domenica 20 marzo 2011

«L’originalità della prospettiva che sta davanti al movimento operaio del nostro paese e dell’Europa occidentale»



Pubblichiamo questo articolo del compagno Giorgio Napolitano, membro della Direzione del PCI e responsabile della Commissione culturale, che comparirà sul prossimo numero di «Rinascita».

Anche se il clamore suscitato dall’arresto di Solgenitsyn è venuto calando, dopo la decisione delle autorità sovietiche di privarlo della cittadinanza e dì espellerlo dall’URSS; anche se alcuni giornali sono rapidamente passati dai toni declamatori e drammatici a quelli, bonari e fatui, delle curiosità sullo «shopping» di Solgenitsyn per le vie di Zurigo o sulle cospicue somme da lui accumulate, grazie ai diritti d’autore, nelle banche svizzere, nessuno più di noi sente la necessità di ritornare sui problemi che il grave caso dello scrittore sovietico ha posto e pone. E’ proprio a noi che tocca compiere uno sforzo di riflessione seria e oggettiva, visto che da tante altre parti, anche e in particolare nel nostro paese, ci si è, nei giorni scorsi, preoccupati essenzialmente di alzare il solito polverone propagandistico, di sfruttare l’occasione per una polemica a buon mercato sull’URSS, sul comunismo e perfino (si pensi a quel che hanno farfugliato i giornali del PRI e della DC) sul PCI.
Non è facile, certo, vogliamo dirlo, superare il senso di fastidio politico e morale che hanno sollevato in ciascuno di noi questa scoperta strumentalizzazione del caso Solgenitsyn, questa dilatazione acritica e forsennata – da parte di alcuni – di una vicenda indubbiamente significativa e preoccupante ma non tale da giustificare la scelta di chi le ha dato, nelle trasmissioni del telegiornale, la precedenza su ogni altro avvenimento internazionale e nazionale, questo cieco rilancio in certi casi – delle immagini più fosche della propaganda antisovietica. Ma questo legittimo senso di fastidio non ci impedisce di entrare nel vivo dei problemi reali a cui il caso Solgenitsyn ci richiama: anche se dopo aver ristabilito alcune indiscutibili verità.

Il punto di rottura. La prima di queste verità – che va decisamente ribadita, dinanzi alla contrapposizione di comodo tra «mondo comunista» e «mondo libero» – è quella relativa non solo ai pesanti condizionamenti oggettivi che la struttura economico-sociale capitalistica e la crescente concentrazione monopolistica fanno gravare sull’esercizio della libertà di espressione, ma anche ai limiti che lo stesso riconoscimento formale di questa libertà tuttora presenta in Italia. Lelio Basso – in un articolo pure apertamente critico nei confronti, dell’URSS – ha giustamente reagito all’esaltazione – da chiunque venga, anche da Sacharov – della «libertà occidentale», ricordando come il capitalismo e l’imperialismo tendano a ridurre l’uomo a semplice congegno di una macchina disumana e a manipolarne la coscienza. «Chi crede nei supremi valori di spiritualità e di libertà» – diciamo perciò all’on. Piccoli – ha molto da fare innanzitutto nel proprio paese, in Italia, contro le degenerazioni provocate dallo sviluppo monopolistico e dal sistema di potere della DC nei rapporti sociali ed umani e nel costume, contro gli arbitri padronali, contro gli abusi polizieschi e giudiziari, contro la sopravvivenza di norme giuridiche fasciste che colpiscono, come «vilipendio» delle istituzioni, i reati di opinione.

E l’altra verità da ristabilire è quella relativa al punto cui era giunto il rapporto tra Solgenitsyn e lo Stato sovietico. Nessuno può negare che lo scrittore (come d’altronde si ammetteva tra le righe degli stessi articoli scritti nei giorni scorsi per esaltarlo) avesse finito per assumere un atteggiamento di «sfida» allo Stato sovietico e alle sue leggi, di totale contrapposizione, anche nella pratica, alle istituzioni, che egli non solo criticava ma si rifiutava ormai di riconoscere in qualsiasi modo. Non c’è dubbio che questo atteggiamento – al di là delle stesse tesi ideologiche e dei già aberranti giudizi politici – di Solgenitsyn, avesse suscitato larghissima riprovazione nell’URSS.

