sabato 30 giugno 2018

Chiederanno di questa Europa


Scrivevo sette giorni or sono che l’Europa, quella della moneta unica e delle regole sul diametro dei molluschi bivalvi, al primo vero problema si rivela per ciò che essa è realmente: ipocrita, cinica, razzista, predatoria.

Bisogna proprio essere degli ingenui (eufemismo) per credere che Macron avrebbe rivisto la propria posizione sui migranti. Se così fosse stato, tra meno di quattro anni all’Eliseo ci finirebbe dritto un Salvini francese. La Francia di nuovi africani ne vuole solo se può piazzarli nella propria nazionale di calcio.

Discorso non molto diverso anche per la Merkel, basta vedere cos’è successo a quel giocatore della nazionale tedesca di origini turche dopo l’eliminazione dai mondiali. Lo stesso giocatore quattro anni fa era considerato un eroe nazionale. Il clima è cambiato, non solo in Germania ma ovunque. La popolazione non può essere migliore dei suoi partiti.

Così come noi chiedevamo ai nostri genitori del fascismo e del nazismo, un giorno i nostri nipoti e pronipoti chiederanno di questa Europa e di questi nostri anni.

giovedì 28 giugno 2018

Di base


Per trovare i soldi ai tavoli europei per il reddito di cittadinanza, la tassa piatta e altre promesse elettorali, è necessario modificare le regole scritte nei Trattati, e ciò non sarà possibile perché solo un voto all’unanimità all’interno del Consiglio e la successiva approvazione da parte di tutti i relativi Parlamenti nazionali, può modificare il contenuto dei Trattati.

Può essere che la Commissione approvi il deficit in bilancio italiano stiracchiando le regole, concedendo un po’ di flessibilità, col contagocce, in cambio d’impegni precisi e nuovi limiti alla “sovranità”; ma è più facile che a rimanere col cerino acceso in mano sarà il “governo del popolo”, poiché la Ue non forzerà i vincoli fino al punto da rendere realizzabili tutte le promesse del “contratto”.

A quel punto si andrà a un braccio di ferro, dove però non basterà, attraverso i megafoni della Rai (nuova lottizzazione) e di La7, spiegare al “popolo sovrano” le ragioni per cui il governo non può dar seguito alle promesse dicendo semplicemente “è colpa dell’Europa”, ma saranno necessari, per evitare accuse di sprovvedutezza e incompetenza, altri dettagli e chiarimenti.

Si dovrà dunque mandare davanti ai teleschermi i ministri dell’economia e quello per i rapporti con l’Europa per dolersi della “competizione truccata, del mercato distorto per la parte che conviene ad alcuni Paesi”, puntando il dito sulla politica commerciale tedesca. Rimarcheranno che la “deflazione interna c’è stata ma non ha funzionato”, e che invece di perseguire l’austerity bisogna promuovere un piano d’investimenti pubblici (ma per carità senza tirate in ballo Keynes che sono liberisti pure loro).

La vedo dura far passare queste argomentazioni presso milioni di annegati nell’ebrezza del reddito di cittadinanza e flat tax, e dunque, calate le maschere, esaurite per sfinimento le pubbliche nevrosi su temi quali gli immigrati e la “sicurezza” (*), le contraddizioni in seno “al governo del popolo” verranno a galla. A quel punto faremo la conta di quanti poveri e disoccupati ci saranno in meno, e di quanto saranno più ricchi quelli che se ne fregano di tutte queste cazzate.


(*) Finché lasciamo che queste questioni diventino oggetto di un dibattito incessante, diamo importanza a coloro che le usano per il loro interesse personale. Semplice e tragico.

Fumo negli occhi



Quando nel post precedente richiamo un ritorno al marxismo, forse qualcuno avrà pensato a quanto è anacronistica tale proposta. E però finora il riformismo a che cosa fondamentalmente ha puntato? A garantire un rapporto non troppo squilibrato tra sfruttati e sfruttatori. Negli ultimi decenni il riformismo di “sinistra” ha abdicato anche al patrocinio classico della difesa della forza-lavoro, lasciando gli sfruttati nell’incapacità e nell’impossibilità di difendersi dalla voracità del capitale nella sua dimensione internazionale. E questo riformismo senza popolo è stato uno dei motivi decisivi della sua sconfitta.

