martedì 28 febbraio 2023

"Una guerra diversa"

 

Sul New York Times si può leggere un editoriale interessante da diversi punti di vista a firma di Ross Eden Babbage. Non proprio un signor nessuno. Titolo: Una guerra con la Cina sarebbe diversa da qualsiasi cosa gli americani abbiano affrontato prima.

Babbage è un analista strategico di carriera e pianificatore militare, che ha lavorato per diverse amministrazioni statunitensi e anche per il Dipartimento della Difesa australiano, ha studiato per decenni come potrebbe iniziare una guerra, come si svolgerebbero le operazioni militari e non militari che la Cina è pronta a condurre. Afferma di essere “convinto che le sfide che gli Stati Uniti devono affrontare siano serie e che i suoi cittadini debbano diventarne maggiormente consapevoli”.

lunedì 27 febbraio 2023

Lacerti


Che cosa si può aggiungere? È già fotografato tutto e con precisione in questo post qui sopra. Al massimo si può rilevare che la cosa data da molto tempo. Se non altro, ai tempi di Renato Guttuso questi aveva la franchezza di dire che un po’ si vergognava di dichiararsi comunista bevendo Chivas e scorrazzando con la Mercedes (testimonianza di Adele Cambria).

Oggi abbiamo a che fare con lacerti, e non mi riferisco ad Occhetto, che teme di non essere abbastanza ridicolo posando col basco vintage da operaio in testa. Dopo aver toccato il fondo hanno scavato ancora, raggiungendo abissi insospettabili, pur mantenendo il sentimento della loro superiorità senza fondamento, che in realtà è solo superbia di classe agiata con ambizioni sproporzionate.

Questa gente nuova non è mai stata di sinistra, tantomeno comunista, e non vuole nemmeno sembrarlo, perché significherebbe cambiare le proprie dolci abitudini private e il modo di pensarsi, persino di vestirsi (correttamente trasandati). L’ex sinistra, ormai estinta, ha rinunciato a ciò che restava di un’identità condivisa, che le è crollata addosso rovinosamente, arrendendosi più del necessario dapprima ai liberali (col culo degli altri) e oggi ai fascisti, che sono diventati istantaneamente amici con i quali scambiare inviti. 


domenica 26 febbraio 2023

La guerra per procura

 

La confusione sta nella vostra zucca.

Una guerra per procura è un conflitto in cui almeno due Stati o potenze si scontrano indirettamente attraverso altri attori (Stati, gruppi armati, mercenari, ecc.) che essi sostengono con mezzi diversi (economici, armamenti, materiali, ecc.).

La guerra per procura è antica quanto la guerra stessa (non solo le guerre, anche i colpi di Stato per procura). La formula inglese war by proxy è stata creata da Zbigniew Brzeziski, consigliere del presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter. Questo concetto si applica a molti conflitti della Guerra Fredda, ma non solo. Nel corso di questo secolo l’Occidente si è abituato a condurre le sue guerre per procura, se possibile sotto la legittimità delle Nazioni Unite.

La guerra per procura non è un concetto militare nato di recente. Se ne trova traccia, per esempio, nei 36 stratagemmi di un trattato cinese sulla strategia che descrive i metodi che possono essere usati per sconfiggere un avversario, scritto probabilmente durante la dinastia Ming.

La Francia di Richelieu durante la Guerra dei Trent’anni intervenne solo indirettamente nel conflitto sostenendo e finanziando i nemici degli Asburgo. Fu solo nel 1635, a causa della loro sconfitta, che la Francia entrò ufficialmente in guerra contro gli Asburgo.

Le guerre combattute in India tra i vari Stati furono finanziate e armate da una società privata, la Compagnia delle Indie orientali che mi pare avesse sede a Londra.

L’Inghilterra finanziò le guerre contro Napoleone e fomentò tutte le coalizioni antifrancesi dell’epoca. Questo è un esempio di guerra per procura, per cui l’uso di altre forze armate europee (o truppe ireegolari nella penisola iberica) è finanziato e armato contro l’esercito francese.

La guerra di Corea (1950-53) era sostenuta dalla Repubblica popolare cinese e dall’Unione Sovietica. Solo in un secondo tempo intervennero direttamente le truppe di Pechino, ossia quando le divisioni statunitensi minacciarono la zona delle centrali elettriche che fornivano energia alla Cina.

Lo sbarco alla Baia dei Porci, nel 1961, fu un’azione di guerra per procura.

Il conflitto cambogiano tra il 1978 e il 1999, che vedeva primo attore il Vietnam e il suo alleato cambogiano furono sostenuti dall’URSS, mentre Cina, Stati Uniti e Thailandia, tutti desiderosi di frenare le influenze vietnamite e sovietiche nella regione, prestarono il loro sostegno alle forze anti-vietnamite, comprese quelle del Khmer Rossi.

La guerra civile yemenita è un conflitto armato guidato da una coalizione dall’Arabia Saudita e comprendente una dozzina di stati per eliminare gli Houthi, sostenuti dall’Iran.

L’uso di Hezbollah da parte iraniana è il mezzo ideale per danneggiare una potenza rivale, in tal caso Israele. Eccetera.

Una delle tante guerre dimenticate, quella nel nord del Mali, è combattuta dai soldati africani, anche se tutto, dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza al trasporto truppe, passando per azioni di intelligence e dei commando, è orchestrato dietro le quinte dalla Francia, tradizionale sponsor della regione. Questi esempi potrebbero moltiplicarsi per quanto riguarda l’Africa, ma ciò non interessa l’opinione pubblica occidentale, tantomeno quella italiana che in generale non va oltre l’interesse per il proprio ombelico, salvo ipocrite lacrime per i morti annegati nel Mediterraneo.

Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, quello degli Usa-Nato è un sostegno così diretto e così massiccio che ha spostato il baricentro del conflitto, trasformando l’Ucraina in un inedito campo di battaglia tra Occidente e Russia, una guerra per procura che non dichiara ufficialmente il suo nome, ma che tale è nella sua realtà. Come durante la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti scommettono sulla loro potenza di fuoco economica per fare la differenza definitiva nel conflitto. Tuttavia vale la pena ricordare che siamo entrati in una fase completamente nuova della storia del mondo, dove nessuno ha il controllo effettivo degli eventi.

sabato 25 febbraio 2023

Moretti

Spiace per il contraccolpo psicologico subito da questo tizio. Non spetta a me schiarirgli il cupo alone ideologico in cui è immerso.

Il collasso della memoria favorisce la degustazione del presente. M’immagino questo Moretti quale sarebbe stato in un’altra epoca: con il berretto da baseball sempre in testa, combattuto fra il piatto di spaghetti e sandwich alla mostarda, analfabeta quanto basta per non sapere che corporation è sinonimo di multinazionale.

In quale altro paese trovi personaggi così dotati di pregiudizi, ai quali non puoi chiedere di aver letto Lenin, ma neanche Hobson?

A proposito di pirla, ieri ho trovato questo:



venerdì 24 febbraio 2023

Inerti e fiduciosi

 

Tutte le discussioni sulla guerra in Ucraina nei media europei e statunitensi si basano sulla narrativa propagandistica di una “guerra non provocata”, scatenata senza motivo dal malvagio Vladimir Putin. Tutto ciò che è accaduto negli anni e nei decenni precedenti al 24 febbraio 2022 viene semplicemente ignorato. Questa guerra, a differenza di qualsiasi altra, è senza causalità storica.

