giovedì 16 gennaio 2025

Breve storia di un vile pagliaccio

 

Il Mussolini televisivo (Sky), tratto dai libroni di Antonio Scurati, ha suscitato (inevitabili) polemiche. Ognuno ha diritto di dire la sua ovviamente, ma sostenere che quel Mussolini è troppo caricaturale mi sembra molto distante dalla realtà storica. Mussolini è sempre stato un soggetto caricaturale, fin da giovane, quando, per esempio, orologio alla mano, sfidava Dio di fulminarlo entro cinque minuti. Se ciò non fosse accaduto, significava che Dio non esiste. Vai a discutere con uno così.

Benito Mussolini fu fermato o arrestato dalla polizia elvetica in almeno tre occasioni dal 1902 al 1904. Esistono negli archivi svizzeri due schede antropometriche con foto istruite dalla polizia in occasione di tali arresti. Com’è possibile che un personaggio di livello intellettuale e morale assai modesto come Mussolini sia potuto diventare un esponente di spicco del Partito socialista italiano, tanto da vedersi affidare la direzione del quotidiano del partito, l’Avanti! ?

Renzo De Felice, nel tratteggiare quel primo Mussolini, si basò principalmente sull’autobiografia scritta dallo stesso Mussolini nel 1911-12, oppure su biografie che lo stesso storico reatino definì apologetiche e auliche, valga per tutte citare quelle del De Begnac e del Ludwig (autore quest’ultimo di diverse biografie, compresa quella romanzata di Napoleone).

Si avvalse anche di due fonti dirette, quella della sorella Edvige, la quale ricorda, tra l'altro, come il fratello Benito si appropriasse del denaro del suo salvadanaio (p. 15), e quella contenuta nella corrispondenza tra Mussolini e Santo Bedeschi.

Mussolini nacque ad immediato contatto di un ambiente “sordido e violento” (p. 9). Frequentò per tre anni l’istituto tecnico preparatorio, una specie di scuola di “avviamento” come esisteva prima della riforma che portò all’attuale ordinamento della scuola media inferiore. Seguirono tre anni di “scuola normale”, con la quale conseguì nel 1901 la licenza d’onore. Come studente “più di una volta dovette riparare ad ottobre qualche materia” (p. 13).

Dopo la scuola non riusciva a trovare un’occupazione, tanto che scrisse parole di disperazione autentica al suo amico Bedeschi. Finalmente e improvvisamente a Gualtieri, un paese con amministrazione socialista, fu nominato supplente in una classe elementare, ma l’incarico non gli fu rinnovato per una relazione intrecciata con una donna sposata il cui marito era sotto le armi, fatto che avveniva alla luce del sole e che causava grande scandalo.

Come accennato, decise di raggiungere la Svizzera, con l’intenzione di recarsi a Ginevra. Nel luglio 1902, Mussolini soggiorna dapprima a Yverdon e due giorni dopo a Orbe, dove lavora qualche giorno come manovale per una costruenda fabbrica di cioccolata. Scriverà nella sua autobiografia: “Quella fatica era per me una tortura”. Dopo pochi giorni di quella “tortura” approda a Losanna, dove fa per la prima volta conoscenza con la polizia elvetica che lo arresta, per vagabondaggio, “mentre intirizzito dal freddo e lacerato dal digiuno uscivo dall’arcata del Grand pont”, sotto il quale aveva dormito.

Fu rilasciato dopo tre giorni poiché i suoi documenti erano in regola e aveva affermato di volersi recare a Ginevra. Contrariamente a questa dichiarazione non si allontanò da Losanna, “ma, non sapendo evidentemente come tirare avanti – scrive De Felice –, prese contatto con gli ambienti socialisti italiani della città” (p. 26).

Fu invitato a cena, gli procurarono un sussidio di dieci franchi e un letto in casa di un artigiano vicentino, redattore dell’Avvenire del lavoratore, organo del Partito socialista italiano in Svizzera e della Federazione muraria. Pochi giorni dopo, su quel giornale Mussolini pubblica un primo articolo, aveva così inizio il suo inserimento nel Partito socialista in Svizzera e la sua attività politica.

