lunedì 18 marzo 2024

Quando bruciarono Canzonissima

 

Ogni società costruisce le sue verità e coltiva le più grandi bugie perché servono alla sua leggenda e alla sua memoria collettiva. Nella nostra società, che ci invita alla trasparenza, alla correttezza, che ci informa in tempo reale su tutto ciò che accade nel mondo, assistiamo, allo stesso tempo, al più grande sforzo manipolativo della storia, alla diffusione di menzogne e dell’uso politico dei “misteri”.

Esempio di manipolazione molto attuale: consideriamo del tutto lecito e normale che milioni di coloni emigrino in una terra scacciandone ai margini la popolazione autoctona. Con il pretesto che quella terra era la loro un paio di millenni prima! E prima ancora di chi era quella terra? Siamo interessati al passato solo se è favorevole alle nostre tesi.

Lo spettacolo è dato dalla troppa memoria per certi fatti, che significa il troppo dimenticarne altri. L’influenza delle commemorazioni e degli abusi della memoria (il fenomeno del “recupero”). In questo gioco del ricordo e dell’oblio, quali sono le parti della verità e quelle della menzogna? Se non proprio della menzogna, della manipolazione?

Bisognerebbe poi parlare dell’uso strumentale delle immagini, della loro scelta interessata. Chi raccoglie le immagini può presentarle come desidera, includendo oppure escludendo. E commentarle in un modo o in un altro. I documentari storici sono davvero bravi a mentire, ancora di più oggi, nell’era della tecnologia digitale, delle immagini generate al computer, degli effetti speciali e dei trucchi di ogni genere.

Anche la distruzione e manipolazione degli archivi è una realtà ben nota. In questo gioco si sono addirittura superati fino a distruggere degli archivi e di ricreare dei falsi. La Rai di Ettore Bernabei aveva segretamente distrutto i filmati sull’autunno caldo del 1969. Al macero erano finite milioni di immagini che documentavano un capitolo di storia dell’Italia contemporanea: le aspre vertenze per i rinnovi contrattuali, la mobilitazione e le lotte dei lavoratori del nord industriale e del sud agricolo, la resistenza degli industriali, i primi sanguinosi successi degli strateghi della tensione, le bombe di Stato, l’arresto di Valpreda, la recrudescenza tragica e feroce dei fascisti, gli scontri tra dimostranti e polizia, la criminalizzazione dell’antagonismo sociale.

È in nel contesto politico e sociale di quel regime, quello delle stragi e delle ombre golpiste, che la violenza politica, veniva percepita da molti come inevitabile (nessuno dell’area della nuova sinistra la escludeva a priori) e diventava una risorsa legittima. Lo stesso Pci venne a convincersi che non si potesse più salire al governo, divenendo maggioranza alle elezioni, senza prima allearsi con quello stesso partito-regime.

Andarono distrutte perfino le Canzonissima di Dario Fo e Franca Rame, per dire di quel regime che si paludava come democratico. Era l’ottobre del 1975 quando fu eseguito l’ordine. Un rogo in piena regola. Il Partito comunista di Berlinguer si accordava con quella razza di porci, con quel regime corrotto e stragista. In definitiva avevano in comune lo stesso fine, tacito o esplicito: mantenere perpetuare il potere della borghesia.

Ancora una volta, l’ultima, fu Moro a ricomporre le contraddizioni strutturali interne tra borghesia di Stato e privata, mediandole anche a livello internazionale (checché ne dicano gli idioti, gli storci da birreria e altre bestie interessate). Sotto interrogatorio Moro dichiarava:

«Di fronte a molteplici richieste circa gli assetti economico-sociali dell’Europa di domani, ed in essa dell’Italia, devo dire onestamente che quello che si ha di mira è il ringiovanimento su base tecnocratica del modo di produzione capitalistico, ovviamente temperato dalle moderne tecniche razionalizzatrici e con opportuna consistenza di piccole e medie imprese e di botteghe artigianali. Ma il nerbo della nuova economia, assunto con convinzione di efficienza, è l’imprenditorialità privata ed anche pubblica con opportuna divisione del lavoro. Questo modo di essere dell’Europa strettamente legata all’America e da essa condizionata, non varia col mutare in generale degli assetti interni dei vari paesi, come si riscontra nella fiducia parimenti accordata a governi laburisti e conservatori in Inghilterra, come a governi socialdemocratici o democristiani nella RFT. Anzi, qualche volta il maggior favore è andato alle forme socialdemocratiche nell’affermarsi di un’idea logica di fondo, produttivistica e tecnocratica mitteleuropea. È noto come questo indirizzo è questo spirito siano coltivati da libere organizzazioni para governative come la nota Trilateral.»

