Non è assolutamente vero ciò che ha sostenuto il signor Zaia a proposito delle abitudini alimentari dei cinesi, segnatamente per quanto riguarda i topi. Non li mangiano crudi, ma li prediligono arrostiti. Prelibati sono i ratti del bambù, originari della Cina meridionale.
Lo stesso discorso vale per i cani. In genere, in situazioni normali, non si consuma carne di ogni razza canina (vi sono allevamenti appositi). A tale proposito avrei una storiella (vera, di molti decenni or sono) sui cagnolini arrosto serviti in un locale cinese nel quartiere Latino di Parigi, nei pressi del ristorante Roma (esisterà ancora? Potevi gustare un discreto piatto di pasta al pomodoro, nulla di più). Oggi concentriamoci sulla bontà dei ratti arrostiti.
«Salimmo sul furgone e percorremmo una decina di chilometri fino ad arrivare a un paese a nordest di Lipu [Guilin, Guangxi], dove Wey imboccò la stradina che portava alla sua azienda. Sul cancello era scritto, in bella calligrafia: piccola casa nei campi allevamento ratti bambù. Su un cortile si aprivano tre edifici di legno grezzo, Due dei quali ospitavano recinti dalle basse pareti di cemento. Dentro c’erano varie creature dalla pelliccia grigio-argentea, occhi piccoli e testa tozza, simili a cavie formato gigante: i ratti cinesi del bambù. Il signor Wey ci condusse a visitare l’allevamento.
I recinti erano puliti, ben forniti d’acqua E dotati di un efficiente sistema di scarico. Ognuno di questi ospitava da uno a quattro esemplari. Il ratto cinese del bambù si nutre della pianta da cui prende il nome. […] sono facili da tenere, ci spiegò il signor Wey. La maggior parte degli esemplari erano femmine, con l’aggiunta di pochi maschi tenuti come riproduttori. Il mese precedente aveva venduto 200 capi e ora si stava allargando, costruendo nuovi recinti.
Notai la presenza di varie siringhe pronte all’uso, allineate sul bordo di un recinto. Gli chiesi se era preoccupato per la salute dei suoi animali e lui risponde di sì, che stava soprattutto attento ai virus, invisibili e pericolosi. […] Probabilmente si trattava di antibiotici (dunque inutili per combattere i virus) e non di un vaccino contro la SARS che circolava clandestinamente nelle fattorie di ratti del bambù. Perlomeno gli esemplari del Signor Wey erano privi d’infezioni batteriche, quando venivano venduti. Da quando uscivo dall’allevamento, le cose prendevano una piega diversa: erano confinati in gabbie accatastate accanto a quelle di altre specie, esposti a ogni sorta di contaminante, dalla saliva all’urina alle feci, magari di animali come gli zibetti o i pipistrelli o i cani procione, chissà in quale magazzino o marcato.
Finito il giro turistico, il Signor Wey volle a tutti i costi invitarci a cena, un banchetto per cui aveva dato istruzioni ai suoi familiari. […] Separatamente, su un piatto di servizio, ci furono offerti bocconcini di ratto del bambù arrosto.
La carne era dedicata, con sentori poco pronunciati e vagamente dolciastra. I bocconi erano pezzi scelti di coscia e costato. Li si mangiava con le mani, succhiando i femori e le costole e riponendo gli ossicini ordinatamente sul tavolo accanto al piatto, o gettandoli per terra dove venivano prontamente raccolti da un gatto magrolino [per forza!]. Il padrone di casa, ospite squisito, strappò qualche bottiglia di birra di Liquan, la migliore di Guilin, ben gelata.
Cominciavo a capire il punto di vista: un carnivoro è un carnivoro, che senso ha fare tanti distinguo? E se proprio volete assaggiare la carne di ratto, mi sembra che il modo migliore sia farlo qui, alla fonte, prima che il povero animale venga spedito e ammassato chissà dove, con la possibilità che si ammali.
[…] due giorni dopo la cena all’allevamento dei ratti […] presi un aereo per tornare a Canton. Arrivò il momento dell’imbarco. Nella fila accanto alla mia c’era una giovane coppia di turisti giapponesi, che forse tornavano a casa dopo una vacanza trascorsa negli affollati alberghi, ristoranti, parchi e centri commerciali di Canton o di altre città della Cina meridionale. Si sedettero in silenzio, preparandosi al breve tragitto fino a Hong Kong. Forse si sentivano anche un po’ orgogliosi dello spirito di avventura che avevano dimostrato e felici di tornare finalmente a casa, nel loro paese tanto più ordinato. Non li disturbai con le mie curiosità. Forse non li avrei neppure notati, se non fosse stato per il fatto che indossavano mascherine da chirurgo.
Eh già, pensai, bastasse questo.»
Tratto dal cap. 4 di Spillover, di David Quamman, Adelphi.
Qui la ricetta su come si prepara tale prelibatezza.
Qui la ricetta su come si prepara tale prelibatezza.
Quello che personalmente mi ha sempre colpito del sud-cina è che le persone mediamente istruite non toccano mai nessun oggetto e se lo toccano, si puliscono subito le mani con le salviette alcoliche.
RispondiElimina...ma magari io ho il solito punto di vista dello yangguizi,tanto più che io mica vivo in cina.
Per quanto mi riguarda, tutto quello che viene comunemente denominato Vicino, Medio e Estremo Oriente potrebbe sprofondare nell'oceano oggi stesso e non ne sentirei alcuna mancanza.
RispondiEliminaeh beh inizi così sei costretto a odiare almeno i 9/10 della popolazione mondiale.
EliminaGli va dato atto che tutelano sempre i loro interessi,
e forse anche in modo meno meschino di tedeschi e francesi
eccone un altro a cui non piacciono le costolette di ratto e non sa cosa si perde
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