giovedì 30 novembre 2017

L’illusione di poter scegliere



Decine di tipologie di contratti, lavoro precario e salari di fame. Come si fa a mettere al mondo figli in simili condizioni?

Lavoro stabile e salari decenti, condizione primaria perché la natalità aumenti. Ma ciò è incompatibile con un sistema economico la cui essenza è la produzione basata sullo sfruttamento e sul pressante invito a consumare.


Tutto va allo sfascio mentre si è gonfiato a dimensioni planetarie un sistema tecnicamente programmato per convincerci a rinunciare a tutto ciò che è veramente essenziale in cambio dell’illusione di poter scegliere liberamente.

martedì 28 novembre 2017

Fake news, soprattutto con "distinzione"

Oggi su la Bugiarda Recalcati invita “la sinistra” a rileggere … Turati! Non si tratta in senso stretto di una fake news, e del resto c’è da chiedersi se esista qualcosa di più "fake" dei psicoanalisti. Tuttavia questo è uno dei tanti sintomi, piccoli e grandi, di tempi a nostro modo difficili, in attesa di quelli drammatici.

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Tutti sanno (almeno in altri tempi era così) che Marx è l’autore de Il Capitale. Molti (in senso relativo) sostengono pure di averla “letta” quest’opera di Marx. O magari anche solo sfogliata, che già sarebbe qualcosa. Pochi (in senso assoluto) hanno qualche reale cognizione sul Capitale di Marx. Non è raro, invece, d’imbattersi in saggisti, giornalisti, politici, blogger e affabulatori vari che, citando Marx e il Capitale, asseriscono le cose più invereconde, e sempre la loro fonte è il sentito dire, cioè l’aver letto o ascoltato puttanate panzane, le quali rappresentano la merce di maggior scambio e più a buon mercato.

Due esempi tra i tanti di fake news sul tema. Nei convegni e nei salotti (così come nei manuali, ecc.) quando succede di citare Marx, non manca il riferimento alla sua “teoria del valore-lavoro”. Sta di fatto che per Marx “il punto di partenza così come il punto d’arrivo” della sua indagine scientifica non è né il valore, né il valore di scambio, né il lavoro, bensì il capitale, e dunque l’esame in tutti i suoi aspetti della “merce singola come forma elementare” della ricchezza della società in cui domina il modo di produzione capitalistico.

E, soprattutto, Marx non ha mai usato l’espressione “valore-lavoro”, coniata invece da un suo critico borghese, ossia da Eugen Ritter von Böhm-Bawerk. A un livello più basso, diciamo delle osterie di un tempo e ora nei cosiddetti social, pare che Marx sia stato il teorico del “comunismo” (e dunque, secondo tale vulgata, indiretto responsabile dei “gulag”), del quale sembra abbia scritto in lungo e in largo nelle sue opere. E tuttavia, Marx è uno degli autori “marxisti” che meno ha scritto sul tema del comunismo. Per esempio, ne Il Capitale del “comunismo” non si parla e il termine ne non vi compare mai. Una sola vota si legge “società comunista”, ma senza alcun’altra specificazione.

Per completezza segnalo quanto si trova in Wikipedia a tale riguardo: “La teoria marxiana del valore-lavoro prende come base la teoria classica, ma vi apporta alcune modifiche”. Lo stesso che dire: la teoria copernicana apporta alcune modifiche a quella tolemaica. Ma ciò che segue è davvero esilarante: “Inoltre Marx recupera la distinzione fisiocratica fra lavoro produttivo ed improduttivo, per arrivare alla distinzione fra sovrappiù (plusvalore) e sfruttamento”. E dunque ringraziamo la scuola fisiocratica e soprattutto la “distinzione” con cui vengono spacciate perline colorate (**).

(*) La vicenda redazionale ed editoriale de Il Capitale. Per la critica dell’economia politica (questo il titolo integrale), è a dir poco complessa, e per sommi capi l’ho recentemente riassunta in un post.

