lunedì 31 marzo 2014

Pertini, la bambina e il cancelliere


Scrive un noto quotidiano di opposizione e di protesta: “Ecco i nuovi schiavi del lavoro a mille euro”. Come dire che il metro con cui misurare la schiavitù è il salario, e sei considerato uno schiavo solo se il tuo salario è inferiore alla media. Come se la prostituzione fosse tale solo se il prezzo della marchetta è basso. Se il prezzo del meretricio è adeguato, in linea con i parametri contrattuali approvati dalla CGIA di Mestre, allora non si tratta più di prostituzione. Così uno che intorta i pensionati da mane a sera vendendo titoli tossici, se adeguatamente retribuito, ha diritto a far parte della categoria dei galantuomini. Sono questi i modi e le forme con cui si costruisce il senso comune, e dio solo sa quanto peso abbia il senso comune nella percezione delle cose e nella relativa ideologia.

domenica 30 marzo 2014

Quando la colpa è sempre degli altri


Eugenio Scalfari rammenta oggi i famosi “lacci e lacciuoli” ai quali alludeva il governatore della banca d’Italia Guido Carli in un’epoca che a noi ormai appare remotissima per molti motivi, non solo anagrafici e nostalgici. Scrive:

Il sindacato operaio di quell’epoca non rientrava affatto nell’elenco delle lobby; rappresentava la classe operaia, i suoi interessi e i suoi valori, ma essi non erano affatto contrari a quelli dello Stato. Luciano Lama nei momenti di difficoltà economica gestiva una politica di moderazione salariale e la stessa politica fu anche quella di Berlinguer e di Giorgio Amendola. La moderazione salariale dei sindacati fu riconosciuta più volte nelle relazioni dei governatori della Banca d’Italia, a cominciare addirittura da Menichella e poi da Carli, da Baffi e da Ciampi.

Avevano ragione loro, i Luciano Lama, i Berlinguer e i Giorgio Amendola? Il quadro internazionale era ciò che era, e pesava in modo determinante nelle scelte strategiche, ma per quanto riguarda quelle tattiche? Il tintinnar di sciabole, poi le bombe nelle banche, sui treni e nelle piazze rammentavano nel sangue non solo la sovranità limitata ma anche il fatto che se talvolta la classe dominante si dimostra disponibile a rinunciare a qualcosa è solo per procurarsi l’alleanza delle altre classi, fin quando il gioco gli riesce e poi invece passa alle maniere forti. È in questo modo che la borghesia intende le libertà pubbliche, ossia come una transazione continua tra interessi diversi dove il suo prevale sempre, costi quel che costi (agli altri).

sabato 29 marzo 2014

Non c’è da scommettere un euro


Il parlamento, eletto con una legge elettorale dichiarata illegittima in alcuni suoi aspetti essenziali dalla Corte costituzione, si appresta – parole del presidente del consiglio e capo del maggiore partito politico – a varare una riforma costituzionale “storica”. Non è poi casuale che l’Italia sia il paese europeo che abbia modificato più spesso la propria legge elettorale. Né è casuale che nelle classifiche sulla libertà d’informazione l’Italia è l’unico paese dell’Europa occidentale indicato come “semi libero” (report Freedom House), cosa che dovrebbe far vergognare qualunque giornalista della cosiddetta “grande” stampa nostrana. Figurati.

Per quale motivo dovremmo ancora aver fiducia di un sistema del genere? Per quale motivo dovremmo ancora credere possibile di cambiare qualche cosa attraverso questo genere di sistema e le sue istituzioni? È a questa domanda che il movimento 5S non risponde, se non con frasi come quelle del suo leader, il quale ha sostenuto che senza il 5S “qui sarebbe arrivata Alba dorata”. E in caso arrivasse Alba dorata che cosa cambierebbe? Non s’era detto che destra e sinistra non esistono più? Ma quelli sono fascisti. E voi che cosa siete oggettivamente, non s’è ancora ben capito, a parte il fatto che vi autodefinite né di destra né di sinistra. Siete contro l’attuale sistema ma ne fate parte, sia pure come opposizione, e siete stipendiati da questo sistema per fare ciò che vi consente di fare. Siete utili alla manovra!

venerdì 28 marzo 2014

Il dio vero


Il dio straniero è stato in visita dal demiurgo di quel padreterno che ha creato cento miliardi di galassie per il gioco degli astronomi, quello stesso falso dio precipitato nella polvere da quando l’umanità ha scoperto l’unico dio vero, quello che le fa sognare la felicità hic et nunc:  il denaro.

Leggo che al ricevimento in chiesa c’erano circa cinquecento di quegli osceni mantenuti che non fanno nulla per migliorare se stessi, ritenendosi già perfetti, e non possono fare nulla per migliorare il resto perché sono solo delle furbe marionette oziose in fiera. Se vedessero con i loro occhi le sofferenze e le ristrettezze nelle quali è precipitata molta gente, forse alcuni di loro resterebbero rattristati; solo che non le vedono perché sono distanti ed estranei alla vita comune.

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Dov’è la differenza ?


Nel XVIII secolo, il maresciallo di Saxe a Chambord aveva due tavole apparecchiate tutti i giorni, l’una di sessanta e l’altra di ottanta coperti, e quattrocento cavalli nelle scuderie e tutto un reggimento di ulani quali guardia del corpo.

