lunedì 18 marzo 2013

Se bastasse stampare moneta



Quante sciocchezze su Cipro e la decisione (che sarà revocata o molto sterilizzata) di tosare i conti correnti. Che dire poi di quel tipo, un economista della Commerzbank, che ha proposto di fare altrettanto con i conti correnti italiani? Che cos’è la Commerzbank? Una banca. E allora queste bufale servono solo ai soliti giochini. Altre sciocchezze che leggo nei blog è di uscire dall’euro per tenersi poi una lira da scambiare 1:1. Più che una sciocchezza, se detta da un economista, è una cretinata. Sorvoliamo sul fatto che il tasso di cambio effettivo lo decide il mercato, ma chiedo: a che serve allora uscire dall’euro? Ah già, per stampare moneta. Cioè per svalutare!



Invece di dare i numeri al lotto, meglio controllare quelli reali. Il saldo della bilancia commerciale di gennaio è negativo (-1,6mld), ma va molto meglio del corrispondente mese del 2012 (-4,6mld). Rispetto allo stesso mese del 2012 (non su base annua come scrive erroneamente Milano Finanza), a gennaio si registra un incremento tendenziale delle esportazioni (+8,7%). Non male per un paese in agonia. Se la Commissione europea si decide di autorizzare i governi a mettere in circolazione un po’ di denaro, le cose potrebbero andare temporaneamente meglio. Restano i motivi strutturali della crisi, i quali non possono essere risolti singolarmente né dall’Europa e tantomeno dall’Italia.

Va chiarito che dal lato finanziario sono fondamentali i rapporti che si stabiliscono a livello mondiale e quindi tra i paesi nell’ambito della circolazione monetaria. Prima della crisi del 1929, era l’oro che svolgeva la funzione di “equivalente universale”, perciò i cambi in quella fase denominata della parità aurea o del gold standard, fu caratterizzata fondamentalmente da relazioni monetarie internazionali automatiche. Con lo sconvolgimento finanziario seguito alla crisi del 1929, si aprì una nuova fase, in cui il capitale monopolistico, terrorizzato dal crollo, è costretto a prendere atto delle sue contraddizioni più palesi e comincia a penetrare in profondità nella sfera della circolazione monetaria per portarvi il suo “ordine”.

Anche in quel caso gli economisti stabilirono che fosse dal disordine del sistema monetario che nascono le crisi, dalla sua irrazionalità. Perciò, secondo queste concezioni, intervenendo sull’aspetto finanziario sarebbe possibile eliminare tutti i fattori delle crisi. Tutte queste chiacchere portarono infine a uno sbocco concreto negli accordi di Bretton Woods del 1944. Con tali accordi, l’oro perde la funzione di unico equivalente universale e al suo livello furono collocate le monete dei paesi più forti, in particolare il dollaro.

Si capisce quindi come fosse il dollaro, cioè il Tesoro americano, a stabilire il prezzo internazionale dell’oro. Siccome grazie a quegli accordi il valore delle monete si rapporta direttamente tra loro, formalizzandosi tramite periodici accordi tra i governi, il valore della ricchezza reale dei singoli paesi non è più costretto a misurarsi in oro (che possiede un valore intrinseco), ma si misura direttamente in carta moneta (priva di valore intrinseco), saltando la mediazione dell’oro, ridotta così ad una merce come tutte le altre.

Questa situazione permette ai singoli governi un intervento immediato relativamente libero nell’economia: stampare carta moneta a piacere, manovrare sui tassi di cambio, e, quindi fornire loro la base tecnica per operare in funzione anticiclica. In tal modo, ai primi sintomi di recessione, possono emettere carta moneta per sostenere i mercati, manovrare i tassi di cambio per regolare il flusso dei capitali. Si tratta d’illusioni di breve momento, poiché tali manovre provocano un surplus di banconote che si trasforma in inflazione (la carta moneta perde valore per “adattarsi” al valore della ricchezza realmente prodotta).

Pertanto, il sistema, anche in Europa con l’introduzione dell’euro, si trova a dover far fronte a delle contraddizioni davvero inconciliabili, aggravate nell’attuale fase storica da un enorme debito pubblico degli Stati. Tra l’incudine e il martello, si è scelto il martello degli aggiustamenti strutturali su base fiscale e di taglio della spesa sociale che però aggravando la crisi producono recessione.

Nell’ambito dell’euro c’è però chi ha tratto enormi vantaggi come nel caso della Germania che, forte di una struttura produttiva d’eccellenza e di un cambio alla pari con gli altri paesi dell’area, ha potuto esportare le proprie merci senza temere concorrenza sul piano dei prezzi e anzi, attraverso le proprie banche, vendendo a credito. Ma tutto questo ha rilievo relativo a fronte di un altro aspetto, decisivo, che è poi quello che vede il capitale spostare i propri investimenti nelle aree produttive dove è più alto il saggio del profitto. È questa la principale causa della progressiva deindustrializzazione europea, specie in paesi nei quali è più alta la componente variabile del capitale, minori gli investimenti strutturali e infrastrutturali per accrescere la produttività, maggiore il peso della fiscalità, eccetera.

5 commenti:

  1. Il tasso di cambio effettivo non lo decide il mercato?

    Stefano

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  2. Gli economisti che si improvvisano politici sono simili ai politici che pretendono di essere economisti: fanno danni; ma di recente abbiamo avuto modo di constatare direttamente l'egregio operato tecnico dei primi e sinceramente, ci basta. Sarebbe interessante invece conoscere il tuo parere autentico, se vuoi darlo, sul ripristino, in caso di uscita dall'euro, per nostra o altrui decisione, di un meccanismo atto all'indicizzazione dei salari, su eventuali provvedimenti legislativi finalizzati alla limitazione di acquisizioni estere di aziende strategiche nazionali e sull'imposizione di dazi relativi ad alcune merci d'importazione. Oltre, evidentemente, ad impedire in modo drastico la fuga dei capitali nostrani all'estero. Questi sarebbero, a detta di alcuni esperti, i meccanismi capaci di limitare i danni alle più deboli categorie del lavoro, qualora si rinunciasse alla moneta unica. Niente di rivoluzionario, mi sembra, anche se per azioni squisitamente politiche sarebbero necessari squisiti politici.
    Conscrit

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