Che questa ormai aperta, estrema «incompatibilità» sia stata sciolta dalle autorità sovietiche non con un’incriminazione di Solgenitsyn, ma con la sua espulsione, può essere considerato più o meno «positivo»; qualcuno può giudicarla obiettivamente, come l’ha giudicata, la «soluzione migliore», senza peraltro sottovalutarne – e, per quel che ci riguarda noi certo non ne sottovalutiamo – la natura di grave misura restrittiva dei diritti individuali; ma solo commentatori faziosi e sciocchi possono prescindere dal punto di rottura cui Solgenitsyn aveva portato la situazione e possono, a proposito dell’esito cui si è giunti, evocare lo spettro dello stalinismo. Tutto quel che è accaduto – la vicenda di Solgenitsyn e il suo epilogo – sarebbe stato impensabile nei periodi più duri della storia sovietica.

Il problema reale non è quello di un presunto «ritorno allo stalinismo», ma quello, ci sembra, di come potevano essere intese e portate avanti la correzione e la svolta del XX Congresso del PCUS, al dì là della denuncia delle massicce repressioni e del superamento delle illegalità del periodo staliniano (che è il punto su cui in questo momento insistono i dirigenti sovietici, respingendo fermamente l’accusa di una qualsiasi sopravvivenza di quelle illegalità). Fin dove si è arrivati, nel necessario sforzo di arricchimento e sviluppo della democrazia socialista di articolazione nuova così come esigeva la stessa crescita della società sovietica – della vita sociale, politica e culturale, di avvio di un più largo e aperto confronto e dibattito su tutti i terreni, anche in relazione al progredire – grazie all’URSS, in primo luogo – della distensione internazionale e all’infittirsi delle relazioni e degli scambi tra l’URSS e il mondo capitalistico? Di sviluppi di queste direzioni certamente ce ne sono stati, come dimostra l’ulteriore, forte progresso economico, scientifico, tecnico e culturale dell’URSS, che senza di essi non sarebbe stato possibile negli ultimi anni; ma sono anche emersi nodi assai resistenti e difficili a sciogliersi. Si tratta di concezioni dell’unità (del partito e della società sovietica) e della lotta contro le posizioni ideologiche e politiche considerate spurie o nemiche, e insieme di rapporti (tra partito, Stato e società, tra ideologia, politica, e cultura), che affondano le loro radici in una storia intensa e drammatica e che non è facile prevedere come possano modificarsi.

Ma nessun contributo danno al positivo scioglimento di questi difficili nodi le rappresentazioni unilaterali e tendenziose della realtà dell’URSS, le accuse arbitrarie, i tentativi di negare l’immensa portata liberatrice della Rivoluzione d’ottobre, lo straordinario bilancio di trasformazioni e di successi del regime socialista, tutto quel che di nuovo sì è delineato nella vita sovietica a partire dal XX Congresso del PCUS. E’ questa negazione, fattasi via via sempre più cieca, che ha segnato la condanna di un’opera come quella di Solgenitsyn, che pure aveva preso le mosse da una giusta battaglia di rottura col passato staliniano. Non possono, più in generale, inserirsi in una ricerca onesta e fruttuosa le tendenze, che sull’onda dell’ultimo libro di Solgenitsyn si vanno diffondendo, ad attribuire sommariamente a Lenin la responsabilità delle deformazioni e dei guasti della politica staliniana e a cancellare così – insieme con le specificità dell’uno e dell’altro periodo storico (che noi crediamo vadano sottolineate pur senza ignorare gli elementi di continuità che li legano) – il senso stesso del XX Congresso. Del tutto fuorvianti, infine – oltre che manifestamente contrarie agli interessi supremi della pace – vanno considerate le posizioni dì quanti vorrebbero «imporre» una «liberalizzazione» all’interno dell’URSS subordinando in modo inammissibile lo sviluppo del processo di distensione a non si sa quali mutamenti del regime politico e dell’ordinamento giuridico sovietico.