A Losanna, oltre a scrivere nove articoli sull’Avvenire, lavora come commesso presso un paio di botteghe e come muratore. Nei mesi invernali rimane senza lavoro e viene aiutato dai compagni. S’iscrive al sindacato e ne diviene segretario locale con l’incarico di redigere i verbali delle sedute, “con un compenso di 5 lire mensili e le consumazioni gratis durante le assemblee”, come egli stesso scrisse.

I suoi articoli ebbero un certo successo poiché non mancavano di chiarezza ed incisività, ma “soprattutto per il loro tono deciso e rivoluzionario”, scrive De Felice.

Nel marzo del 1903, lasciata Losanna, si trasferisce a Berna, dove lavora come manovale e si dedica, la sera e giorni festivi, alla propaganda, tenendo comizi e conferenze che attrassero ben presto su di lui l’attenzione della polizia. Arrestato, rimase in gabbia per 12 giorni. È in tale occasione che gli vengono scattate le prime foto segnaletiche, di fronte e di profilo, ossia quella con il numero 1751 e la lavagnetta nella quale per errore è scritto il nome “Benedetto”.

Fu espulso dal Cantone di Berna. A Chiasso Mussolini fu consegnato dalla polizia svizzera a quella italiana, che lo trasferì a Como, dove non avendo trovato nulla sul suo conto lo rimise in libertà (p. 32).

Ritorna in Svizzera subito dopo, si ferma a Bellinzona, poi tra luglio e agosto ritorna a Losanna. Dopo una breve parentesi in Italia nell’ottobre dicembre del 1903 per l’aggravarsi della madre, torna in Svizzera e si reca a Ginevra. Trascorre i primi mesi del 1904 tra Ginevra e Annemasse (Alta Savoia), occupandosi di attività politica, sindacale e giornalistica: comizi, conferenze, corrispondenze a riviste socialiste e anarchiche. Frequenta anche la Biblioteca universitaria, dai cui registri risulta che abbia consultato soprattutto trattati sulle malattie veneree.

Nel luglio del 1903 prende la parola in alcuni comizi socialisti nella regione e il 25 marzo a Losanna tiene una conferenza sull’ateismo, un suo cavallo di battaglia. Scrive De Felice: «Il dibattito, a cui assistettero circa cinquecento persone, fu riepilogato di lì a cinque mesi nel primo opuscolo (L’uomo e la divinità, Lugano 1904) di una Biblioteca internazionale di propaganda razionalista fondata da Serrati, uno specialista in questo genere di “letteratura”, da Mussolini ed altri socialisti di Ginevra e di Lugano [...]. Gli argomenti di Mussolini appaiono da questo opuscolo tutt’altro che originali, spesso scopiazzature di alcuni dei testi razionalisti e antireligiosi più in voga a quel tempo; nel complesso, però, va anche detto che, rispetto alla media di questo genere di “letteratura”, l’opuscolo ha un minimo di dignità formale e denota in Mussolini una cultura caotica, da autodidatta, ma – per l’ambiente socialista del tempo, si pensi a un Serrati – piuttosto vasta e, qua e là, non del tutto superficiale. [...] Da allora in poi egli fu considerato un po’ come il “tecnico” della questione [...]» (pp. 35-36).

Il ministero dell’Interno della Confederazione lo segnala alle polizie cantonali quale “anarchico” da tenere d’occhio. Giuridicamente, la sua posizione si fa precaria. In Italia è ricercato per renitenza alla leva; in Svizzera è schedato come sovversivo e sorvegliato dalla polizia; per di più il suo passaporto è scaduto e non può chiederne il rinnovo poiché “disertore”. Decide allora di falsificare la data di validità del documento, ma le autorità ginevrine non tardano a scoprire l’irregolarità. Il 9 aprile viene arrestato ed espulso dal cantone.

