Nel suo saggio L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, Lenin scrive che l’imperialismo non è una “politica” arbitraria che può essere sostituita da un’altra, ma che deriva inevitabilmente dalle contraddizioni oggettive del capitalismo.
La sinistra, che è diventata da decenni qualcosa di indefinito e di indefinibile, non tiene più conto di questo come di altri specifici assunti della tradizione teorica marxista. E ciò malgrado sia sotto gli occhi di tutti il fatto che è in atto una lotta sempre più aspra tra i grandi Stati-nazione per il controllo dei mercati, delle materie prime, degli snodi strategici di transito dei flussi mercantili, insomma una lotta per la supremazia economica e tecnologica.
Dunque si tratta dei processi generali di accumulazione e riproduzione del capitale, i quali possono essere compresi solo a livello dell’economia globale. E tali processi s’inseriscono nel quadro delle politiche di potenza degli Stati-nazione, vale a dire nel quadro degli equilibri internazionali. Tali equilibri sono entrati in una fase di crisi storica.
Il processo di valorizzazione, circolazione e riproduzione del capitale, arrivato a un certo stadio del suo sviluppo, non può procedere oltre se non con il ricorso alla guerra. Ciò è avvenuto già due volte nella prima metà del secolo scorso, ed ora lo stesso groviglio di contraddizioni irrisolte e irrisolvibili nell’ambito capitalistico si ripropone e sta portando a un conflitto su scala globale che dovrà decidere nuovi equilibri e rapporti di forza.
Nel suo classico saggio storico Assalto al potere mondiale. La Germania nella guerra 1914-1918 (Griff nach der Weltmacht, 1961), Fritz Fischer (certamente non un marxista) dimostrò dettagliatamente che gli obiettivi bellici tedeschi erano profondamente radicati “negli interessi industriali-capitalistici, agrari e commerciali d’oltremare”. Fischer ha anche dimostrato che Hitler perseguì in gran parte gli stessi obiettivi durante la Seconda guerra mondiale (basta leggere il Mein Kampf).
Le due guerre mondiali sono state espressione delle inevitabili contraddizioni del sistema imperialista, basato sulla lotta per colonie, materie prime, mercati e regioni strategiche del mondo. Gli interessi del capitale non sono stati violati, ma imposti nel modo più brutale, con enormi profitti per le banche, l’industria bellica e i monopoli delle esportazioni.
La classe dirigente tedesca non ha mai accettato di dover fare i conti con il fatto di dover assumere un ruolo di secondo piano sul piano economico e militare. È stato un lavoro meticoloso di decenni, fino alla riunificazione e al consolidamento sociale ed economico interno. Ora, come ho già scritto ben prima delle dichiarazioni belliciste del nuovo cancelliere, si passa al riarmo guardando di nuovo verso Est.
Già nel 2014, il governo di Angela Merkel richiese che la Germania tornasse a svolgere un ruolo militare commisurato al suo peso economico. Un documento strategico, che fungeva da modello per la politica estera del governo, rivendicava un “ruolo di leadership” internazionale per la Germania.
Questa strategia viene messa in pratica nella guerra in Ucraina, che il governo tedesco ha sostenuto finora con aiuti militari per un totale di 28 miliardi di euro. L’imperialismo tedesco sta di nuovo avanzando nella stessa direzione della Prima e della Seconda guerra mondiale. La sinistra liberale e variamente pacifista non se ne rende conto (o finge, che è lo stesso), presa com’è da questioni “politiche” di più grande momento. Certo, come i loro elettori anche questi politicanti hanno il diritto di non capire nulla di ciò che realmente accade intorno a loro, tuttavia non è il caso che abusino di questo diritto.
Nell’analisi di Lenin l’imperialismo e le guerre non nascono da irrazionali manie di Stato, ma dalla logica interna del capitalismo globale. Rispetto al potere del capitale finanziario odierno, ai tempi di Lenin tale potere era ancora agli albori. E il legame tra potere statale, oligarchia finanziaria e guerra imperialista non è mai stato così evidente come oggi.
Quando Lenin scrisse il suo libro (1917), c’era un solo miliardario al mondo: il magnate del petrolio John D. Rockefeller. Oggi di miliardari ce ne sono 2.800, molti dei quali vantano fortune a due o tre cifre miliardarie. Tuttavia, la causa della guerra e del militarismo non riguarda solo l’entità della ricchezza accumulata, ma il parassitismo finanziario su cui si basa.
Il debito pubblico degli Stati Uniti, che nel 1980 ammontava a poco meno di 1.000 miliardi di dollari, è ora salito a 36.000 miliardi di dollari. Negli ultimi quattro anni, l’aumento ha raggiunto i 10.000 miliardi di dollari. Solo circa il 15% del denaro circolante attraverso le istituzioni finanziarie statunitensi confluisce in nuovi investimenti aziendali, mentre il restante 85% è destinato a investimenti già esistenti. L’aumento del prezzo delle azioni e di altri titoli ha poco a che fare con il processo produttivo reale. Questa enorme montagna di debito sta minando la fiducia nel dollaro e quindi nel sistema finanziario internazionale.
L’imperialismo americano sta cercando di uscire da questa situazione di stallo facendo leva sulla propria superiorità militare, scientifica e tecnologica. Donald Trump incarna la dittatura dell’oligarchia finanziaria americana, non meno dei suoi predecessori. Con delle differenze, certo, non solo di forma. Reagisce in modo scomposto ai problemi per i quali non esiste una soluzione progressista nel quadro del capitalismo.
Trump sta cercando di ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti attraverso dazi che stanno strangolando l’economia globale, e cerca di tappare il buco nel bilancio tagliando i programmi sociali. Rivendica Panama, Canada e Groenlandia e sta preparando, di là delle più apparenti schermaglie, una guerra contro la Cina. Altro che “isolazionismo”.
Da parte loro, i Democratici americani non stanno facendo nulla di concreto per opporsi a Trump perché anche loro rappresentano gli interessi di Wall Street, così come del resto tutti i partiti politici italiani ed europei rappresentano gli interessi dell’oligarchia del denaro.