sabato 30 marzo 2013

La cantina del Quirinale



In attesa che Napolitano (quella delle sue dimissioni era una bufala palese) conferisse l’incarico di formare il governo al presidente della corte costituzionale, cioè a Franco Gallo, oppure ad altro personaggio di rilievo istituzionale, stavo pensando a questioncelle ben più prosaiche, ossia al vino da abbinare domani al cibo. Ho immaginato la sterminata scelta di vini della cantina del Quirinale, e poi mi è venuto in mente un passo dei Principi dell’economia politica e della tassazione in cui David Ricardo tratta di vini pregiati. Scriveva l’economista:




Vi sono merci, il cui valore è determinato esclusivamente dalla scarsità. Non esiste lavoro che possa accrescere la quantità di tali merci, e perciò il loro valore non può diminuire per un aumento dell’offerta. Rientrano in questa categoria statue e quadri rari, libri e monete scarsi, vini di particolare qualità che si possono ottenere solo da uve maturate in particolari terreni, in cui vi sia una quantità molto limitata. Il loro valore è del tutto indipendente dalla quantità di lavoro originariamente necessaria per produrli e varia con il variare della ricchezza e dei gusti di coloro che desiderano possederli.

Ma è proprio così, come appare al senso comune? In tal modo la teoria del lavoro/valore – secondo cui il valore della merce è determinato dal tempo di lavoro socialmente necessario per produrla – andrebbe a farsi benedire, sia pure per eccezioni come quelle elencate da Ricardo.

La forma di merce dei prodotti del lavoro acquista validità generale nell’epoca capitalistica, anche se la produzione di merci non presuppone necessariamente il modo di produzione capitalistico. Ed infatti, statue e vini rari potevano raggiungere prezzi altissimi anche in epoche diverse. Ma vediamo cosa dice Marx a proposito di tale questione, peraltro senza citare direttamente Ricardo:

Una vigna che produce vino di qualità assolutamente straordinaria, vino che in generale può essere prodotto soltanto in quantità relativamente scarsa, frutta un prezzo di monopolio. Il coltivatore della vigna verrebbe a realizzare un plusprofitto considerevole da questo prezzo di monopolio, la cui eccedenza sopra il valore del prodotto sarebbe esclusivamente determinata dalla ricchezza e dalla preferenza dei bevitori altolocati. Questo plusprofitto, che qui sgorga da un prezzo di monopolio, si trasforma in rendita e in questa forma finisce in mano al proprietario fondiario, grazie al suo titolo che gli dà diritto a questa porzione della terra dotata di particolari qualità. In questo caso, quindi, il prezzo di monopolio crea la rendita.

Questo spiega perché un dipinto di Raffaello non è venduto al suo valore intrinseco, ma al prezzo di milioni di euro, sfruttando il prezzo di monopolio; e spiega anche perché dei grappoli d’uva di una qualità rarissima, se non fossero vendemmiati con il lavoro di qualcuno, non solo non potrebbero essere trasformati in vino pregiato da vendersi a prezzi di monopolio, ma resterebbero a rinsecchire nella vigna.

1 commento:

  1. Va bene Olympe, io ci provo per l’ennesima volta.

    Marx ha ragione, ma non spiega neanche come dovrebbe funzionare però!

    E non solo Marx è quello ad aver ragione. Ma a differenza di Marx i neoclassici spiegano anche a come uscirne. Seguono le spiegazioni.

    Immaginando per assurdo possibile il modello concorrenziale il problema non si porrebbe neanche, ma sarebbe impossibile liberalizzare “un dipinto”, non lo sarebbero invece i commercianti. Come ben saprai, la produzione necessita di capitale e di lavoro: se il dipinto è il capitale, i commercianti sono i lavoratori; ma se il dipinto è unico, i lavoratori possono essere infiniti.

    Di conseguenza, se l’impresa incassa più della media, e a prescindere dal bene o servizio che vende, se la stessa è liberalizzata, l’arrivo di nuovi lavoratori riduce i ricavi. Le imprese con capitali superiori alla media tenderanno ad essere sempre più appetibili e attireranno lavoratori, i quali a parità di lavoro cercheranno un guadagno crescente, così da spiazzare completamente la rendita.

    E’ anche vero che la parcellizzazione della rendita tra sempre più lavoratori ridurrebbe la concentrazione della ricchezza; è anche vero che i beni preziosi e rari diminuirebbero di prezzo e che alcuni di essi potranno essere acquistati unicamente dalle comunità di lavoratori. Ma non era forse questo che si voleva?

    Se ad ogni lavoratore gli si desse la facoltà di scegliersi il lavoro e l’impresa che più gli aggrada (un diritto reale), se tutte le imprese fossero in mano ai lavoratori e se lo Stato si tenesse fuori dai giochi (come “prescrive” la teoria neoliberista) si otterrebbe esattamente quanto detto sopra, ossia il modello concorrenziale, ma in un regime socialista.

    Certo, non è il fine ultimo da noi auspicato, ma:

    -il profitto tenderebbe a zero (sempre)
    -anche il pluslavoro si azzererebbe (perché se un impresa sfrutta una concorrente, i lavoratori cambiano o si proseguirebbe a riequilibrare)
    -lo Stato sarebbe finalmente ridotto all’osso, se non estinto (perché i lavoratori nelle loro associazioni potrebbero mandarlo avanti da soli, una confindustria formata dai lavoratori)
    -il modello in oggetto è compatibile con un economia aperta (si potrebbe proseguire al riequilibrio della bilancia commerciale e dei pagamenti con la tassazione progressiva e l’equilibrio tra le imposte dirette ed indirette, che adesso non si può fare)
    -non ci sarebbe inflazione o sarebbe minima (perché la moneta non sarebbe mai stampata in eccesso, dove la tassazione progressiva garantirebbe gli investimenti, che adesso non si possono fare, dati i ricatti della borghesia)

    Ecco, in attesa che tutto il mondo si unifichi e che tutti siano coscienti della grandezza del pensiero marxiano, un tale approccio all’economia mi sembra tutt’altro che da scartare. Anche perché la responsabilità del lavoratore che ne deriverebbe non farebbe altro che emanciparlo ulteriormente. Scusa se è poco!

    Ciao

    Tony

    PS: Va be va, ho fatto nuovamente sogni brutti. Che forse al posto del CdL in Economia e commercio avrei dovuto fare storia dell’arte, visti quanti economisti si trovano in giro. Magari l’esorcista!

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