sabato 27 maggio 2023

Auguri Henry, vecchia canaglia


L’ex sergente Heinz Alfred Kissinger copie oggi cent’anni. Ha scritto in gioventù un grande e insuperato saggio sulla diplomazia della Restaurazione, poi s’è trovato, a mio avviso quasi per caso, dalla parte del Partito repubblicano. Come statista il giudizio è (stato) molto controverso, ma oggi, in questa nostra epoca di diserzione, di Kissinger non si ricorda quasi più nessuno. Fu tra i pochi ad accorgersi, a un certo punto, che la causa del Viet-Minh era prima di tutto un nazionalismo prima che ideologia, anche comunista (non erano i dollari, la marijuana, i Rolling Stones o le puttane di Saigon a far cambiare idea ai viet minh). Così come oggi è sbagliato confinare nei loro presupposti ideologici i combattenti ucraini, che non sono tutti nazisti (*).

Avercene oggi di statisti come Nguye"n Sinh Cung o Henry Kissinger. Questo mio giudizio l’ho già espresso, anche sul blog, in più di un’occasione, facendo storcere il naso a qualche lettore che ricorda il Cile di Pinochet (che cos’è oggi la Polonia?). Che avrebbe dovuto fare un segretario di Stato nel suo “cortile di casa”? Lo stesso vale oggi per la Russia di Putin. E poi i suoi libri vanno letti, non solo commentati.

Grande diplomatico Kissinger, almeno con lui si sapeva con che canaglia si aveva a che fare. Un diplomatico è un uomo educato, che deve saper discutere amabilmente con avversari subdoli e subdoli come lui. Lo statista sa mettere a tacere le sue emozioni che lo indurrebbero a piagnucolare ogni volta che gli vengono mostrate foto di bambini straziati dalle bombe o dalla fame. Ciò non significa che sia insensibile, ma che sa controllare le sue emozioni e reprimerle se necessario. Un diplomatico sa trattenere le lacrime di fronte all’orrore. Oggi Tocqueville, in redingote, fuggirebbe dall’America su un camion della spazzatura, come un comune delinquente.

(*) Ai suoi giorni, Nixon aveva cercato di fare pressione sui nordvietnamiti avviando l’operazione Rolling Thunder, che doveva schiacciarli sotto tonnellate di bombe. Nixon pensava che i nordvietnamiti si sarebbero detti: “questo furfante è così pazzo che è meglio discutere con lui al tavolo delle trattative”. Ma i vietnamiti del nord non erano turbati dai B-52. Kissinger suggerì di bombardare le dighe per inondare le risaie e far morire di fame i vietnamiti. Il resto della storia è noto. La capacità del diplomatico è quella di prendere decisioni spietate, ma indispensabili per portare avanti un dossier difficile. Altrimenti c’è la vita monastica.

venerdì 26 maggio 2023

L'ultimatum alla Russia

 

Quando nel 1975 fu istituito il forum intergovernativo che conosciamo come G7, i paesi che vi aderivano rappresentavano circa il 60% della produzione economica mondiale. Oggi solo il 31%. Basterebbe solo questo dato per chiarire molte cose, prima tra tutte la volontà o comunque l’accettazione da parte di questi Paesi di un conflitto bellico mondiale che ridisegni i rapporti di forza.

Durante il recente vertice G7 di Hiroshima (quanta ipocrisia nell’aver scelto questa città) è stato intimato alla Russia di fermare la sua aggressione, di ritirare immediatamente, completamente e incondizionatamente le sue truppe e le sue attrezzature militari dall’intero territorio dell’Ucraina riconosciuto a livello internazionale (dunque anche dalla Crimea).

Non si tratta di uno dei comunicati a cui siamo abituati durante questi summit. È stato lanciato un ultimatum alla Russia che non lascia spazio a soluzioni diplomatiche, in cui si chiede la resa incondizionata di Mosca, peraltro senza offrire garanzie di sicurezza per Mosca o la rinuncia all’ammissione dell’Ucraina alla Nato. Tutt’altro.

