lunedì 14 marzo 2011

I pro e i contro


Con la faccenda delle centrali giapponesi si riapre il dibattito, la polemica, sul nucleare. O importiamo idrocarburi, o facciamo le centrali. Tante, perché grande è il fabbisogno. Le cosiddette energie alternative non possono competere. Possono coadiuvare. Non ci sarebbero alternative a questo stato di cose. E questo stato di cose si chiama anzitutto economia, consumo. Tutto è entrato nella sfera dell’economia, anche l’acqua e l’aria (radioattiva).
L’imperatore del Giappone (esiste ancora) ha detto che anche lui, poverino, è rimasto al buio. Ma Tokyo, una città che ha quasi gli stessi abitanti che aveva l’impero romano, fino a poche ore prima era illuminata a giorno anche di notte. E così Osaka, Seoul, San Paulo, Città del Messico, New York, Istanbul, ecc.. Tra qualche giorno sapremo se il vento spirerà verso sud, verso la capitale, e soprattutto in che stato è il reattore che contiene plutonio. Potrebbe essere che l’imperatore e i suoi concittadini debbano sgombrare.
Una centrale vecchia (1970) che doveva essere chiusa il mese scorso per fine attività ma che ha ottenuto una proroga di 10 anni! L’energia è anzitutto una merce, e se viene prodotta da una vecchia centrale ad un passo dalla Fossa del  Giappone, vuol dire che ci sarà il suo tornaconto, valutati i pro e i contro. È o non è il Giappone una grande potenza tecnologica ed economica, sia pure in fase di ristagno da 20 anni? Dalle centrali ricava il 30% dell’energia, ma fra meno di vent’anni avrà bisogno di un altro 50% di energia.
È necessario fare la lista degli sprechi e delle aberrazioni di questo manicomio? Lo sappiamo bene, fino alla noia, quanto è lungo questo elenco. Né si tratta, come certi nostalgici ritengono, di ritornare al buon tempo antico, alle candele di cera. La questione si pone essenzialmente come possibilità materiale di esistenza del mondo. Si tratta di un fatto, non di un’ipotesi, allo stesso modo che è possibile calcolare l’aumento irreversibile della radioattività accumulata con l’uso pacifico del nucleare, per poi dare la colpa dell’incredibile aumento dei tumori al consumo di basilico e … di polenta!
Questo tipo di discorsi non appassiona più di tanto, per il semplice motivo che sono decenni che disponiamo di certezze scientifiche sulla nostra catastrofe quotidiana, il risultato a cui è pervenuta, ormai da tempo, una società malata. Questo prova che per questo tipo di società (chiamiamolo capitalismo, ma non è essenziale) che produce per vendere, cioè per consumare, sprecare e dissipare, distruggere e uccidere, inquinare e infettare, non c’è futuro.  
Il limite a questo tipo di sviluppo (della miseria e dello spreco) non è semplicemente quantitativo (il picco del petrolio, ecc.) ma qualitativo. Naturalmente attenderemo con fiducia lo stadio ultimo, prossimo alla fine di tutto, non tanto per rendercene conto, quanto perché saremmo sottoposti dalla necessità e dall’urgenza a nuove condizioni di vita, senza poter scegliere.

2 commenti:

  1. Buongiorno,
    quasi tutto giusto, ma non son d'accordo con una affermazione: "La questione si pone essenzialmente come possibilità materiale di esistenza del mondo".
    Il mondo in realtà sembra fregarsene abbastanza dei millicurie, e di quanta radioattività c'è in giro: il mondo, dico, e lo intendo "alla Lovelock", il complesso del pianeta vivente. (cfr. in proposito la posizione dello stesso Lovelock sul nucleare). Come se ne frega, il mondo, dei cicli periodici di estinzione di massa, nei quali, in passato, anche l'80% delle specie viventi è tranquillamente sparito. Se dici: possibilità materiale di esistenza della specie umana, allora quoto in toto. Ma mondo e specie umana, per un materialista come me c'è una discreta differenza...
    Grazie.

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  2. caro lorenzo, quando si parla di esistenza del mondo in riferimento alla sua sostenibilità s'intende in genere la società umana.
    ad ogni buon conto ti ringrazio per la precisazione, cercherò di metterci un po' più d'attenzione. ciao

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