La Russia ha invaso l’Ucraina con la speranza di poter raggiungere un accordo di compromesso con gli Stati Uniti che potesse strappare il riconoscimento degli “interessi di sicurezza” dello Stato russo. Le cose non sono andate secondo questo piano. Il conflitto in Ucraina è evoluto in una guerra aperta, anche se non ancora ufficialmente dichiarata, dell’imperialismo statunitense ed europeo contro la Russia.

La guerra non riguarda la difesa dell’Ucraina, per non parlare della difesa di una “democrazia” ucraina inesistente. È una guerra imperialista, che ha come scopo la sconfitta militare della Russia, la rimozione del suo governo e l’imposizione di un regime fantoccio. Questo risultato ha lo scopo di porre le vaste risorse naturali della Russia sotto il controllo diretto delle corporation statunitensi ed europee, stabilire il dominio dell’imperialismo statunitense sulla massa continentale eurasiatica e spianare la strada alla guerra con la Cina.

Il conflitto con la Russia è la continuazione di una serie infinita di guerre e interventi provocati dall’imperialismo americano dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991. Di fronte al prolungato declino della sua posizione economica globale, comprese le crescenti minacce alla posizione del dollaro come moneta di riserva mondiale, e dilaniati dalla crisi interna, gli Stati Uniti vedono nella loro potenza militare il mezzo per mantenere la loro posizione egemonica globale.

Nel suo viaggio a Kiev e Varsavia, Biden ha ribadito che l’obiettivo della guerra è una sconfitta strategica della Russia. Gli Stati Uniti non sono interessati a negoziare un cessate il fuoco e la fine del conflitto. Hanno creato una situazione in cui non può esserci ritirata, perché farlo minerebbe irreparabilmente il loro prestigio e credibilità e porterebbe alla disgregazione della NATO. La vittoria in questa guerra è diventata una questione esistenziale per l’imperialismo americano.

La situazione delle popolazioni che vivono in Ucraina, considerate sacrificabili, è a dir poco tragica. Nonostante tutte le affermazioni d’importanti progressi dell’Ucraina sul campo di battaglia, le popolazioni, trascinate in questa guerra da una classe dirigente venale e corrotta, vengono dissanguate. Mentre i media occidentali si vantano, senza prove evidenti, di enormi perdite russe, c’è un silenzio quasi totale sull’orribile portata delle perdite ucraine (un improvvido accenno è sfuggito a von der Layen, ma è stato subito rimoso dalla rete). Ci sono rapporti credibili che collocano il numero di soldati ucraini uccisi a 150.000. Una generazione di giovani ucraini viene sacrificata dai guerrafondai di Washington, Londra, Berlino, Parigi e Roma.

Nonostante tutti gli sforzi propagandistici, senza la massiccia infusione di denaro e armamenti, il regime ucraino non sopravviverebbe un’altra settimana.

Le incessanti richieste per l’invio di armi più avanzate riflettono i crescenti timori che l’attesa offensiva russa possa provocare il collasso dell’esercito e del regime ucraini. La situazione che l’Ucraina deve affrontare non può essere risolta solo con carri armati e aerei. Il dispiegamento di truppe Nato è necessario. Lo scopo della visita di Biden era superare le divisioni all’interno della NATO e preparare l’opinione pubblica a questo prossimo passo.

Come sempre, le azioni dell’imperialismo sono giustificate con menzogne e ipocrisia. Nel suo discorso a Varsavia, Biden ha dichiarato che “in gioco in questo conflitto” c’è “la libertà delle democrazie in tutto il mondo”. Ha pronunciato questo discorso prima di una riunione dei membri della NATO dell’Europa orientale, tutti dominati da governi autoritari di destra.

Il fatto che il regime ucraino e le sue forze militari siano saturi di neofascisti è fuori discussione. La storia dell’Ucraina viene riscritta sulla base di una narrazione che promuove come eroe nazionale Stepan Bandera, lo sterminatore fascista alleato del Terzo Reich che guidò la famigerata Organizzazione dei nazionalisti ucraini.

Il governo della Polonia, che ha invitato Biden a pronunciare il suo discorso, è controllato dal partito di estrema destra Legge e giustizia, che ha criminalizzato la ricerca storica sull’antisemitismo polacco, trasformando la Polonia in una testa di ponte per l’aggressione degli Stati Uniti contro la Russia. In un’intervista con Haaretz questa settimana, l'ex presidente polacco Lech Walesa ha osservato che lo stato della democrazia in Polonia è così grave che richiederebbe una “rivoluzione nelle strade con l’uso della forza” (testuale).

Gli obiettivi dell’imperialismo statunitense ed europeo fanno sì che nessuna soluzione del conflitto sia accettabile se non la sconfitta militare della Russia, preludio del conflitto armato con la Cina, che secondo i generali statunitensi scoppierà entro i prossimi tre anni. Ad ogni modo non appena gli Stati Uniti e la Nato si sentiranno pronti.

Noi che cosa facciamo? Dissuasi dalla propaganda, instupiditi dai trastulli televisivi, restiamo inerti e fiduciosi che lor signori si accontentino dei profitti realizzati e abbassino un po’ i prezzi e le bollette.

giovedì 23 febbraio 2023

De Gasperi bocciato in inglese (e francese)

 

Ho già pubblicato uno stralcio di uno dei dispacci che l’ambasciatore italiano Pietro Quaroni a Mosca inviava al ministro degli Esteri De Gasperi. Essi costituiscono, nel loro insieme, una cruda lezione di realismo diplomatico e di pragmatismo capace di diagnosi severe ma molto spesso fondate. Ho trovato curioso però anche ciò che avvenne a margine della cosiddetta Conferenza della Pace, ovvero del Consiglio dei ministri degli Esteri, cui i Tre Grandi (Usa, Urss e GB), alla conferenza di Potsdam (17 luglio-2 agosto 1945), avevano demandato di predisporre la stesura schematica dei trattati di pace con le potenze minori del Tripartito, cioè l’Italia, la Finlandia, la Romania, l’Ungheria e la Bulgaria.

Il Consiglio dei ministri degli Esteri, riunitosi in una prima sessione a Londra dall’11 settembre al 2 ottobre 1945, decise di invitare il ministro degli Esteri italiano, De Gasperi, a presentare il suo punto di vista sulla questione del confine orientale, senza peraltro poter fare seguire alla sua dichiarazione la minima forma di dibattito con i ministri riuniti nella capitale britannica. Sin da allora fu evidente che il negoziato era strettamente collegato (non poteva essere diversamente) con i problemi generali delle relazioni fra le potenze vincitrici, che avrebbero portato all’esplodere della “guerra fredda”.

Il 18 settembre 1945, De Gasperi pronunziò in tale sede un discorso, ed un altro discorso, reso famoso, pronunzierà l’anno dopo a Parigi, dove nel frattempo si sarà spostata la sede del Consiglio dei ministri degli Esteri (29 luglio - 15 ottobre 1946). Dal diario di Elena Carandini Albertini, moglie di Nicolò Carandini, rappresentante diplomatico italiano a Londra, in stretti e amicali rapporti con De Gasperi, ricavo degli aneddoti curiosi, per esempio sulla complessa stesura del discorso del ministro degli Esteri del 18 settembre.

mercoledì 22 febbraio 2023

Senza doverci sforzare

 

Ieri sera ho guardato l’inizio della trasmissione che va in onda verso le 21,30 sul Sette. Subito prima della performance di Michele Santoro, c’erano due tizi, in altre occasioni intravisti ma dei quali sinceramente mi sfugge il nome, che si esibivano come umoristi. Anche per loro vale lo stesso giudizio che do per altri: oggi l’umorismo può essere solo l’esatto opposto delle battute, dei calembour e giochi di parole da scolari, non tirato verso il basso, sempre più in basso per compiacere la brava gente.