(**) «Dalla concezione dei fisiocratici, i quali concepiscono il profitto (interesse compreso) semplicemente come un reddito destinato ad essere consumato dal capitalista, deriva anche l’opinione di A. Smith e dei suoi successori, che l’accumulazione del capitale sia dovuta alle privazioni personali, al risparmio e all’astinenza del capitalista. Essi possono fare questa affermazione perché considerano la rendita fondiaria come l’unica fonte vera, economica, per così dire legittima dell’accumulazione» (Teorie sul plusvalore, I, MEOC, XXXIV, pp. 30-31).

lunedì 27 novembre 2017

Sconvolgimenti epocali sotto ogni aspetto della materia sociale


Se non fosse per l’immiserimento intellettuale crescente, ossia per la repressione del libero sviluppo intellettuale in cui sono ridotte oggi tutte le classi subalterne al grande capitale, con il controllo e il trasferimento ad esso del monopolio di ogni sapere così come di ogni potere, le cose potrebbero andare per un altro verso se non altro nel dibattito pubblico.

La platea d’ascolto è sempre più ridotta in ogni ambito sociale su certe questioni, scansate perché ritenute noiose, accademiche, autoreferenziali per chi le propone e discute. L’ordine del giorno del dibattito pubblico viene deciso a livelli sempre più alti e occulti. Da un singolo episodio, per esempio, partono campagne mediatiche che sembrano dover travolgere tutto e tutti su questioni che, a confronto di altre, sono ben marginali quando non rasentino il ridicolo.

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venerdì 24 novembre 2017

Tamburi di guerra



Il capitalismo sta attraversando un crollo politico storico, su questo non sussistono dubbi nemmeno tra gli analisti borghesi. Inoltre è palese il pericolo di una terza guerra mondiale. Tutti gli Stati, nessuno escluso, si stanno preparando rapidamente alla guerra, non escluso l’impiego massiccio delle armi nucleari. Il conflitto è radicato nella contraddizione tra il sistema degli stati nazionali e il carattere globale della produzione economica.

Due settimane fa, la NATO ha tenuto un vertice a Bruxelles per discutere la costruzione di basi navali e logistiche per il trasporto di truppe statunitensi attraverso l'Atlantico per il continente europeo allo scopo di combattere contro la Russia. Leggendo l'agenda del vertice, il settimanale tedesco Der Spiegel ha concluso, in parole povere: la NATO si sta preparando per una possibile guerra con la Russia.

Wolfgang Ischinger, presidente delle Conferenze sulla sicurezza di Monaco: «L'Europa deve muoversi perché la situazione della sicurezza si è deteriorata drammaticamente nel giro di pochi anni. L'ex partner Russia è diventato un nemico, nell'Europa orientale, nel Medio Oriente e nel Nord Africa ci sono condizioni politicamente ed economicamente instabili».

Da parte sua la Russia, con l’esercitazione Zapad dello scorso settembre, ha inteso rispondere alle minacce della NATO, le cui forze hanno circondando la Russia e spingono le loro truppe fino agli stessi confini della Russia.  Scopo dell’esercitazione Zapad è stato quello di testare se la Russia potrebbe sostenere la mobilitazione a tutto campo delle sue risorse economiche per la guerra nucleare su larga scala. Lo scenario dell'esercitazione simulava l’impiego delle forze nucleari strategiche con i loro vettori in risposta ad un attacco esterno.

Bella merda


Quella di Eugenio Scalfari, fondatore de la Bugiarda, non è stata un’uscita estemporanea, ma un chiaro messaggio. Tra parentesi: notata la vera novità del quotidiano? Ora per leggere certe cagate, come per esempio l'intervista di ieri al ministro Pietro Padoàn, ti devi abbonare. Bella merda. L’ex primo quotidiano d’Italia è sceso alle 183.116 vendute nel giugno 2017 dalle 223.356 di un anno prima. Un crollo di oltre il 18%. Bravo, Mariolino Pio.

La legge elettorale attuale prevede di continuare, in modo ancor più sfacciato, la grande inciuciata. Quanto agli “incontri” tra Fassino e i “dissidenti” si tratta solo di “ammuina”. E, pur avendo sulle scatole le dietrologie, non mi convince neppure la genuinità dell’annuncio di Alessandro Di Battista sulla sua rinuncia a ricandidarsi. Per parafrasare il rigattiere di Stratford-upon-Avon, ci sono più trame nella politica che cose in cielo e in terra.

martedì 21 novembre 2017

Il capitale è come il lupo: può perdere il pelo ma non cambiare la sua natura



Non è singolare e tantomeno inedito che i riformatori del capitalismo – i quali si rendono perfettamente conto della contraddizione tra lo sfrenato sviluppo della forza produttiva da un lato e dall’altro dell’accrescimento della ricchezza da parte di un’infima minoranza – puntino a domare la contraddizione con una diversa distribuzione del reddito rispetto al capitale, ossia prevalentemente attraverso le imposte e le millantate “patrimoniali”. Essi, in buona sostanza, fingono di vivere in un’altra realtà, cioè non hanno interesse a prendere atto che i rapporti di distribuzione non sono altro che i rapporti di produzione sub alia specie.

