mercoledì 23 aprile 2025

Ve lo meritate

 

Molti, moltissimi, un Paese così volgarmente confessionale, così bigottamente cattolico, se lo meritano. Anzi, questo liquame clericale lo sentono come la loro fonte di sostentamento e non sono mai sazi. Più gliele danno a bere e più ne ingurgitano soddisfatti: gaudium magnum. Come Molière, anche Bergoglio è morto sul palco. E però la commedia continua, grottesca. A quei pochi che non si assoggettano, non resta, impotenti, che pagare per la messa in scena di queste stronzate medievali con guardie armate di alabarde.

Il gesuita argentino, austero e intransigente mediatore durante gli anni sudamericani, l’hanno trasformato postumo in un Che Guevara della Chiesa cattolica. Un giornale l’ha definito addirittura “aperto al marxismo”, dimenticando le posizioni molto conservatrici. Anche se, rispetto ai suoi predecessori, l’inflessibile Ratzinger e l’ineffabile Giovanni Paolo II, Jorge Mario Bergoglio sembrava vagamente un uomo di “sinistra”, ma si trattava solo di un’illusione ottica, di un problema di scala.

I commentatori hanno generosamente riconosciuto al defunto Papa il merito di aver difeso i migranti e di aver messo in guardia dalle conseguenze del cambiamento climatico. Ma abbiamo bisogno di un papa per questo? Ovviamente no. Che senso ha essere il Papa per dire certe sciocchezze che potresti tranquillamente sentire al bar sotto casa? Perché è questa la sensazione che proviamo (almeno alcuni di noi) ogni volta che esaminiamo le affermazioni di questo papa o dei suoi predecessori: la banalità del loro pensiero.

Restiamo sempre delusi dalla piattezza dei pensieri di coloro che ci vengono presentati come grandi intellettuali, menti brillanti, di volta in volta esperti di questo e di quello, il cui unico talento è quello di maneggiare abilmente il linguaggio per affascinarci con le loro belle parole su vecchie idee ammuffite che risalgono al Medioevo. Poi, non c’è niente di più sopravvalutato di un papa, ossia di un uomo che nella vita ha sempre pensato e fatto da prete.

Ogni volta che cambiano papa, chi ci crede spera che sia più moderno e un po’ meno reazionario dei predecessori. E ogni volta si torna subito coi piedi per terra: un papa non può che essere un conservatore, aggrappato ai suoi dogmi e alle sue convinzioni da prete. La conclusione è che, dietro una comunicazione moderna molto efficace, anche questo papa non ha portato nulla di nuovo nella terra dello Spirito Santo. Né c’era da aspettarselo.

Quanto al prossimo pontefice sovrano, l’unica domanda, se proprio vogliamo porcela, è quale nuova strategia comunicativa adotterà per farci ingoiare sempre le stesse vecchie cose, dandoci l’illusione di essere moderni.

Per ricordarci i valori dell’ex capo della Chiesa, ecco una panoramica delle rancide dichiarazioni da lui pronunciate durante il suo regno. Innanzitutto sull’omosessualità. Si dice che Jorge Mario si sia opposto alla criminalizzazione dell’omosessualità. L’ex Papa è stato molto chiaro: essere gay non è sano e consigliava una diagnosi precoce: “Quando si manifesta fin dall’infanzia, ci sono tante cose da fare con la psichiatria, per vedere come stanno le cose”, professava ex cathedra nel 2018, di ritorno dall’Irlanda.

Di sfuggita, condannava il “lobbying gay”. E ancora una volta, la risposta è attenuata perché era destinata alla stampa. Nei corridoi del suo regno, non esitava a scatenarsi. Come durante una conferenza episcopale dove invitò i suoi vescovi a non accogliere nei seminari religiosi persone apertamente omosessuali, ritenendo che ci fossero già troppa “frociaggine”. In tal modo aggirando con nonchalance la spinosa questione del celibato ecclesiastico.

La Chiesa è sempre pronta a giudicare ciò che succede nei pantaloni degli altri, ma detesta quando la gente ficca il naso nei suoi.

E se al Papa non piacciono gli omosessuali, quanto all’altra metà della Luna, non è stato meno esplicito. Soprattutto per quanto riguarda le donne che si rifiutano di essere semplicemente madri. Chi diavolo gli ha dato questa immagine di “papa femminista”, lui che ha definito il femminismo “machismo con la gonna”?.

Deve questa reputazione alla decisione di nominare alcune donne nella Commissione Teologica Internazionale nel 2014? Subito dopo la loro nomina le definì “fragole sulla torta”. Allo stesso tempo, è meglio essere una “fragola” che una “zitella”, cosa che lui stesso ha messo in chiaro nel 2013, invitando tutte le donne a diventare madri.