L’umorismo dovrebbe essere un pugno in faccia, contro tutto ciò che lusinga la stupidità, la volgarità, la bruttezza, l’ignoranza, e che viene propagato dalle mode e dai media. Un ottimo esempio di questo sagace umorismo è quello, stesso bouquet mediatico, della Gruber. Ricordo che circa una settimana or sono, senza far trasparire emozione alcuna né riso, cosa che rivela grande professionalità nel genere, ha chiesto a una sua ospite: “Quando due uomini a Sanremo si baciano, è di destra o di sinistra?”.

Era meglio la televisione d’un tempo, in cui i protagonisti indossavano abiti scuri, fumavano sullo schermo, sembravano bisnonni a 50 anni. Eravamo poveri, au bout de la nuit, ma ridevamo senza doverci sforzare.

Il decennio decisivo

 

Si sente dire ovunque che la Russia è l’aggressore e l’Ucraina l’aggredito. La strategia geopolitica non è materia imparentata con la morale, e capita spesso d’invocare il diritto internazionale solo quando e nella misura in cui fa comodo. Per rifarci solo alla storia degli ultimi tre decenni, Washington ha condotto una guerra senza sosta, riducendo in macerie paesi e società dei Balcani, del Medio Oriente, del Nord Africa e dell’Asia centrale.

Il Piano Strategico del Pentagono redatto nel 1992 enunciava che gli Stati Uniti non avrebbero permesso l’emergere di un nuovo sfidante alla loro egemonia mondiale. Concetto ribadito più volte in seguito.

Putin sta sfruttando, cosa che non garba molto a Pechino, proprio la rottura dell’ordine indotta dall’irruzione sulla scena globale della Cina, vero competitore degli Usa sul piano economico e tecnologico.

È vero, nella posizione russa c’è anche revanscismo per la catastrofe strategica 1989-’91, ma indubbiamente i motivi fondamentali di questa guerra sono altri. Ieri, scrivevo che alla Russia non rimanevano margini di sicurezza su cui ripiegare. La Crimea, il Mar Nero, sono il centro di gravità strategico della Russia, la sua porta sud, la porta del Medio Oriente e dell’Asia, non da oggi.

Perdente o vincente, la Russia non aveva alternativa. Si può anzi osservare che la risposta di Mosca all’accerchiamento degli Usa-Nato è arrivata in ritardo (dovuto alla debolezza della Russia), cioè nel 2014, quando i giochi nell’Est erano ormai fatti e vinti dagli Usa-Nato.

Dopo il cambio di regime, la posizione che veniva ad assumere lUcraina era scontata. A quel punto, la Russia non doveva più interrogarsi sulle intenzioni di Kiev, ma sulle capacità dell’Ucraina. Dopo lannessione della Crimea e la situazione creatasi nel Donbass, serviva tempo per addestrare e armare gli ucraini, tanto è vero che l’Occidente assecondò quella farsa che furono i protocolli di Minsk. 

Scrivevo giorni or sono, che l’Ucraina non è un soggetto, ma un oggetto di politica internazionale. Non conveniva accelerare l’adesione di Kiev alla Nato, per due motivi semplicissimi: non coinvolgere la Nato direttamente nel conflitto, eventualità che avrebbe avuto conseguenze gravissime; lasciare che la risposta russa si esprimesse con un’”aggressione”. Come propagandisti, gli americani sono i veri e insuperati maestri.

Sanno che in questo decennio si giocano tutto, che devono rispondere e adeguarsi al fatto che la Cina è emersa come superpotenza, e in quanto tale utilizza la sua forza economica per finalità geopolitiche. Perciò gli Stati Uniti stanno procedendo alla reindustrializzazione, di cui l’Inflation Reduction Act rappresenta solo un aspetto, peraltro importante. Il confronto-scontro di questi giganti sono guerre totali, dove potenza economica e tecnologica sono decisive. Ma questo si sapeva da un secolo e più.

martedì 21 febbraio 2023

Deficienti e sonnambuli

 

Mentre Washington impedisce di fatto le ispezioni russe sul territorio statunitense sulla base degli Accordi Start, sulla stampa italiana suscita riprovazione la decisione di Mosca di sospendere le ispezioni di ufficiali statunitensi nei siti nucleari in territorio russo. Sospensione decisa solo oggi, dopo anni di costante minaccia della Nato ai confini della Russia.

Pare che nessuno si accorga della piega che va prendendo la guerra tra Russia e Stati Uniti- Nato, dunque dell’escalation che potrebbe culminare per un qualsiasi imprevisto in una catastrofe che solo degli irresponsabili e dei sonnambuli negano come possibilità reale.

Non si vuole comprendere che al punto in cui si era arrivati, alla Russia non rimanevano margini di sicurezza su cui ripiegare. O la Russia resta quello che è, oppure decade irrimediabilmente e diventa una colonia come le altre, tipo la Germania, o anche molto peggio, tipo l'Italia.


Questo è il modo in cui la stampa italiana titola la notizia della decisione della Russia di sospendere la propria partecipazione al trattato Start III.

Qui sotto un modo più corretto di dare la notizia da parte de Le Monde, che non è certo un giornale filorusso.



[...]


La sciocchezza di chi crede che il sole tramonti ad est.

lunedì 20 febbraio 2023

La legge del Belin

 

“Fu Mussolini a introdurre la pensione di reversibilità nel caso morissero lui o lei. La previdenza sociale l’ha portata Mussolini, non l’hanno portata i marziani” (Matteo Salvini, Ministro dell’Interno, intervista radiofonica del 16 febbraio 2016).

Ha ragione Salvini, la previdenza sociale non l’hanno portata i marziani. Salvini e quelli come lui non c’entrano nulla con l’antenato dell’Inps, cioè la Cassa nazionale per le assicurazioni sociali (regio decreto n. 376 del 1907).

Alcune cose sul conflitto tra Russia e Stati Uniti

 

Scrive Sergio Fabbrini sul Sole 24 ore di ieri: «La guerra russa all’Ucraina è iniziata il 27 febbraio 2014, non già il 24 febbraio 2022. Nove anni fa, le truppe russe entrarono in Crimea e occuparono alcune aree delle regioni orientali del Paese, annettendole alla Federazione russa».

Già qui si rileva, ad essere benevoli, un’imprecisione: nel 2014 è avvenuta da parte russa la destabilizzazione del Donbass, ma non è avvenuta alcuna formale annessione delle regioni orientali del Donbass alla federazione russa.

Per quanto riguarda la Crimea, va ricordato, cosa che Fabbrini evita di fare, che secondo il trattato del 1997, la Russia aveva ottenuto dall’Ucraina di mantenere la base di Sebastopoli per un periodo di vent’anni, e, nel 2010, l’Ucraina aveva firmato un nuovo accordo che estendeva l’affitto fino al 2042.

domenica 19 febbraio 2023

Il sogno di Mengele

 

Joseph Mengele, il primario di Auschwitz, sperimentava sui deportati, ma non si deve credere che fosse contro gli omosessuali o “transfobico”. Tra i tanti diabolici armeggi, il nazista cercava i mezzi per trasformare una ragazza in un ragazzo e viceversa. Alcuni adolescenti furono operati e mutilati per sapere se potevano cambiare sesso. Ha anche iniettato certe sostanze negli occhi per cercare di cambiarne il colore. Mengele è stato un uomo del suo tempo, ma anche, a suo modo, un precursore del nostro: ossessionato dalla possibilità di modificare i corpi, la natura, di trasformare a tutti i costi l’identità di genere. Lui lo sognava; noi lo stiamo facendo.

