sabato 30 marzo 2013

Tifosi



Le posizioni sono nette e distinte: c’è chi è favorevole all’uscita dall’euro e chi è contrario. Si tratta di tifo travestito da “razionalità” e supportato da grafici. Una delle accuse principali rivolta a chi è contrario all’uscita dall’euro, è quella di confondere inflazione e svalutazione e di stimare arbitrariamente gli effetti di due concetti economici diversi. Nel valutare gli effetti svalutativi, scrivono ad esempio i tifosi a favore dell'uscita dall'euro:



Nelle precedenti occasioni storiche di sganciamento di una valuta da un’altra moneta forte (per noi l’euro-marco), i fatti e i dati empirici ci dicono che il cambio tende a recuperare la competitività di prezzo perduta nei confronti del paese principale dell’area valutaria (la Germania). Dato che il differenziale d’inflazione complessivo dal 1999 ad oggi con la Germania ammonta a circa il 20%-25%, la svalutazione della lira nei confronti dell’euro-marco dovrebbe attestarsi intorno a questa banda di oscillazione. 

Non tutte le situazioni storiche sono omogenee, tantomeno per quanto riguarda l’economia e men che meno per le fluttuazioni valutarie. Il differenziale d’inflazione complessivo dal 1999 ad oggi con la Germania non ammonta solo a circa il 20%-25%, ma lasciamo perdere. Personalmente ho sostenuto che secondo le stime più ottimistiche la svalutazione della lira nei confronti della moneta tedesca (e il dollaro) dovrebbe attestarsi intorno al 20-30%. Per contro, i favorevoli all’uscita dall’euro deducono dalle loro premesse:

Ovviamente la nuova lira si deprezzerebbe rispetto all’euro-marco, ma potrebbe apprezzarsi nei confronti di altre valute con i cui paesi di origine l’Italia intrattiene rapporti commerciali. Quindi quello che è importante non è tanto la svalutazione bilaterale fra l’Italia e un altro paese, ma il tasso di cambio effettivo che è una media pesata di tutti i tassi di cambio bilaterali principali misurata in base al valore specifico degli scambi effettuati con i rispettivi paesi d’origine.

Vero. Ciò che si trascura, però, è il fatto che se l’Italia esce dall’euro, salta l’euro (con le conseguenze del caso) e che i paesi con i quali l’Italia intrattiene – cospicui – rapporti commerciali sono molti, essendo il secondo esportatore europeo. I paesi come la Spagna, il Portogallo, la Grecia, ma la stessa Francia, per non perdere competitività commerciale nei confronti della lira, svaluterebbero a loro volta. È pensabile – infatti – che questi paesi vengano a vendere in Italia le proprie merci più care del 20-30 per cento? E che possano permettere altrettanto, cioè alle nostre merci di essere più competitive sul loro mercato e su quello internazionale di una percentuale analoga? La Germania e i paesi dell’area del marco, starebbero tranquilli a guardare che le monete di Italia, Francia e Spagna si deprezzino in tale ragguardevole misura? Ma soprattutto, il crollo del valore azionario delle società italiane, non favorirebbe un assalto da parte dei capitali stranieri? E i salari e le pensioni sarebbero immuni dagli effetti di tale svalutazione?

Ribadisco: nei rapporti economici la moneta è un mezzo di circolazione e come moneta di credito un mezzo di pagamento, nelle sue oscillazioni si riverberano, come effetto, problemi che hanno cause del tutto differenti. La questione dell’euro sta in capo alla produzione e non alla circolazione, al capitale e non alla moneta, così come i nessi dell’economia e della politica europea e mondiale. Ecco che la crisi economica come quella dell’euro non sono problemi specifici della sfera della mera circolazione, ma rientrano nelle contraddizioni proprie del modo di produzione capitalistico nella fase in cui domina il capitale monopolistico.

Occorre una lettura complessiva del quadro internazionale che sappia prendere e capire il complesso dei dati relativi alle basi della vita economica su scala globale e che perciò sappia comprendere come le vicende economiche di una nazione non siano che il riflesso dell'internazionalizzazione del capitale. Le "teorie" dei professori che partendo dall'analisi della circolazione del Gorgonzola ne generalizzano i risultati tentando di farli apparire come una tendenza globale del modo di produzione capitalistico, sono solo merda.   

Ciò posto, va tenuto conto che con la definitiva vittoria del capitale finanziario mondiale e dei monopoli, si viene a stabilire la tendenza al dominio anziché alla libertà, allo sfruttamento di un numero sempre maggiore di nazioni piccole e deboli per opera di un numero sempre maggiore di nazioni più ricche e potenti. Tali sono le caratteristiche dell'imperialismo, che ne fanno un capitalismo parassitario il quale ha formato una borghesia che vive esportando capitali – uno dei fondamenti essenziali dell’imperialismo – e tagliando cedole.

Come altri paesi, viviamo una situazione dalla quale non si esce con i rattoppi, col rendere più competitive le nostre merci reintroducendo una moneta nazionale, o più etico il capitale monopolistico con la trovata della parsimonia perché consumiamo troppo e siamo “tanti”. Su quest’ultimo punto, quello della sovrappopolazione re-la-ti-va, vedrò di ritornare (si leggono cose abnormi) per una critica alle posizioni di quel materialismo esposto al naturalismo, a misura che si concentra quasi esclusivamente sui fattori bio-ecologici, senza tener conto dei rapporti sociali e della produzione di un "secondo" ambiente, "artificiale", da parte della società umana. Insomma, quelle posizioni largamente predominanti che concepiscono la società e la storia delle comunità umane come si trattasse di colonie di topi.


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