La dichiarazione impegna i Paesi aderenti a “fornire il sostegno finanziario, umanitario, militare e diplomatico di cui l’Ucraina ha bisogno per tutto il tempo necessario”, cioè fino alla sconfitta militare della Russia. È ovvio che la Russia non può soddisfare questo ultimatum senza firmare la propria condanna a morte. Un ultimatum il cui unico scopo è continuare la guerra finché la NATO non raggiungerà il suo obiettivo: l’instaurazione di un regime fantoccio a Mosca e la distruzione della Federazione Russa.

Ci sono precedenti storici per tali ultimatum inaccettabili. Il più famoso è l’ultimatum austro-ungarico alla Serbia nel 1914. Si chiedeva alla Serbia di rinunciare alla propria sovranità come Stato indipendente. L’Austria voleva la guerra ed era sostenuta dalla Germania. Le grandi potenze non sono semplicemente “scivolate” in quella guerra: volevano la guerra o almeno l’accettavano come condizione per rompere i rapporti di forza stabilitisi negli ultimi quarant’anni.

Le potenze industriali emergenti di Germania e Stati Uniti erano assetate di materie prime, mercati e opportunità di investimento che erano in gran parte controllate dai loro rivali Gran Bretagna e Francia. Cambiano (alcuni) attori nello scacchiere, ma il gioco è sempre quello.

Mercoledì, la Norvegia ha dichiarato che sosterrà i programmi di addestramento degli Stati Uniti per i piloti ucraini per pilotare aerei da combattimento F-16. Lo stesso giorno la USS Gerald R. Ford è arrivata a Oslo. La USS Ford è la più grande nave da guerra mai costruita e la prima di una nuova generazione di tali portaerei commissionata dagli Stati Uniti. Il gruppo d’attacco guidato dalla Ford comprende due sottomarini a propulsione nucleare, due incrociatori lanciamissili classe Ticonderoga e uno squadrone di cacciatorpediniere. Una dimostrazione di forza e di determinazione.

Dopo aver lasciato Oslo (la Norvegia condivide, senza motivi di contesa, un confine terrestre con la Russia e un confine marittimo nel Mare di Barents), il gruppo d’attacco si recherà nell’Artico, per effettuare operazioni di “libertà di navigazione”, un termine provocatorio usato dagli Stati Uniti per navigare vicino alla costa russa, dove l’”incidente” è sempre possibile.

mercoledì 24 maggio 2023

Mi sarebbe piaciuto

 

Vogliono scoreggiare più in alto del loro culo. Del resto quando gli ricapiterà un’occasione del genere? Gli ricapiterà, gli ricapiterà. L’ideologia del boia chi molla apre sul vuoto. Che cosa possiamo aspettarci altrimenti quando vediamo lo stato di disintegrazione e compiacimento del mondo intellettuale sempre alla ricerca di distruggere ciò che di buono era rimasto della vecchia socialdemocrazia capitalista? E il conseguente impoverimento della vita di tutti! Esiste ancora un dibattito pubblico che non sia stato infestato negli ultimi decenni da vari tipi di zecche, da personaggini mediatici che non hanno nessuna idea vissuta e dunque l’esperienza che dissolve la banalità, che quando non sanno le cose se le inventano e quando credono di saperle è pure peggio? Non mi riferisco solo alle ultime patetiche esternazioni di chi parla dell’alluvione come un qualunque teppista di Dio, ma va bene anche quel lacerto come esempio della follia che trabocca. Senza contare che oltre a queste domande, dovremmo far confluire nella nostra testolina quelle vertiginose che nessun pixel potrà rendere interessanti quando ciò che invece attrae corrisponde alla piattezza degli schermi.