La polizia decide di farlo accompagnare alla frontiera italiana a Chiasso, ciò che avrebbe significato l’arresto da parte delle autorità del Regno. Contro l’espulsione di Mussolini si mobilitano gli ambienti socialisti e quelli dell’emigrazione italiana in Svizzera. Il 18 aprile 1904, il deputato radicale al Gran Consiglio ticinese, Antonio Fusoni, interpella il governo “per sapere se la direzione di polizia ticinese si sia prestata o meno alla consegna al confine italiano di certo Mussolino [sic], espulso dal cantone di Ginevra”. L’interpellante trova scorretta la consegna di Mussolini all’Italia: la renitenza al servizio militare, essendo un delitto politico, violerebbe il diritto d’asilo.

Il consigliere di Stato Luigi Colombi, responsabile del dipartimento di polizia, rassicura l’interpellante. Avendo avuto conoscenza per via indiretta dell’espulsione ordinata dalle autorità ginevrine “e sapendo non procedere la medesima da nessuna condanna per reato comune”, la direzione di polizia “diede istruzioni ed ordini nel senso che detto signore non venne né consegnato, né tradotto al confine, ma lasciato libero di scegliere, per abbandonare il cantone e la Svizzera, quella via che più gli convenisse”.

Così, nel 1904, alcuni esponenti politici ticinesi, decisi a far rispettare il diritto d’asilo in Svizzera, anche contro il volere di altre autorità cantonali, evitarono al disertore e agitatore Benito Mussolini il soggiorno nelle galere militari italiane.

Nell’aprile del 1904, evitata l’espulsione, si trasferisce a Losanna, dove s’iscrive alla facoltà di scienze sociali e frequenta per un paio di mesi i corsi del sociologo Vilfredo Pareto (non si conobbero personalmente). Questo modesto trascorso accademico sarà all’origine del dottorato honoris causa, conferito al Duce nel 1937 dall’ateneo losannese.

Altri soggiorni in Svizzera tra il 1908 e il 1910. A Lugano lavora come muratore nei cantieri stradali e ferroviari; qui conosce il leader socialista Guglielmo Canevascini che lo ospita in casa. Nel 1910, il nome di Benito Mussolini “muratore, residente a Lugano”, figura anche sul registro dei forestieri in un albergo di San Bernardino.

Questa fu la “carriera” del Mussolini elvetico, parassita e scroccone, coinvolto anche in un’oscura storia relativa al furto di un orologio. Per Mussolini, come ebbe a scrivere De Felice (p. 42), il socialismo fu sempre più uno “stato d’animo”, e il marxismo gli fu “sostanzialmente estraneo non andando per lui oltre una concezione elementare della lotta di classe”.

Ricorda Angelica Balabanoff, la quale ebbe su Mussolini grande e prolungata influenza, che quando il comitato gli tolse la direzione del giornale, disposto ad accordargli una indennità, il buon apostolo trovò queste magnifiche parole: “Io non accetto nulla, cinque franchi al giorno mi bastano ed io li guadagnerò facendo il mestiere di muratore. Io non scriverò neppure una parola. In ogni caso siate certi di una cosa: che io non scriverò mai una parola contro il partito socialista”. Otto giorni dopo Mussolini era fondatore-direttore di un giornale antisocialista disponendo di cospicui capitali.

Il temperamento e la mentalità di Mussolini non cambiarono nemmeno negli anni del potere. Fino ai suoi ultimi giorni restò quello di sempre, cioè un pagliaccio. Basti ricordare che l’uomo che aveva detto “Se indietreggio, uccidetemi ...” (frase peraltro mutuata da altri), si fece pescare travestito con l’uniforme tedesca, accompagnato dalla sua amante e con lui tutto il governo quasi al completo (Graziani pensò bene di consegnarsi al “nemico”) e tutti i più alti gerarchi della bardatura neofascista di Salò, i cui nostalgici epigoni sono ora al governo. Non un gesto eroico o quantomeno dignitoso, non un gerarca che abbia saputo cadere con le armi in pugno, ma una fine buffonesca costata tanti lutti e tante tragedie.

martedì 14 gennaio 2025

La lotta politica di Cacciari

 

Ascoltavo, ieri sera, Massimo Cacciari parlare di “lotta politica”. Premurandosi a dire: “senza rompere le vetrine”. Cioè lotta politica “pacifica”, sul piano parlamentare per “cambiare le leggi”.