E ciò che vige per questo tipo di rapporti vale anche per tutto il resto. Per esempio per quanto riguarda lo sfruttamento della forza-lavoro. Proprio nel post precedente ho accennato a una questione che sembra non riguardare nessuno e che invece concerne direttamente la vita di ogni schiavo salariato. Mi riferisco al lavoro estorto, ossia al plusvalore, o valore aggiunto come lo chiamano gli acrobati della “scienza” borghese.

domenica 19 novembre 2017

Mistero fitto



Prendo a pretesto un paio di frasi da un post del blog Phastidio per chiarire come viene abitualmente trattato il concetto di produttività del lavoro e la categoria del cosiddetto “saggio di valore aggiunto”, ossia il saggio del plusvalore.

… la produttività del lavoro è il tasso di valore aggiunto alla produzione, che deriva ovviamente dal rapporto tra valore aggiunto ed ore di lavoro. Lo capisce chiunque che se il denominatore, cioè le ore di lavoro, aumenta, ma il numeratore resta uguale, il tasso di produttività non può far altro che diminuire ancora.

L’avverbio “ovviamente” è una forzatura. La prima proposizione potrebbe passare liscia se non fosse per un non "trascurabile dettaglio", laddove si presuppone per dimostrato ciò che si deve dimostrare. Chiedo: da dove risulta l’entità (la massa) del valore aggiunto che rapportata alle ore lavorate dovrebbe determinare il saggio del valore aggiunto stesso e da questo condurre a stabilire la famigerata “produttività del lavoro”?

Se non conosco uno degli elementi costitutivi del capitale anticipato, ossia il capitale variabile (salari), è impossibile determinare l’entità del valore aggiunto, alias del plusvalore, e conseguentemente non posso calcolare – prendendo per buono che ciò vada fatto in rapporto alle ore lavorate – il saggio del valore aggiunto (saggio del plusvalore). Allo stesso modo, se volessi, su tale base non potrei determinare né la massa né il saggio del profitto.

In termini colloquiali: se il capitalista non conosce l’entità dei salari pagati, ossia il prezzo della forza-lavoro acquistata, come cazzo può calcolare il suo “guadagno”, ossia valutare esattamente il valore aggiunto ex novo al suo capitale? Mistero fitto.  

Oltretutto, prendendo per buona la formulazione citata, con una battuta si potrebbe dire che un cercatore di diamanti (il loro reperimento costa in media molto tempo di lavoro) sia per forza di cose scarsamente produttivo.

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venerdì 17 novembre 2017

La sostanza è questa



Non c’è nulla da fare, l’inflazione resta al palo. E solo Dio sa quanto vi sia bisogno di qualche punto d’inflazione per erodere salari e pensioni a beneficio (anche) del debito pubblico.

La strada maestra per far aumentare l’inflazione (anche controvoglia) è sempre stata quella di stampare moneta (anche sotto forma di debito, ossia di titoli di stato). E anche in tal caso solo Draghi sa meglio di tutti quanta liquidità a tal fine viene giocata. Tuttavia tale liquidità resta prevalentemente nel circuito finanziario, e poco agisce sul credito e ancor meno sui consumi delle anime comuni.

Per aumentare questi ultimi, c’è, a sua volta, un’altra strada maestra, vale a dire quella della spesa “aggregata”, ottenuta aumentando la spesa pubblica. Dicono che con i debiti pubblici correnti si possa fare poco da questo lato. E allora non resta, almeno in via teorica, che aumentare i salari. Ne va di mezzo, come viene lamentato, la famosa competitività. Le merci diventano più care, calano i margini di profitto e tutto va a puttane.

Pertanto non resta che aumentare la famigerata produttività del lavoro. Si ottiene fondamentalmente in due modi: aumentando lo sfruttamento della forza-lavoro (in questo l’Italia è tra i paesi all’avanguardia della produttività, checché ne dicano le statistiche padronali) e/o investire nella famosa “innovazione”. C’è, a quest’ultimo riguardo, e parlando in generale, un piccolo dettaglio cui accennare di striscio: in rapporto agli investimenti, il tasso di profitto tende progressivamente a scendere invece di crescere. Si tratta di “cosuccia” di poco conto, mettiamola così.