Nei giorni scorsi abbiamo letto la notizia, che riportava i risultati di uno studio, secondo cui le cinque più ricche famiglie britanniche hanno più soldi del 20% della popolazione del Regno Unito, quella a più basso reddito, cioè 12,6 milioni di persone.

Dov’è la differenza tra l’antico e l’odierno? L’antico sfarzo dalla nobiltà oggi raramente viene esibito dalla borghesia, quella vera, la quale è in genere più sobria nelle apparenze e comunque preferisce tenere celata la propria vita privata se non altro per motivi di sicurezza. Non ha bisogno del reggimento di ulani, bastano pochi addetti e al resto ci pensa lo Stato con i soldi dei contribuenti. E non ha più bisogno di centinaia di domestici, ne bastano poche decine, e per il resto preferisce lucrare sul lavoro di migliaia di schiavi nelle fabbriche e nel commercio.

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giovedì 27 marzo 2014

Il paese di Arlecchino e di Pinocchio


«A differenza di quanto sostenuto da alcuni commentatori, per ridurre l’alto debito pubblico dell’Italia non sarebbero necessarie manovre correttive da 40–50 miliardi di euro l’anno, non sarebbe richiesto mantenere un orientamento permanentemente restrittivo alla politica del bilancio». 

Ricordiamocele queste parole dell’ennesimo illusionista, nella fattispecie quelle del governatore della Banca d’Italia, tenendo presente che la regola sul debito pubblico, che sarà applicata all’Italia nel 2016, richiede una riduzione media annua del suo rapporto rispetto al Pil pari a circa un ventesimo della parte che eccede il limite del 60 per cento (com'è noto oggi navighiamo ben oltre queste colonne d'Ercole, siamo al 132%).

mercoledì 26 marzo 2014

Di ieri e di oggi


Il premio Nobel per la pace è riuscito a ricondurci alla guerra fredda, dicendoci che il cattivo indiano che ha rotto i patti uscendo dalla sua riserva è Putin. E per dimostrarci la sua supériorité dédaigneuse ha tolto un posto a tavola. E dice che ci venderà lui il gas per scaldarci, in comode rate. E nessuno che abbia nulla da ridire su questo suo disperato amore per la democrazia. Non può essere solo decadenza, e dobbiamo incrociare le dita perché non si trasformi, come minaccia il Nobel, in un tramonto di sangue. Di più nessuno sembra voler fare.

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martedì 25 marzo 2014

Per quale motivo?


Che dire di un paese dove il 98 per cento della popolazione non parla la lingua ufficiale e solo il 10 per cento la comprende? È una nazione, questa? Era il Regno del 1861. Fatta l’Italia, si disse, restano da imbastire gli italiani. La classe padronale e dirigente di allora non aveva alcun interesse a promuovere alcuna riforma in tal senso, ossia di creare le condizioni economiche e sociali per un’effettiva emancipazione di massa (se non nel momento di più forte espansione economica e laddove serviva una manodopera con un minimo d’istruzione), indi trasformare dei sudditi in cittadini con pieni e ampi diritti, perché ciò costituiva minaccia esiziale sul piano del potere e dei privilegi. Le classi dirigenti della repubblica – in parte già fasciste e comunque sempre intrise di clericalismo e idealismo crociano – hanno invece dovuto aprire su questa strada perché incalzate dalle necessità dello sviluppo economico, ma sempre con precauzione e controllo, temendo piuttosto che favorendo una cultura di massa (che se non è una cultura critica non è buona cultura).

In buona sostanza la questione dell’alfabetizzazione è stata e in buona misura continua ad essere una delle questioni decisive dei problemi secolari dell’Italia. Senza un’adeguata preparazione culturale non c’è modo di rendere effettivi certi principi di cittadinanza, e difatti ne vediamo gli esiti disastrosi anche dal lato della scelta politica e di molti altri comportamenti. Ci possiamo poi meravigliare se il complesso politico amministrativo di quello stesso paese è sempre stato un palazzo di Kafka, e dunque se in 153 anni si sono succeduti ben 128 governi, ossia, mediamente, fatta la tara del ventennio fascista, un governo all’anno con punte di tre gabinetti in pochi mesi?

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lunedì 24 marzo 2014

Divagazioni marzoline


Noi vediamo oggi come il mondo nonostante i grandiosi progressi scientifici, tecnologici e della democrazia, sia rimasto sostanzialmente un grande mercato della carne umana. Ogni giorno possiamo verificare come sia offerta, venduta, acquistata e rifiutata come una qualsiasi altra merce. Anzi, nelle condizioni peggiori di qualsiasi altra merce, perché delle altre se non altro chi le possiede ha cura che si mantengano in buono stato. La carne umana invece è l’unica merce che deve occuparsi per se stessa della propria conservazione per avere chance di potersi vendere a un acquirente.

Essa può essere acquistata al minuto e dopo l’uso abbandonata al suo destino, prova ne siano le decine di tipologie contrattuali alle quali è sottoposta per il proprio spaccio. E ciò nella migliore delle ipotesi, che non è poi la situazione di molti luoghi del mondo. L’unica vera condizione per il suo acquisto e il suo impiego – al pari delle altre merci – è il suo prezzo, determinato anch’esso dal mercato, ossia in base al necessario per riprodurre – secondo il paese – quella stessa merce umana.

