantemente sotto l’influenza degli elementi. I suoi granelli, quando trasportati dal vento, hanno forma sferica, mentre, se trasportati dall’acqua, sono piuttosto ovali.

Come tutti sanno la sabbia viene utilizzata principalmente per produrre vetro e soprattutto cemento. Molti di noi vivono e lavorano in edifici di sabbia. Può anche filtrare l’aria, conferire un aspetto prematuramente invecchiato ai jeans, nell’Ottocento veniva addirittura utilizzata per conservare la carne.

La sabbia è usata per tutto ed è molto facile da trasportare. Questo è ciò che la rende un materiale d’elezione: se ne estraggono 15 miliardi di tonnellate l’anno. Con la sabbia e la ghiaia estratta ogni anno si potrebbe costruire un muro alto 27 metri e largo altrettanto attorno alla Terra. Ma non basta, perché consumiamo 18 kg di sabbia a persona al giorno!

Così la “mafia della sabbia” se la prende illegalmente, dalle spiagge, nei fondali marini o nelle miniere clandestine. Il saccheggio della sabbia provoca la scomparsa delle spiagge e porta alla salinizzazione delle falde acquifere, con conseguenze drammatiche per le popolazioni e per l’agricoltura.

Due terzi delle infrastrutture basate sulla sabbia da qui al 2050 devono ancora essere costruite. La Cina è passata da 400 milioni di tonnellate di cemento nel 1994 a quasi 2 miliardi di oggi, ovvero la metà del consumo mondiale. Va da sé che i tassi di estrazione superano i tassi di ricostituzione naturale.

La sabbia sta per diventare il nuovo oro nero. C’è quella dei deserti! Bravi, provate a fare cemento con quella sabbia. Troppo arrotondata dal vento, troppo liscia, troppo omogenea, non ci permette di rendere concreto il cemento. Devi scavare nella sabbia del mare o del fiume.

Ci pensano le macchine a scavare! Come se bastasse scavare ... Che ingenuità.

lunedì 24 giugno 2024

Bocar Diallo non giocava a pallone

Sento dire e leggo che “l’economia è ormati basata sull’informatica e non più sull’industria”. Strano, perché tutto ciò di cui ho bisogno durante il giorno e la notte è prodotto dall’industria. Come il computer con il quale sto scrivendo, l’elettricità che lo alimenta, l’acqua che sto bevendo. Spesso, ancora, i nostri bisogni sono soddisfatti da piccoli artigiani, come per il pane, o da aziende agricole locali, come per certe verdure, il latte e il vino. Anche le nostre imprecazioni, quando le “cose” dell’informatica non funzionano a dovere, sono prodotte a volte artigianalmente e altre volte industrialmente, come quando le “cose” che non vanno si coalizzano tra loro.

Certo, molte di queste produzioni utilizzano le nove tecnologie, ma ad arrivare a dire che l’economia è ormati basata sull’informatica e non più sull’industria mi pare eccessivo. La guarnizione del rubinetto che ho acquistato venerdì scorso dal ferramenta, e tutta la miriade di merci che c’erano in quel negozio, i vasi di colore e i pennelli che ha portato con sé l’imbianchino, saranno anche stati prodotti con macchinari nei quali è presente molta informatica, i famosi microchip, tuttavia si tratta di prodotti industriali, con tutto il carico d’ingegno e altro lavoro umano necessari per fabbricarli. Anche il ginecologo, per quanto dotato di un ecoscandaglio sofisticatissimo, resta pur sempre un essere umano che manualmente su quella “cosa” là deve agire. Eccetera.

Certo, c’è molta informatica nella nostra vita quotidiana, basti pensare ai nostri inseparabili cellulari, senza i quali ormai non si combina nulla. Sabato, ho pagato tramite internet i bollettini per il rinnovo della patente di guida, ma poi ho dovuto stampare quegli stessi bollettini con la mia vecchia stampante. Elettronica anche quella, ma costruita con materiali plastici, con un cavo per l’alimentazione, il toner, la carta e così via. Mi pare esagerato dire che “l’economia è ormati basata sull’informatica e non più sull’industria”. La mia auto, per quanto vi siano presenti molte componenti elettroniche, funziona ancora a benzina. Petrolio, navi, oleodotti, raffinerie, distributori. Insomma, industria. Produzione basata su molto lavoro manuale e capitale “tradizionale”.

Gians Varoufaks ci racconta della fine del capitalismo, della sua sostituzione con un tecno- feudalesimo che si appropria del “reddito” (ossia di quote di quello che mi ostino a chiamare plusvalore) prodotto dai capitalisti tradizionali che diventerebbero “vassalli”, e tutto ciò è sostanzialmente vero: le grandi aziende tecnologiche, come Amazon e Google, hanno iniziato a dominare i mercati, non solo come fornitori di beni e servizi, ma anche come veri e propri “signori feudali digitali”, controllando l’accesso alle loro piattaforme e imponendo le proprie regole.

C’è effettivamente da cogliere un’analogia con il feudalesimo, ma le analogie storiche non vanno spinte oltre un certo limite. Non si deve “dimenticare” di dire che cosa effettivamente distingue un modo di produzione da un altro. Non riguarda semplicemente le forme di appropriazione del “reddito”, la sostituzione dei mercati tradizionali con piattaforme digitali. Il capitalismo si sta trasformando rapidamente, ma non nelle sue leggi essenziali. Prima di recitare il requiem per la scomparsa del capitalismo vorrei vedere il suo cadavere, non mi basta il certificato di morte redatto da Varoufaks, che lo data al 2008.

Anche Bocar Diallo, 31 anni, originario del Senegal, sarebbe d’accordo con me (ovvero io con lui!) nel sottolineare le condizioni per la valorizzazione del capitale. Anche se forse non conosceva le categorie marxiane di “valore” e “sostanza di valore”, sicuramente però intuiva quelle di “plusvalore” e “lavoro concreto e lavoro astratto”, “lavoro produttivo e lavoro improduttivo”. Insomma, Bocar Diallo, pur con parole sue proprie, avrebbe saputo intrattenerci sulla contraddizione centrale specifica del modo di produzione capitalistico, che ha e avrà sempre origine nella sfera del lavoro.

domenica 23 giugno 2024

Mi trovavo benissimo

 