Non deve stupire che il Partito comunista si adoperasse di fare apparire coincidenti gli interessi della classe che nominalmente diceva di rappresentare con quelli dell’intera struttura sociale. Fu un vero e proprio salto di qualità, che vide il Pci assumere progressivamente alla sua funzione di partito della classe lavoratrice quella di effettivo partito degli imprenditori e della borghesia.

Da quel momento si corresponsabilizza il Pci nella gestione della ristrutturazione imperialista in atto, affidandogli l’ambizioso compito di controllare le spinte della classe operaia e di incanalarle all’interno delle istituzioni. Bastò un anno e otto giorni di governo per far uscire la borghesia e la Democrazia cristiana dall’impasse. Si aprì una nuova fase, l’ultima stagione della prima repubblica, che durò dieci anni.

Il progetto di Moro è stato il massimo storicamente possibile per la borghesia. Esso teneva conto di tutto ciò che questa è in grado di capire e controllare, mirando essenzialmente alla ricomposizione dell’unità della borghesia e del quadro istituzionale.

A distanza di anni ci ritroviamo con i fascisti al governo, che possono rifarsi una verginità addossando il “male” al comunismo e al marxismo. La damnatio serve a questo, a cancellare dalla memoria gli anni delle bombe e delle stragi. Anche a giustificare i manganelli odierni, mentre dei responsabili delle stragi dei depistaggi nessuno si ricorda più. Come per esempio di Franco Freda, il quale vive tranquillamente quello che gli resta della sua esistenza ignorato, dimenticato, senza che nessuno gli ricordi quello che è stato.

domenica 17 marzo 2024

Arte: da Neanderthal a Duchamp

 

Nell’inserto culturale del Sole 24 ore di questa domenica è dedicata un’intera pagina all’uomo di Neanderthal. Senza polemica, mi permetto osservare che quasi mai, per non dire mai, viene citata negli articoli di questo genere la donna di Neanderthal, che pure doveva essere un tipino interessante anche se non facile.

Dei due articoli prenderò in esame quello dal titolo: Ma io vi dico che Neanderthal aveva una sua arte. Leggo che le più celebri pitture parietali sono state tutte realizzate dopo la scomparsa del Neanderthal, con il quale il Sapiens aveva in comune il nonno africano. Pertanto, l’autore dell’articolo, Pablo Echaurren, così prosegue: «Se fossero sopravvissuti avrebbero sviluppato tale tendenza e avrebbero cominciato a decorare grotte anche loro? Forse la predisposizione all’accumulazione, all’affermazione, tipica di noi Sapiens non era condivisa dai Neanderthal che preferivano attività fugaci, labili, ineffabili».

Poi conclude: «Certo, io non sono uno scienziato, non sono abilitato, non mi dovrei permettere, ma come diceva Mario Tronti in Operai e capitale “nel cielo delle scoperte teoriche è giusto volare sulle ali di una intelligente fantasia”.»

A mio avviso, il pittore Pablo Echaurren elude (non a caso) una domanda fondamentale: che cos’è arte e cosa non lo è. Si badi, non si tratta di elaborare una teoria estetica che s’interroga sulla natura dell’arte, se essa parli della realtà o della sua rappresentazione. E nemmeno del bello e del brutto, discorso che ci porterebbe lontano. Qualcosa di molto più terra-terra, anzi, più merda- merda.

Il Pontormo, al secolo Jacopo Carucci (1494-1557), aveva l’abitudine negli ultimi anni della sua vita di tenere un diario personale nel quale annotava dettagli riguardanti i lavori in corso, le commissioni, le spese quotidiane, gli alimenti che consumava e persino le condizioni di salute. Scendeva anche in dettagli molto più intimi, per esempio scriveva: “Cacai due stronzoli non liquidi”.

Vengo al punto: quei due stronzoli non liquidi, evacuati dal Pontormo, possono essere considerati come un prodotto artistico? Vorrei ricordare, all’uopo, la famosa “merda d’artista” prodotta e inscatolata da Piero Manzoni. Non deve stupire che quelle scatolette siano battute all’asta a prezzi stratosferici, né il semplice fatto che esse vengano considerate opere d’arte, o quantomeno beni degni di mercato.

Non deve stupire che nell’epoca in cui domina il capitale qualunque oggetto materiale o immateriale, fosse pure una merda vera e propria o una sua immaginifica rappresentazione grafica, possa assumere valore sia monetario che artistico. L’unico discrimine semmai è il prezzo (chi ha la grana per comprarli) e l’autenticità delle “opere”. Gli “artisti” sono diventati ormai dei marchi di fabbrica, la réclame fa il resto.