Che dire dell’aborto? Va da sé che un Papa, con la scusa del “rispetto per la vita”, non sia d’accordo. Ma altra cosa è definire quella sull’aborto una “legge criminale”. Nessuno ha fiatato sugli alti Colli, ovviamente. Poi Bergoglio non ha potuto fare a meno di aggiungere che i medici che lo praticano sono degli “assassini su commissione” (da un discorso pronunciato in Belgio lo scorso anno). Risulta che qualcuno abbia preso posizione?

Quindi, da dove deriva questa immagine del “papa moderno”? Su quasi tutte le principali questioni Jorge Bergoglio si è schierato con conservatori e reazionari. Donne prete? Un “no” categorico. Preti sposati? Ancora “no”, o al limite, in “angoli remoti come l’Amazzonia”.

Nel 2016 definì come un’assurdità le possibili dimissioni del cardinale Barbarin, che per anni aveva coperto un prete pedofilo: “Pensate con la vostra testa e non lasciatevi trasportare dai venti di sinistra che hanno orchestrato tutta questa faccenda”, consigliò ai suoi seguaci. In definitiva, di progressista, aveva solo gli accessori: un iPad e 1,8 milioni di follower su X.

martedì 22 aprile 2025

La logica oggettiva della guerra commerciale

 

Può una ricchezza reale valutata migliaia di miliardi scomparire senza lasciare traccia in pochi giorni, in poche ore o addirittura pochi secondi (trading ad alta frequenza)? Non è raro che in tal modo evapori una parte consistente del valore delle azioni delle più grandi aziende (oggi, all’apertura, contando gli ultimi cinque giorni, il produttore di chip Nvidia ha perso il 14,5% e Amazon il 10%; Tesla ha perso l’11%, portando la sua perdita annua al 46%).

Segno che non si tratta di ricchezza reale, bensì fittizia, meramente speculativa, per quanto possa arricchire specialmente chi è già ricco.

La causa immediata dell’ultimo crollo del mercato azionario statunitense, insieme all’uscita dal mercato obbligazionario che ha visto i rendimenti aumentare, è stata la ripresa degli attacchi da parte dell’amministrazione Trump al presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, con minacce di licenziamento.

Trump ha chiesto a Powell (nominato dallo stesso Trump durante il suo primo mandato) di abbassare i tassi d’interesse, apparentemente con l’obiettivo immediato di dare una spinta a Wall Street e con quello a lungo termine di trovare un capro espiatorio per una recessione negli Stati Uniti che sta diventando sempre più probabile, con licenziamenti in aumento, mandando in frantumi le affermazioni di Trump secondo cui le sue guerre tariffarie darebbero una spinta all’economia americana.

Ma tutto ciò è solo un effetto contingente, casuale. È necessario, per la comprensione della dinamica storica delle crisi borsistiche, tener conto del dato strutturale del capitalismo finanziario. Il compito principale della Fed e delle altre banche centrali è prevenire un aumento dell’inflazione attraverso le loro politiche sui tassi, nella errata convinzione che sia sufficiente e determinante per l’economia nel suo insieme.

Determinate a far sì che il dollaro rimanga la valuta di riserva globale. È questo status che consente agli Stati Uniti di finanziare la montagna di debito pubblico in rapida crescita, ora a 36.000 miliardi di dollari, cosa che nessun altro Paese potrebbe permettersi di fare. Ma il taglio dei tassi di interesse, fortemente voluto da Trump, provocherebbe un’ulteriore caduta del dollaro sui mercati internazionali, compromettendone ancor più lo status di riserva.

Il conto degli interessi sul debito sale a 1.000 miliardi di dollari l’anno e diventa la voce più importante del bilancio statale. Questi processi di fondo si riflettono nell’attuale sconvolgimento provocato da Trump nel fallace tentativo di invertire la tendenza. Un bisonte in cristalleria, scrivevo tre settimane fa.

Giusto quanto scrive il Wall Street Journal: lunedì si è intensificata la contrattazione “vendi America”. Ieri, mentre in Italia anche atei e agnostici recitavano il rosario, il dollaro ha perso l’1,5% rispetto a un paniere di valute principali, con aumento del valore dell’euro e dello yen. Anche il mercato obbligazionario è sceso, con il rendimento del debito del Tesoro aumentato dello 0,08%, attestandosi al 4,41%.

L’oro ha stabilito un altro record ieri, raggiungendo i 3.430 dollari l’oncia (un tempo, non lontanissimo, ci si chiedeva se avrebbe mai superato la soglia psicologica dei 2.000 dollari). Il capitale finanziario cerca un rifugio sicuro nell’asset finanziario ritenuto più sicuro al mondo: l’oro. La merce per eccellenza nella forma di equivalente universale (Marx ride).