Ho prenotato il 18 gennaio, mal me ne incolse. Tra poco partiremo. Piove a dirotto. Stanotte ho immaginato di entrare nella sede de ilmeteo.it con un fucile a pompa, come nei film. Minaccio di ucciderli tutti. In cambio della liberazione degli ostaggi chiedo tre giorni di bel tempo, di sole e cielo senza nubi. Suvvia, solo tre giorni, mi pare uno scambio equo. Lo so, quelli de ilmeteo.it non c’entrano nulla. Ma nemmeno io, salvo questo insano (?) impulso di vendetta contro il cielo e chi ne interpreta gli auspici pluviali. Non si tratta di un posizionamento ideologico, di rivendicare la causa dei più svantaggiati (che ci pensa Mattarella a dire che vanno castigati gli schiavisti), tuttavia invoco il diritto fondamentale al bel tempo, o quantomeno a un clima in linea con la stagione. Dopo la liberazione degli ostaggi, senza aver ottenuto nulla in cambio, ho chiesto ai giudici di riconoscermi le attenuanti climatiche sulle aggravanti criminogene, quindi di farmi trascorrere il resto dei miei giorni in una prigione dove c’è il sole. Il sole a scacchi, d’accordo, ma io adoro il sole e amo gli scacchi. Mi trovavo benissimo, fino al risveglio. Fanc ... .

sabato 22 giugno 2024

Attacco alla Russia: ieri, oggi, domani

 


Il 22 giugno 1812 iniziava la Campagna di Russia, che infine porterà alla quasi totale distruzione della Grande Armée. Esattamente 129 anni dopo, il 22 giugno 1941, Hitler scatenerà contro l’Unione Sovietica la più grande campagna militare della storia (Operazione Barbarossa).

La Seconda guerra mondiale è stata decisa sul fronte orientale. Molti storici, tra i quali Andreas Hillgruber, non hanno avuto dubbi in proposito: «Il grande sbarco degli Alleati occidentali nel 1944 ebbe luogo soltanto quando il destino di vaste zone dell’Europa centro orientale e sud orientale era già stato deciso: dal punto di vista politico almeno due anni troppo tardi, dal punto di vista militare dopo che la Wehrmacht era già stata indebolita in modo decisivo, e paralizzata nella sua libertà di movimento».

La decisione di attaccare la Russia fu presa, in modo intuitivo, da Hitler. È un fatto che lungo il confine tra le due sfere d’influenza, tracciato con gli accordi dell’agosto e settembre 1939, si fronteggiavano due potenze mondiali potentemente armate, i cui interessi imperiali erano in contrasto tra loro, così come erano in contrasto quelli tra l’Impero britannico e il III Reich.

L’accordo dell’agosto 1939 non solo aveva consentito al Reich di avere mani libere ad occidente, ma aveva anche permesso di limitare temporaneamente il suo programma economico di autarchia senza influire negativamente sulla propria congiuntura economica. Le ingentissime importazioni di petrolio e di metalli non ferrosi dall’Unione Sovietica furono decisivi per l’industria tedesca degli armamenti. Furono quelle forniture di petrolio che consentirono ai tedeschi di evitare la temuta penuria di combustibile durante la campagna di Francia.

Perché Hitler attaccò l’Unione Sovietica se non possedeva le risorse e le capacità necessarie? Non certo per meri motivi ideologici, puntava alle gigantesche risorse dell’Asia, le sole che gli avrebbero consentito un confronto paritetico con l’occidente. Pertanto, a spingerlo verso Est fu una questione di necessità. Ma era possibile in quelle condizioni?

Nel 1941 i tedeschi non riuscirono più a controllare completamente il loro bottino: la guerra con la Gran Bretagna, appoggiata dall’America “neutrale”, le truppe tedesche disperse dalla Norvegia settentrionale al Nord Africa e la flotta a combattere dalla Groenlandia al Capo di Buona Speranza. Hitler non aveva intenzione di intraprendere una guerra prolungata, si aspettava una guerra lampo.

Cos’era l’Unione Sovietica? Un paese enorme, dove solo quattro mesi sono favorevoli alle operazioni militari, da metà maggio a settembre. Il resto del tempo c’è pioggia, fango impraticabile e poi neve e gelo. Quando Hitler iniziò la guerra il 22 giugno, anche a causa del colpo di testa di quel coglione di Mussolini nei Balcani, gli restavano solo tre mesi per concluderla. E in questo brevissimo tempo avrebbe raggiunto gli Urali?

Come le ricerche storiche hanno dimostrato, gli ufficiali dello Stato maggiore tedesco non conoscevano con precisione né le forze dell’avversario né le loro posizioni. Una valutazione spassionata della capacità combattiva dell’esercito sovietico non esisteva affatto. In seguito Hitler, nell’allontanare da sé le responsabilità per un’operazione molto rischiosa che nell’immediato non portava alcun vantaggio strategico alla Germania, attribuì, non a torto, ai servizi d’informazione tedeschi le gravi difficoltà incontrate dalla Wehrmacht.

Helmut Roewer, che era stato direttore di uno dei servizi segreti tedeschi, fu il primo a condurre un’indagine sistematica sui servizi segreti del 1939 al 1941; egli giunse a questa conclusione: «La situazione informativa sulla quale si basava Hitler era una combinazione di conoscenze inesatte e di false deduzioni». Nessuna analisi tedesca di quegli anni «regge di fronte a un serio controllo» (Skrupellos: die Machenschaften der Geheimdienste in Russland und Deutschland 1914-1941, 2004, p. 620).

Una guerra su vasta scala su due fronti rappresenta un pericolo mortale per qualsiasi paese, non importa quanto sia potente militarmente e industrialmente. E la Germania si trovò esattamente in tale situazione. Da una parte c’era la Gran Bretagna (e gli Stati Uniti) e dall’altra l’URSS. A Washington lo sanno bene anche oggi, perciò hanno bisogno di mettere in condizioni di non nuocere la Russia, accaparrandosi le sue risorse, prima di occuparsi della Cina.

Già ai primi di luglio 1941 le perdite di carri armati erano del 50% e le truppe erano gravemente esauste. Ai primi di agosto la situazione del carburante era catastrofica. I tedeschi come avrebbero potuto arrivare agli Urali prima dell’autunno?

I tedeschi avevano condotto guerre lampo in Polonia e Francia (quest’ultima aveva più carri dei tedeschi, ma distribuiti in piccolissime unità a supporto della fanteria), hanno conquistato quasi tutta l’Europa, ma questa loro forza e capacità era più apparente che reale, ingannò solo chi era desideroso di farsi ingannare.

Ed è per questo motivo che la guerra lampo in Russia non ha funzionato, come già non aveva funzionato con Napoleone. Solo le singole operazioni militari ebbero luogo alla velocità della luce, ma l’intera guerra in quegli immensi spazi si trascinò per anni, traducendosi fatalmente per la Germania in un disastro che è difficile cogliere oggi nelle sue reali proporzioni, dato che non disponeva di riserve umane inesauribili e di una corrispondente capacità industriale.