Loro non le pagano di sicuro


Se il debito pubblico fosse la metà di quello che è ora, in quindici anni riuscirebbero a riportarlo allo stesso livello di adesso. Non è una battuta, rispecchia l’andamento del debito dal 2008 a oggi, pur con i tagli di spesa dei servizi, delle pensioni e dei salari pubblici. Eppure a governare l’economia di questo paese si sono succeduti – a sentire molti – gli ingegni più creativi e i tecnici più brillanti. Al servizio di chi?

domenica 23 marzo 2014

Stalinisti, crociani, americanisti, liberisti: antimarxisti


Scrive Scalfari:

Questo è stato il lascito di Berlinguer. Come e perché questa eredità politica sia poi entrata in crisi è un altro discorso che riguarda la crisi della politica, di tutta la politica, del sistema dei partiti, dei loro rapporti con le istituzioni, quella che Berlinguer aveva già identificato definendola questione morale, occupazione delle istituzioni da parte dei partiti, oggi più che mai intensa e di assai difficile risanamento.

Sono questi i reali motivi per cui quella “eredità politica” entrò in crisi? Anche, ma superficialmente. Uno dei motivi fondamentali per i quali quell’eredità entrò in crisi riguarda per così dire il patrimonio ereditato, ossia la natura stessa di quel partito. Se soffrì la crisi della politica, di tutta la politica, è perché era un partito che di quella politica faceva e fa parte. Credo che una buona risposta su ciò che fu il PCI da una certa epoca e su quali eredi abbia allevato, l'offra lo stesso Scalfari:

Il partito comunista italiano guidato da Berlinguer, e prima di lui da Longo e da Togliatti, era nato a Lione, liquidò Bordiga, che l'aveva fondato nel 1921, e si ispirò all'insegnamento di Gramsci. Tra le sue "sacre scritture" non c'erano soltanto Marx ed Engels ma Antonio Labriola, Giustino Fortunato e perfino Benedetto Croce.

sabato 22 marzo 2014

Liberté, egalité, dané!


Questo è il terzo post sulla crisi francese che portò alla rivoluzione del 1789 (gli altri due sono qui e qui). Ho accennato alla contraddizione insolubile tra l’assolutismo regio e l’ostinato particolarismo aristocratico, la dissipazione da parte di un’élite di privilegiati della ricchezza prodotta, della fiscalità incoerente e assurda, le continue guerre e il fallimento di qualsiasi tentativo di riforma, già con Turgot, il rifiuto dei nobili di corte e dell’alto clero all’uguaglianza fiscale per scongiurare il default, la loro decisione di mettere in mora la monarchia con le rivolte del 1787-’88, costringendola poi a convocare gli Stati generali con l’intenzione dichiarata di stabilire sulle rovine dell’assolutismo il proprio potere politico e di conservare i propri privilegi.

Non era più il 1614, la società stava cambiando e con essa i rapporti di forza tra le classi, la dinamica di sviluppo – è il tema di questo post – entrava in contraddizione con i vecchi rapporti di produzione, subentrava un’epoca di rivoluzione sociale.

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venerdì 21 marzo 2014

L'Ottantanove nobile e clericale


Con questo post allungo il brodo sul precedente che trattava delle condizioni economico sociali delle diverse classi nella Francia pre-rivoluzionaria, e pure accennavo alcuni motivi per cui il basso clero e i bassi gradi dell’esercito (e della marina) non presero posizione a favore della nobiltà e si allearono, di fatto, con il terzo stato.

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La mia Rivoluzione francese restò per qualche anno ferma al racconto scolastico, ossia al fatto, indubbiamente vero, che a “fare” la rivoluzione fu soprattutto il cosiddetto terzo stato, ossia quella classe sociale che comunemente identifichiamo con la borghesia moderna. E già in questa premessa sorgono due questioni: la prima riguarda la composizione sociale del terzo stato come classe, laddove trova posto il finanziere, il commerciante, il prosperoso padroncino delle manifatture, l’avvocato, l’intellettuale a servizio, e però anche l’operaio e il contadino. C’è qualcosa che non va in questo rassemblement [*].

giovedì 20 marzo 2014

Poniamo


Poniamo, non per gusto di bagatella bensì seriamente, che alle prossime elezioni europee una determinata formazione politica raccolga il voto di tutti gli italiani, ossia che tutti gli elettori votino come un sol uomo (e donna) per quella lista che ha in programma di andare in Europa a battere i pugni sul tavolo. Ebbene, una volta giunti al Parlamento europeo, questi nostri rappresentanti, ben disposti a fare la voce grossa, cosa potrebbero fare in concreto, quale cambio di linea politica potrebbero imporre, posto che essi rappresenterebbero comunque un’infima minoranza?

mercoledì 19 marzo 2014

In filigrana


«Quando vidi che tutti tendevano la mano, misi sotto anche il mio cappello».


Alla convocazione degli Stati generali nel 1789, la questione più importante fu subito quella di decidere se le votazioni dovessero svolgersi per testa o per ceto. Chiaro che i rappresentanti del terzo stato si esprimessero per il primo tipo di votazione, essendo essi il doppio di ognuno degli altri due stati. I nobili invece insistettero perché si votasse per stato, ritenendo che con l’appoggio del clero avrebbe potuto dominare gli Stati generali.