Che cos’è una lotta politica “pacifica” se non una lotta di classe fatta secondo i criteri accettati dalle classi dominanti, le quali hanno tutti i mezzi per svuotarla di significato? Che lotta politica è mai quella che non metta al primo punto della propria iniziativa il sovvertimento degli attuali rapporti sociali di classe? E può dunque esistere una lotta di classe che va a toccare tali rapporti senza che vi sia uno scontro violento tra interessi contrapposti?

Certo, mandare in frantumi le vetrine non è una strategia di per sé sufficiente e vincente. Ma escludere a priori l’impiego della violenza mentre quotidianamente la si subisce in una molteplicità di forme, è già una resa all’avversario di classe.

Scriveva Ettore Conti in data 8 gennaio 1940: «E se ci si domanda che cosa deve fare la borghesia produttrice dinanzi alla lotta di classe, una sola è la risposta: saperla combattere.»

La borghesia ha sempre avuto le idee chiare in proposito. E tra i suoi corifei della lotta politica “pacifica” ha sempre trovato tanti Cacciari.

venerdì 10 gennaio 2025

Di ciò che sta accadendo, nulla è casuale

 

Nessuno degli esseri umani che vivranno in questo secolo arriverà su Marte per poi rientrare sulla Terra. I motivi sono tecnici e sono conosciuti dalle persone informate su quei fatti. Al contrario, vi sono persone interessate a presentare l’impresa marziana non solo come possibile ma come imminente. Queste persone sanno molto bene come stanno le cose, tuttavia, per l’appunto, hanno interesse a presentarle in modo falso e illusorio.

Un viaggio di andata e ritorno su Marte richiede circa due anni di tempo. C’è il problema delle radiazioni cosmiche che gli astronauti assorbirebbero durante la durata del viaggio e la missione su Marte: sulla Terra siamo protetti dalle radiazioni cosmiche dall’atmosfera e dal campo magnetico, nello Spazio profondo siamo senza difesa.

Oggi, dopo sei mesi nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS) – situata in orbita bassa, tra 330 e 410 chilometri di altitudine, quindi fuori dall’atmosfera ma ancora all’interno della magnetosfera – un astronauta assorbe circa 10 rem di radiazioni, il limite massimo ammesso dalla NASA, che incrementa statisticamente del 3% la possibilità di sviluppare forme cancerogene; nei soli 12 mesi di viaggio di andata verso Marte, stando ai calcoli della NASA stessa, un astronauta potrebbe assorbire radiazioni pari a 66 rem.

Altro aspetto, che non ha ancora soluzione, è l’indebolimento muscolare e scheletrico che il corpo umano subisce in una lunga permanenza nello Spazio. I film di fantascienza risolvono la questione inventando enormi astronavi ruotanti, in grado di generare al proprio interno una forza simile alla gravità terrestre. Non si hanno ancora concrete soluzioni ingegneristiche per un sistema di questo tipo. Inoltre, per poter essere efficace, la nave spaziale ruotante dovrebbe avere dimensioni gigantesche, perché altrimenti la forza generata al suo interno non sarebbe omogenea, con gravi ripercussioni sulla salute degli astronauti. Solo costruendo delle astronavi da almeno trecento metri di diametro, cioè tre volte la ISS, e facendole ruotare a 2,5 giri al minuto, si potrebbe ottenere una forza con un’intensità omogenea su tutto il corpo umano senza provocare scompensi. Una possibilità, per inciso, che si accompagna all’ipotesi di riuscire a creare eso-cantieri, ossia manifatture in grado di costruire una astronave direttamente nello Spazio, sfruttando ipotetiche materie prime raccolte anch’esse nello Spazio (da asteroidi o dalla Luna), per ovviare alla difficoltà di trovare un propellente in grado di sprigionare la sufficiente potenza di lancio per far superare a una simile astronave gravità e atmosfera terrestri.