Perché, per esempio, in Italia s’investe di meno in “innovazione” rispetto a paesi tipo la Germania? Al netto di considerazioni di carattere tipicamente locale, bisogna tener presente la “cosuccia” di cui sopra, e perciò la risposta diventa spontanea: perché si tratta, come nel caso della Germania, di paesi già forti sul mercato, ossia di paesi (e multinazionali) che possono erodere plusvalore altrui, e in tal modo far fronte in migliori condizioni alla caduta del saggio del profitto.

Esempio terra-terra: la Fiat non è certo un competitor (per usare questo brutto termine) della Volkswagen. Così come la vedo dura, lasciando a parte la matrigna Germania, dover competere con colossi tipo Apple, Samsung, Microsoft, tanto per citare i soliti noti. C’è concorrenza tra questi colossi, nella loro sfera produttiva, ma possono imporre prezzi che erodono plusvalore estorto in altre sfere produttive (anche attraverso l'elusione fiscale).

Spero di non aver volgarizzato troppo la complessità delle varie questioni tra loro connesse, tuttavia la sostanza è questa. Conclusione: non è l’euro, quale moneta di conto e di scambio, ad avere un volto e un ruolo cinico e soprattutto baro (si può discutere invece del suo uso "politico", ma ciò vale anche per il dollaro). Cinica è la realtà, quella del capitalismo monopolistico, ossia la cogenza di determinati rapporti di forza economici (e geopolitici).

giovedì 16 novembre 2017

Toghe rosse


Le solite "toghe rosse" hanno tolto il pane di bocca alla madre dei suoi figli.

Il recuperatore


Ieri sera ho seguito l’on. Pierluigi Bersani ospite della dott.ssa Dietlinde Gruber. Nessuno dei tre giornalisti presenti in studio – con reddito abbondantissimamente superiore alla media – mostrava di essere in contatto con la realtà, e ciò nonostante le suppliche dello stesso Bersani. Tentativo inutile ma del quale bisogna dargli atto.

L’on. Bersani, mesi addietro, sempre nella stessa trasmissione televisiva, ripeteva di essere un “liberale”. Ieri sera ha leggermente cambiato posizione, dichiarando di essere “socialdemocratico”. Piccoli spostamenti di orientamento, insignificanti per quanto riguarda la sostanza, e però la dicono lunga sul travaglio dell’uomo e del politico, sul difficile momento di chi per troppi anni ha ingoiato tanti rospi. Il suo tentativo, dichiarato, è quello di recuperare i voti finiti nel “bosco” dell’astensione. Eh già, l’astensione ormai gioca un ruolo attivo. Non solo in Italia.

La ricetta per recuperare voti presso chi non ne vuol più sapere di farsi prendere in giro è la solita: un po’ di questo e un po’ di quell’altro, sul piano del “lavoro” e del fisco. Se non è un recupero pieno dell’articolo 18 sia almeno un 17 e rotti, ripete da tempo Bersani. Magari facendo pagare un qualcosa in più a chi paga poco o nulla. Senza spingersi in proposte indecenti, per carità. Per esempio, mai una tassazione di livello tedesco o francese per le donazione e successioni. Non sarebbe la fine del mondo copiare la famosa “Europa” per quanto riguarda le imposte sulla rendita, tuttavia si guarderanno bene sia i socialdemocratici e sia i “produttori di vino” dal proporlo, ma soprattutto, si presentasse mai il caso concreto, dal farlo.


Intanto, ogni anno, dall’Italia parte per l’estero un numero di pensionati e di giovani pari alla popolazione di una media città. E vi posso assicurare che ci vuol coraggio per emigrare in Bulgaria, ma anche per andare a vivere in Inghilterra. E una bella faccia tosta per ignorare una tendenza in accelerazione.

mercoledì 15 novembre 2017

Un novello niente male


Quanti articoli, trasmissioni radiofoniche e televisive sono dedicate al tema del rapporto tra cibo e salute. Stamane, su radio tre scienza, una specialista in nutrizione, impegnata presso un istituto per la ricerca sul cancro, ci informava che assumere bevande bollenti non fa bene alla salute. Mancava solo ci dicesse: attenti a non scottarvi la lingua.