Sennonché il clero, nella sua maggioranza, voltò le spalle alla nobiltà, nonostante esso fosse composto da 48 arcivescovi e vescovi, da 35 abati e decani, ma anche da ben 208 parroci che nella stragrande maggioranza stavano dalla parte del terzo stato, da cui del resto traevano origine e condizione. Nei momenti decisivi è l’imprevisto a fare la storia, non perché imprevedibile, bensì perché sottovalutato o trascurato.

martedì 18 marzo 2014

Quello che dice l'ordinanza del Tar sul transito delle navi da crociera a Venezia


Ci fu un tempo in cui i tribunali della Serenissima comminavano pene severissime a quei tintori di panni che inquinavano i canali della laguna. Altri tempi, altre tempre di uomini, diverse le sensibilità e l’interesse pubblico aveva un suo peso. Del resto a chi frega qualcosa della sorte di quella piattaforma turistica, di quel parco dei divertimenti, che è diventata Venezia? Avete presente il palazzo dell’Inps nel sestiere di Dorsoduro (anni 1950), l’Hotel Bauer (1940) a fianco della chiesa di San Moisè, la Cassa di risparmio in campo San Luca (anni 1960), il ponte di Calatrava (recente), e altri meno noti scempi consimili? Se li avete presenti converrete che da quasi un secolo di Venezia frega proprio un cazzo a nessuna delle superiori autorità.

*

Il pacco di Lauro e altre cosucce


La questione fondamentale, come sempre, è chi comanda e decide. Che siano dei capitalisti o dei loro funzionari a decidere la produzione, oppure che a comandare l’economia siano dei burocrati di partito, per chi lavora non fa alcuna sostanziale differenza. E dunque che a gestire il potere in tali termini sia la classe borghese o un partito in nome del proletariato, non cambia molto le cose, e questo l'abbiamo imparato tutti (*). E tuttavia, come ho scritto qui fin troppe volte, per quanto riguarda la lotta di classe (che non l'ha inventata Marx), se non si vuole semplicemente subirla come avviene ora, serve un’organizzazione politica adeguata al compito, poiché senza si può fare una manifestazione di piazza o spedire qualche candidato a far chiacchiere in parlamento, ma non si può contrastare seriamente l’attacco neoliberista e tantomeno costruire un’alternativa a questo modello sociale.

Da questa premessa sorge la domanda se sia possibile un sistema sociale diverso dall’attuale, ossia se c’è ancora spazio per l’utopia concreta. Finché ci sarà conflitto tra capitale e lavoro, tra padroni e schiavi, tra necessità e spreco, tra distruzione della natura e la sua tutela, tra pace e minaccia di guerra, questa stessa domanda non perderà mai il suo valore essenziale e cercherà inesausta una risposta.

lunedì 17 marzo 2014

Divagazioni del lunedì


La necessità di espandersi per il capitale è vitale, come necessità di trovare nuovi mercati, manodopera sempre più a buon prezzo e disponibilità di materie prime. È vero altresì che durante tutto l’Ottocento e i primi tre decenni del Novecento le crisi periodiche erano considerate inevitabili e si sapeva che dopo qualche tempo si sistemavano; anzi, da un certo punto di vista tali crisi cicliche erano considerate benefiche perché permettevano ai capitali più forti di concentrasi in posizioni monopolistiche.

La crisi degli anni Trenta, nota come Grande Depressione, fu notevolmente diversa dalle precedenti per intensità e vastità. Essa poteva segnare un punto di svolta per il capitalismo. Sappiamo che il capitalismo ne uscì per due motivi fondamentali, ossia a seguito della più cruenta e distruttiva guerra l’umanità abbia conosciuto, e per l’affermarsi di nuovi prodotti di consumo individuale che diedero impulso a produzioni su una scala incommensurabilmente maggiore che nel passato. Seguirono nel dopoguerra i cosiddetti “gloriosi trenta”, ossia tre decenni nei quali il capitalismo occidentale si sviluppò ed estese in misura senza precedenti, a spese soprattutto del cosiddetto Terzo Mondo (il petrolio prezzava un dollaro a barile!).

Finché è esistito il monopolio industriale e finanziario dei paesi occidentali, la classe operaia ha partecipato ai vantaggi di questo monopolio. I vantaggi furono ripartiti al suo interno in modo molto diseguale, e tuttavia tutti ne ebbero a beneficiare in forma diretta e indiretta. Ed è questo il motivo principale, anche se non esclusivo, dapprima del riaccendersi delle lotte operaie volte ad ottenere migliori condizioni di vita, e poi, ottenuti i miglioramenti, ossia l’accesso ai consumi di massa e alle tutele sociali, del rifluire del movimento operaio e delle sue lotte.

domenica 16 marzo 2014

Indovina chi non viene a cena


Prima di parlare della cena con Eugenio Scalfari, credo necessaria una premessa (se la trovata noiosa e troppo astratta – cosa che non mi stupirebbe – passate direttamente all'ultimo paragrafo).

