domenica 17 marzo 2013

Stipendio e Papa



Oggi l’editoriale di Scalfari è di grande interesse, poiché riporta un’intervista – uno scambio rapido di domande e risposte – tra l’erotico giornalista e un anonimo parlamentare grillista. Ma prima di dire due cose sulle dichiarazioni dell’esponente grillista, vorrei premettere alcune considerazioni di carattere generale.

Abbiamo detto tutti molte cose sul Movimento cinque stelle, su Alba stellata (così la chiama Malestro rivendicando copyright e forse eque royalty), ma forse è il caso d’insistere sul fatto che esso rappresenta oltre otto milioni di voti, di potenziali forconi. Il suo programma non rappresenta nel dettaglio il programma della piccola borghesia e di tanti salariati e pensionati, ma di queste classi sociali esso rappresenta il grave malessere quotidiano e la protesta contro i vecchi partiti e contro il governo Monti, tutti responsabili di averci condotti nella situazione attuale. Paradossalmente – ma non troppo – anche il capitale finanziario guarda con simpatia a tale iniziativa politica.



Il Movimento grillista, nelle intenzioni di milioni di elettori, dovrebbe anzitutto rappresentare il tentativo di trovare una via d’uscita alla situazione attuale, di dare una scossa all’immobilismo della solita giostra politica che per troppo tempo si è illusa che la crisi fosse una fase di passaggio e di poter cooptare consenso con concessioni di vario genere a determinati gruppi sociali. Per altri milioni di suoi elettori, invece, si tratta di una dichiarazione di messa in mora delle tradizionali forme della rappresentanza. Il Movimento grillista rappresenta anche – per voce del suo leader – la presa d’atto che il welfare – nelle forme sperequative nelle quali l’abbiamo conosciuto – non è più sostenibile. Grillo questo fatto l’ha ben chiaro e si fa portatore delle istanze che da ciò derivano, soprattutto una.

Il Movimento arruola una gran massa socialmente non ben definibile che va dal professionista in difficoltà a quella di giovani reclute di semiproletari irrequieti e ansiosi in cerca di uno status ora precluso dalle condizioni distributive attuali di reddito e di occupazione, ma a ben vedere dalla nuova divisione internazionale del lavoro e della produzione. E per procedere a questa forte richiesta di riconoscimento sociale, in una situazione di crisi economica grave e persistente, servono risorse che vanno cercate dove è più facile trovarle.

Sostiene apertamente Grillo che esse vanno cercate non solo presso chi del welfare abusa scandalosamente – fatto di per sé ben remunerativo dal lato propagandistico e invece insufficiente da quello del fabbisogno quantitativo –, ma in generale su tutta la platea dei garantiti. E questo è essenzialmente il motivo per il quale il grillismo, da un lato, raccoglie grande consenso tra i giovani lanciando la parola d’ordine della lotta intergenerazionale e per il reddito garantito, e, dall’altro, riceve gradite simpatie negli ambienti del capitale finanziario che ben vedono questo genere di trasferimento di cause e di responsabilità, nonché di rissa tra le stesse fila di proletari e piccoli borghesi.

Possiamo ora verificare l’abbozzo di questa rapida analisi se concorda con le dichiarazioni del parlamentare grillista, un uomo di circa trent’anni, che dichiara di aver votato per Berlusconi e poi, pentito, di non aver più votato. Di estrazione piccolo-borghese, allevato sulle pagine del quotidiano Repubblica, egli dichiara di non aver mai lavorato, ma, come spesso accade, è stato “impegnato” quale «volontariato per servizi all'estero dove ci sono i caschi blu dell'Onu. Sono stato in Libano e anche in Kenya». A cosa punta? «All'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la libertà di ciascuno, i diritti di cittadinanza. Le 5Stelle vogliono queste cose, i partiti esistenti le vogliono a parole ma non le hanno tradotte in fatti». Insomma, vuole un reddito, e ciò e ben comprensibile. Ma è anche uno che – si capisce – un lavoro da salariato non sarebbe disposto a farlo. E a quale personaggio storico si sente vicino, chiede Scalfari? «Direi Papa Giovanni». Non ci vorrà molto perché passi al Pd, magari con Renzi candidato e un posticino assicurato.


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