L’analogia tra i suoi esperimenti e quelli che si stanno diffondendo oggi sarebbe evidente a un cieco. Mengele era un ciarlatano, ma i chirurghi plastici e i dottori che aiutano i giovani a trasformarsi non lo sono? I ragazzi che provano a cambiare sesso lo fanno volontariamente, liberamente; almeno lo credono, così sostiene la società medica e capitalista, questo grande mercato ossessionato dal rifiuto dei limiti e dalla paura della morte, che non si vergogna di sé. Quei giovani sono dei pionieri, ma soprattutto dei clienti.

I gemelli Mengele non volevano cambiare sesso, colore degli occhi o ospitare il virus della scarlattina per verificare se un presunto vaccino fosse efficace. Avrebbero semplicemente voluto vivere e soffrire il meno possibile. Questi topolini da laboratorio, il buon dottor Mengele, con i suoi stivali lucidi e il suo sorriso smagliante, li chiamava “i miei figli”. Avrebbe preferito che sopravvivessero (momentaneamente) ai suoi esperimenti per giustificare il suo orgoglio. Blade runner è il sequel cinematografico.

La moltiplicazione del suffisso “fobo” è uno di quei miracoli semantici che ci fa sentire in quale società siamo entrati: una società in cui ogni critica, riluttanza, preoccupazione, satira nei confronti di una pratica, di una religione, di una fantasia identitaria, sono denunciate come una fobia, cioè non come una riflessione o un’opinione che meriti di essere discussa, contestata, ma come il sintomo di una malattia mentale che si tratta di eliminare.

sabato 18 febbraio 2023

«Hitler ha fatto una scoperta»

 

L’Ambasciatore a Mosca, [Pietro] Quaroni, al Ministro degli Esteri, De Gasperi.

Telespr. 846/374. Mosca, 30 settembre 1945.

Telespresso di V.E. n. 9833/c. del 14 giugno u.s..

[...]

La nostra politica estera ha oggi un compito immediato: quello di liquidare al meno peggio possibile le conseguenze della guerra perduta. Una volta esaurito questo, dobbiamo cercare, evidentemente, di rimettere in piedi l’Italia, sia all’interno che all’estero. Noi, come non lo siamo mai stata per il passato, così, per un avvenire almeno prevedibile, una grande Potenza, nel senso vero della parola, non lo saremo mai: non saremo mai, cioè, in grado di foggiare noi la grande politica: ne deriva che il problema per noi di prima importanza è quello di comprendere la politica degli altri e di valutare esattamente il valore delle forze in presenza per vedere di riuscire, qualora una nuova guerra sia inevitabile, a restarne fuori - dopo che due guerre consecutive ci hanno mostrato cosa significa cacciarsi, non richiesti, nelle lotte altrui – o qualora questo dovesse essere proprio impossibile, per non sbagliarsi – nella valutazione della potenza dei principali contendenti.

L’orizzonte della nostra politica estera è stato sempre provincialmente ristretto.

Abbiamo conosciuto l’Europa e nemmeno quella tutta, perché, per esempio, la Russia è stata sempre per noi terra incognita: ma il resto del mondo, eccetto qualche tentativo nel Vicino Oriente, è sempre stato fuori del nostro angolo visuale. Questo voler fare della politica di grande Potenza mondiale senza conoscere e senza voler conoscere il mondo è stata una delle cause, non ultima, del nostro fatale errore di apprezzamento della situazione nel giugno del 1940, e degli errori anche più grossi che sono stati commessi nella condotta della guerra. Bisogna dire, per la verità, che i tedeschi ne hanno capito anche meno di noi. La politica è, oggi, mondiale assai più che europea: e per una valutazione effettiva delle forze in presenza e dello sviluppo delle grandi linee della politica, Kabul, Bangkok o Bogotà sono altrettanto importanti, come posti di osservazione, quanto Atene o Belgrado. Se noi non ci mettiamo bene in testa questo principio e non modifichiamo in relazione la mentalità del ministero degli Esteri, dei suoi funzionari e di tutta la classe politica italiana, andiamo incontro allegramente a nuovi disastri.

In questo momento la sistemazione dell’Europa è ancora al centro dell’attenzione mondiale. Ma questa acerba lotta di interessi in Europa non deve crearci delle illusioni. È un nuovo periodo della storia di Europa che si apre – intendendo Russia e Gran Bretagna come fuori dell’Europa, il periodo dell’Europa oggetto di politica coloniale.

Coll’occupazione della Cecoslovacchia, Hitler ha fatto una scoperta, per noi tutti, fatale. Ha mostrato che è possibile farsi delle colonie in Europa. Hitler ha fallito nel suo piano di trasformare tutta l’Europa in un impero coloniale germanico, ma i suoi vincitori stanno, in questa come in molte altre cose, copiando la sua politica, ritenendo, con altri sistemi, di poter riuscire là dove lui ha fallito. Ma la sistemazione e la spartizione dell’Europa non è che un preludio per la lotta vera che già si sta ingaggiando nel Vicino Oriente e in Asia. Le poste in gioco sono grandi, si tratta dei Paesi arabi, dell’India, della Cina, con tutto quello che esse rappresentano come riserve di materie prime, masse di popolazioni, possibilità strategiche.

[...]

(Min. Affari Esteri, Documenti Diplomatici Italiani, X Serie, vol. II, doc. 589, p. 790, IPZS, 1992).

venerdì 17 febbraio 2023

L'astensione e la realtà delle cose

 

Sentiamo dei gridolini preoccupati per la vasta astensione dal voto elettorale, non da parte della destra che ancora una volta incredula ha vinto. Non è l’astensione il motivo per il quale la democrazia corre pericolo. Non è nel sistema rappresentativo che regge la democrazia, come piace far credere, ma sulle finanze pubbliche, cioè il fisco e il bilancio.

Se il potere di decidere sul fisco e il bilancio (leggi deficit e debito), senza i cosiddetti vincoli esterni, così come sull’emissione di moneta propria, viene trasferito a un’entità diversa dal parlamento e dal governo, l’intera struttura di una società va in crisi, perché viene meno gran parte della ragion d’essere di uno Stato.

Le finanze pubbliche, lungi dal rientrare esclusivamente nell’ambito economico, finanziario e contabile al quale sono spesso ricondotte, hanno in realtà un carattere fondamentalmente politico. Il trasferimento di questo potere ad entità esterne, poco trasparenti e di cui la maggioranza della popolazione sa poco o nulla, incide gravemente sul contratto sociale che unisce una nazione.

L’astensione massiccia dal voto sottolinea questo stato di cose, revoca la legittimità di chi dice di agire in nome e per conto del “popolo”. Ecco dunque che si parla di crisi della democrazia. Giovanni Sartori, un liberale e non un marxista, nel 1973 scriveva di democrazia come di questo “nome pomposo per qualcosa che non esiste”. E Raymond Aron, nel 1963: “Tutta la democrazia è oligarchia, tutte le istituzioni sono imperfettamente rappresentative”. Sessant’anni prima di Eugenio Scalfari. Democrazia rappresentativa, democrazia diretta, socialdemocrazia, ecc.., ma chi comanda il gioco è la “democrazia finanziaria”, che ovviamente ha tutto l’interesse che i rapporti sociali siano plasmati e conformi alle sue esigenze.

Secondo questa ideologia, il comportamento degli individui è determinato dalla ricerca dell’interesse particolare, in cui tutti gli individui procedono con un calcolo di ottimizzazione, ciò che dovrebbe condurre spontaneamente, in una situazione di concorrenza pura e perfetta, alla realizzazione dell’interesse generale come la somma degli interessi particolari.