Il vino, così come tutti gli alcolici, è tossico, raccontava l’esperta. Bere acqua, consigliava, se non si hanno particolari problemi renali. E invece, ma non per dispetto bensì per piacere, anche oggi ho bevuto un novello niente male.

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La prima causa di morte per cancro nel mondo è il tumore del polmone. Ciò vale anche per i maschi italiani (pur con la forte riduzione della prevalenza di fumatori tra gli uomini: dal 55% al 28% tra il 1970 e il 2011, secondo dati Istat), ma anche tra le donne i decessi per tale patologia sono in costante crescita (un incremento annuo del 2%). Pertanto, più dell’alimentazione, a far strage, è ciò che si respira e ciò di cui veniamo irradiati.


Non solo l’aria che respiriamo, anche il lavoro salariato uccide e ammala, più di un’alimentazione squilibrata e inquinata. Il peggior effetto del lavoro salariato è quello di produrre un tempo che lavora contro di noi. Lavorare da mane a sera per cinque-sei giorni la settimana fa in modo che questa schiavitù penetri fin nel corpo anche quando è apparentemente a riposo. Decenni di tale schiavitù vengono ad incidere, inevitabilmente e in modo esiziale, sulla salute psico-fisica degli schiavi del capitale. La realtà delirante del rendimento che governa il mondo ci permette solo di mercanteggiare, anche in tema di salute.

sabato 11 novembre 2017

Eppur si muove



Coloro che pensano che l’astensione dal voto sia inutile spreco, una presa di posizione che non serve e non potrà cambiare nulla, leggano questo articolo di Ernesto Galli della Loggia. E dopo averlo letto, lo rileggano. Parla di “rassegnata disperazione”. Poi, se vi resta ancora un po’ di fiato dopo tanta fatica, leggete questo breve articolo di Andrea Scanzi dedicato al M5S. Se dopo averli letti, questi articoli, troverete da dire che vi sono due opzioni, ossia quella dell’astensione e quella del voto al M5S, allora vorrà dire che non avete ancora capito. Siete rimasti al 2013, ma quasi un lustro non è passato invano.

E non si creda che in Germania le cose vadano meglio. Quella che si apre lunedì prossimo è l’ottava settimana senza un nuovo governo che tenga conto del risultato delle urne. Lì le cose vanno meglio dal punto di vista del debito pubblico e dell’economia. Tuttavia questo stato di cose non durerà in eterno. E in Spagna non si creda che sia finita così. Tempo al tempo e anche la Francia ci dirà cose nuove, e così l'apparentemente serafica Gran Bretagna. La storia sembra ferma, eppur si muove.

« ... ad un dato punto del loro sviluppo le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà. [...] Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.»

mercoledì 8 novembre 2017

[...]



Non c’è paese in Europa (nemmeno in Grecia) e nel mondo nel quale il tema previdenziale sia dibattuto in maniera asfissiante come nel teatro mediatico italiano. Non c’è giornale o talk show che quotidianamente non ne parli, e in rete vi sono siti specifici di “aggiornamento” che di ora in ora sfornano notizie e sussurri di politici, sindacalisti ed esperti vari sull’argomento. È un vero e proprio stillicidio, un reiterato terrorismo previdenziale fatto di promesse e smentite, di minacce e allarmi. L’insicurezza e la paura non portano solo voti, ma anche lettori e telespettatori, dunque inserzioni pubblicitarie, vale a dire stipendi e prebende per una vasta platea di iene e sciacalli.

Lo sappiamo bene che, non solo in Italia, la popolazione tende ad invecchiare, che progressivamente il rapporto tra popolazione attiva e quella in quiescenza è destinato a sbilanciarsi. Dunque il tema della spesa previdenziale diventerà sempre più urgente e scottante, annunciando l’imminenza del diluvio. L’arca di salvataggio sembra essere quella di allungare per quanto possibile l’età lavorativa. E però questo “rimedio a tutto” presenta delle controindicazioni non trascurabili. La prima è sotto gli occhi di tutti – per quanto alcuni abitanti di Marte lo neghino “dati alla mano” – e riguarda il “tappo” nel ricambio generazionale. Altra questione non trascurabile – salvo, appunto, per i soliti marziani – riguarda i problemi di chi dopo i 50 anni (ma anche prima) viene a trovarsi senza lavoro e senza alcuna prospettiva di essere riassunto.