Marx, nella sua analisi scientifica del modo di produzione capitalistico, non ci ha detto semplicemente ciò che esso è – come fanno gli economisti borghesi –, ma perché; non ne ha dato conto secondo una mera descrizione dei fenomeni contingenti e locali della sua epoca, ma ponendo in luce le leggi fondamentali del suo movimento. È su tale presupposto teorico, su tali scoperte, che noi possiamo avanzare delle ipotesi generali sul futuro, e anzi già osservare, in negativo, la tendenza, necessariamente dialettica, dei fenomeni capitalistici nel loro sviluppo (che è poi quello che ha fatto Lenin nella sua analisi dell’imperialismo).

sabato 15 marzo 2014

L'invenzione del bot


Le obbligazioni del debito pubblico (i famosi bot, bund, bonos, ecc.) sono un’invenzione fiorentina del XIV secolo, tanto per cambiare. Anche allora, come sempre, gli Stati dovevano far fronte a ingenti spese di ogni tipo (il welfare non è un’invenzione recente, tutt’altro), soprattutto per le dispendiose e continue guerre combattute da avidi condottieri e da truppe mercenarie. Sennonché nel novembre 1342 Gualtieri di Brienne, duca d’Atene, che governava Firenze da dittatore, si trovò in condizioni così disperate con le casse pubbliche che cancellò tutti i rimborsi per debiti in modo che l’ammontare delle imposte affluisse tutto all’erario invece che ai creditori dello Stato.

venerdì 14 marzo 2014

La sola radicalità sancita in costituzione


Quelli che per rilanciare i consumi e salvare la miserabile bottega fanno appello al keynesismo, mi fanno pena per quanto sono fuori tempo massimo. È successo anche a me qualche volta, incidentalmente, per pentirmene subito dopo. Quanta paccottiglia del piacere consumabile sarà necessario acquistare per mantenerci a galla su questa colossale bugia?

E altrimenti a chi dovremmo venderle le asciuga panni della Elettrolux, in Tunisia o nel Bangladesh? Non è la filantropia di Renzi a darci il pane, è il capitale monopolistico internazionale a controllare e modulare le ragioni di scambio, così com’è l’internazionalizzazione del mercato dello sfruttamento che ci toglie il lavoro e ci getta nella disperazione.

A prendere il posto delle ideologie corrose dal discredito è stata paradossalmente la più potente delle ideologie, un potere di seduzione totalitario che fa passare la presunta oggettività del mercato come la verità assoluta di un’epoca. E non riusciamo a liberarcene, non vogliamo affrancarci da un mondo che si distrugge da sé, che ci vende cianfrusaglie e ci promette balle verso le quali ci dimostriamo sempre ben disposti.

Renzi è solo l’ultimo prodotto di questa réclame, un pupazzetto che gioca a spostare miliardi finti di qua e di là, che gioca nell’arena dei luoghi comuni a gonfiare e sgonfiare il pallone. Va nelle scuole e dice che vuole rattoppare quelle cadenti, ma delle pubbliche non gli frega niente, vuole solo creare occasioni di rilancio dell’edilizia, settore trainante della produzione e della domanda interna.

giovedì 13 marzo 2014

La strana cosa



In attesa che fra due mesi s’incominci a ricevere 76,9 euro nette in più il mese (1.000 : 13) per chi guadagna fino a 1.499 euro, vado un po’ con i ricordi prima che qualche acciacco senile cancelli del tutto i miei file in bianco e nero.

Nel 1963 sentii parlare per la prima volta di crisi e di “congiuntura”, termine quest’ultimo che non mi riusciva molto chiaro e al quale gli adulti attribuivano un significato che poi scoprii essere improprio. Di crisi, a dire il vero, s’era sentito dire con allarme anche l’anno prima, ma si trattava di crisi dei rapporti internazionali, era quello l’anno dei missili a Cuba e della Terza guerra mondiale sfiorata, l’anno in cui lasciai il pennino per la biro; oggi a dirlo sembra preistoria.

Alla casa Bianca c’era Kennedy, fino a novembre quand’ebbe un incidente in itinere, al Cremlino stava Krusciov e Fanfani a palazzo Chigi. Ad Amintore successe nello stesso anno Giovanni Leone con un governo detto “balneare”, e poi, prima di natale, s’insediò Aldo Moro. Tre presidenti del consiglio in un anno. Ai nostri giorni abbiamo fatto progressi: ci sono voluti ben 15 mesi per vedere  tre culi diversi seduti su quella stessa poltrona.

mercoledì 12 marzo 2014

Chi perde e chi guadagna


L’Unicredit ha annunciato 8.500 licenziamenti dei quali 5.700 in Italia entro il 2018. In Borsa hanno festeggiato, alla faccia delle migliaia di funzionari e impiegati che perderanno il lavoro. Non hanno festeggiato solo in Borsa, ma anche molti piccoli azionisti. Pongo un esempio: ho in portafoglio una piccola quota di Unicredit ordinarie, diciamo 20mila euro. Ieri sera avevo, grazie all’annuncio dei licenziamenti, guadagnato 1.200 euro (*). Quanto il salario mensile di un operaio, più di quanto guadagna una commessa, ma molto meno di quanto guadagna in un giorno Federico Ghizzoni, la cui banca ha dichiarato contestualmente perdite per 14,5 miliardi. È il capitalismo, il resto sono chiacchiere.