Se il comportamento degli individui è concepito come determinato dall’interesse e la teoria mostra come la ricerca di questo particolare interesse, attraverso il mercato, porti spontaneamente alla realizzazione dell’interesse generale e dunque a una naturale armonia e compatibilità, la mediazione politica tra interessi di classe diversi diventa inutile o addirittura dannosa.

Dal suo dispiegarsi come discorso dominante, in cui il mercato è inteso come l’istituzione più efficace per regolare le attività economiche e realizzare l’equilibrio sociale, viene lo sgombero del soggetto sociale e la liquidazione della rappresentanza politica. Questo mi pare si sia tutto sommato compreso, e tuttavia si è assistito impotenti all’interiorizzazione psichica del modello mercatista fin dal momento in cui è stata dichiarata la “fine delle ideologie”, fatto che ci ha privato degli strumenti logici e concettuali per una valida contrapposizione.

Diversi anni fa scrissi che per far fronte a questa debacle ideale e politica bisognava fare i conti con ciò che era stato il marxismo nel corso del del 900. Bisognava depurarlo da tutte le incrostazioni ideologiche che ne avevano tradito il messaggio originario, prima tra tutte la tesi che il comunismo fosse un sistema ideale da perseguire e al quale la realtà dovesse conformarsi in qualunque condizione storica ed economico-sociale. Il sedicente socialismo realizzato ha smentito questa tesi in modo clamoroso.

Non bastava aver anatomizzato con estrema perspicacia le contraddizioni insite nei rapporti moderni di produzione, smascherato gli ipocriti eufemismi degli economisti, dimostrare irrefutabilmente i deleteri effetti della concentrazione dei capitali e della proprietà, la sovraproduzione, le crisi, la rovina inevitabile della piccola borghesia, la miseria del proletariato, l’anarchia della produzione, le stridenti sproporzioni nella distribuzione della ricchezza, la guerra industriale di sterminio fra le varie nazioni.

Quanto al suo contenuto, questo socialismo, nel tentativo di scrollarsi di dosso gli antichi mezzi di produzione e di traffico, e con essi i vecchi rapporti di proprietà, in realtà, data la situazione di arretratezza e di miseria aggravate dalle guerre civili, sia in Russia e sia in Cina, instaurava dei regimi reazionari e oppressivi con i quali mantenere il nuovo ordine sociale basato sulla proprietà statale di ogni mezzo di produzione e di proprietà personale.

Questi teorici del socialismo, non trovando le condizioni materiali per l’emancipazione del proletariato e della società, imposero una scienza “marxista” volte a creare queste condizioni. Secoli di sviluppo economico e sociale, di genuino antagonismo fra le classi, di accumulazione originaria, venivano in tal modo elusi come fossero meri accidenti del processo storico.

Alla attività sociale doveva subentrare la loro inventiva personale, alle condizioni storiche dell’emancipazione del proletariato, dovevano subentrare condizioni immaginarie, e alla organizzazione del proletariato in classe con un processo graduale doveva subentrare una organizzazione della società da essi escogitata a bella posta. La storia universale futura si dissolve per essi nella propaganda e nell’esecuzione pratica dei loro progetti di società. Il loro socialismo consisteva nell’affermazione di una nuova classe di padroni della società nell’interesse della classe operaia. Tutto nell’interesse della classe operaia, anche il Gulag.

giovedì 16 febbraio 2023

Déjà vu

 

«Al centro di Roma regna un materialismo vistoso e vergognoso. Le donne si esibiscono in pellicce straordinarie venute da chissà dove, tiran fuori calze di ooni colore, scarponcini imbottiti, guantoni e cappucci fantasia. I negozi le tentano come ogni specie di cose desiderabili quanto inutili che pare incredibile possono fiorire ora. Una rosa costa 150 lire! Cioccolatini a 1800 lire il kilogrammo. [...] Si cerca di provvedere ai tanti sfollati che ancora campano in mezzo alla città malamente. Raccogliamo roba e denari, anche scatolame dei militari e bestiario americano usato ma lavato. [...] Si sono organizzati spettacoli per bambini presi con camion nelle borgate povere per un natalizio panem e per circenses. [...] Ma tutto ciò che si fa suona fasullo. Occorrerebbe una seria assistenza sociale. Riusciremo mai ad essere un paese civile, come s’intende ora, a generale beneficio?

Le lettere di Nicolò (del 12, 14 e 16 dicembre) descrivono la strenua vita di Londra, non ancora uscita dalla guerra. Tutte le classi sociali egualmente impegnate nello sforzo; o arruolate o in servizi volontari. Nove milioni di donne prestano la loro opera da anni, con disciplina ferrea, con sacrifici e sforzi appena immaginabili. Aboliti lussi, comodi, privilegi. La produzione tutta rivolta al necessario e il tesseramento è rigorosissimo ancora [lo sarà ancora per anni nel dopoguerra!]. Da noi l’anarchia dei singoli porta ai disagi dei molti. E il privilegio di pochi costa a innumerevoli persone».

Elena Carandini Albertini, Passata la stagione ..., Passigli editore. I brani sono tratti dal diario del dicembre 1944.

Il 14 gennaio 1945, scrive Elena: «Roma vivacchia di ogni specie di traffici. Mercato nero ancora prospero nonché quello bianco delle ragazze per i militari stranieri. Alla leva non ci si presenta, molti lavori vengono abbandonati perché non rendono abbastanza. Meglio vivere di espedienti, rivendere scatolette e sigarette, un po’ di tutto. [...] gli aiuti che affluiscono non possono bastare. Dall’Occidente si mandano in Abruzzo coperte, vestiario e molto altro. Ma è l’assistenza nostra che dovrebbe seriamente onestamente funzionare».

26 gennaio: «Giornali pieni degli arzigogolamenti e delle manovre di La Malfa, in polemica con Nenni, benché ansioso di non perdere terreno a sinistra. Quindi solite gomitate per spingere a destra i liberali mentre la destra vera e temibile, reazionaria e ancora fascista, sta già rialzando la testa. Forte proprio di queste discordie democratiche».

18 marzo: «La mia camera è sempre più colma di fiori [dopo il parto], sul mio letto sono candidi bei lini. Dovrei vergognarmene. Siamo degli incoscienti. Non mi raccontava ieri Captain Manley della terribile fame e della miseria in Sicilia? Giunte a tal segno che gli americani si sono persuasi a non buttar più via gli avanzi delle loro mense militari. Ne fanno ora un pastone, nutrientissimo, lavorato con sale e molto aglio. Passano migliaia di persone a prendere tale nutrimento, che solo ai porci si sarebbe dato».

19 marzo: «Pietro Nenni davvero non me lo aspettavo. [...] è un poco impacciato quando entra. Lo invito a sedersi sulla poltrona accanto al mio letto. [...] parla della Francia, che ha molto amato, con lo stesso nostro sconforto. Vi rifioriscono il nazionalismo e la confusione politica, sotto l’egida di De Gaulle, fattosi forte dell’avere gli angloamericani centrato e magnificato in lui la Résistance. [...] ha onestamente aggiunto: “Pensi che al crollo della Francia l’80 per cento dei socialisti francesi ha votato per Pétain!”. Al bivio fra Germania e Inghilterra si optava per la prima, fedeli al mito della forza conclamata.»


mercoledì 15 febbraio 2023

Dacci oggi il nostro nero quotidiano

 

Il 13 marzo 2020, tre agenti in borghese della polizia di Louisville, la maggiore città del Kentucky, fecero irruzione nella casa di Breonna Taylor, una badante di 26 anni, nel cuore della notte nell’ambito di un’indagine per traffico di droga sul suo ex fidanzato.

