Per fortuna che in Medio Oriente ci sono paesi democratici e rispettosi dei diritti umani come il Bahrain e l’Arabia Saudita, si sarà detto Barack Hussein Obama, rivolgendo poi un deferente pensiero per gli amici Mubarak e Ben Alì caduti in disgrazia. Come i suoi predecessori il presidente Usa vede in Gheddafi un cane sciolto, anzi un “cane pazzo”. E i cani di questo tipo vanno abbattuti. Anche perché ora non si può perdere la faccia e pertanto aspettiamoci una nuova e più decisa escalation mediatica. Anche l’uomo di paglia dell'Onu, Ban Ki-moon, ha chiesto oggi al regime libico la fine degli attacchi indiscriminati contro i civili, vale a dire contro i “ribelli”.
Che Gheddafi sia in difficoltà sul piano diplomatico lo si ricava delle sue ultime dichiarazioni: “La Libia ha un ruolo vitale per la pace regionale e la pace nel mondo. Noi siamo un partner importante nella lotta contro Al Qaeda. Ci sono milioni di neri che potrebbe attraversare il Mediterraneo per la Francia e l'Italia e la Libia gioca un ruolo di sicurezza”. Sul terreno le cose vanno diversamente: i media di regime parlano di vittorie ad Al Zawiyah, Ras Lanuf, Misurata e Tobruk e annunciano che l'esercito prosegue la sua marcia trionfale verso Bengasi, la roccaforte dei ribelli. Ieri al termine di una durissima giornata di battaglie, hanno annunciato di tenere ancora sotto controllo Ras Lanuf e Misurata. Ma oggi i ribelli avrebbero lasciato il fronte di Ras Lanuf, importante terminale petrolifero libico. All'alba di ieri c’è stata un'esplosione di gioia – riferisce il corrispondente dell’Osservatore romano – con l'annuncio della televisione delle vittorie militari e di un accordo tra il regime e alcune tribù che spianerebbe la strada alle truppe di Gheddafi per una offensiva nella Cirenaica ribelle.
Ecco perché si fa sempre più urgente una soluzione, ovvero un intervento. Basta leggere l’articolo di David Sanger e Thom Shanker sul New York Times di ieri per farsene un’idea. Mentre l’UE tenta l’opzione diplomatica, gli Usa, che si fanno chiamare Nato, sono già predisposti per l’azione. C’è poi un’altra opzione, dato che gli americani non sono visti con simpatia nella regione, cioè l’intervento indiretto. Gli Usa hanno chiesto – secondo Robert Fisk, dell'Independent, un veterano del M.O. – all'Arabia Saudita di fornire armi al Consiglio d’opposizione a Bengasi, a partire dai razzi anticarro e mortai, e poi missili terra-aria per abbattere i caccia-bombardieri.
Significativamente una delle prime dichiarazioni del Consiglio di Bengasi è stata quella di assicurare le potenze occidentali che sarebbero onorati tutti i contratti per la fornitura di petrolio. Su questo non ci piove. Non solo, in caso di vittoria, verranno onorati i contratti, ma ne saranno sottoscritti di nuovi. L’occasione per rafforzare il neocolonialismo in Libia non sarà persa. Naturalmente gli Usa vorranno una fetta più grossa dell’attuale. La Cina ovviamente non ci sta e ha nuovamente dimostrato la sua opposizione a qualsiasi intervento militare. Come ha detto il suo ministero degli Affari Esteri, Jiang Yu, Pechino è riluttante ad agire nel paese nordafricano e si aspetta "un accordo di entrambe le parti per ristabilire la pace". La posizione della Cina, e della Russia, su questo tema è fondamentale, perché Pechino ha diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e potrebbe bloccare qualsiasi azione. Intanto Regno Unito e Francia stanno brigando per un progetto di risoluzione nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per creare la cosiddetta no-fly zone. Il ministro degli Esteri francese, Alain Juppè, durante una visita in Egitto, ha detto che un intervento militare internazionale in Libia avrebbe effetti del tutto negativi.
Insomma, ancora tutto in alto mare, in attesa della battaglia per Bengasi. E a far festa gli speculatori di ogni risma.
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