martedì 17 marzo 2020

La disinfestazione del nonno

Di sera mi bevo un goccio di François Peyrot alla pera.
Siccome fa 30 gradi, da stasera triplico la dose e fanculo al virus!


Breve excursus di com’è stata concepita, per un tempo infinito, la disinfestazione in Italia e segnatamente nell’esercito italiano (ma a lungo anche negli altri).

Ogni corpo d’armata (in genere due divisioni), nell’ambito del servizio igienico-profilattico, aveva la sezione disinfestazione e un laboratorio chimico batteriologico (le ricerche batteriologiche però venivano eseguite presso gli ospedali per contagiosi), con a capo un ufficiale subalterno, ossia un capitano o tenente medico, con al massimo un’ottantina di uomini, impiegati anche in altri compiti sanitari, ai quali era impartita un’istruzione teorico-pratica sulle disinfezioni e disinfestazioni di caserme e accantonamenti.

Il servizio igienico-profilattico (cui faceva capo, come detto, la sezione disinfestazione) provvedeva tra laltro alle vaccinazioni antitifiche ed eventualmente anticoleriche, ad accertare la potabilità dell’acqua in zona di esercitazioni o di operazioni, e sorvegliava sull’igiene dei mezzi di trasporto della stessa. Nelle zone di operazioni, durante i conflitti, il servizio aveva anche il compito di protezione del territorio dalla diffusione di morbi epidemici, vigilanza delle case di prostituzione (e denuncia del meretricio clandestino) e sulle malattie veneree. Il ricovero ospedaliero per queste ultime avveniva solo per i casi più gravi.

A tale scopo, i bordelli erano provvisti della cosiddetta sala anticeltica. Ancora in epoca recente, chiusi i bordelli, il militare rientrante dalla libera uscita, poteva provvedere, al bisogno, presso la stessa sala, posta presso il corpo di guardia allingresso della caserma. 

I cicli d’intervento della sezione disinfestazione, pur calendarizzati, avvenivano in genere al bisogno, e i mezzi impiegati, a vederli oggi, ci lascerebbero sbalorditi: l’autostufa di disinfestazione tipo Vittoria, l’utopotabilizzatore tipo R, o i misteriosi apparecchi Breslavia per la disinfezione con formaldeide, o l’incredibile inceneritore mod. 1932. Tutto molto artigianale e casereccio.

L’unico disinfettante di largo impiego, per ogni tipo di locale e per ogni evenienza, era l’idrossido di calcio, il latte di calce, che se non altro non è tossico. Invece l’impiego massiccio e sconsiderato di creolina (dal caratteristico odore) venne dopo ed è rimasto in uso fino a epoca recente.

Per la disinfestazione adulticida di zecche, pulci, acari, cimici, tineidi e altri insetti, si provvedeva a “cianidrizzare” con sostanze contenenti acido cianidrico (da non confondere direttamente col cianuro, comunque altamente tossico e componente del famigerato Zyklon B), ma con parsimonia dati i costi.

Per quanto riguarda topi e ratti ai furieri non restavano che le trappole in dotazione, modelli reggimentali a nassa capaci di catturare fino a 15 topi! Il regolamento non lesinava consigli sulla predisposizione delle più opportune esche rodenticide: impasti di acido arsenioso o carbonato di bario, farina di mais, grasso di maiale, ossido di cromo, olio di anice, ecc..

I nostri nonni si ricordavano che erano in uso nelle camerate e in altri ambienti di caserma delle sputacchiere, ossia bacinelle di ferro smaltato adattate per quell’uso, ma anche modelli a pedale e a imbuto da appendere a mezza altezza, che venivano pulite con una miscela in parti uguali di cresolo e liscivia di soda.

Una delle cerimonie più frequenti in caserma, oltre alla doccia settimanale o quindicinale (quando andava bene), era lo spidocchiamento, praticato con i reparti schierati, impiegando gas fumiganti prodotti nei depositi con apparecchi Clayton.

I pidocchi erano di casa ovunque durante il secondo conflitto, per sterminarli ci volle il DDT che si rivelò risolutivo (o quasi) anche contro il parassita della malaria.


Oggi la malaria è ancora la più importante parassitosi e la seconda malattia infettiva al mondo per morbilità e mortalità dopo la tubercolosi, con oltre 200 milioni di nuovi casi clinici l’anno e 438.000 decessi (dati 2015). Ogni anno circa 10.000-30.000 viaggiatori europei e americani si ammalano di malaria. Però non scherza neanche la normale influenza stagionale (vedi qui).

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