Il suo nuovo compagno, Kenneth Walker, scambiò gli agenti per rapinatori e sparò con una pistola legalmente posseduta. La polizia rispose al fuoco e Breonna Taylor fu crivellata da 20 proiettili. Un po’ troppi per parlare di una reazione legittima. In casa non fu trovata droga.

Gli agenti avevano un mandato chiamato “non bussare” che li autorizzava a sfondare la porta senza preavviso. Tuttavia si trattava, secondo il loro stesso racconto, di poliziotti molto educati, tanto da aver annunciato la loro presenza, circostanza che Walker nega. Il Washington Post, racconta che per entrare “hanno usato un ariete”.

Il caso Breonna Taylor era emerso durante le massicce manifestazioni di Black Lives Matter avvenute in Usa dopo la morte di George Floyd, l’afroamericano morto soffocato nel maggio 2020 a Minneapolis mentre un agente gli premeva sul collo con il ginocchio.

Quello che dovrebbe stupire non è che ci sia stato un secondo o un terzo caso prima e dopo la morte di George Floyd, ma che non si senta più spesso parlare degli omicidi di afroamericani. Sono circa 250 gli afroamericani che vengono uccisi dalla polizia ogni anno, quasi uno al giorno. Quello che non è gradito che si dica ma è evidenziato dei fatti e che gli Stati Uniti hanno sia un problema di razzismo che un problema di violenza istituzionale.

Non solo, come scrive il Washington Post, dal 2015 al 2020 la polizia ha ucciso a colpi di arma da fuoco quasi 250 donne. Come Taylor, 89 di loro sono state uccisi nelle case o nelle residenze dove a volte alloggiavano. Per la precisione 247 donne su oltre 5.600 persone uccise in totale. Numeri incredibili, che nessun corrispondente Rai da New York ci dirà mai.

Scrive sempre il Washington Post, i neri costituiscono il 12 per cento della popolazione maschile, ma il 27 per cento degli uomini uccisi dalla polizia (1.274) e il 36 per cento dei morti disarmati. Questi dati e altri ancora trovano conferma nel British Medical Journal.

La polizia non dipende dal governo. La polizia federale esiste, ovviamente, ed è l’FBI, ma si tratta solo 35.000 uomini. I poliziotti della sola New York sono circa 50.000, il che dà la proporzione. C’è una proliferazione di tipi diversi di polizia locale e possono avere mezzi e modi diversi di fare le cose. Gli agenti hanno una cultura professionale che è esclusivamente quella della forza e mancano di una cultura della prevenzione e della mediazione.

I loro sindacati dicono di rifiutare di essere trasformati in assistenti sociali, il loro motto è Legge e Ordine. Quando c’è un problema, o un semplice sospetto, le persone chiamano il 911 per avvisare che, per esempio, una persona si comporta in modo strano per strada. La polizia non è abituata a trattare problemi psichiatrici, né si prende la briga di chiamare l’assistenza medica o sociale (peraltro quasi assente per questi casi), perciò ricorre sistematicamente alla violenza.

A questo si aggiunge un pregiudizio molto americano: alcuni poliziotti locali operano come imprese private e sanno come promuoversi. È il caso della polizia di New York che ha fatto pubblicità abbinando la sua azione alla politica di sicurezza di New York, tolleranza zero ai tempi di Rudy Giuliani. Questo è stato presentato come un modello persino esportabile. Quando arrivi all’aeroporto, puoi comprare le magliette del dipartimento di polizia di New York. Il resto lo fa il cinema e la televisione. La polizia è corrotta, ma c’è sempre un Serpico come eroe positivo che salva la situazione.

Insomma, nonostante corruzione e abusi, la maggioranza degli americani è piuttosto cauta nei giudizi, perché circolano molte armi e ritiene che la polizia svolga un lavoro pericoloso. Il che è vero: la questione razziale è esplosiva, così come la questione sociale con tutte le sue aspre contraddizioni. Questa situazione racconta di una società in cui ogni anno, come detto, circa 1000-1200 persone vengono uccise dalla polizia. Questo numero, rapportato alla popolazione, è circa 15-20 volte maggiore che nei Paesi europei (*).

Racconta di una società dove la schiavitù e poi la sua formale abolizione hanno diviso profondamente il Paese e dove il razzismo è estremamente violento. Alcuni quartieri dove vivono prevalentemente afroamericani sono socialmente dimenticati, sprofondano nella disoccupazione e nella delinquenza, tanto che rappresentano una nuova forma di segregazione.

Considerazione: non mi pare che il modello sociale americano, anche da questo punto di vista, sia da prendere come esempio.

(*) In The Lancet si legge: «In tutte le razze e stati negli Stati Uniti, stimiamo 30.800 morti (intervallo di incertezza del 95% [UI] 30.300–31.300) a causa della violenza della polizia tra il 1980 e il 2018; ciò rappresenta 17.100 decessi in più (16.600-17.600) rispetto a quelli riportati dall’NVSS [National Vital Statistics System]. [...] Abbiamo scoperto che più della metà di tutti i decessi dovuti alla violenza della polizia che abbiamo stimato negli Stati Uniti dal 1980 al 2018 non sono stati segnalati nel NVSS. Ad aggravare questo, abbiamo riscontrato differenze sostanziali nel tasso di mortalità standardizzato per età dovuto alla violenza della polizia nel tempo e da gruppi razziali ed etnici all'interno degli Stati Uniti».

Lo speciale diritto degli Usa

 

Si legge sulla stampa, sui social, si sente dire in tv e alla radio che l’argomentazione secondo cui gli Stati Uniti sono responsabili della guerra in Ucraina ignora un principio fondamentale, sia sul piano del diritto che della morale, ossia che la responsabilità di un omicidio, o di un’invasione, ricade sulla persona che preme il grilletto o dà il comando.

Questa è, come dimostra qualsiasi studio serio sulla guerra fondato sulla storia, un’analogia banale e del tutto falsa. Gli omicidi individuali e le guerre tra nazioni implicano livelli di causalità profondamente differenti.

La guerra è un evento che nasce dalla complessa interazione di processi economici e geopolitici operanti su scala globale, nonché d’interessi sociali delle classi egemoni. La vera causa di una guerra è raramente riconducibile a chi ha sparato “il primo colpo”.

Nel periodo che precede lo scoppio di una guerra, le parti contendenti – per ottenere il vantaggio politico e propagandistico di poter rivendicare una superiorità morale – fomentano in ogni modo la reazione del loro potenziale nemico affinché inizi le ostilità.

Gli Stati Uniti sono maestri in questo genere di provocazioni. Quando non colgono l’obiettivo, inventano. Hanno dalla loro parte la totalità dei media (sono un tutt’uno col potere economico e politico, con i supremi interessi del sistema). Si possono citare al riguardo numerosi casi del genere.

Ma man mano che la guerra si svolge e le questioni e gli obiettivi sottostanti vengono messi a fuoco, il significato del “primo colpo” come fattore scatenante del conflitto perde importanza. L’assassinio dell’arciduca Ferdinando a Sarajevo nel 1914 fornì il pretesto per una guerra che si preparava da tempo. Ma l’omicidio non fu la causa essenziale della prima guerra mondiale. Ormai lo sanno anche gli scolaretti, o meglio, lo sapevano quando ancora, seppur negletta, la storia era materia scolastica.

Agli scolari americani viene detto che fu l’attacco a Fort Sumter nel 1861 a dare inizio al conflitto, e questo è vero, ma in realtà quell’attacco non fu la causa della Guerra Civile, così come l’attacco giapponese alle Hawaii non fu il motivo della guerra nippo-americana nello scacchiere del Pacifico. Vale il noto principio che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi.

