Ai più giovani può capitare di pensare all’epoca
delle grandi monarchie europee come a qualcosa di remoto, di perso nelle nebbie
della storia. Eppure meno di un secolo or sono esse decidevano ancora i destini
d’interi popoli, la vita e la morte di milioni di esseri umani. Non pochi di
noi hanno ascoltato i racconti di quelli che, giovani allora, avevano
combattuto contro gli eserciti di quelle stesse monarchie vestendo la divisa di
un esercito non meno monarchico e che a sua volta sarebbe anch’esso stato sconfitto
trent’anni dopo a seguito di un’altra e più estesa carneficina.
Meno di un secolo fa Lenin era quasi sconosciuto ai più,
l’automobile non aveva soppiantato il cavallo e il cinema era ancora una
curiosità. Eppure, appariva chiaro già a quel tempo che grandi cambiamenti si
annunciavano e nulla sarebbe stato più come prima. A tale proposito non serve
menzionare – come solito – quell’imbecille di Marinetti che voleva demolire i
vecchi palazzi veneziani per sostituirli con architetture più moderne e industriali.
Anche noi, oggi, avvertiamo un cambio d’epoca decisivo, ma non riusciamo a percepire, se non per vaghissima premonizione, dove esso potrà condurci. Diversamente dalla bella epoque, il vecchio mondo, più che promettere futuro, minaccia di schiacciarci in una crisi senza fine, e anche quando proviamo a immaginare un cambiamento immancabilmente è ispirato a modelli sociali defunti e superati che vorremmo richiamare in vita lodandone virtù che nella realtà storica non hanno mai avuto.
Se alludiamo al Medioevo, checché ne dicano le mode
storicistiche, esso fu per larghi tratti effettivamente un’epoca assai buia e
triste, quantomeno fino alle invasioni ungariche, poco conosciute, che
devastarono l’Europa e soprattutto l’Italia fino al X secolo. La vita dei più
era schifosissima cosa, anche se le tribolazioni per ciascuno non duravano
troppo a lungo perché la morte arrivava precoce. E anche dopo non fu meglio,
basti pensare alla grande pestilenza del Trecento che quasi annientò l’Europa,
senza dire delle cosiddette guerre di religione.
Quando pensiamo al Rinascimento, già il solo nome ci
evoca la grande arte, l’epoca delle scoperte geografiche e insomma un grande ed
effettivo cambiamento. E tuttavia fu anche un’epoca di continue guerre e di
grande fame, di carestie endemiche, di massacri immani. Non solo in Europa, basti
pensare al grande genocidio – dovuto solo in parte alle malattie – perpetrato nel
nuovo continente. Il Seicento non iniziò sotto migliori auspici, una guerra
atroce imperversò per almeno trent’anni. Insomma, le vicende di quei secoli si
possono leggere anche da punti di vista diversi.
Chi poi volesse prendere cognizioni sull’epoca della
prima industrializzazione non ha che da scegliere, tra letteratura e cronaca,
per farsi un’idea delle miserabili condizioni delle grandi masse. E fin negli
ultimi anni dell’Ottocento, non solo a Milano, ma soprattutto nelle campagne,
le rivolte popolari furono represse con decine e a volte centinaia di morti. La
fame e la miseria erano più veri e drammatici di quanto ci raccontino certi
film di costume, e a fuggire dall’Italia – ma non solo – con un fagotto e i più
fortunati con una valigia di cartone furono a decine di milioni.
Il fatto di aver raggiunto un indubbio ma anche contraddittorio benessere
materiale negli ultimi decenni del Novecento, ci porta a dimenticare troppe
cose e a considerare estinti problemi e contraddizioni che invece il consumismo
ha solo rimossi e occultati. La crisi, inedita nella sua durata e negli effetti,
ci sta riportando, a poco a poco, a prendere consapevolezza che la storia, troppo
frettolosamente dimenticata, ci sta presentando il conto. Certo, non possiamo
riesumare a pie' pari le vecchie ideologie, ma bisognerà prendere atto che le
abbiamo sepolte – perché credute e dichiarate morte – troppo frettolosamente.
solamente cinquant'anni fa (più o meno) , quando mi portavano al paese di nonno, le donne anziane andavano tutte con un fazzoletto scuro in testa, per rispetto, per decoro , per lutto o semplicemente perchè si lavavano i capelli ogni tanto ...(e qualcuno in italia si scandalizza ancora di fronte ad un chador ?), i più non avevano servizi igienici degni di questo nome .il frigorifero stagliava nel solotto buono ; un elegante centrino lo rendeva degno di essere accostato al divano intonso . stesso trattamento veniva riservato alla lavatrice ,mani amorevoli le confezionavano simpatici vestitini colorati perchè non si rovinasse . ricordo , in alcuni casi , la conca dell'acqua riempita alla fontanella pubblica e portata sulla testa col fazzolettone arrotolato a ciambella.i detersivi si usavano poco (forse), il vetro si riciclava , la plastica non esisteva , il pappone destinato al maiale era preparato con una cura quasi sacrale , la carne si mangiava ogni tanto ,ma sicuramente mai tutti i giorni , gli uomini e le donne migravano e quando tornavano , durante l'estate, le loro auto, nuove e sfavillanti, si riconoscevano dai particolari leopardati che decoravano il volante e i cuscini all'uncinetto per i lunghi viaggi,gli emigranti dal Canada riportavano in regalo calze di nylon e sottovesti di rayon, agli uomini stecche di sigarette straniere con o senza filtro. l'unica plastica esistente per le bacinelle e piccoli utensili era il mitico Moplen . il sabato si andava a vedere la televisione a casa del prete ,e se c'era da avvertire i paesani di qualcosa, Gilberto, che si diceva essere gay e chissà se era vero ? nonostante la grossa ernia che spuntava dall'addome che faceva un pò paura, andava strillando per tutto il paese che alla piazza era arrivato il tipo che aggiustava gli ombrelli .c'era la sede del PCI e quella antagonista della Democrazia Cristiana. al di là di questi particolari colorati e folkloristici , la gente era più sporca , più povera e soprattutto più ignorante . solo e appena cinquant'anni fa......