Basti pensare all’orinatoio rovesciato e firmato di Duchamp, che nel 2004 i critici d’arte, in un loro referendum, decisero essere l’opera d’arte più importante del Novecento. Si sostiene che Duchamp avesse ridefinito cosa può essere un’opera d’arte. Mi pare un’affermazione un po’ tautologica: in tal modo potrebbe anche aver definito che cosa non può essere un’opera d’arte. Se degli archeologi tra mille anni ritrovassero quell’oggetto non ci sarebbe più nessuno a spiegargli che cosa rappresenta oltre al fatto di essere un orinatoio maschile.

Racconto al riguardo un episodio illuminante: Constantin Brâncui, celebre scultore (?) romeno naturalizzato francese, quando decise nel 1926 di recarsi negli Stati Uniti, alla dogana un funzionario, F.J.H. Kracke, gli contestestò l’importazione di un oggetto commerciale, un “utensile da cucina” (kitchen utensils), rifiutando di applicare l’esenzione fiscale. Brâncui protestò facendo presente che l’oggetto era una scultura destinata al Brummer show. Il funzionario fugò ogni suo residuo dubbio quando scoprì che Brâncui aveva venduto degli altri oggetti simili.

Lo scalpellino Brâncui dovette pagare la dogana per una cifra non proprio modesta. Adiva poi alle vie legali, e il processo Brâncui vs. United States presso la U.S. Customs Court terminò due anni dopo, il 26 novembre 1928 (segno che stabilire la natura dell’oggetto non era cosa pacifica). Quell’oggetto, né opera d’arte né utensile da cucina, è oggi valutato 27,5 milioni di dollari.

Pertanto, come scrive Pablo Echaurren, non è da escludere che Neanderthal “non ignorasse il problema” (quello della produzione artistica) e potrebbe “aver condiviso alcune intuizioni con i primi Sapiens che incontrava”.

Sono perfettamente d’accordo con Pablo. La defecazione è senza dubbio un’attività fugace, labile, ineffabile e, soggiungo, a volte dolorosa, tuttavia essa, ancorché obbligatoria, può assumere aspetti gioiosi. Che sia anche un processo creativo e artistico, i Neanderthal forse lo avessero intuito, e dunque non possiamo escludere a priori che alcune loro produzioni “astratte”, nella descrizione di Pontormo o nello specifico di Piero Manzoni, avessero il reale intento di rappresentare degli oggetti artistici, come se ne vedono nei musei e nelle mostre d’arte contemporanei.

venerdì 15 marzo 2024

C’è anche il tuo nome

 

Sta diventando sempre più difficile scrivere qualcosa che non rasenti la disperazione e anche l’allucinazione. Ci raccontano quello che vogliono della guerra della Nato con la Russia, di riarmo o di minacce nucleari. In Asia, gli Stati Uniti si preparano allo scontro con la Cina e, in Medio Oriente, il conflitto israelo-palestinese sta raggiungendo un livello di violenza mai sperimentato prima.

Ve ne dico una: i Comuni, ogni anno, procedono alla formazione delle liste di leva, finalizzate ad un eventuale ripristino della leva obbligatoria, le quali contengono i nominativi di tutti i cittadini maschi da 17 a 45 anni. Se rientri in questa fascia d’età, c’è anche il tuo nome.

Con i giovani bisogna essere chiari: preparatevi a essere chiamati. Il servizio militare è stato sospeso nel 2005, ma può essere riattivato dall’oggi al domani. Chi ha più di 45 anni ha superato l’età, ma voi, segaioli degli anni 2000, se continua così, vista la situazione di merda che c’è in Europa e nel mondo, potreste essere i primi ad avere il culo caldo e trovare un Vannacci a comandarvi (ce n’è varie versioni).

Trattandosi di una sospensione e non di una soppressione, il servizio di leva rimane obbligatorio. L’articolo 1929 del Codice dell’ordinamento militare di cui al d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, prevede che «Il servizio di leva è ripristinato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, se il personale volontario in servizio è insufficiente e non è possibile colmare le vacanze di organico, in funzione delle predisposizioni di mobilitazione, [... oppure] nei seguenti casi: se è deliberato lo stato di guerra ai sensi dell’articolo 78 della Costituzione; se una grave crisi internazionale nella quale l’Italia è coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale giustifica un aumento della consistenza numerica delle Forze armate».

Pertanto non serve una formale dichiarazione di guerra. Basterà che dal comando Nato di Bruxelles alzino il telefono o una Meloni s’alzi dal letto col bigodino incazzato. Mattarella?