Si dovrebbe poi individuare risposte per la conservazione del tono muscolare cardiaco – dopo sei mesi in orbita è stata riscontrata una sfericizzazione del 9,5% del cuore, con rischi tuttora ignoti – e per lo stress ossidativo dei bulbi oculari. Per non parlare di una ipotetica vita in una colonia marziana, che dovrebbe fare i conti con una gravità pari allo 0,375 di quella terrestre, un’atmosfera 100 volte più sottile, temperature medie di -63° centigradi e capaci di scendere fino a -126°, e magnetosfera inesistente: dunque microgravità, niente ossigeno, niente acqua in superficie, nessuna protezione dalle radiazioni cosmiche.

Eccetera, eccetera, eccetera. Pertanto, alla base dell’obiettivo di colonizzare Marte, non c’è nessun incantesimo, nessuna formula magica che potrà rendere questo pianeta tossico e irrespirabile un ambiente adatto alla vita umana, nemmeno spendendo miliardi di dollari. Perché dunque Musk – che di certo ha contezza della portata dei limiti attuali (e futuri) – alimenta l’immaginario collettivo con la colonizzazione di Marte? Di là delle turbe psico- patologiche di un personaggio potentissimo e pericolosissimo, Musk ha come obiettivo, indossando la maglietta nera con scritta bianca “Occupy Mars”, divenuta icona della conquista di “altri mondi”, un cambiamento ideologico radicale. Musk, e altri “delusi dalla democrazia” come lui (la Silicon Valley è piena di megalomani convinti di essere i nuovi messia), stanno cercando di imporre un nuovo sistema di governo che mischia dittatura, monarchia e feudalesimo con un tocco tecnologico.

Nulla di ciò che è accaduto in questi ultimi lustri è casuale: bastano pochi numeri per capire come, negli Stati Uniti, certe aziende siano private solo in apparenza. Perché nel 2003 la difesa americana ha concesso a SpaceX una dotazione di 50 milioni di dollari per iniziare lo sviluppo del suo primo razzo. Tre anni dopo, la NASA le concesse altri 278 milioni di dollari, permettendole di beneficiare gratuitamente delle tecnologie da lei progettate. In vent’anni di esistenza, SpaceX ha ricevuto circa 22 miliardi di dollari in finanziamenti pubblici americani, di cui 15 miliardi direttamente dalla NASA. Cifre colossali, sufficienti a mettere in prospettiva un discorso rimaneggiato su un’America audace e liberale e un’Europa dedita a sussidi pubblici sconsiderati.

giovedì 9 gennaio 2025

[...]

 

Dopo decenni, dobbiamo guardare nuovamente allo spazio come a qualcosa di essenziale per la nostra vita di tutti i giorni. Tuttavia, i veri obiettivi sono innanzitutto militari, e trovano già schierati tre attori principali: Stati Uniti, Cina e Russia. La corsa allo spazio non è solo una corsa per il dominio dei nuovi sistemi di comunicazione basati sui satelliti: è una corsa alla guerra.

A parte questo, che non è un dettaglio, prendiamo atto che un pugno di miliardari controllano tutto ciò che ci riguarda sia come persone che come insieme sociale. Saranno finalmente soddisfatti coloro che hanno puntato tutto sul “libero mercato”, togliendoci una volta per tutte dai coglioni le ingerenze dello Stato. Finalmente liberi di mettere a valore qualunque cosa, soprattutto la stupidità.

venerdì 27 dicembre 2024

Il taccuino di un pragmatico reazionario

 

Per sapere chi sia stato Ettore Conti (1871-1972) nella sua veste di imprenditore “elettrico” e di politico, si può consultare la Treccani e ancor meglio, per una volta, Wikipedia. Per quanto riguarda i suoi rapporti con vari personaggi della sua epoca, segnatamente nel periodo 1895-1940, si può leggerli Dal taccuino di un borghese, ossia dalle sue memorie pubblicate per la prima volta nel 1946 e in seguito riedite più volte.