E’ invece proprio dallo sviluppo del processo di distensione, oltre che dall’ evoluzione del movimento comunista internazionale, che può venire una spinta all’affermarsi di un clima di maggiore tolleranza e di più aperto e fiducioso confronto, sul piano ideale, culturale e politico, in seno ad organismi come l’Unione degli scrittori – uno dei problemi che in questo momento vengono riproposti – e nell’insieme della società sovietica. Già all’epoca in cui venne rifiutata la pubblicazione di alcuni romanzi di Solgenitsyn, noi esprimemmo non solo l’esigenza di un pieno riconoscimento della libertà di espressione, ma la convinzione che la coscienza socialista e il livello intellettuale e culturale delle grandi masse dei cittadini sovietici, la coesione ideale e politica dei popoli sovietici consentissero di andare con la più grande sicurezza a discussioni pubbliche su opere e tendenze culturali ed artistiche – anche le più criticabili – una volta che se ne fosse ammessa la circolazione nell’URSS. Lo stesso metodo del confronto serrato, della discussione argomentata, della critica persuasiva, può essere considerato sufficiente garanzia ed arma efficace anche nei confronti di tesi ideologiche e politiche che appaiano estranee agli indirizzi e agli interessi del socialismo.

La scelta reale. Ma non presumiamo con ciò di indicare ad altri la strada da percorrere, e tanto meno di suggerire facili regole di condotta. E’ solo dall’interno del processo storico di sviluppo della società sovietica che potranno scaturire soluzioni ai problemi che oggi risultano irrisolti. Una strada noi non possiamo che indicarla a noi stessi: la strada da percorrere per avanzare in Italia, nella democrazia e nella pace, verso il socialismo. E’ per impedirci di procedere – conquistando ancora nuove posizioni – su questa via, insieme con altre forze di sinistra e democratiche, che si tenta di rilanciare l’antisovietismo e l’anticomunismo, in un momento in cui i progressi verso un’effettiva coesistenza pacifica si fanno più difficili e si moltiplicano le manovre insidiose dell’imperialismo. Si cerca così di diffondere una visione deforme dell’Unione Sovietica e insieme di negare l’originalità della prospettiva che sta davanti al movimento operaio del nostro paese e dell’Europa occidentale. E invece più Si approfondisce – come da parte nostra si sta facendo – lo studio obiettivo della storia sovietica, più si comprende la peculiarità irripetibile di quella grandiosa vicenda, con tutto il suo carico di trasformazioni rivoluzionarie senza precedenti e di contraddizioni, e sempre meglio si possono cogliere nel suo corso travagliato i momenti di svolta e le radici degli sviluppi negativi. Il confronto con l’esperienza sovietica, il modo stesso in cui è venuto crescendo e da decenni si muove il PCI, la profonda diversità del contesto storico, internazionale e nazionale, entro cui si colloca la nostra ricerca e la nostra lotta in Italia, garantiscono la validità e verità della prospettiva che noi indichiamo: quella di uno sviluppo verso il socialismo che nasce dalle battaglie per difendere e portare avanti la democrazia, quella di una società socialista riccamente articolata e aperta ad ogni confronto. Non c’è nulla di più falso dell’alternativa, che si tende a riproporre, tra un «comunismo» che arbitrariamente si identifichi con il modello sovietico come «unico possibile», e un regime di culto formale della «libertà». Si tratta invece di scegliere oggi in Italia tra un estremo aggravarsi della crisi della società nazionale – che è anche crisi delle forze che finora l’hanno diretta, e dei valori che hanno presieduto al suo caotico sviluppo – e l’avvio di un autentico, profondo processo di rinnovamento economico, sociale, politico e ideale, il solo che possa rendere sicure le libertà costituzionali e rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il concreto esercizio. E’ questa la scelta reale che sta davanti a tutte le forze democratiche e che per noi comunisti italiani fa tutt’uno con la prospettiva del socialismo, quale lo concepiamo e lo vogliamo per il nostro paese.
Giorgio Napolitano - l’Unità, 20 febbraio 1974.

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