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Non bastano i rattoppi




Seguo – un po’ distrattamente per la verità – le vicende della formazione della lista L’Altra Europa per Tsipras per le elezioni europee. Seguo le vicende di questa lista e le baruffe tra i “garanti della lista”, i quali si accusano tra loro di ogni nefandezza, perfino di “occultamento” di una lettera scritta da una candidata per scomunicare altri candidati accusati nientemeno di disconoscere le proprie gravi responsabilità nello scandalo dell’Ilva di Taranto. Ciò dimostra ancora una volta – di là della veridicità probabile delle accuse – la vocazione alla litigiosità e ai personalismi di quella che un tempo si chiamò sinistra.

martedì 11 marzo 2014

Il diritto di intervenire militarmente per difendere i loro interessi dove ci porterà?


Ci fu un tempo in cui in Italia il popolo comune era poco o punto alfabetizzato, le possibilità di accesso all’istruzione e all’informazione scarse e la televisione non esisteva e non tutti avevano la radio. Tuttavia quel popolo era costituito in genere da persone per bene. Oggi ci sentiamo quasi tutti istruiti, informati sulle quote rosa, gli amorazzi dell’ex premier e altri must di costume, e tuttavia le questioni di politica internazionale non interessano quasi a nessuno, salvo allorquando per qualche giorno i media suonano la fanfara della guerra in nome della democrazia e dei diritti umani violati in paesi che la stragrande maggioranza di noi sa solo che sono segnati da qualche parte nel mappamondo.

*

Gli Stati Uniti d’America affermano il proprio diritto di intervenire in qualsiasi paese del mondo per difendere i propri interessi, dichiarando in tal modo che la sovranità nazionale, fondamento delle relazioni internazionali, è un principio superato. Naturalmente essi non riconoscono agli altri paesi l’eguale diritto. Inoltre, essi hanno ufficialmente adottato la politica della guerra preventiva, in diretta violazione della Carta delle Nazioni Unite e di altri divieti internazionali contro la guerra aggressiva.

lunedì 10 marzo 2014

American way


Il film di Stanley Kubrick, Il dottor Stranamore (1964), ha fatto epoca ed è a ragione un cult della cinematografia. Per chi non avesse visto il film o non lo ricordasse, cerco di riassumerne la trama a memoria.

Siamo in epoca di guerra fredda (anche se nella fase della "coesistenza competitiva"), subito dopo la crisi di Cuba (1962), e c’è un generale a stelle e strisce, comandante di una base aerea da dove decollano i famosi bombardieri che in caso di conflitto nucleare hanno il compito di colpire l’Urss. Un brutto giorno il generale, che come tutti i buoni americani è un fanatico anticomunista, decide di dar corso alle sue fantasie di sterminio del pericolo rosso, inventandosi un presunto e in realtà inesistente attacco nucleare sovietico. Perciò ordina ai suoi 32 bombardieri in volo armati di ordigni nucleari di attaccare gli obiettivi prefissati. Lo può fare in forza di una disposizione presidenziale da poco emanata.

domenica 9 marzo 2014

Passo dopo passo


Negli ultimi tre anni si sono succeduti, a breve distanza uno dall’altro, due governi presieduti da persone senza alcuna investitura popolare, i cui esecutivi – composti da elementi prevalentemente extraparlamentari – hanno ricevuto la fiducia da un parlamento eletto con una legge dichiarata illegittima dalla corte costituzionale.

Inoltre, l’attuale parlamento, eletto come s’è detto, s’appresta a varare, su input governativo, una nuova legge elettorale che riguarda una sola camera ed entrerà in vigore solo dopo dodici mesi dalla sua approvazione, e si propone di approvare una riforma costituzionale che modifichi significativamente l’attuale assetto delle camere.

Credo la sostanza della crisi politica italiana sia rilevabile già in tale straordinario intreccio di anomalie che non ha precedenti storici – salvo la parentesi del fascismo – e non trova riscontro in nessun paese d’Occidente. La nostra, dunque, ad ogni effetto, è una democrazia sospesa nei suoi principi fondamentali, in cui la volontà popolare viene elusa da forze e personaggi che agiscono abusando della propria posizione di potere.

sabato 8 marzo 2014

Voglia di Mare









Alunni distratti



«Ignote le cause del gesto». Un tempo questa frase, in cronaca nera, era accompagnata da un aggettivo: insano. Chi fa più caso alla follia della porta accanto? Del resto siamo assolutamente indifferenti a follie ben più gravide di conseguenze e che possono portare in un’escalation incontrollabile e a una guerra generalizzata.

È chiaro e provato che gli Stati Uniti e la Germania hanno istigato la crisi in Ucraina, con l'intenzione di provocare uno scontro con la Russia. La posizione di Washington non viene mai determinata da principi del diritto internazionale, ma dal calcolo degli interessi geopolitici ed economici degli Stati Uniti.

Nel 1992, dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti e la Germania hanno premuto per la rottura della Jugoslavia. Gli Usa nel 1999 hanno fatto guerra contro la Serbia per garantire la secessione della provincia del Kosovo. In quel caso andava a fagiolo il referendum. Ora, invece, dopo il voto unanime da parte del parlamento di Crimea a favore della secessione dall'Ucraina per unirsi alla Federazione russa e la fissazione di un referendum sulla secessione per il 16 marzo, il referendum non va più bene al presidente Obama il quale ha dichiarato che lo svolgimento di una tale votazione sarebbe una violazione della costituzione ucraina e della legge internazionale.

venerdì 7 marzo 2014

Pane al pane e vino al vino?