RispondiEliminapiù ignorante? non so. meno istruita
EliminaUno stupido giornale di sinistra che predica il liberismo (Renzi – Ichino etc) e campa di statalismo (l’unità riceve un contributo pubblico di 5 milioni (10 miliardi di lire)) per scrivere cazzate ed amplificare la voce del padrone, oggi, tra le varie inutilità, pubblica a pagina 5 un’intervista con Guccini. Il grande Guccini.
RispondiEliminaLa colonna sonora della mia e di tante adolescenze, il cantore della libertà.
Nell’intervista Guccini dice che sa poco della TAV e quindi non sa dire se sia un bene o un male; dice anche che gli sembra che i neo eletti grillini abbiano facce pulite. Però precisa di temere che queste faccette belle e sane siano ostaggio di Grillo e Casaleggio. E dice anche che Bersani gli sembra una brava e degna persona. Ha poi qualche idiosincrasia verso la rete e twitter che non conosce e comprende e verso cui nutre il sospetto che tale modo di comunicare non possa non avere qualche controindicazione. Guccini. Di tutti questi bombardamenti non ha sentito nulla. Magari era in cantina a travasare il vino.
La storia fino ad oggi si è ripetuta noiosa come il tic tac di un orologio. Oscillando tra miserie e povertà gli uni e tra castelli e ville con piscina gli altri. Credo che internet e la tecnologia cambieranno il mondo e che la storia, per la prima volta nella storia, stia per iniziare a scrivere una nuova pagina di storia. Una nuova consapevolezza sta nascendo. Il seme della ribellione. E’ solo che ci vorrà un po’ di tempo ...
Ciao cara.
Giornale scaricabile da qui
Belle canzoni, non tutte. Come faceva quella sulle osterie di fuori porta e quelli che è una morte un po' peggiore?
EliminaVecchi passabilmente cinici, retrogradi e spaventosamente qualunquisti, transitati dalla contestazione parolaia e dal pugno alzato a distanza di sicurezza dalla polizia ad una confortevole e borbottante canizie senza mai uscire dal rassicurante perimetro del caseggiato, dell'isolato e del quartierino di periferia. Non sanno più nulla, non gli interessa più nulla, biascicano banalità da mercatino rionale, non riescono ad esprimere un'idea che non sia da retrotinello. E naturalmente votano PD.
Sono troppo duro con loro? Non so. Io sono della generazione venuta dopo la loro. Che brutta fine hanno fatto. Non che noi ne stiamo facendo una migliore.
Quoto Mauro, come si dice. Idea da retrotinello. Geniale.
EliminaQuando sento (o leggo) che c'è chi fa l'elogio di certe epoche passate, mi vengono in mente proprio i dati che tu citi.
RispondiEliminaCi si dimentica delle condizioni in cui è vissuta la maggior parte della popolazione, in quelle epoche, fra miseria (vera, senza scampo), epidemie, carestie, guerre spietate e infinite, ecc.
Anche compiere un viaggio era un'impresa: non si era mai certi di tornarne vivi. Sulle strade non c'era tanta "sicurezza", anzi non ce n'era affatto (bisognerebbe dirlo a coloro che straparlano della "violenza di oggi"; se solo sapessero quella che c'era "ieri", nelle epoche che loro pensano o propagandano come "felici"!).
Ci sono poi anche quelli che se la prendono col progresso scientifico, attribuendogli nefandezze inimmaginabili... Se si volesse essere conseguenti con questa idea, bisognerebbe rinunciare ad es. alle cure che ci hanno consentito di ridurre l'incidenza di certe malattie un tempo devastanti, che contribuivano ad accorciare l'età media della gente; bisognerebbe far finta di non sapere che è proprio quel "malnato progresso" che ci ha consentito anche di capire cose elementarissime ma un tempo ignorate, come l'importanza dell'igiene, e ci ha consentito di risparmiare tempo e fatica per la gestione del "quotidiano" (hanno idea gli adoratori acritici di "epoche felici trapassate" di quante ore e quanta fatica fossero necessari anche solo per lavare i panni e per cucinare?). E non parliamo del Medioevo, ma semplicemente dell'Italia di un secolo fa (ma anche di 60 o 70 anni fa)...
La memoria ci gioca pessimi tiri, forse anche perché la miseria si dimentica volentieri e in fretta, e altrettanto in fretta ci si fa prendere dalla smania del parvenu, inteso in senso lato, come colui/colei che è arrivato/a da poco a un certo grado di benessere e che pertanto, inebriato/a dalla nuova condizione, si fa guidare dall'illusione di essere diventato/a quasi onnipotente e intoccabile (dalla "sventura"). E' un fenomeno sociale e collettivo, a quanto pare, e non soltanto individuale...
Forse le vecchie ideologie non sono mai state vive.
RispondiEliminaE la storia non si ripete mai, al limite porta con sè qualche somiglianza che lascia il tempo che trova. Il viaggio, per tutti, è in una sola direzione.