martedì 7 novembre 2017

Un secolo, ma la questione centrale resta più che mai aperta



La Rivoluzione di Febbraio è stata un evento russo. La Rivoluzione d'Ottobre fu un evento che doveva cambiare il mondo. Quello che era stato solo un “spettro” che si aggirava per l’Europa nel 1847-‘48 ora esisteva come un governo rivoluzionario al potere in un paese immenso. Rosa Luxemburg, apprendendo della rivoluzione mentre era ancora in carcere, scrisse ad un amico dell’impazienza con cui attendeva i giornali del mattino per seguire gli sviluppi in Russia. Esprimeva, tra gli altri, dubbi sul fatto che la rivoluzione potesse sopravvivere di fronte all’opposizione armata dell'imperialismo mondiale, e tuttavia sulla grandezza dell'evento rivoluzionario non aveva dubbi.  

Sia Lenin che Trockij erano assolutamente convinti, nella situazione del conflitto bellico, che la rivoluzione bolscevica fosse il preludio di una rivoluzione europea e anzi mondiale. Non fu così. Qualche anno dopo Lenin prefigurò la durata della Nep (nuova politica economica) in decenni! La storia non fa salti. I bolscevichi vinsero perché erano gli unici ad essere veramente organizzati e determinati a portare a compimento la rivoluzione (che Paolo Mieli, il Toynbee italiano come qualcuno l’ha sarcasticamente definito, ha ridimensionato a “Putsch” !!), gli unici che posero la questione della pace immediata in termini espliciti.

La rivoluzione russa ebbe comunque un impatto mondiale. Non gli va però attribuita la responsabilità della nascita dei fascismi, cosa storicamente del tutto falsa. Senza la guerra il fascismo in Italia non ci sarebbe stato; senza la crisi del 1929 il nazismo sarebbe rimasto una curiosità storica, e il franchismo ebbe come avversaria una repubblica dove i comunisti e gli anarchici, almeno all’inizio, non avevano parte importante. La seconda guerra mondiale, come già la prima, nasce dalle contraddizioni in seno all’imperialismo.

Senza l’Urss, e dunque in assenza della Rivoluzione d’Ottobre, la storia d’Europa e del mondo sarebbe stata molto diversa, e non c’è dubbio che essa sarebbe stata ancor più tragica e dolorosa. Senza l’Urss anche il riformismo europeo del dopoguerra avrebbe avuto ben altra sorte, e con esso il welfare che abbiamo conosciuto. Che poi l’Urss non fosse un paese socialista, e che la rivoluzione d’Ottobre sia stata tradita dalle circostanze storiche, è cosa su cui si discuterà e scontrerà ancora a lungo.

Del resto, di quale democrazia e mondo libero stiamo parlando quando 8 individui detengono la ricchezza pari a quella di 3,7 miliardi di persone? Pertanto la questione sociale resta più che mai aperta, e le insanabili contraddizioni nelle quali si dibatte il capitalismo e la società borghese (strapotere monopolistico e finanziario, disoccupazione e precariato, povertà, disuguaglianze, inquinamento, guerre guerreggiate e minacciate) non solo non favoriscono risposte positive, ma anzi vanno in senso opposto.

lunedì 6 novembre 2017

Non cambia e non può cambiare


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Scrive il quotidiano di Confindustria a riguardo delle elezioni siciliane: «ha vinto l’astensionismo, il “partito del non voto”. Solo il 46,76% ha votato per l'elezione del presidente della Regione e dell'Assemblea, mentre il 53,23% ha disertato le urne». Questo e solo questo è il vero risultato delle elezioni siciliane (2.179.474 elettori su 4.661.111), quelle di ieri e anche della tornata elettorale precedente. La maggioranza non crede più alle panzane di chi dice che vuole cambiare le cose. In Sicilia, poi? Una regione dove lo spoglio delle schede è stato rinviato ad oggi per un motivo che è indecente perfino ricordare. E alle 10 di oggi, lunedì, l’ufficio elettorale regionale ammette che dalle prefetture non è ancora giunto un solo dato relativo allo scrutinio.  

P.S. : In Botswana, alle 19.00, ossia dopo 11 ore, lo scrutinio non è stato ancora completato. 

venerdì 3 novembre 2017

In una luminosa mattina di ottobre, pensando in grande ...