Entro il 1° luglio 1941 erano state mobilitate nell’Armata Rossa 5,3 milioni di persone. Allo stesso tempo, la mobilitazione è continuata in luglio, agosto, settembre, ecc. Le risorse totali di mobilitazione dell’URSS ammontavano al 10% della popolazione. Tutto è stato utilizzato durante la guerra. Il paese sovietico è accertato che perse 11,27 milioni di soldati in quattro anni terribili, e 18,4 milioni di civili. Tuttavia tali gigantesche perdite non influirono sulla efficacia in combattimento dell’Armata rossa. Nell’agosto del 1945, l’esercito sovietico sconfisse in sole due settimane un milione di soldati giapponesi e liberò la Cina.

L’intero pianeta pensava che Hitler fosse un mostro e lo desiderava sconfitto e morto. E tutti vedevano Stalin come una vittima dell’aggressione. Aveva dalla sua parte le simpatie di tutti i paesi, di tutti i popoli, di tutti i governi. Sia i proletari che la borghesia (non tutta, per la verità) si auguravano il successo di Stalin, che riceveva il sostegno dei paesi più ricchi del mondo.

Winston Churchill su Stalin: «È stata per me un’esperienza di grande interesse incontrare il premier Stalin. Lo scopo principale della mia visita era quello di stabilire le stesse relazioni di facile fiducia e di perfetta apertura che ho costruito con il presidente Roosevelt. [...] È una grande fortuna per la Russia nella sua agonia avere alla sua testa questo grande e robusto capo di guerra. È un uomo dalla personalità massiccia ed eccezionale, adatto ai tempi cupi e tempestosi in cui è stata gettata la sua vita; un uomo di inesauribile coraggio e forza di volontà, e un uomo diretto e persino schietto nel parlare, cosa che, essendo cresciuto alla Camera dei Comuni, non mi dispiace affatto, soprattutto quando ho qualcosa da dire di mio. Soprattutto, è un uomo con quel senso dell’umorismo salvifico che è di grande importanza per tutti gli uomini e tutte le nazioni, ma in particolare per i grandi uomini e le grandi nazioni. Anche Stalin mi lasciò l’impressione di una saggezza profonda e fredda e di una completa assenza di illusioni di qualsiasi tipo. Credo di avergli fatto sentire che siamo stati buoni e fedeli compagni in questa guerra – ma questa, dopo tutto, è una questione che i fatti, non le parole, dimostreranno» (discorso di Churchill dell’8 settembre 1942 davanti alla Camera dei Comuni, intitolato Sulla situazione della guerra; sta in Robert Rhodes James, His Complete Speeches, 1897- 1963, Chelsea House Publishers, NY, 1974, vol. 8).

venerdì 21 giugno 2024

"Per vincere ci vogliono i negri"


L’altro giorno guardavo la squadra di calcio dell’Olanda scesa in campo per una partita. Nella mia romantica ingenuità non credevo a quello che vedevo. Degli undici in campo, gli unici che in qualche modo assomigliassero ai personaggi ritratti da Rembrandt erano il portiere e il n. 24. Gli altri nove erano neri. Olandesi anche quelli a pieno titolo, sia chiaro. Quanto alla Francia, si sta godendo i frutti della sua colonizzazione, non solo nei campi di gioco, soprattutto nelle banlieues.

Quanto è razzista questa Olympe. Pensatela come volete, mi limito ad osservare questa mutazione sociale (anche nel calcio) ed economica. Abbiamo bisogno dell’immigrazione, ci viene detto dall’alto e dal basso delle “istituzioni”. Per vincere le partite senzaltro! Poi, chi ancora ne ha bisogno? Padroni, padroncini e caporali, mentre milioni di giovani italiani sono emigrati negli ultimi decenni, in cerca di condizioni di lavoro e di salario meno precari di quelli offerti dalla cara patria.

Questo è un lato della medaglia. L’altro: dove la trovi una badante per la tua mamma non più autosufficiente? Dove li trovi dei raccoglitori di mele trentine, tra gli studenti di Ca’ Foscari? Com’è diventato complicato (che è cosa diversa da “complesso”) il mondo. E però un bel po’ di complicazioni ce le siamo andate a cercare, così come ci siamo rivelati incapaci di mettere mano agli aspetti strutturali del degrado urbano (i cosiddetti tutori dell’ordine, oltre a manganellare gli studenti, quanto tempo stanno in ufficio e quanto per le strade, quanto di giorno e quanto di notte?).

Più controlli e maggiore severità. Ma va’, non interessa a chi vive in un mondo diverso dal nostro, un mondo di chi ha tutti i benefici e di chi invece sopporta tutti i costi. La borghesia non ha problemi con l’immigrazione, perché non la incontra. Le leggi non servono se nessuno le fa osservare, ed è inutile proibire quello che non si sanziona.

Fate figli, quasi implorano, gli stessi che hanno celebrato l’uberizzazione. Una giovane coppia difficilmente può contare su un alloggio dove non paga un affitto che si mangia mezzo stipendio (o anche più), mutui accessibili e sostenibili, lavori più stabili (che non vuol dire necessariamente un posto fisso a vita), salari decenti, asili nido, tariffe agevolate e tante altre piccole cose che, ben sappiamo, messe assieme pesano come macigni. Si cerca speranza in una situazione disperata. Neanche quella. E i media insufflano paura, tutto per un clik in più. Meglio comprarsi un cane, meglio ancora un gatto. Male che vada li sostituisci.

giovedì 20 giugno 2024

Uomini o ... profeti?

Quando invece potrebbe diventare lo sgabuzzino della Nato e il bidone della spazzatura della UE.

mercoledì 19 giugno 2024

Semplice disgusto

 

Gli imbecilli che incontriamo accendendo la tv hanno commentato, analizzato, soppesato, blaterato e sbraitato sul voto. Produzione di saliva a mezzo di saliva ma il discorso non va mai oltre l’aneddotica. Ignorando di proposito quasi 24 milioni di elettori che hanno scelto di non votare. L’astensionismo è diventato un nuovo triangolo delle Bermuda. Fosse pure l’astensione prevalentemente espressione di un opportunismo di chi immagina di fiutare lo spirito dei tempi. Ma così non è: si tratta di puro e semplice disgusto.

E intanto i fascisti che vestono Armani sono al governo. Ci resteranno e ce la mettono tutta per arrivare a un colpo di Stato in piena legalità. Chi pensa che al referendum perderanno, scommette su un azzardo. Proprio perché non si sono presi la briga di interrogarsi sui quasi 24 milioni di elettori che hanno scelto di non votare. Oppure su quel mezzo milione di voti a Vannacci, pur dopo mesi di discredito mediatico e una Lega in picchiata.

È il modo di vedere di quella che chiamiamo politica, che si dispiega come un teatro d’ombre e non ha alcun legame con le nostre vite. I prossimi mesi e anni saranno sportivi in tutto e per tutto, specie dal lato dell’economia e del debito, sull’orlo di una catastrofe bellica internazionale e possibilmente anche finanziaria. Una classe politica occidentale disposta a rompere il giocattolo con un riflesso infantile: dopo di me, il diluvio. Solo che, a differenza di te, sopravviverò. Così credono.