La notizia è questa:

Big Pharma pensa a incassare miliardi, non a guarire i malati. Due colossi mondiali del farmaco, Roche e Novartis, si sono messi d'accordo per spartirsi i miliardi dalla vendita di due farmaci identici ma con nomi diversi (Avastin e Lucentis) e soprattutto a prezzi diversi. A danno dei malati, del servizio sanitario pubblico, delle assicurazioni private. A danno di tutti gli altri, insomma.

Chiedo: per quale motivo le multinazionali farmaceutiche dovrebbero “pensare a guarire i malati”? Scopo fondamentale di qualsiasi attività economica privata, non meno che per una multinazionale del farmaco, è fare profitti. Dice l’articolo di Repubblica: “a danno dei malati”. È però tutto da dimostrare l’eventuale danno a carico della salute dei malati. Sicuramente si tratta di un danno economico cagionato ai singoli e soprattutto al servizio sanitario nazionale, ossia a carico della collettività.

E allora far pagare una penale, ancorché milionaria, a chi ha estorto fraudolentemente miliardi di euro, non basta. E qui la questione, come diceva Mimmì Metallurgico, diventa politica.

Godetevi, se non l’avete letto, questo illuminante articolo.

*

giovedì 6 marzo 2014

Tra le fresche frasche


Ho letto con raro interesse questa intervista a Carlo Formenti che mi è stata segnalata dapprima dal mio amico Luca e poi anche da un lettore. In attesa di leggere il libro di Formenti e di farmi un’idea spero più precisa delle sue tesi, passo a scribacchiare alcune impressioni sull’immediato.

Anzitutto mi ha colpito nell'intervista la sua premessa, laddove sancisce:

la natura eminentemente politica della crisi, il che vieta di sperare in una “ripresa” che restituisca opportunità di lavoro, livelli di reddito e servizi sociali dignitosi alle classi subalterne, e la irriformabilità del regime politico/finanziario che è venuto consolidandosi negli ultimi decenni, il che vieta di nutrire illusione in merito a un possibile ritorno alla democrazia “normale” e al compromesso storico fra capitale e lavoro.

mercoledì 5 marzo 2014

L'Oscar al nulla


Ieri sera ho rivisto, fino alla penultima interruzione pubblicitaria, il film capolavoro di Paolo Sorrentino. La prima volta, il 28 luglio scorso, l’ho visto quasi distrattamente, non per mia precisa volontà, ma perché durante la visione, in un cinema all’aperto, dovevo combattere una guerra che infine ho abbondantemente perso nonostante l’ingente impiego di armi chimiche, ossia mezzo litro di Autan.

Il film, come ormai sanno anche coloro che non l’hanno visto, è un pedissequo omaggio a Fellini. Per rifarmi a una battuta del film, l’omaggio al regista riminese sta come Ammaniti a Proust. Basta confrontare il cammeo capolavoro di Fellini, quello della sfilata di moda con religiosi ed ecclesiastici nel suo Roma, e la scena sorrentiniana del baciamano alla “Santa”.

Quanto alla signora alto-borghese, “de sinistra”, che con enfasi celebra il suo impegno sociale accettando di sporcarsi le mani andando in televisione (solo le mani?), la stessa che ha pubblicato undici suoi librini perché amica del “capo del partito”, la moglie del marito con l’amichetto, la madre inesausta di premure per i figli, coadiuvata da un nugolo di filippini, ebbene si tratta di un personaggio scaduto, con un codice a barre degli anni Ottanta, un omaggio al viscerale padrone della Medusa più che un’allusione a La terrazza di Scola.


Sorrentino non racconta nulla, filosofizza una certa realtà, marginale e geriatrica, un monologo del protagonista più sarcastico che ironico, in fin dei conti un film elogiativo e feticistico del nulla, con istantanee di promozione turistica di una città che non esiste. Perciò piace al pubblico, perché non impegna un solo pensiero, è un film fatto apposta.

Di là dal fiume e tra gli alberi


È il modo di concepire e misurare la ricchezza che impedisce il suo estendersi all’intera società (*). Tuttavia si tratta di un modo di concepire e misurare che dipende dalla stessa ragion d’essere del modo di produzione capitalistico (che è di per sé un modo limitato di produrre la ricchezza), non dunque dal mero capriccio dell’individuo. Perciò i riformatori del capitalismo o sono dei velleitari oppure dei furboni, ivi compresi i teorici della decrescita: non esiste una mezza via, un compromesso, se non nella loro fantasia (**).

Il capitale è contraddizione in processo, non ne vogliamo tenere conto? Per massimizzare il profitto è necessario ridurre il rapporto tra lavoro e capitale costante, non si tratta di un capriccio bensì di un fatto confermato dall’aritmetica. Dall’altro, questa riduzione del capitale variabile determina tendenzialmente la caduta del saggio del profitto. E anche qui siamo nel pieno effetto di una legge, sia pure dialetticamente contrastata nel suo movimento da delle controtendenze.