Mi sarebbe davvero piaciuto parlarti di qualcos’altro. Cordiali saluti.

giovedì 18 maggio 2023

Ma levati di torno

 

Armando Torno è stato responsabile del supplemento Domenica de Il Sole 24 Ore fino al 2000. Attualmente è editorialista dello stesso supplemento e ogni settimana in terza pagina ci delizia di un suo articolo. Nei suoi due ultimi ha citato nientemeno che Karl Marx.

Nell’articolo di domenica 7 maggio, la citazione è la seguente: “I reazionari di ogni tempo sono buoni barometri degli stati d’animo della loro epoca, come i cani per le tempeste”. Armando Torno trae questa citazione marxiana dagli Scritti politici giovanili. Un riferimento bibliografico un po’ generico tuttavia sufficiente per rintracciarlo a pagina 130 dell’edizione Einaudi (nella MEOC, I, p. 183).

Accade spesso che nel citare Marx non ci si curi troppo e anzi per nulla di offrire al lettore un riferimento bibliografico preciso. Ricordo a riguardo un noto autore che rimandava semplicemente e ripetutamente a questo luogo: Il Capitale. Si guardava bene dall’indicare perfino se il primo, secondo o terzo libro.

La seconda citazione di Torno riguardo a Marx è di domenica scorsa, ed è la più interessante:

«In una sua celebre lettera, l’Epistola a Meneceo, in cui tratta i temi della felicità e della morte, Epicuro parla degli dei. Essa sarà meditata dai Padri della Chiesa e dai pensatori di ogni tempo: Karl Marx, che scelse la tesi di laurea su Democrito ed Epicuro, ne riprende alcuni passi e li utilizza per dare corpo al suo ateismo».

Siamo in presenza, nel caso di Armando Torno, di un classico esempio di citazione di seconda o terza mano, e anche di un esempio di chi nel far proprie cose altrui le copia male o le trova già errate: in nessun luogo della sua dissertazione di laurea (1841), Marx cita l’Epistola a Meneceo. Marx invece cita ampiamente tale epistola in un altro suo lavoro, ovvero nei Quaderni sulla filosofia epicurea, scritti fra l’inizio del 1839 e al massimo il febbraio del 1840 (MEOC, vol. I).

La dissertazione marxiana, cui allude Torno, Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, è anzitutto da leggere per sé stessa, perché di tante cose tratta, salvo l’intento di Marx, come vorrebbe Torno, di utilizzarla, citando Epicuro (ma non l’Epistola a Meneceo), di dar “corpo al suo ateismo”. È sufficiente leggere l’indice della dissertazione per rendersi conto che di tutt’altro Marx si occupa in essa.

Dunque, è necessario interrogare la dissertazione senza iscriverla nel comune stereotipo. Come dichiarato dallo stesso Marx, in una lettera a Ferdinand Lassalle nel 1857, la sua tesi aveva per lui un significato politico piuttosto che semplicemente filosofico nel senso stretto del termine. E del resto, possiede anche un significato filosofico di non poco conto, poiché già in essa si possono scorgere gli elementi filosofici portanti di un discorso che si farà sempre più impegnato, forte e sicuro ma mano che il giovane Marx metterà a punto la sua concezione storico-materialistica.

Per orientarsi nella tesi è opportuno tenere presente che l’importanza dell’epicureismo, dello stoicismo e dello scetticismo è dovuta, secondo Marx (vedi la Prefazione), al fatto che essi costituiscono i “sistemi che sono la chiave della vera storia della filosofia greca”, nel senso che ne segnano sia il culmine e sia il declino (in Epicuro “il declino della filosofia antica si presenta [...] perfettamente oggettivato).

Il sistema filosofico di Epicuro, sempre secondo Marx, risponde essenzialmente a una polis che declina e poi crolla, lasciando il posto alla forma imperiale. Il “declino della filosofia antica” corrisponde quindi alla fase di declino della polis, la esprime e, così facendo, vi partecipa.