In Francia non va meglio: no pasaràn, hasta la victoria siempre et bella ciao! Sperando che il collante fatto di sputo regga per tutta la durata di questa breve campagna elettorale. E dopo? La vera questione è l’Eliseo nel 2027. La Francia ha paura, ma di quale Francia parliamo? Largo al tradimento e al cinismo mascherati con i panni del realismo unionista europeo.

lunedì 17 giugno 2024

Meno di un gatto

L’inserto domenicale de Il Sole 24 ore dedica la prima pagina a quello che definisce “Il maestro dell’arte italiana (figuriamoci gli altri), vale a dire M. Pistoletto. Riproduce anche una sua “opera”, vale a dire un QRcode a colori, che, sostiene il maestro, è stato “realizzato in collaborazione con l’intelligenza artificiale”. Un po’ come se Leonardo ci avesse raccontato che la sua Mona Lisa fu realizzata in “collaborazione” con i suoi pennelli. Ah no, l’intelligenza artificiale è tutt’altra cosa. 

Vorrei ricordare che Yann LeCun, il capo dellintelligenza artificiale di Meta, ha affermato che lintelligenza artificiale non è intelligente come un gatto e non riesce nemmeno a capire come caricare una lavastoviglie. Il nostro maestro accompagna l’”opera”, cioè il QRcode a colori, con un testo “che la introduce e spiega”. Eh già, perché se non te la spiegano potresti prenderla per un QRcode che ha avuto un percorso in lavatrice.

Il QRcode di Pistoletto “è visivamente astratto ma è contemporaneamente figurato e letterario”. Se vi chiedete perché un QRcode sia tutto ciò, Pistoletto ve lo spiega: è “un QRcode [che] contiene una narrazione video, che è essa stessa un mio lavoro, il quale a sua volta riporta un testo tratto dal mio libro La Formula della Creazione (in maiuscolo ovviamente).

Attenzione però, il video contenuto nell’opera “è intitolato Il Caso e inizia con la corsa attraverso la città, della Sfera dei giornali attualmente esposta nella sede del Sole 24 Ore. Nel video la sfera diviene una palla che entra nel campo di calcio ed è giocata dalle due squadre nel concorso per la vittoria, che equivale alla pace: la pace sportiva che sostituisce la guerra distruttiva”. Nel preciso istante in cui percepite tutte queste cose, udirete l’ululato di una sirena. Non preoccupatevi, è l’ambulanza che viene in soccorso del maestro dell’arte italiana.

Ovviamente sono io che non capisco, che vedo nelle “opere” del Pistoletto & C. l’ignominioso che compete con l’infantile. La mia è un’ossessione, quella di che cosa fa il capitalismo a quella che viene chiamate arte astratta, concettuale e simili. L’illusione funziona perfettamente, in ogni occasione, le élite culturali, politiche, economiche nel loro narcisismo regressivo si offrono una facile vittoria simbolica. Tutto comprendono e soprattutto acquistano al giusto prezzo di mercato, incapaci di riconoscere il carattere antisociale di questo genere di “arte”, che ha prodotto una desensibilizzazione senza precedenti e un cinismo che va di pari passo con l’indifferenza. 

sabato 15 giugno 2024

Prima dell’11 settembre 2001

 

Centoventi anni fa, in data 15 giugno 1904, a New York si verificò una catastrofe di ragguardevoli proporzioni. 

A Manhattan non c’era solo una Little Italy, ma anche una Little Germany, in tedesco: Kleindeutschland o Dutchtown, ossia un quartiere di immigrati tedeschi nato intorno al 1840. Nessun’altra città dalla metà del XIX secolo aveva conosciuto un’immigrazione tedesca così forte come New York, che divenne la città con il maggior numero di residenti tedeschi dopo Berlino e Vienna.

Nella “Deutschlandle” gli immigrati tedeschi costituivano fino al 45% della popolazione. Si parlava tedesco, ci si sposava tra tedeschi, si leggevano giornali in lingua tedesca e ci si incontrava nelle chiese, nei teatri popolari, nei club e nelle birrerie all’aperto. La comunità tedesca era composta principalmente da operai e artigiani, che erano più istruiti di quelli irlandesi o italiani, ed erano quindi molto richiesti come lavoratori nella città in espansione. Svolsero un ruolo significativo nel rapido boom economico di New York.

L’industria alimentare divenne dominio tedesco. La produzione della birra era saldamente in mano ai tedeschi; inizialmente i piccoli birrifici si trasformarono in grandi attività verso la fine del XIX secolo. Anche macellai e panettieri tedeschi avevano quote di mercato elevate in città. Tuttavia, il gruppo più numeroso di immigrati tedeschi lavorava nel settore dell’abbigliamento, spesso lavoratori a domicilio.

Oltre ad altre professioni manifatturiere come la falegnameria, molti tedeschi lavoravano anche nel commercio e gestivano piccoli negozi dove si vendeva un po' di tutto. Gli immigrati ebrei tedeschi, esclusi da molti mestieri in patria, fecero qui maggiore esperienza e presto controllarono gran parte del commercio al dettaglio di New York. Anche i banchieri ebrei tedeschi riuscirono sempre più a imporsi in concorrenza con le istituzioni finanziarie anglosassoni di lunga data di New York.

Nel quartiere si trovava la congregazione luterana di San Marco, che organizzò per il 15 giugno una gita per scolaresche su un grande piroscafo. Fu scelto il General Slocum, a tre piani, che con il suo scafo lungo 76 metri, era considerata la “nave da escursione più grande e glamour di New York”.

Partì quel mercoledì dal molo della East 3rd Street per Long Island la mattina presto. A bordo c’era un’atmosfera festosa tra gli oltre 1.300 passeggeri (in realtà molti di più), soprattutto donne e bambini.

Subito dopo la partenza, nella stiva della nave scoppiò un incendio. Poiché in quello stretto tratto di mare (chiamato “Porta dellInferno”) le manovre erano difficili e cerano depositi di petrolio lungo la riva, il capitano decise di continuare il viaggio e si diresse a tutto vapore verso un piccolo cantiere navale sull’Isola di North Brother, sperando di percorrere un altro miglio o giù di lì.

La manovra ebbe esito fatale. La velocità e il vento alimentarono ancora di più le fiamme e in poco tempo morirono 1.021 passeggeri tra le fiamme o annegati. Dato che i bambini non avevano bisogno di biglietti, probabilmente il numero delle vittime fu molto più alto. Sopravvissero solo 321 passeggeri. Giorni dopo, i corpi continuavano a riversarsi sulle rive della metropoli. “Uno spettacolo dell’orrore che non può essere descritto a parole”, titolava un giornale.