Del resto, che cosa avrebbero potuto fare di diverso? L’incremento del plusvalore, in specie di quello relativo, è l’elemento vitale del processo di produzione capitalistico. Quando si parla di “crescita” precisamente a ciò ci si riferisce: aumentare il saggio di sfruttamento diminuendo le spese per la riproduzione del proletariato. Di quale altra idea alternativa di società, di mutamento di prospettiva, possono farsi portavoce coloro che sono coinvolti sotto ogni aspetto – ideale, politico, di rapporti personali – nelle dinamiche degli interessi borghesi?


Il parlamentarismo, non solo quello nazionale, è solo un’immagine degli attuali interessi e rapporti di forza predominanti. Non è il Parlamento quale istituzione ad essere in decadenza, bensì le forze politiche che in esso rappresentano tali interessi o ai quali non possono opporsi. Non è casuale che presidenti del consiglio e ministri, ormai da decenni, provengano dalle banche e dai pensatoi del neoliberismo. L’agenda politica e di governo – fingono di non saperlo i nuovi incauti prestigiatori – è dettata da necessità contingenti e forze economiche che nulla hanno a che vedere con la democrazia e con gli interessi delle popolazioni. La presunta “sovranità del popolo” non c’entra, è solo una formula, fumo negli occhi.

martedì 26 giugno 2018

Possiamo fin d’ora nutrire solo una certezza



Il riformismo, socialista, socialdemocratico, liberale o comunque inteso, è morto. Il riformismo, quale espressione politica, e il revisionismo, quale fondamento teorico, sembravano aver vinto, anzi, stravinto, e ciò stava nella misura in cui la collaborazione con la borghesia serviva a rendere la classe dominante più forte e il suo potere assoluto, senza peraltro risparmiarci immani tragedie.

Il fallimento del riformismo sta nella sua storia, come del resto la stiamo vivendo noi oggi, accecati da un benessere che si fa sempre più rarefatto e diseguale. È in nome di questo tipo di sviluppo che è stato rotto ogni equilibrio con la natura, condotto l’esaurimento delle risorse minerali, vegetali e animali, alterati i rapporti umani. Nel suo modo d’essere il capitale si disinteressa del progresso sociale laddove non trovi il proprio immediato tornaconto.

Ciò non avviene per cattiva volontà, per quanto tra i capitalisti vi sia un’alta concentrazione di criminali, ma per legge interna del capitale.

lunedì 25 giugno 2018

Vite clamorose



Dopo 25 anni dalla famosa “discesa in campo”, sono in molti a scoprire che la televisione è un formidabile mezzo di propaganda elettorale. Che non bastano 10 editoriali di prima pagina per smontare una balla raccontata in tv con 10 parole; che i giornalisti televisivi, al pari di tutti gli altri, sono dei dipendenti e dunque degli stipendiati; che gli ospiti e commentatori sono portatori d’interessi particolari, anche solo per la promozione di un loro libro o per accaparrarsi un seggio in parlamento; che i dati dell’audience sono la borsa valori della pubblicità, senza la quale questo circo non sta in piedi.

Certi programmi televisivi, la maggior parte, vengono incontro a tutta una serie di bisogni degli spettatori, tanto che si potrebbe stabilire fino a che punto certe categorie di persone siano idonee come oggetto di odio, e fino a che punto gli spettatori possano essere mobilitati e, al tempo stesso, controllati. Senza andare sul difficile, ossia sui migranti come capro espiatorio, è sufficiente vedere l’odio ingenerato contro i percettori di pensioni sopra i 4.000. Per il momento si salvano quelli sotto tale soglia, ma non saprei per quanto tempo ancora.