Il punto è proprio questo: quanto sono genuine queste memorie posto che sono state pubblicate ex post, ossia dopo la caduta del fascismo e la fine della monarchia? Quanto sono state “purgate”, a mo’ dei Diari di un Galeazzo Ciano?

Ed infatti, nella sua Introduzione del 1986, Piero Bairati scrive: «È anche stato sottolineato il carattere alquanto “artificioso” che il libro di Ettore Conti verrebbe ad assumere, in quanto un “taccuino” dovrebbe essere annotazione giorno per giorno di eventi ed esperienze in corso, non ricostruzione o rivisitazione a posteriori, concentrata nel tempo e compressa nella struttura di una stesura unitaria, che sarebbe caratteristica di un’autobiografia e non di un diario. Mancando la possibilità di fare un confronto tra questa versione e i materiali originari, è difficile stabilire l’entità e l’importanza delle revisioni apportate da conti agli appunti su cui è basato.»

Resta il fatto che questo libro ha la sua importanza, anche perché Ettore Conti è tra i pochi imprenditori italiani ad averci lasciato un’autobiografia imprenditoriale. Al contrario di ciò che avviene negli Stati Uniti e in Inghilterra, così come in altri paesi, questo è un genere letterario che in Italia non gode di grande popolarità, come dice lo stesso Bairati. Oppure, ciò è dovuto al fatto che gli imprenditori italiani in genere non hanno dimestichezza con la penna, e non desiderano mettere in piazza cose che è meglio il pubblico ignori? Preferiscono le interviste col giornalista in ginocchio.

Giovanni Agnelli senior, per esempio, semmai avesse voluto scrivere le sue memorie, avrebbe potuto raccontare della truffa ai danni degli azionisti Fiat all’inizio del secolo? E suo nipote, Giovanni detto l’Avvocato, non aveva certo in animo di raccontarci altre storie economiche e finanziarie scabrose, peraltro in parte messa in luce in questi anni e dalle liti ereditarie.

Un esempio, sul quale mi sembra di poter rilevare la “reticenza” di Conti, che fu molto e a lungo legato professionalmente alla società Edison. Conti si dilunga nella commemorazione di Giuseppe Colombo, già presidente della Edison (dal 1884), quindi cita innumerevoli volte Carlo Esterle, dal 1896 al 1918 consigliere delegato della medesima società elettrica, e altri. Ma non cita neanche una volta Giacinto Motta. Leggo dalla Treccani: «Nella primavera del 1918, Motta ed Esterle iniziarono a lavorare all’ipotesi di una fusione tra la Edison e la Società per imprese elettriche Conti e C., un’idea della quale discussero con Ettore Conti (creatore dell’omonima società). Il progetto non andò però in porto per divergenze circa il nome della nuova società (Esterle non voleva aggiungere il nome della Conti a quello della Edison, mentre Conti spingeva per vederli abbinati). Il 7 settembre 1918 Esterle morì e Motta fu eletto al suo posto amministratore delegato della Edison».

Forse Giacinto Motta fu troppo compromesso con il fascismo? O forse i due personaggi, Conti e Motta, non si “tagliavano” affatto? Il perché di questa non casuale omissione lo sapeva solo Ettore Conti. Il quale, peraltro, non ci racconta nulla di un fatto rimarchevole svoltosi nel 1918, ossia il tentativo di scalata alla Edison da parte del trust siderurgico Terni-

Ilva, degli industriali Attilio Odero e Giuseppe Orlando, vicini alla Commerciale, della quale Conte entrò a far parte come consigliere proprio in quei mesi (in seguito ne divenne uno dei due vice presidenti).