Il numero delle vittime fu così alto anche perché la Knickerbocker Steamship Company, la società armatrice, aveva trascurato la manutenzione del suo piroscafo di lusso sin dal suo varo nel 1891. Il tappo dei giubbotti di salvataggio si era disfatto nel tempo. Le scialuppe di salvataggio erano state verniciate in tempo, ma erano state incollate allo scafo. I tentativi di spegnere l’incendio fallirono perché i tubi dell’acqua erano marci e non potevano resistere alla pressione. L’equipaggio, che non era stato addestrato per una simile emergenza, reagì con esitazione.

Il capitano della nave fu condannato a dieci anni di prigione, dei quali ne scontò solo tre. La direzione della compagnia di navigazione riuscì a farla franca. Il disastro ebbe effetti duraturi: quel quartiere di Manhattan non riuscì più a riprendersi. La catastrofe dello Slocum non fu la sola causa della scomparsa della Piccola Germania, ma accelerò la fine del carattere tedesco dell’area.

Ciò era già evidente a partire dal 1880. La zona era tutt’altro che pittoresca: negli ultimi tempi sempre più residenti si erano affollati in case sovraffollate senza acqua corrente, le epidemie dilagavano e nella parte orientale c’erano magazzini di carbone, cantieri navali, birrerie e macelli che diffondevano un fetore acre.

Coloro che potevano permetterselo lasciavano Little Germany per trasferirsi a nord verso i nuovi e moderni edifici sopra Houston Street che venivano costruiti a ritmo sostenuto. Sempre più immigrati dall’Europa dell’Est e dall’Italia si riversarono nel Lower East Side. I tedeschi non solo trasferirono le loro aziende a nord, ma anche fuori Manhattan, ad esempio a Brooklyn, che divenne molto meglio collegata grazie all’omonimo ponte, completato nel 1883.

Molti immigrati tedeschi negli USA hanno sempre preferito modificare il proprio cognome per adattarsi alla cultura dominante anglosassone. La pressione per l’assimilazione portò alla diminuzione della visibilità dei tedesco-americani già all’inizio del secolo. Dopo la catastrofe dello “Slocum” arrivò la svolta decisiva della Prima Guerra Mondiale e tutto ciò che era tedesco venne sospettato da tutti. La seconda guerra mondiale fece il resto.

venerdì 14 giugno 2024

Guerra in Ucraina e grandi affari

 

L’Ucraina si è impegnata per acquisti ventennali di Gnl dagli Stati Uniti, ma al tempo stesso sta collaborando per consentire li passaggio alle forniture di Gazprom anche dopo la fine del contratto di transito.

Si chiama geopolitica, affari, mafia, quello che vogliamo. Tutto ciò mentre migliaia di uomini al fronte si stanno scannando. Leggo ancora sul Sole 24 ore:

«È alle battute finali la sfida tra Stati Uniti e Russia sul mercato europeo del gas. Washington punta a stravincere, Mosca non può permettersi di gettare la spugna e comunque, benché in serie difficoltà, è ancora in gioco: in maggio è anzi tornata a superare gli americani, riconquistando – tra forniture via gasdotto e carichi di Gnl – una quota di mercato del 15%, record da due anni, contro il 14% degli Usa (e il 30% della Norvegia) [...].

«Tra i due contendenti c’è l’Ucraina: tuttora disposta, per quanto possa sembrare incredibile, a concludere affari con entrambi i Paesi quando si tratta di gas. In particolare Kiev sta collaborando nell’organizzare sistemi alternativi che consentano alle forniture di Gazprom di passare nel suo territorio anche dopo la scadenza a fine anno dell’attuale contratto di transito. Nello stesso tempo – è notizia di giovedì 13 – si è lasciata convincere ad impegnarsi per acquisti regolari di Gnl dagli Usa, anche se oggi l’Ucraina produce abbastanza gas da essere autosufficiente».

La guerra del gas, così come quella del petrolio e tante altre così. Cosa dicevo l’altro giorno? Prestiti all’Ucraina perché poi compri merci da chi quel denaro glielo presta o finge di regalarglielo.

Saranno anche fatti contingenti, ma le goccine questa volta le deve prendere M. S. e a litri certi suoi amici.

Se il gas non servirà all’Ucraina, scrive sempre il quotidiano di Confindustria, verrà esportato in altri Paesi dell’Europa centro-orientale, area in cui si trovano le roccaforti del gas russo più difficili da espugnare. Tra queste l’Ungheria, guidata dal sovranista Viktor Orban, vicino al Cremlino, che Gazprom oggi rifornisce via Turchia con il TurkStream, gasdotto con diramazioni che raggiungono anche Bulgaria, Romania, Grecia, Macedonia del Nord, Serbia e Bosnia Erzegovina.

È questa la vera guerra, o quantomeno una delle reali motivazioni dalle quali nasce la carneficina in atto.

Il Gnl a stelle e strisce che sbarcherà in Ucraina sarà importato dalla DTEK, utility privata che ha siglato un accordo con Venture Global (società peraltro ai ferri corti con molti clienti europei, tra cui Edison, che le contestano violazioni contrattuali).

La DTEK, che fa capo alla System Capital Management o SCM, con sede a Cipro, è di proprietà di Rinat Akhmetov, nato a Donetsk (ex Stalino), di etnia tartara del Volga, musulmano sunnita praticante. Ha esordito come assistente di Akhat Bragin, ex macellaio, “una figura mafiosa dell’oblast di Donetsk e in seguito presidente della squadra di calcio Shakhtar Donetsk”, scrive Wikipedia. Bragin subì diversi attentati, morì in un attentato dinamitardo nel 1995 allo stadio Shakhtar di Donetsk. Dopo questo evento, Rinat Akhmetov è diventato proprietario e presidente della Shaktar Donetsk.

In onore di Akhat Bragin, la moschea di Donetsk si chiama Ahat Jami. La moschea è situata a Donetsk ed è stata chiamata “in onore del boss mafioso locale Akhat Bragin e uno dei suoi minareti prende il nome da Rinat Akhmetov”.

Nel 1999, un rapporto ufficiale del Ministero degli affari interni ucraino intitolato “Panoramica delle strutture della criminalità organizzata più pericolose in Ucraina” ha identificato Akhmetov come leader di un sindacato della criminalità organizzata. Il rapporto collegava il gruppo al riciclaggio di denaro, alla frode finanziaria e al controllo di numerose società fittizie.

La più grande azienda del gruppo SCM è Metinvest, impegnata nel settore minerario e dell’acciaio. È una delle più grandi imprese private dell’Ucraina e uno dei maggiori produttori di acciaio in Europa. È anche il più grande produttore ucraino di minerale di ferro. Oltre all’Ucraina, Metinvest ha asset negli Stati Uniti, Italia, Regno Unito, Bulgaria e Svizzera.

Quello di Akhmetov è un profilo che andrebbe indagato meglio.