I padroni della televisione, dal canto loro, si aspettano essenzialmente da una vedette televisiva che conquisti un proprio pubblico, possibilmente un pubblico che non guarderebbe quella trasmissione se tale conduttore non ci fosse. Questo è il fattore profitto, poiché la televisione è anzitutto un’impresa che produce spazio per le inserzioni pubblicitarie. Il secondo fattore riguarda il prestigio: e qui entra in scena l’originalità, il non conformismo e talvolta il capriccio del conduttore e dei suoi ospiti. L’audience vive di clamore, come la politica.

sabato 23 giugno 2018

C’è chi distingue


37.000 affogati nel Mediterraneo. Fossero anche il doppio, che vuoi che sia. Nelle traversate atlantiche di merce nera, eccedente o di scarto, ne fu gettata in mare molta di più (*). Nel Congo di Leopoldo II si racconta ne fossero uccisi quasi 10 milioni. La scala dell’orrore è molto ripida.

Papa Bergoglio chiede un piano Marshall per l’Africa. Ciò è assolutamente incompatibile con la volontà e gli interessi dell’occidente. Già i fascisti nostrani ululano per l’olio d’oliva e un po’ di frutti africani. L’Africa deve restare ciò che è sempre stata, e quanto a Bergoglio farebbe bene a starsene zitto poiché di razza umana ne ha sterminata molta di più la cosiddetta evangelizzazione e le guerre di religione che non due conflitti mondiali. Per tacere delle crociate ed encicliche contro l'aborto e la contraccezione.

Quanto all’Europa, quella della moneta unica e delle regole sul diametro dei molluschi bivalvi, al primo vero problema si rivela per ciò che essa è realmente: ipocrita, cinica, razzista, predatoria. C’è chi distingue tra Macron e Orban, tra un ministro italiano di prima e uno di adesso, ma la cosa non m’intriga per nulla.

(*) Il tabacco, che inaugura l'era dei consumi sociali, si diffonde in Europa grazie allo stretto rapporto tra produttori e commercianti della Virginia, del Brasile e del Venezuela con i commercianti inglesi, portoghesi e spagnoli e, grazie al rapporto instaurato attraverso il meccanismo delle riesportazioni, tra commercianti europei e quelli africani, essendo il tabacco una merce privilegiata per pagare l'acquisto di schiavi.

venerdì 22 giugno 2018

Aveva ragione Pol Pot


E’ ricominciata la canea degli espertoni in tema di previdenza, in attesa che “gli amici del popolo” ora al governo provvedano a peggiorare la Monti-Fornero. Gli schiavi vanno in pensione troppo presto e muoiono troppo tardi, questo il succo dei loro ragionamenti. Semplicemente occultano un fatto essenziale: gli operai, oltre al valore del proprio salario e dei propri contributi pensionistici, producono con la loro fatica e sacrificio anche il valore corrispondente ai redditi percepiti da quegli stessi farabutti che scrivono sui giornali mille volte falliti i loro servizietti tanto oggettivi e numericamente ineccepibili.

Aveva ragione Pol Pot, di questa gente devono rimanere solo i teschi.

martedì 19 giugno 2018

Come si diventa nazisti


Ripropongo, senza aver mutato una virgola ma con un titolo diverso, il post di venerdì 30 marzo 2018. Nel post non tratto delle responsabilità politiche, gravissime, del ceto dirigente e intellettuale che ci ha condotto alla fase attuale e che ora si rende latitante. Di ciò ho scritto per otto anni, fin dal nome di questo blog.

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I media raccontano, specie dopo le fatali Idi di marzo, che il partito di Grillo-Di Maio sarebbe un eterogeneo contenitore di elettori delusi del centro-sinistra e del centro-destra. Il Movimento 5 stelle (che già nel nome veicola un’idea post ideologica) è stato paragonato, da commentatori definiti autorevoli, a una Democrazia cristiana in versione post confessionale. Seguendo i flussi elettorali non v’è dubbio che le cose stanno così, cioè che c’è stato un travaso consistente di voti non solo dal centrodestra ma di milioni di voti soprattutto dal Pd.