Di là di questo aspetto, tutt’altro che secondario, è l’intero mercato azionario, con i suoi prezzi e le sue quotazioni di opzioni, warrant, futures, ecc., che è un inganno. Manipolazione dei prezzi, insider trading, asimmetria informativa e rapporti di potere sproporzionati tra partecipanti diseguali, questo e altro costituisce il capitalismo finanziario.

L’intero ordine economico e finanziario del dopoguerra è giunto al termine. Le classi dominanti stanno già rispondendo a questo crollo come hanno sempre fatto storicamente, imponendo forme di governo autoritarie e riarmandosi secondo la logica oggettiva della guerra commerciale, ovvero del conflitto militare.


lunedì 21 aprile 2025

La rivoluzione impossibile


(In tema di cattolicesimo, criminalità e pentimento, se vuoi leggere qualcosa di meno scontato, clicca qui oppure leggi questo)

Morto un Papa, se ne fa un altro. La saggezza popolare vede lontano: non cambierà nulla. Del resto, il concilio Vaticano secondo fu un’occasione ampiamente mancata, così come il suo seguito (il metodo Ogino, tanto per dire, non fa ridere solo oggi). La crisi storica del cristianesimo, segnatamente del cattolicesimo, e sotto gli occhi di tutti. Declino della pratica religiosa, abbandono delle “vocazioni”, diserzione dei preti, scandali sessuali. La ferita esistenziale offre al cattolicesimo sempre meno cauzione per inzupparci il pane. Se la religione cattolica non serve più a guadagnare il paradiso ed evitare l’inferno, non interessa più a nessuno. Figuriamoci i dogmi tanto cari alla gerarchica ecclesiastica previa sottomissione di ogni residuo d’intelligenza.

Una profonda crisi che ha scosso le fondamenta della fede, laddove gli interrogativi radicali trovano la loro motivazione nella dialettica della storia borghese, che è la storia della vita economizzata. La Chiesa è in permanenza tradita dalla sua stessa materialità. L’occhio che regna nei cieli sa di essere strabico in tutta umiltà sui traffici mercantili del clero. È così che, nonostante ogni tentativo contrario di Bergoglio, il papa detiene l’autorità spirituale, ma il potere temporale tiene lo scettro del potere. È l’eco beffarda della sacralizzazione del denaro, cui nulla può opporsi realmente. Il monopolio di un monoteismo esclusivo deve dare battaglia contro la concorrenza sul mercato della paura, della morte e della vita rinnegata. Ed è su questo terreno di battaglia che il cattolicesimo arranca sempre di più e volge verso l’irrilevanza.

Il Vaticano si aggrappa, non senza difficoltà, all’Africa e al Sudamerica per i suoi ultimi palpiti. Bergoglio, di questa crisi, del fatto che è diventato largamente anacronistico per le esigenze umane e intellettuali essere cattolici secondo il metodo romano, è stato un consapevole e impotente rappresentante. Sarebbe stata necessaria non una semplice riforma, ma una rivoluzione, ad ogni modo impossibile.

Il conflitto

A Lione, quando scendi alla fermata dell’autobus per andare all’ospedale psichiatrico di Saint-Jean-de-Dieu, trovi Sigmund Freud ad accoglierti. Alla pensilina dell’autobus c’è la sua statua con il divano che funge da panca mentre si aspetta l’autobus. Si possono così vedere dei visitatori sdraiati, sonnecchianti o addormentati, immersi in un sogno o in chissà quale trance.

L’autista dell’autobus dice: “Celui-là attend toujours le bus, mais ne le prend jamais”.

Sembra che la statua sia opera di Georges Faure (da non confondere con il prolifico romanziere di meraviglie fantascientifiche Georges Le Faure). Pare che l’idea di realizzare una scultura di Freud da porre nella pensilina sia nata dagli psichiatri dell’ospedale. Qualcuno ha cercato di decapitarlo con una mazza. La testa è stata riposizionata e consolidata, ma presenta ancora segni di percosse.

In Francia il Viennese ebbe molto successo, innanzitutto grazie a Lacan. Quella degli psicanalisti è una corporazione impegnata nel patologizzare anche per come una persona respira: tutto diventa “sintomo”.

Come nel caso del piccolo Hans, l’unico caso di bambino di cui scrisse Freud. Amava andare a vedere le giraffe allo zoo (penso si trattasse dello zoo di Schönbrunn, a mezz’ora dal centro di Vienna). Si dice che Hans avesse sviluppato una fobia per i cavalli e altri animali di grandi dimensioni. Una notte, il bambino di 5 anni sognò delle giraffe. C’erano una giraffa grande e una piccola, tutta “accartocciata”. In questo sogno, la grande giraffa urlava e il piccolo Hans era seduto sulla piccola giraffa accasciata. Freud, consultato dal padre del bambino, aveva interpretato questo sogno come un accoppiamento con la madre.