Macondo

 

Leggo che nel mitico e malfamato Sud ci sono 40 gradi. Immagino più volte al giorno di essere lì. Non in Puglia, che c’è ressa; in Sicilia, della quale conservo un buon ricordo. E anche un curioso e utile oggetto di cucina dove appoggio la moka.

E invece. Attraverso la finestra del mio studiolo, il glicine in fiore e il groviglio di lillà. Sono già marci: piove soltanto da mesi; il giardino è fradicio; la pioggia è entrata nei miei pensieri, bagna le mie frasi e non mi lascia più. Mentre la notte evapora lentamente, mi alzo per scrivere, ascolto il torrente che vien giù, lo scavalco fino a sognare finalmente l’estate.

Vorrei, scrivendo, che tutto diventasse chiaro, diventasse musica. Moltiplico le frasi, e man mano che si svolgono, sempre più lunghe, mi sembra di nuotare contro corrente, comincio a cercare un luogo, e questo luogo è sempre sfuggente. Dove, sospetto, mi attendono da molto tempo. È un segno, una minaccia o al contrario una conferma? Come sempre ho solo domande e quasi mai una risposta definitiva.

giovedì 13 giugno 2024

[...]

 


Emblematica.

Di che cosa avranno parlato tra loro i presunti potenti della Terra al G7, che si tiene, come ripetono tanti giornalai, a Borgo Ignazia, una località inesistente (è il nome di un albergo extra lusso dove si mangia in ciotole per cani spacciate per ceramiche artistiche)?

Della gravissima crisi idrica del Medio Oriente, del fatto che dal 1950 al 2000 la popolazione del MO e del Nord Africa è quasi quadruplicata, passando da circa 100 milioni a 380 milioni, crescendo più velocemente di ogni altra grande regione del mondo?

Quindi dei crimini del governo israeliano e del suo esercito, oppure delle centinaia di migliaia di vittime della guerra scaturita dalle provocazioni della Nato e dai neonazisti ucraini? Suvvia, noi al massimo posiamo fare da camerieri a questi summit e cederemmo quote di sovranità persino all’impero carolingio, se esistesse ancora.

O magari hanno parlato, tra un brindisi e l’altro, del libro di Sahra Wagenknecht, a lungo in vetta alla classifica dei bestseller di saggistica tedesca pubblicata da Der Spiegel? Si sono chiesti il perché di quel successo? Ma certo che no, loro leggono altro, frega nulla di mettere mano agli aspetti strutturali della crisi e degrado, che pure conoscono.

Secondo me erano troppo stanchi per parlare di qualsiasi cosa, perciò si sono sdraiati godendosi il comfort offerto a gratis. Questo giro lo paghiamo noi.


mercoledì 12 giugno 2024

Li hanno sottovalutati

 

Quanti avevano sentito parlare di Jordan Bardella prima di domenica sera? Un eurodeputato ombra, che durante il suo mandato non ha fatto nulla, e però a 23 anni s’è ritrovato vicepresidente di un gruppo parlamentare a Bruxelles e presidente del suo partito a 26 anni. In meno tempo di quello necessario per fare una omelette.

Da adolescente aveva un canale YouTube dedicato alla sua passione per il videogioco Call of Duty (Le Monde). Chattava sui forum online e sui social network, e ciò è bastato per raccogliere punti di simpatia tra i giovani, fin troppo felici di potersi finalmente riconoscere in un politico. Lungi dall’essere un fatto politico, si tratta semplicemente di un fatto generazionale.

Mentre nei dibattiti televisivi il giovane Jordan brilla per la sua incompetenza, i montaggi che pubblica sui social network lo fanno invece apparire sicuro, tranquillo, nel suo elemento. I tempi sono cambiati, per attirare i 18-24enni non ha senso regalare loro un volantino che finirà nella spazzatura: è sui social che si gioca la partita. E in questo gioco Bardella eccelle (Donald Trump ha adottato con passione i codici digitali di questa comunicazione per accaparrarsi elettori).

Sennonché ora si ritrova candidato primo ministro a guidare la Francia. Dopotutto cosa c’è di più normale? Bardella è l’immagine della Francia che viene, l’eroe trionfante delle elezioni europee, è uno come tanti altri leader politici in Europa: un giovane arrivista che sa solo mobilitare adeguatamente la sua immagine.

La telegenia di questi personaggi, in Francia, in Italia e ovunque, assicura l’umida ammirazione dei più disinibiti (eufemismo), che per fortuna e per ora non sono maggioranza. E questo a costoro basta. In che cosa consiste, in definitiva, la democrazia elettorale?

Va detto che negli ultimi decenni siamo stati tutti, chi più e chi meno, volenti o nolenti, declassati. In particolare per effetto dalla televisione e dagli altri media: gli schermi ci mangiano il cervello. Basta vedere, come specchio della società, il linguaggio politico a che cosa s’è ridotto: roba da trivio. E sui social segue il nostro raffinato sarcasmo (c’è, va sottolineato, chi ha staccato la spina, ma sono pochi).

Guarda, quella gente che ha una bandiera con i colori diversi dalla tua/ Odia, quella gente/ che non sventola la tua bandiera/ odia, quella gente/ che non sventola la tua bandiera/ Odia, tutta la gente/ che non sventola la tua bandiera/ odia, tutta la gente/ che ha una bandiera con i colori diversi dalla tua.

Quanto alla scuola, amareggia dirlo, alle ultime generazioni non ha insegnato nulla di duraturo, né realmente la nostra storia, né quella del continente e di tutto il resto. Chi è che, almeno tra coloro che si sono recati a votare, sa come funzionano le istituzioni europee, a parte i pochi i cui neuroni sono ancora connessi?

Sto parlando anche dei giornalisti, metà colti e metà curiosi ma che non si possono mediamente paragonare ai loro coetanei di quaranta o cinquanta anni fa. Chi legge o scrive più un libro serio? Per il resto si accontentano dei riassunti preparati con largo anticipo dalle case editrici.

Vergognarsene? Impossibile: questa è la grande forza dell’ignoranza crassa, è impermeabile alla vergogna. Tra loro, chi conosce le radici dell’estrema destra europea, di là della vaga menzione del neofascismo e neonazismo? Qualche raro specialista, che sa come dalla base all’apice tutti costoro si identifichino in un’identità etnoculturale che affonda le sue radici nella saga degli indoeuropei, da Sparta a Roma. Questa roba c’è dietro Atreju e simili.

E chi altrimenti potrebbe definire correttamente la storia del socialismo e del comunismo se non con dei cliché? Chi la storia della questione mediorientale e di quella palestinese in particolare? Forse Marco Travaglio, uno specialista di malaffare politico e di manette? Si occupasse di quello.