Che i 5 stelle siano una formazione politica post ideologica è una trivialità. Ogni attività umana, ogni militanza politica, è ideologicamente condizionata. In altri termini, non esiste idea o atto politico che non sia espressione di una coscienza, e questa è data, come qualsiasi altra idea e pratica sociale, da un dato ambiente ideologico. Definirsi a-ideologici o post ideologici è una forma di falsa coscienza.

domenica 17 giugno 2018

Verrà un ministro ...


Verrà un cancelliere o un ministro tedesco a rammentarci dei germani fatti venire dall’Himalaya 2300 anni or sono per installarsi nei dintorni di Berlino.

Del resto è indiscutibile che il sentimento generale dei germani moderni sia stato sempre quello di sentirsi parte di qualcosa di più grande e di superiore, si chiami razza, stirpe o nazione (*).

A far da contrappunto per fortuna c’è lo sciovinismo francese che, come tutti sanno, sa mantenersi con un profilo moderato.

*

Verrà un ministro o sottosegretario padano a rammentarci che l’antico impero cadde per mano dei feroci barbari invasori, guarnendo con una citazione tratta dal Gibbon orecchiata chissà dove.

Nulla varrà opporre che ben prima dei feroci barbari del IV e V secolo, perciò già in età antonina e prima ancora, a disgregare e distruggere l’economia italica e con essa la stabilità dell’impero fu l’opera civilizzatrice e, insieme, devastatrice dell’imperialismo romano (**).

Anche allora soltanto i più avveduti capivano che le cose non potevano continuare così, e dunque non mancarono coloro che tentarono d’indagare, senza frutto, i moventi remoti della crisi, senza che tuttavia alcuna riforma potesse arrestare la dinamica propria delle leggi dello sviluppo storico.

Al confronto con l’oggi c’è una differenza di non poco conto: possediamo i mezzi per provocare una catastrofe naturale o bellica irreversibile.


(*) Gli studenti del periodo di Weimar erano antisemiti militanti ancor prima che i nazionalsocialisti facessero parlare di sé. Nel 1926, in un referendum, gli studenti tedeschi si pronunciarono a favore delle “caratteristiche razziali” come criterio della loro appartenenza all’associazione e con ciò esclusero gli studenti ebrei.

(**) L’agro delle città laziali e campane, per esempio, era diventato, per citare Plutarco (Tiberio Gracco, 8) “povero di uomini liberi e pieno invece di schiavi barbari, che i ricchi impiegavano per coltivare le proprie terre, dopo aver cacciato i contadini”.



mercoledì 13 giugno 2018

A ogni ora



Siamo in attesa di vedere i bersaglieri entrare a Mentone.

Nel momento stesso in cui anche l’idea di nazione si sta dissolvendo come tutte le altre, risorge comico e tragico il nazionalismo. Un classico dei paradossi della storia.


martedì 12 giugno 2018

Il governo delle scommesse



45 tra viceministri e sottosegretari, con auto blu, uso e abuso di aerei di stato, codazzi di addetti e contraddetti. Eccetera.

*

Dice il Brambilla, portatore di novità rivoluzionarie, a riguardo delle pensioni:

“Il secondo canale per uscire è 41 anni e mezzo di contributi [ma non erano 41 senza sé e senza ma?], concedendo ad ogni anno lavorato prima dei 19 anni il valore di 1,25. Ad esempio così un lavoratore che ha iniziato a 16 anni [!!!!!!!] potrebbe quindi andare in pensione con 40,5 anni di contributi”.

Ah, ah, ah, va il cretino al seggio e si crede cittadino!

Scrivevo lo scorso 4 aprile: “Quanto poi alle pensioni, come già scrissi molti mesi or sono, i nostri Robespierre riusciranno a far rimpiangere la Monti-Fornero. E su questo punto accetto scommesse libere”.


Sull’altra genialata proposta in riferimento alla cancellazione superamento modificazione della Monti-Fornero, leggetevi quanto scrive quel noto leninista di Mario Seminerio.