Si dirà che si tratta di questioni teoriche e astratte. Eh no, belli; non si può capire dove va il mondo se non se ne comprendono le leggi che lo fanno muovere. Difficile da intendere? Proviamo con le caramelle.

martedì 4 marzo 2014

Lo stato dell'arte


C’è chi (e non sono pochi) studia e s’impegna con sacrificio per decenni e poi deve emigrare per mancanza di adeguate opportunità di lavoro, e c’è chi invece guadagna milioni di euro per presentare delle canzoni da un palco. C’è chi sputa la vita da mane a sera per tirare a campare e chi senza arte né parte siede a far nulla negli scranni della politica percependo stipendi ingiustificati (Scilipoti e Razzi non è necessario citarli poiché ce n’è moltissimi altri).

C’è chi sfrutta il lavoro a 750 euro il mese facendo i milioni sulla pelle di poveri disgraziati. Insomma, era poi questa la società che c’eravamo immaginati per il XXI secolo? Possibile che in questo paese non vi siano persone migliori e più decenti di quelle che da decenni sgovernano? Ci sono, eccome, ma appunto perché sono persone preparate e decenti si guardano bene dal farsi coinvolgere dal mercato delle mafie politiche.

lunedì 3 marzo 2014

La grande burla


Lo Stato paga gli stipendi pubblici, in parte le pensioni e la cassa integrazione, i servizi sociali (sanità, istruzione, trasporti, ecc.), le infrastrutture e tutto quanto serve finanziandosi a debito. È una cosa molto nota, perciò perdonate la propedeutica. Notorio è anche il fatto che il debito, di regola, viene emesso sul mercato sottoforma di obbligazioni (bot, btp, cct, ecc.), ossia di titoli a scadenza sui quali viene pagato un interesse a chi lo acquista. È risaputo che ad acquistare questi titoli del debito statale sono le banche, i privati e i fondi d’investimento. Ciò che vale per l’Italia, vale sostanzialmente anche per gli altri Stati, chi più e chi meno. Tutto il sistema regge sul debito, e dunque sul credito. Maggiore è il debito di uno Stato in rapporto alla propria ricchezza prodotta, maggiore è il rischio d’insolvenza e perciò più alto il tasso d’interesse che i creditori chiedono per acquistare i relativi titoli.

Ma non è di codeste cose fin troppo note che voglio dire, ma di un film. Perciò, quanto in premessa serve solo a creare l’ambientazione. Anche la trama del film non è inedita, specie nei suoi tratti essenziali. Infatti, il tutto comincia così come iniziò con la seconda banca tedesca nel 1931, la Danat-Bank, o come, nello stesso anno, con il Kredit Anstalt, banca austriaca. Voci d’insolvenza e corsa agli sportelli. Oppure come successe nel settembre del 2008 con la ormai ben nota Lehman Brothers. In tal caso qualche voce d’insolvenza circolava almeno da mesi, e tuttavia le agenzie di rating le assegnavano il massimo di affidabilità, fino al giorno stesso in cui la banca fu dichiarata fallita.


La vittoria


Fa un certo effetto, di sorpresa quasi, leggere nel maggiore quotidiano economico finanziario europeo, ossia sul Sole 24 ore, queste parole:

«La vittoria in questa fase storica dell'economia finanziaria sul diritto ha tolto centralità e sovranità alla politica, riversandole sul governo della moneta. Intorno al denaro ruotano gli Stati, le democrazie e le autocrazie, sicché è proprio questo governo della moneta a determinare in larga misura il destino dei popoli nella nuova globalizzazione. È così che le Banche centrali, che di quel governo hanno la leadership, costituiscono ormai il vero e indiscusso potere delle nazioni e mai come in questo periodo le loro decisioni ne hanno condizionato la vita. La rapidità con cui le Banche centrali possono agire sull'andamento delle economie globalizzate, in continua variabilità, è superiore a qualunque politica di Stati democratici o autocratici».

Tradotto, significa anzitutto che i governi e i parlamenti, anche laddove sussistono le democrazie, anziché rappresentare almeno formalmente la volontà dei popoli essi ormai non sono altro che la lunga mano degli interessi dell’economia finanziaria, delle decisioni prese in luoghi distanti dai palazzi delle istituzioni statuali e da personaggi prevalentemente occulti.

domenica 2 marzo 2014

I socialisti della Goldman Sachs


Chi vuole essere lieto sia, di doman non c’è certezza. Con questo richiamo a Lorenzo di Pietro il Gottoso, apre e chiude in punta d’abisso l’editoriale dell’Eugenio nazionale. E che l’incertezza percorra il globo intero non v’è dubbio, e tuttavia finché la Federal Reserve continuerà a drogare il mercato speculativo e la Bce a tenere in piedi le banche, tutto procederà secondo quest’ordine per un certo tempo. Poi, inevitabilmente, come sempre accade, il tempo finisce, tant’è che sanno bene di essere seduti su una polveriera, ben più pericolosa di quella di Sebastopoli. Come ho scritto a noia in questi anni di blog, il capitalismo non è morto, però è fallito. Prenderne atto? Scherziamo? anzi, si balla e si canta, loro in omaggio e noi in ostaggio al profitto e alla volontà di potenza.