La risposta è già nei nomi


Così come in Italia, anche in Francia in molti si sono detti: “Abbiamo provato di tutto tranne la destra fascista, proviamo per vedere l’effetto che fa”.

Diversamente dall’Italia, la Francia è una repubblica presidenziale.

Il calcolo azzardato di Macron è questo: mandare il Raggruppamento Nazionale a Matignon tre anni prima delle elezioni presidenziali, affinché si scontri con le realtà del potere, cioè con la crisi del sistema.

Bardella potrebbe benissimo ritrovarsi a Matignon già a luglio, tra l’altro giusto in tempo per le Olimpiadi. Per tre anni Macron giocherà a fare il Mitterrand del 1986, rifiutandosi di firmare le ordinanze, bloccando alcune decisioni del governo in ambiti in cui la Costituzione richiede il suo consenso. Bardella si troverebbe nella stessa situazione di Chirac con Mitterrand nel 1986? Bardella-Le Pen non sono Chirac. Macron non è Mitterrand e alle sue spalle non c’è la classe media degli anni Ottanta, la Francia e l’Europa di oggi non sono quelli di allora.

Sia chiaro, a livello della gestione del potere e degli orientamenti geopolitici essenziali, non cambia nulla. Tuttavia queste elezioni europee, così come quelle politiche in Italia del 2022, chiudono un capitolo iniziato nell’ultimo scorcio degli anni ’80 e culminato negli anni 90 in Italia con lo sdoganamento dei fascisti da parte di Berlusconi. Anche in Francia, nel corso dei decenni, si è assistito all’inesorabile ascesa dei fascisti. Nessuno trovava una soluzione per riportare Jean-Marie Le Pen all’1% degli elettori faticosamente ottenuto negli anni ’70, anche perché lo spauracchio dei Le Pen pagava (e, chissà mai nel miracolo, forse paga ancora).

Senza dimenticare che cosa sta avvenendo sul fronte politico (ed economico!) in Germania. Estate 2024, sono di scena le Olimpiadi. È passato molto tempo da quando l’estrema destra in Europa ha inaugurato i Giochi Olimpici. Quando è successo esattamente?

Come si è arrivati a tanto, al fascismo con la cravatta Armani?

La risposta è già nei nomi. In Francia Chirac, Sarkozy, Hollande e Macron, per citare solo i presidenti. In Italia Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema, Monti, Renzi, Letta, Di Maio-Conte-Salvini, Draghi. Al massimo s’è pensato al pannicello del reddito di cittadinanza, alla “lotta all’evasione” (solo pensata), ma al fondo è prevalsa l’idea che il “mercato” avesse sempre ragione. E da dove viene l’ideologia mercatista, perché e come è prevalsa? Tutto ciò era davvero ineluttabile?

Di là del teatrino politico, e pure di gesti ridicoli come alzare il braccio teso, o anche di “una serie di abitudini culturali, una nebulosa di oscuri istinti e pulsioni insondabili” come ebbe a dire Umberto Eco, si tratta di interessi concreti, di classe, di ceto, di casta. Più in grande, dove meglio trovi espresso il nuovo fascismo se non a Washington, a Pechino, a Mosca, a New Delhi, a Davos e ovviamente a Bruxelles? Dove se non a Wall Street e nelle succursali del potere del denaro?

Non si venga ad eccepire che nelle ZTL si vota PD. In realtà è la prova del capovolgimento di fronte e del successo del neoliberismo, del fatto che la sinistra si è trasferita dalle periferie ai quartieri alto borghesi. Com’è che siamo arrivati al punto che oltre la metà degli elettori sceglie di non votare (e una montagna di schede nulle)? Risposta inevasa, perché già la domanda richiama il fatto che in troppi hanno il culo sporco.

Avremmo dovuto fare questo, avremmo dovuto fare quello. Ancora una volta leggeremo e ascolteremo analisi infinite, come dopo una finale di calcio persa. I francesi, non meno degli italiani, amano commentare i propri fallimenti, è lì che danno il meglio di sé. 

martedì 11 giugno 2024

Le Waffen-Ss entreranno nella Nato?


Per qualche ora trastulliamoci con i risultati delle elezioni europee, che non cambieranno nulla. Intanto il mondo va avanti, con le sue guerre e le sue stragi, e dunque non deve stupire il fatto che in Germania si stiano riabilitando le Waffen-Ss (Maximilian Krah, capo della lista europea AfD, aveva dichiarato che un componente delle SS “non è automaticamente un criminale”, dimenticandosi di dire che la maggior parte di loro lo erano).

C’è da segnalare, secondo El Pais, che a Kiev o Dnipro manca l’elettricità mediamente per 10 ore al giorno. In un’altra città, Odessa, ci sono quartieri rimasti senza elettricità per 20 ore. Per questa settimana, l’operatore Ukrenergo stima almeno sei ore al giorno senza rifornimento in tutto il paese. Le forze aeree russe hanno distrutto più della metà della capacità di produzione di elettricità dell’Ucraina. Politici, aziende del settore ed esperti assicurano che la situazione peggiorerà, e diventerà prevedibilmente drammatica il prossimo inverno.

Però c’è la soddisfazione che è stato distrutto un aereo in un aeroporto russo. Dixi, la principale società di consulenza per l’industria energetica ucraina, ha stimato in un rapporto del 28 maggio che la capacità di produzione di elettricità è scesa al 52%, e che le centrali termoelettriche sono le più colpite dai bombardamenti russi. Va aggiunto che la Russia occupa la centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa e che ha fornito metà della produzione di elettricità atomica dell’Ucraina.

Non serve l’arma nucleare tattica, basta spegnere i reattori della centrale di Zaporizhzhia.

Rappresentanti del governo ucraino hanno confermato al Financial Times che il Paese è passato dai 55 gigawatt generati prima dell’invasione agli attuali 20. Dixi abbassa la cifra a 18,3 gigawatt. Solo questa primavera, secondo Shmihal, i missili russi hanno distrutto impianti che producevano nove gigawatt di elettricità.

Le aziende del settore confermano che per riparare gli impianti messi fuori uso dai bombardamenti ci vorranno anni. Serhii Nagorniak, rappresentante del Comitato nazionale per l’energia e l’edilizia abitativa, ha spiegato il 6 giugno al notiziario statale che le previsioni indicano che quando le temperature scenderanno sotto i 10 gradi, la popolazione dovrà essere consapevole che sicuramente avrà 10 ore al giorno senza fornitura di elettricità.

Il Servizio statistico dell’Ucraina indica che alla fine dello scorso anno lo stipendio medio mensile nel paese ammontava a 438 euro. La Banca Mondiale ha stimato che già nel 2022, anno in cui è iniziata l’invasione, il tasso di povertà in Ucraina era passato dal 5,5% al 24% della popolazione.