In prima pagina sul Corriere, e poi a seguire a pagina 28, il professor Ernesto Galli della Loggia dedica il suo editoriale odierno ad una realtà prima a lui “totalmente sconosciuta”, un’esperienza antropologica avvenuta per puro caso in una “luminosa mattina di ottobre”. Da ciò la sorpresa e forse l’autentico turbamento che l’ha spinto a raccontare di aver trascorso alcune ore in “un quartiere di piccola borghesia” della periferia romana, nel quale sopravvive, nel degrado, nella solitudine e nell’assenza completa di negozi e uffici, “gente di redditi modesti”.

Scrive, tra l’altro, il nostro Gogol':

Vista da una periferia, sia pure per poche ore ma in prima persona, ogni questione appare con contorni più netti, ogni problema acquista un’altra misura.
Diventa innanzi tutto più netta e tangibile la questione — dobbiamo ancora oggi adoperare questa parola — dell’ineguaglianza. Che, superata una certa soglia, produce una rottura violenta di quel sentimento di giustizia che vive entro noi e ci serve a mantenere il rispetto di noi stessi. Allorché per l’appunto l’ineguaglianza diventa ingiustizia. Determinare la soglia di cui sopra non è facile, certo. Ma è anche vero che forse abbiamo abbandonato con troppa disinvoltura l’idea di «giusta società» senza la quale una democrazia appassisce e probabilmente muore.


E dunque, c’è da chiedersi, quale sarebbe infine la proposta del professor Ernesto Galli – “pensando in grande”, egli precisa – in modo che l’ineguaglianza non diventi ingiustizia e la democrazia non deperisca e muoia? Il risultato si ottiene, conclude, “obbligando tutti, ma proprio tutti, a pagare le tasse”.

Averci pensato prima ...

mercoledì 1 novembre 2017

[...]



Nella sua essenza il capitalismo non è cambiato e non può mutare, e tuttavia negli ultimi decenni ha sviluppato la sua forma storica definitiva, quella della grande centralizzazione monopolistica nell’ambito della cosiddetta globalizzazione, anche se non ha ancora mostrato, se non per cenni, la struttura dei rapporti sociali che andranno a sostituire, nel tempo lungo, quelli attuali. Sono però già presenti i motivi della sua rivoluzione sociale e antropologica, e siamo testimoni del rapido estinguersi di un mondo che per certi aspetti durava da sempre.

*

Che in questi nostri anni non aggraziati s’avanzi un filone pieno di barbarie credo non si possa negare. Pur deplorando i comportamenti della società di cui si fa parte, sappiamo di non essere immuni delle sue stesse colpe e ci interroghiamo sul domani che intuiamo irto di ancor maggiori difficoltà e terribili agguati.

Ci chiediamo se la nostra civiltà potrà sopravvivere all’irrompere di strati etnici e sociali che fino a pochi anni fa ne erano estranei, ma dovremmo ancor più chiederci se crediamo realmente possibile che questo sistema possa sostenere ancora a lungo il peso delle proprie contraddizioni. Su questo punto le astrazioni di politici ed economisti creano solo illusioni e miti, in un quadro di estesa connivenza e tortuose miserie.

Nonostante tutti i progressi della scienza e della tecnologia non siamo riusciti ad assicurare alla società una base più umana e siamo impotenti di fronte a una disgregazione e un caos che fomenta paure esplicite e inquietudini segrete. È vero che nel mondo talune estreme povertà paiono diminuire, ma è altrettanto certo che nell’insieme, tanto più in rapporto allo sviluppo economico raggiunto, le diseguaglianze si sono fatte sempre più stridenti e intollerabili.

E perciò appare stucchevole e falso il dibattito (si fa per dire) politico e culturale attorno ai grandi temi della nostra epoca, un dibattito schematicamente semplicistico per ciò che riguarda la realtà effettiva del capitalismo, che anzi viene in ogni modo esorcizzato nel nome, come se a rimettere a posto le cose bastasse qualche decimale di Pil di una ripresa economica instabile e momentanea.


Settori sempre più ampi della società avvertono il peso insopportabile di questa inconcludenza e decadenza, e non sarà certo, per quanto riguarda i casi nostri, l’ampio vivaio di aspiranti dittatorelli che potrà rovesciare le sorti, già segnate, di un paese sempre più spaccato tra chi tira la carretta con sempre maggiore difficoltà e coloro che proprio da tale debolezza e difficoltà traggono ulteriore profitto.