Nel caso dell’attuale guerra in Ucraina, l’invasione russa del 24 febbraio 2022 è stata preceduta da una lunga catena di eventi. Ieri sera, per esempio, ho sentito dire in tv da uno sciocco a gettone che tutti i bambini morti nel conflitto sono morti in Ucraina. Significa aver dimenticato che la guerra infuriava nell’Ucraina orientale dal 2014, provocando oltre 14.000 morti. I bambini venivano uccisi dalle milizie di Kiev.

Inoltre, i combattimenti nella regione del Donbass erano stati accelerati dal rovesciamento del governo filorusso eletto a Kiev, sostituito da un governo nominato anche di fatto da Washington e largamente finanziato dagli Stati Uniti.

L’origine della guerra può essere fatta risalire più indietro, alla dissoluzione dell’URSS nel dicembre 1991, che ha innescato una reazione a catena di conflitti nazionali ed etnici. Un processo simile si era svolto in Jugoslavia dopo la sua disgregazione nel 1990-‘91.

C’è un altro problema nell’argomentazione prevalente, ossia che la Russia agisce in modo diverso rispetto alle altre nazioni perché è guidata da un uomo molto “cattivo”. La cattiveria di Putin spiegherebbe perché la Russia ha scatenato una guerra per la quale non c’era giustificazione. Lasciamo da parte il florilegio di minchiate sul tumore di Putin, al cervello, alla tiroide, alla prostata, ai testicoli ... . Sappiamo che i falliti, per sbarcare il lunario senza dover lavorare, spesso si buttano nel giornalismo.

Le guerre preventive a volte sono considerate accettabili, ma solo se una nazione rivale è pronta a colpire. Ovviamente viene sostenuto che l’Ucraina non era in quella posizione l’anno scorso. In realtà l’Ucraina si predisponeva per un attacco più massiccio, quantomeno verso la Crimea, e in ogni modo stava combattendo da anni con sue proprie truppe nei territori a maggioranza di popolazione russa in violazione degli accordi stipulati.

Si potrebbe anche addurre il fatto che gli Stati Uniti si sono comportati in modo non meno illegale quando hanno invaso l’Afghanistan e l’Iraq, ma ciò non depone a favore di qualsiasi aggressore. Tuttavia non va trascurato l’esame delle politiche degli Stati Uniti e della NATO nei precedenti 30 anni, che hanno portato a cambiamenti di regime, all’assassinio di leader, massacri di civili e, nel caso qui in discussione, all’espansione della NATO nell’Est Europa e la prevista integrazione dell’Ucraina nella stessa alleanza.

Non va dimenticata la stipula di un partenariato strategico nel novembre 2021. Quell’accordo approvava la strategia militare di Kiev del marzo 2021 che proclamava esplicitamente l’obiettivo militare di “riprendere” la Crimea e il Donbass, violando esplicitamente gli accordi di Minsk del 2015 che costituivano il quadro ufficiale per la risoluzione del conflitto nell’Ucraina orientale.

Washington, quanto a violazione degli accordi sottoscritti, può vantare una storia, macchiata di sangue, che data fin dalle origini. Tra l’altro, un suo presidente è stato il maggior fautore della Società delle Nazioni, ma quando videro che non potevano dominare quel consesso decisero di non farne parte.

Quale speciale diritto possono invocare gli Usa per portare proprie armi e truppe ai confini della Russia nel mentre essi negano, giustamente, tale diritto alla Russia, alla Cina e a chicchessia di installare proprie basi militari in America Latina?

martedì 14 febbraio 2023

Meno dell’uno per cento

 

Il cosiddetto Green Deal europeo è un insieme di iniziative politiche proposte dalla Commissione europea con l’obiettivo generale di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050. Che cazzo è la “neutralità climatica”? In sostanza fare a meno delle fonti fossili per produrre energia. Sulla carta un intento molto buono, perché serve a rendere più sostenibili e meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia e lo stile di vita dei cittadini europei. In pratica si rischia una catastrofe economica.

Quando si legge di rendere più sostenibili e meno dannoso per l’ambiente lo stile di vita dei cittadini europei non ci si riferisce a di tutti i cittadini indistintamente, perché ci sono anche quelli con uno stile di vita e dunque di consumi e di scialo che i comuni mortali possono solo sognare. Figuriamoci i poveracci.

Il mio vicino di casa abita in un villino, un altro lo possiede al mare e un cottage (lo chiama così) a Sappada, due SUV e due moto per i propri figlioli, secondo voi ha lo stesso stile di vita di chi come me vive in un sarcofago? Un altro vicino possiede in un porticciolo sul litorale veneto una “barca” di 14 metri che consuma in un’ora quanto io di riscaldamento a gennaio. La mia è invidia? Non credo, basta che non rompano i coglioni con “più Europa”.

Si tratta di quella UE che ora vuole che le abitazioni siano adeguatamente ristrutturate per portarle infine a classe “d”. Sono d’accordo, e ho anche fatto una ricognizione delle somme necessarie nel mio personalissimo caso. Risultato: ci trasferiamo alle Canarie che è più conveniente.

Mi chiedo, inoltre, perché un abitante di Palermo, di Reggio Calabria, di Cagliari, per non dire di Catania o di Lampedusa, dovrebbero spendere decine di migliaia di euro di lavori di adeguamento quando per scaldarsi d’inverno, se proprio necessario, è sufficiente che metta a bollire una pentola sul fuoco.

Sono io che non capisco, ovviamente. Leggo sul Sole 24 ore un articolo dal titolo L’infinita rivoluzione imposta alle case:

«Grande enfasi viene data all’uso energetico degli edifici perché, in base ad alcune ipotesi, contano per il 40% del totale dei consumi. Tuttavia, se si considera solo la parte residenziale, e non il pubblico e il commerciale, si scende al 30% e, a loro interno, i fossili non superano il 12%, perché già ora si usa molta legna, seconda fonte dopo il gas, ed elettricità, non per riscaldamento. La rivoluzione serve per affrontare il problema delle crescenti emissioni di CO2, ma siccome quelle delle abitazioni sono intorno al 12% del totale UE e quelle totali dell’UE sono pari al 7% del totale mondiale, il settore conta per meno dell’uno per cento nel mondo».

La mia ignoranza in materia (non è falsa modestia) non mi permette di dire se questi dati siano esatti oppure falsi, manipolati o altro. Se sono anche approssimativamente realistici, ciò mi mette a posto con la mia coscienza: non sono corresponsabile della morte degli orsi bianchi. A scrivili, questi dati, sul giornale di Confindustria, è l’ing. Davide Tabarelli, il presidente e fondatore di NE-Nomisma Energia, il quale ha l’ardire di aggiungere:

«Ancora una volta facciamo i primi della classe mentre negli Stati Uniti l’energia costa un terzo e hanno emissioni pro capite di gran lunga le più alte al mondo. Ora Biden, con l’Inflation Reduction Act, vuole recuperare terreno e giustifica azioni protezionistiche. La crisi del 2022 avrebbe obbligato l’Europa a raddrizzare le sue politiche, invece, accentua lo sbilanciamento sull’ambiente a scapito dei costi per le sue famiglie e le sue imprese. Di sicuro, farà poco per risolvere il problema del cambiamento climatico».

C’è dell’altro ...


Davvero ci sorprendiamo che alle elezioni regionali di Lazio e Lombardia siano andati a votare solo i famigli dei candidati? Anche se l’astensione è un’opzione, non ci si astiene dal voto quando si è parenti o clienti di un candidato.