Da giugno la tariffa elettrica è aumentata del 64%, passando da 2,64 grivnie per kilowattora (Kwh) a 4,32 grivnie (da 6 a 10 centesimi di euro). Alcuni giorni prima del Consiglio dei ministri del 30 maggio, era trapelato che l’aumento sarebbe stato dell’80%. Ma la reazione sui media e sui social network ha dimostrato che la misura era altamente impopolare in un momento in cui le autorità devono far fronte a enormi disordini dovuti al processo di reclutamento obbligatorio in corso e che deve incorporare centinaia di migliaia di civili nell’esercito.

In Italia le notizie di “enormi disordini dovuti al processo di reclutamento obbligatorio” non sono giunte, né è prevedibile giungeranno. Le aziende ucraine devono affrontare costi altissimi per ricostruire la rete elettrica e l’Ucraina è sempre più dipendente dalle importazioni di elettricità dall’Unione Europea. La UE finanzia e con quei soldi l’Ucraina copra elettricità e generi di prima necessità dalla UE.

Come si vede, l’Ucraina risponde a tutti i requisiti principali per entrare a far parte della UE. 

Che soddisfazione

 

La settimana scorsa mi trovavo in una località che amo particolarmente, tra gli scavi di un’antica città della quale in verticale non è rimasto nulla. Non perché all’epoca gli Unni l’avessero rasa al suolo (non erano un’impresa di demolizioni, bensì dei razziatori), ma perché tutto ciò che era rimasto in piedi divenne materiale di spoglio durante i secoli successivi.

Oggi, ben cinque università cercano di riportare in luce ciò che il suolo ancora nasconde. E non è poca cosa, sia l’impegno che i risultati.

Parlando con le persone del luogo avvertivo più spiccata che in altre occasioni una nostalgia per il bel tempo antico. Non molto antico, una nostalgia per periodi che non avevano mai vissuto, se mai esistiti. Quasi commossi, per esempio, del restauro in corso della ex stazione ferroviaria da dove partì il cosiddetto milite ignoto verso la sua destinazione finale.

Pensavo: sarà una mia sensazione influenzata dai tempi che viviamo. Oggi butto l’occhio sui risultati delle elezioni: il sindaco confermato con il 74,65 dei voti. Evidentemente ha governato (si dice così ormai anche per gli amministratori di condominio) bene. La sua è una lista civica, ma lui appartiene al partito del Morto. Tutto torna, mi dico.

Se invece guardo ai dati delle europee: toh, mi sbagliavo. Fatico a tenere il passo con quello che sta succedendo. Forza Italia ha raccolto solo il 6,86%. Il primo partito è il PD, con il 27,86. Ha votato il 69,52 degli aventi diritto. Qui la scusa dell’astensione non vale per nessuno. Vedi, le mie erano solo suggestioni: la gente è nostalgica per via del glorioso passato remoto della città, ma poi vota per quella che in tv chiamano “sinistra”. Pure la lista Verdi e Sinistra supera il 6%. Non è poco in una regione come questa.

E invece, scorrendo i dati, il PD è sì il primo partito, ma solo per lo 0,43%. Ossia i Camerati d’Italia hanno preso 8 (otto) voti in meno rispetto ai compagni di Elena Schlein. La coalizione di destra, i tre maggiori partiti che la costituiscono, raccoglie la maggioranza assoluta: il 51,08. Tutto torna, la mia non era solo una sensazione. Che soddisfazione, l’Italia s’è destra.

lunedì 10 giugno 2024

Voto più, voto meno, il potere resta nelle stesse mani


Il potere, in Europa e ovviamente anche in Italia, resta decisamente e saldamente nelle stesse mani di chi l’ha sempre avuto (che non sono le solite larve che vediamo in tv, tutt’altro). Qualunquemente abbiate votato o vi siate astenuti resta inciso su pietra questo fatto: vince sempre l’oligarchia del denaro e dei burocrati. Pensiamo al fatto di per sé significativo che la costruzione stessa dell’Europa è stata progettata originariamente non per la circolazione delle persone e delle idee ma per quella delle merci e dei servizi. E del resto il cardine della UE è l’euro.

A vincere è sempre lo stesso sistema, ma tra voto e non voto c’è una differenza non trascurabile: chi vota rafforza il sistema (il fascino per il potere e l’odio per i rappresentanti possono andare di pari passo). A ciò servono le elezioni “democratiche” (e anche le “altre”), a far sì che gli “eletti” siano destinati a guidare i non “eletti”. Ma si tratta ancora e semplicemente della “casta”, che massimizza i propri interessi personali e di parte. Ma c’è anche un’élite ombra, che influenza, a porte chiuse, tutte le decisioni importanti.

Le norme e le direttive comunitarie, che si applicano a circa cinquecento milioni di abitanti, sono il risultato di una forte pressione da parte di lobby industriali e finanziarie desiderose di assecondare i propri interessi (manipolare esperti, omettere o truccare dati e, nel caso, minacciare). Non cercano di elevarsi al di sopra delle leggi, ma più semplicemente di dettarle (in un testo legislativo ogni parola in più o in meno può rappresentare milioni o anche miliardi di euro). Attività di lobbying dalla quale nessun settore sfugge, dalla farmaceutica ai trasporti, passando per pesticidi ed energia.

Il parlamento europeo è solo fuffa. Chi conta davvero sono le lobby imprenditoriali (gli agenti del capitalismo) e i burocrati e tecnocrati. Quando i funzionari della Commissione europea (l’iniziativa legislativa è nelle sue mani) lanciano un regolamento, cercano di consultare il più possibile i gruppi di interesse economico, cosicchè per tutta una serie di dossier la Commissione dipende molto dal punto di vista espresso dai rappresentanti degli interessi economici.

Poi entrano in gioco i famigerati “triloghi” formati da squadre di negoziatori di Parlamento, Consiglio e Commissione, quasi sempre con un forte conflitto d’interessi, come dimostrano innumerevoli casi. L’intreccio di rapporti tra gli uni e gli altri viene considerato un lavoro di “armonizzazione”. In realtà è uno spazio chiuso, una micro-comunità dove le persone si spostano da una sfera all’altra a seconda delle carriere, dove si forma una ideologia e un linguaggio comune, dove le posizioni si legittimano reciprocamente.

Questi attori possano passare in modo molto semplice dal pubblico al privato e dal privato al pubblico. Tipicamente un commissario europeo diventerà direttore degli affari europei per un grande gruppo farmaceutico. A Bruxelles se ne trovano parecchi di personaggi di questo tipo, che acquisiranno esperienza e competenza su come funziona il settore pubblico, ossia segnatamente l’UE, e poi vanno a venderla al settore privato per fare il migliore lobbying.

Queste cose, chi non vota per una scelta di sfiducia, magari non le conosce bene in dettaglio, ma le intuisce e capisce che la UE è tutt’altro che una faccenda democratica e pulita.