A Vienna, l’abitazione dove Freud visse in affitto per quasi cinquant’anni, al numero 19 di Berggasse, è un museo (c’è anche a Londra). Lì ho respirato l’angoscia. Le stanze erano terribilmente vuote, i pavimenti scricchiolavano, i visitatori vagavano in giro con aria seria e disorientata. Leggo che recentemente è stato ristrutturato con inserimento anche di una caffetteria.

Gli psicoanalisti e i loro entusiastici pazienti avrebbero bisogno di un buon bagno di realtà. I seguaci di Freud hanno dalla loro il fatto che ai nazisti non piacesse la psicanalisi. E nemmeno agli stalinisti.

Fuori di questi casi storici, chi si oppone ai deliri della psicoanalisi è considerato un critico maligno, malgrado accetti come ovvia l’idea che la vita cosciente dell’uomo sia influenzata anche da motivazioni inconsce. Ma anche dietro le motivazioni inconsce opera la dinamica oggettiva della natura e della storia. Il concetto di ideologia (che comprende tutte le forme di coscienza sociale) è ancorato esattamente a questa nozione (*).

L’opposizione freudiana tra “coscienza” e “inconscio” diventa opposizione tra motivazioni ideologiche incompatibili che affondano le loro radici oggettive in un preciso contesto socio- economico. Diventa opposizione tra coscienza non ufficiale e coscienza ufficiale, tra ideologia trasgressiva e ideologia della conservazione, tra linguaggi non autorizzati e linguaggi autorizzati.

Nasce così un confronto spesso torbido e tempestoso, che nel chiuso della coscienza riformula in forme specifiche lo scontro che oggettivamente si svolge al di fuori di essa. Il conflitto psichico interiore, anche nelle forme considerate patologiche, trova dunque la sua spiegazione (materialistica e dialettica, non idealistica e soggettiva) in un preciso conflitto ideologico: un conflitto che oppone le forme della coscienza ufficiale a una coscienza non ufficiale.

La psicoanalisi sfrutta precisamente questo conflitto interiore, i blocchi nei processi mentali, la mancata consapevolezza circa la nostra reale posizione nel mondo, inibita e distorta dalla società di classe e dalle sue forme ideologiche.

Tra gli altri, consiglio di leggere questo libro (riedito nel 2022): Luciano Mecacci, Il caso Marilyn M. e altri disastri della psicoanalisi, Laterza.

(*) «Ogni ideologia, una volta formata, si sviluppa sulla base degli elementi di rappresentazione dati e continua a elaborarli; altrimenti non sarebbe un’ideologia, cioè non avrebbe a che fare con idee considerate come entità autonome, che si sviluppano indipendentemente e sono soggette solo alle proprie leggi. Che le condizioni materiali di esistenza degli uomini, nel cui cervello continua questo processo mentale, ne determinino in ultima analisi il corso, rimane necessariamente inconscio in loro, altrimenti sarebbe la fine di ogni ideologia». (Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, 1888, IV Materialismo dialettico).


venerdì 18 aprile 2025

Verso il suicidio

 

Si sragiona per schemi: da una parte i sedicenti difensori del diritto, della libertà e della democrazia, dall’altra gli amici del dispotismo e di Putin, delle presunte mire espansionistiche russe sull’Europa.

Con l’allargamento della Nato ad est, la Russia si è trovata con tutte le sue frontiere, ad ovest e sud-ovest, ostili. E si doveva comprendere (ma non si è voluto) che per la Russia l’occupazione dell’Ucraina da parte della Nato avrebbe significato l’annullamento di tutti i benefici, in termini di sicurezza, della seconda guerra mondiale.

La difesa russa dei propri interessi in Ucraina rappresenta l’effetto che sorge dall’istinto della propria difesa, ossia della propria conservazione. Ad un certo punto è squillato “now or never”. Putin è solo il casuale leader di questo momento storico.

Egli sa bene che quando un avvenimento non si può evitare è meglio che la crisi avvenga. Tra l’altro, l’annessione delle regioni orientali dell’Ucraina toglierà un equivoco dalla carta geografica.

Povera Europa, sia prima con Biden, sia ora con Trump, si trova esposta, per propria grave colpa, a tutte le vicissitudini di una politica di imposizioni (anche di segno opposto) che non controlla né può impedire. Come insegnano da ultimo sia la vicenda dei dazi e sia l’annunciato parziale disimpegno militare americano nel vecchio continente.

A livello apicale i francesi e i tedeschi l’hanno ben chiaro, forse perfino gli italiani. Con il proprio riarmo la Germania diventerà non solo il dominus economico ma militarmente di nuovo una potenza prepotente e brutale (in attesa di aggiungervi il nucleare). È solo questione di tempo: la storia non si ripete, rigurgita. Si corre verso il suicidio.