Siamo dentro a un incubo a occhi aperti, altrimenti ci dovremmo sorprendere che c’è ancora chi va a votare. Potrebbe venire il dubbio che gli elettori alle elezioni preferiscano astenersi piuttosto che votare male e condurre il Paese e le proprie amministrazioni regionali e locali su strade avventurose. In tal caso, dimostreremmo di avere resipiscenza.

Per lustri abbiamo avuto al potere un miliardario che dice di essersi fatto da sé, con ridicoli capelli finti, circondato da figlie di Mubarak, che è sospettato di avere legami con la mafia, che è populista, megalomane e opportunista, misogino e maleducato, volgare e bugiardo, egocentrico quant’altri mai.

Poi abbiamo avuto il famoso “tecnico” dell’Ikea, quindi la lunga parentesi di un ineffabile tizio di cui il 40% dei votanti andava pazzo, quindi ancora un branco di analfabeti, poi il “migliore degli italiani” e adesso ciò che resta del neofascismo da operetta. Insomma, trent’anni a briscola.

È tale consapevolezza degli errori del passato che potrebbe avere incoraggiato gli elettori ad astenersi? L’astensione sarebbe dunque rivelatrice di una sorta di disillusione che colpirebbe tutta la società, di fronte a un futuro sempre più crepuscolare, consapevoli che ciò che accade e accadrà è inevitabile e nessuno può opporvisi?

Ci chiediamo cosa possano fare dei politici, a parte votare sussidi per ristrutturare edifici di gente benestante e offrire bonus per l’acquisto di auto ibride. Se c’è un momento nella vita in cui vuoi cambiare tutto, è quello della giovinezza. Eppure non c’è un solo giovane che voglia cambiare tutto, lontani anni luce da quell’epoca straordinariamente politicizzata in cui bene o male quasi il 90% degli elettori andava a votare.

Segnalo che nelle classifiche dei libri più venduti, pubblicate nel supplemento domenicale de Il Sole 24ore, primo nella top ten è il libro di un certo Henry, duca di Sussex, meglio noto come Harry. Che cosa c’entra? Moltissimo.

Questo sistema che si definisce democratico ha un problema, che non riguarda l’assenza di leader politici e di partiti in cui riconoscersi. C’è dell’altro. Ci sono buone probabilità che, nel prossimo futuro, non ci sia più nessuno che voglia tenere un seggio elettorale e contare le schede. 

lunedì 13 febbraio 2023

Specialisti dell’intossicazione ideologica


«“Capitale” non significa necessariamente avidità, ed è proprio su questo punto che occorre essere chiari. Il grande valore del capitale sta nello sfruttare appieno le risorse della registrazione, l’accantonare, l’accumulare, ma anche e soprattutto il reinvestire. Perché questo è il grande segreto della capitalizzazione: una volta che è registrato, un evento diviene un oggetto che può essere iterato, con un risparmio di forze e una crescita di possibilità i cui effetti si vedono molto più chiaramente nell’ambito culturale e generalmente umano che in quello finanziario.

Occorre comprendere che la capitalizzazione costituisce la risorsa fondamentale dell’umano in quanto creazione di una struttura storica e sociale, e dunque anche come fondamento ultimo dell’etica, giacché i valori morali, proprio come quelli venali, esistono soltanto all’interno di un sistema. Non si capitalizza togliendo dal dominio pubblico qualcosa, mettendolo in una cripta. La capitalizzazione è il processo contrario, e implica la condivisione e la diffusione, come paradigmaticamente avviene, molto più che nei capitali finanziari, in quel grandissimo capitale comune costituito dalla tecnica, dalla cultura, dal linguaggio. Ed è proprio la somma di questi atti di registrazione e di iterazione che ha fatto sì che gli umani divenissero quello che sono: non per qualcosa che possedevano al loro interno, ma per qualcosa che, deposto all’esterno, conservato e condiviso, ha agito retrospettivamente modellando la natura umana e rendendola tale» (Maurizio Ferraris, Manifesto del nuovo realismo).

Con il termine capitale Ferraris vuole intendere molte cose, troppe. È vero che va di moda anche parlare di “capitale umano”, ma questo è uno dei sintomi della degenerazione dell’epoca attuale, del prevalere dell’idiozia liberale che ritiene di essere imperniata su realismo e pragmatismo e invece non è altro che ideologia di servizio.

Per prima cosa bisogna stabilire che cosa s’intende per “capitale”. Prima ancora di essere una “cosa”, o un “evento”, per dirla con il nostro funambolico “filosofo”, il capitale è un rapporto sociale tra persone mediato da cose.

Per esempio, i mezzi di produzione e di sussistenza, quando sono proprietà del produttore immediato, non sono capitale. Diventano capitale solo in condizioni in cui servano contemporaneamente anche come mezzi per sfruttare e dominare l’operaio. Ma nella testa del “filosofo”, quest’anima del capitale, così intimamente coniugata con la sostanza materiale dei rapporti sociali di classe, è del tutto trascurata ed egli preferisce chiamare capitale qualunque “evento” in ogni circostanza, magari anche il suo contrario.

Porto un altro esempio: un uomo è un uomo, ma soltanto in determinate condizioni egli diventa uno schiavo. Una macina è una macchina per macinare del grano, ma soltanto in determinate condizioni essa diventa capitale. Sottratta a queste condizioni essa non è capitale, allo stesso modo che l’oro in sé e per sé non è denaro e lo zucchero non è il prezzo dello zucchero. Il capitale è un rapporto sociale di produzione. È un rapporto storico di produzione.

Alla luce di ciò, perché sovrapporre concetti dai significati diversi? È un modo di concepire le categorie economiche come qualcosa al di fuori e al di sopra della storia. Non in modo incidentale, perché si tratta di specialisti dell’intossicazione ideologica, dissimulatori professionisti, portatori d’acqua del discorso economico liberale, del suo dispiegarsi come discorso dominante, di legittimazione basata sulla prova “scientifica” che l’umanità vive oggi in condizioni migliori che nel passato (e vorrei anche vedere, tacendone tuttavia i costi).

Merito delle forze produttive capitalistiche, di quella spontanea ottimizzazione/massimizzazione dell’utilità per il consumatore e del profitto per il produttore, che trova nell’accumulazione e nel reinvestimento la misura del progresso sociale.

Il pregiudizio ideologico di questa costruzione teorica è quello di dimostrare che il capitale, alias il mercato, è l’istituzione più efficace per regolare le attività economiche, e l’accumulazione privata la “risorsa fondamentale dell’umano”, dunque suo specifico naturale, che conduce spontaneamente alla realizzazione dell’interesse generale. Il cerchio si chiude perfettamente.

Anche dal lato della cultura, della produzione intellettuale in generale, va da sé che si procede per accumulo (non solo, anche per distruzione, rimozione, censura, ecc.). È pacifico che l’umanità non riparta ogni giorno ex novo. Perciò dire che la “capitalizzazione è la risorsa fondamentale dell’umano”, è un truismo che ci può stare (la prima risorsa dell’umano è la natura), e siamo tutti concordi che non parliamo di una condizione “naturale”. E però bisogna intendersi bene: si tratta di attività finalizzata e mediata da molteplici strumenti ma tesa, qualunque siano le sue forme specifiche, alla produzione e riproduzione dei rapporti sociali.

Che si tratti di produzione materiale, di produzione intellettuale, di produzione di figli, cioè dei tre rapporti di produzione basilari, il primo risultato di tali attività resta sempre un rapporto sociale. Rapporto che, naturalmente, può essere compreso solo nel quadro della totalità delle sue reali connessioni, laddove nondimeno il fattore economico, dunque i rapporti di proprietà, giocano un ruolo chiave.