L’originalità di Marx, come indica il titolo stesso della sua tesi, consiste nell’evidenziare la “differenza nelle filosofie naturali”, nel mostrare la “differenza essenziale” che le separa. Questa differenza sembra essere facilmente individuabile fin dall’inizio: per Democrito l’essere appare governato dalla “necessità”, nel senso che gli atomi che lo compongono sono legati tra loro da causalità, in modo che il percorso di alcuni è determinato da quello di altri; per Epicuro, al contrario, non c’è altro che una “possibilità di essere”, il che significa che “il destino [...] non è” dato, poiché tutto alla fine si riduce alla contingenza, ossia al caso. Necessità da una parte, caso dall’altra. L’opposizione non potrebbe essere più chiara.

Al che questa opposizione non vieta affatto di riunire Democrito ed Epicuro facendo di loro due difensori del materialismo, uno supponendo che la materia sia governata dalla causalità e per l’altro dal caso (*). Marx rifiuta una tale proposizione: il “modo di spiegazione” che Epicuro adotta, sostiene, e questa è la tesi principale che difende sul suo argomento, non mira alla conoscenza della “realtà oggettiva della natura”, che designa come “atarassia”, che significa la tranquillità dell’anima o della coscienza.

Che cosa significa tutto questo? Per Marx, fu Lucrezio il primo a capire chiaramente che cosa fosse la fisica di Epicuro. Questa fisica deve essere considerata secondo Lucrezio come rottura delle “catene del destino”, è “quel qualcosa che può combattere e resistere”, il “libero arbitrio”, la “libera scelta” o la “libertà” che profetizza contro.

Ma quale libertà, si chiede Marx? Dobbiamo qui considerare il contesto storico e politico in cui si colloca la riflessione filosofica in Epicuro (nacque nel 341, la battaglia di Cheronea è del 388). Descrive una “caduta della vita sostanziale” e la “sua condizione all’interno di questa vita”, di un “mondo lacerato”, e dunque non trova più quella libertà esercitata nella polis morente. Insomma, la libertà non si realizza più nella e attraverso la polis e con altri cittadini, ma piuttosto scappando da loro, ignorandoli. La famosa “atarassia”, per dirla spiccia.

Quanto sia attuale tale riflessione (che qui per necessità espositiva e di sintesi ho volgarizzato ignobilmente), lo può giudicare il lettore prendendosi la briga di leggere la dissertazione marxiana di prima mano, nel caso ne fosse interessato.

(*) «Al determinismo ci si sottrae elevando a legge il caso, alla necessità ci si sottrai elevando a legge l’arbitrio» (Quaderni sulla filosofia epicurea, MEOC, I, p. 507). Marx aveva altresì ben chiaro il rapporto dialettico tra caso e necessità.

Smemorati d'Italia

 


Non giustifico queste forme di repressione poliziesca e giudiziaria, tuttavia vorrei ricordare, ai numerosi indefessi difensori dei principi democratici e titolari esclusivi del giudizio storico-sociale, le numerose condanne a decine di anni di carcerazione da parte dei tribunali italiani per il reato di “concorso morale”, oppure quando sono rifiutati i benefici di legge ai detenuti con queste (non rare) motivazioni:

«secondo il giudice di sorveglianza nei suoi testi, in particolare nel libro, Esilio e castigo (2005) dove aveva raccontato i retroscena dell’estradizione, spiegava il fenomeno della lotta armata avrebbe mostrato un atteggiamento “che si concepisce come controparte rispetto a tutte le istituzioni pubbliche”, accusate di scrivere la storia da vincitori assumendo atteggiamenti vendicativi attraverso le relazioni delle commissioni parlamentari, le sentenze della magistratura ecc. (pag. 43 del volume Esilio e Castigo, edizioni La Città del Sole)», mostrando secondo il magistrato «il perdurante disprezzo delle istituzioni dello Stato di diritto» che «seppur praticato con una maturità che gli consente di esporre le proprie idee in modo da rispettare le regole sociali» (come correttamente rilevato nella relazione di sintesi), «non si concilia con la condivisione dei valori fondanti del sistema giuridico- democratico italiano».