Tra i molti personaggi citati nel libro dall’ingegnere e poi senatore Conti, spicca quello di D’Annunzio Gabriele, del quale Conti ci offre un suo ritratto, che ritengo azzeccato in pieno:

Interessante anche il racconto di Conti sulla missione commerciale italiana (febbraio-marzo 1920) nelle tre repubbliche della Transcaucasia (Georgia, Azerbaigian, Armenia russa), della quale il Conti stesso venne messo a capo. La questione del possibile affidamento all’Italia della Transcaucasia fu discussa ed approvata dalla Sezione Militare del Consiglio Supremo che aveva sede a Versailles durante la 53° seduta della commissione, che ebbe luogo il 4 e 5 febbraio 1919. L’argomento principale di quella riunione fu la necessità di stabilire dei mandati provvisori sui territori dell’ex Impero Ottomano (tutto ciò non è specificato nel libro di Conti).

Le tre repubbliche dichiararono la propria indipendenza il 26 maggio 1918 (nel 1922 si uniscono in federazione e passano sotto l’URSS; nel 1936 la federazione venne sciolta) [*]. I loro governi tendevano a sottolineare le immense ricchezze disponibili per tentare di attrarre possibili investitori stranieri e spingere i governi alleati ad impegnarsi nel mantenimento dell’ordine nella zona (l’anno prima, Italia aveva inviato in loco la “missione col. Gabba”; Conti non ne fa cenno).

Con Conti salì a bordo della nave “Solunto” una nutrita schiera di imprenditori, diplomatici, militari, tecnici minerari e giornalisti (oltre a 200 carabinieri di scorta). Tra i giornalisti, racconta Conti, ci sarebbe dovuto essere anche Mussolini, il quale aveva già scritto nel suo giornale di questa missione. Sennonché, all’ultimo momento, data la situazione politica, Mussolini disdice la sua partecipazione alla missione.

Sicuramente tra i giornalisti imbarcati, c’era anche Pietro Nenni. Dei due giornalisti, Mussolini e Nenni, Conti scrive: «[Nenni] dice di averlo conosciuto bene [Mussolini] quando erano dalle due parti della barricata, riconosce in lui un oscuro fascino di condottiero, uomo forte, che vuole distinguersi, essere il primo, in un modo o in un altro, per una strada o per un’altra; oggi contro i borghesi, domani signore; uomo dunque che potrà fare molto bene o molto male, ma che comunque farà parlare di sé.»

Il viaggio a seguito della missione in Caucasia per Nenni fu molto importante perché gli permise di entrare in contatto con il mondo sovietico. In quello stesso anno lascerà definitivamente il partito repubblicano.

Non è casuale che il taccuino edito da Ettore Conti, geniale e complesso personaggio, si fermi all’entrata in guerra dell’Italia mussoliniana. La sua adesione al fascismo, pur a tratti critica, fu sostanziale, così come fu convinta e fattiva l’adesione della totalità della borghesia imprenditoriale italiana nella sua volontà classista di rivincita e trionfo. I fascismi sono stati (e sono) il prodotto della crisi del sistema borghese, impossibilitato a superare la propria contraddizione principale. Per contro, il socialismo rivoluzionario di allora, rappresentò la risposta fallimentare teorico-pratica a quella stessa crisi. La storia non fa salti e nemmeno sconti.

[*] Il fallimento della Conferenza della pace di Parigi è da imputare al grave stato di impreparazione, alla superficialità ed all’approssimazione con cui gli esperti ed i plenipotenziari affrontarono i problemi che si presentarono alla fine della guerra. Guidati dal senso di rivalsa e privi di una visione politica e strategica non riuscirono a dipanare la matassa intricata delle nazionalità e delle etnie in maniera tale da ricostituire un equilibrio europeo duraturo.

La delegazione italiana giunse alla conferenza di Versailles senza una linea comune e senza alcun accordo con gli Stati Uniti. L’errore più grave fu quello di basare la maggior parte delle richieste su motivazioni di carattere strategico, invise a Wilson, che riteneva, dopo la creazione della Società delle Nazioni, che tali rivendicazioni non avrebbero avuto più alcuna ragione di esistere, dato che le controversie internazionali sarebbero state risolte pacificamente in seno alla SdN.