Possiamo scherzarci su quanto vogliamo, ma abbiamo visto con il Covid-19 (“Bergamo non ti fermare! ... Sono convinto che un virus non fermerà Bergamo”) quanto poco ci vuole per mobilitare un intero Paese, il mondo intero. Nel luglio 1914, chi se lo poteva permettere era in villeggiatura; uguale nell’agosto del 1939. E nell’ottobre 1962, quanto c’è mancato? Avevano già la baionetta innestata e nel sito Pluto spolveravano le “munizioni speciali”.

Vedremo nei prossimi mesi e anni, ma quando Macron chiama alla guerra i francesi (“Non siamo sicuri di farlo, al momento non ci troviamo in questa situazione, ma non escludiamo questa opzione”), la Germania dibatte tra coscrizione e deterrenza nucleare, altri Paesi europei ripristinano la leva, ma soprattutto quando uno con la faccia di Tajani dice che non invierà truppe italiane in Ucraina, beh, cominciamo a chiederci se questo scenario catastrofico non potrebbe diventare realtà tra la sera e il mattino.

mercoledì 13 marzo 2024

Bella scoperta

 

Dopo anni si sono accorti che l’astensionismo elettorale è un fatto decisivo in un sistema parlamentare e di stagnazione istituzionale. Non per la destra, perché il reazionario e il fascista, il padroncino e l’evasore, ma anche il tartassato e il deluso, votano. E anche i salariati votano, magari a destra. Non tutti. Una buona parte si astiene, disaffezionata e stufa di farsi prendere per il culo. Una sinistra trasformista, già governativa e senza popolo, che s’indentifica, come già il Pci del resto, nel modello dello Stato e delle istituzioni, nazionali ed europee.

Ripercorriamo brevemente la storia recente: la sinistra è arrivata al potere democraticamente, con il sostegno delle frazioni più “progressiste” della borghesia, dei loro mezzi finanziari e di propaganda. Il suo obiettivo era quello di restare al potere il più a lungo possibile. Per consolidare la propria posizione di potere, la sinistra doveva ottenere il riconoscimento dell’alta borghesia e del mondo padronale (i “capitani coraggiosi”, per esempio), che ovviamente aveva da ottenere in cambio il proprio elenco delle concessioni.

Il personale politico della sinistra era intento a dimostrare il proprio valore come ministri “liberalizzatori” e a cercare l’appoggio della grande borghesia più spesso di quanto si preoccupassero di rispettare gli impegni con la loro base. Veniva spontaneo, dato che avevano sposato in pieno l’ideologia del “mercato”, ossia quella del capitale.

È venuto anche il momento dei governi “tecnici”, di gente come Monti e Draghi, abili a nascondere dietro la presunta neutralità tecnica la loro vera missione. Che è certamente quella di “salvare” il Paese. E la destra, allora? Quella di Monti e Draghi è la vera destra. Quanto ai fascisti e leghisti rappresentano solo una variante meno “autorevole” e nel caso più spregevole (senza virgolette).

Oggi s’invoca l’alternativa e la mobilitazione popolare (solo a scopi elettorali), ma per decenni s’è liberalizzato tutto e incoraggiati la rassegnazione e l’attendismo. L’alternativa non c’è nei fatti ed evanescente già nei programmi, inesistente nei personaggi (il fatto che abbiano bisogno della faccia rassicurante di Bersani, dopo averlo villaneggiato in ogni modo, la dice lunga). Paradossale (in altri tempi però!) allestire un cartello elettorale con i liberali con l’obiettivo, non dichiarato esplicitamene, di non spaventare la borghesia.

Si dice che l’astensionismo rafforza la destra. È vero, numericamente indebolisce la sinistra. Ma destra e sinistra sono due facce della stessa medaglia, intercambiabili. Di autentico a sinistra non c’è più niente, da molto tempo. Lo sanno molto bene quelli che votano Partito democratico e non solo chi non lo vota più o lo detesta da sempre (come i grillini).

Quello che invece bisogna dire è che l’astensionismo non ha ancora raggiunto il suo obiettivo. Nel senso che sfiora la maggioranza, ma non è ancora maggioranza. Quando diventerà maggioranza in modo netto, allora si aprirà la prospettiva di una possibile alternativa.

Alternativa non parlamentare, ma di contenuto realmente e radicalmente sociale, non semplicemente “populista-nazionalista” che si accontenta del keynesismo. Inizialmente di dimensione spontanea e selvaggia, al di fuori dei partiti, una lotta dagli esiti molto incerti. Tutto dipenderà dai rapporti di forza, dalla reale volontà delle forze contrapposte, dalla situazione contingente, ossia dal deterioramento della situazione economica e dell’ordine mondiale, e dunque dalla necessità indotta dalle cose stesse.

Lo so, le aspettative pronta cassa sono altre, ma la realtà procede a velocità diverse dai desideri e dai sogni.