mercoledì 5 settembre 2012

La peste



Leggo da più parti che la crisi in definitiva è una cosa finta, un allarme esagerato. Parole come queste: “Ma quale crisi! I caffè, i ristoranti, i bar sono strapieni. Negli aereoporti si accalcano i turisti. Ovunque si sente parlare di fatturati record nelle esportazioni e della disoccupazione che diminuisce”. Non è il solito cialtrone che parla, si tratta dello scrittore Hans Magnus Enzensberger, uno del quale aver rispetto.

Sulla disoccupazione in diminuzione si tratta evidentemente di una fandonia, ma sul resto una parte di verità c’è. È vero che non c’è una fame diffusa, mancano i mendicanti a ogni angolo di strada, non si assaltano i forni di manzoniana memoria, assenti anche le carovane dei diseredati alla Steinbeck e a ferragosto era assai difficile trovare una camera nelle località di villeggiatura. E allora la crisi non c’è?

C’è, dipende se si vuole vederla, da come si vuol misurarla e con quali criteri. In un paese di 60 milioni di abitanti per riempire alcune decine di frecciarossa e argento, una decina di aeroporti, basta qualche decina di migliaia di viaggiatori. Lo stesso numero serve per coprire i posti al ristorante o in trattoria, in una città di milioni di abitanti.

Vorrei ricordare che mentre milioni di ventenni e trentenni languivano nel fango delle trincee, tra pantegane enormi e cadaveri gonfi, nel 1917, a Parigi, nei teatri dove si dava il meglio dei balletti di un’intera epoca, i biglietti venivano esitati mesi prima dello spettacolo. E rammento anche quanto ebbe a descrivere Camus, profondo conoscitore delle cose, nel suo romanzo a proposito della città algerina dove infuriava un’epidemia di peste:

“Orano dava allora, verso le tre del pomeriggio, ad esempio, e sotto un bel cielo, l’ingannevole impressione d’una città in festa, di cui si fosse fermata la circolazione, si fossero chiusi i negozi per consentire lo svolgersi d’una manifestazione pubblica, e di cui gli abitanti avessero invaso le strade per partecipare ai festeggiamenti. Naturalmente i cinematografi approffittavano della vacanza generale e facevano grossi affari. […] Dopo due settimane le sale furono costrette a cambiar programma, e in poco tempo i cinematografi finirono col proiettare sempre lo stesso film. Ma gli incassi non diminuivano”.

Céline scrive nei suoi diari come in certe località della Germania, perfino negli ultimi mesi del secondo conflitto, non ci si facesse mancare nulla per quanto riguarda il lusso e il superfluo. Del resto, oggi produciamo cibo abbondante per 10 miliardi di persone, da qualche parte andrà pure sprecato. E ciò nonostante un cittadino statunitense su cinque dice di avere problemi di approvvigionamento alimentare in un paese nel quale l’obesità è un problema sociale.

Nell’affiorare di queste contraddizioni è evidente che la verità sta un po’ di qua e un po’ di là. La crisi c’è e riguarda soprattutto l’occupazione, la scarsità e qualità del lavoro. Abbiamo la possibilità di produrre una quantità di merci infinitamente superiore al passato e con un impiego di manodopera nettamente inferiore. Non si tratta di produrre meno, ma diversamente e per qualità e necessità. Anche la sovrapproduzione, di merci e di capitale, è un portato della logica del profitto, nel mentre permangono aree di scarsità e di disoccupazione, di supersfruttamento e precarietà generale.

Sono tutte questioni evidenziate in dettaglio da Marx nella sua analisi del modo di produzione capitalistico. Il sistema non vuole soluzioni e non può trovarne senza negare se stesso. Funziona così, con una serie di contraddizioni che si fanno sempre più stridenti tra forze produttive e rapporti di produzione e che sono ormai evidenti anche ai ciechi. Tranne a quelli che invece orbi non sono ma che non vogliono vedere che si è aperta un’epoca di grandi cambiamenti. Dove ci condurrà? Ne ho una qualche idea, ma per il momento rispondo così: di preciso non so.

5 commenti:

  1. Ti risulta che i diari di Céline siano stati tradotti in italiano? Li vorrei leggere. Grazie

    Stefano

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  2. "Ne
    ho una qualche idea,
    ma per il momento
    rispondo così: di preciso
    non so." Una simpatica, latente vena di sadismo eh ..? Attendiamo trepidanti... oh Cassandra...fa' che il monento non si dilunghi troppo, che c'azzecchi..!

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  3. Tecnicamente sappiamo che solo la fame estesa e crudele spingerebbe alla reazione fattiva: ora il 'borghese impoverito' dalla crisi sposta semplicemente le minori risorse da una voce all'altra di consumo voluttuario, risparmiando magari su un capo d'abbigliamento firmato o sulla fettina di vitello pur di conservare la consuetudine della settimana bianca a Natale.
    La logica capitalistica, in realtà, è piaciuta molto di più di quanto non sia stata intimamente avversata, perché tra le contraddizioni di cui fai cenno esistono meccanismi sottili e subdoli, propri dell'umana natura, che solo una gigantesca rivoluzione culturale e di civiltà, di portata storica, potrebbe far emergere.

    Mi fa piacere qui ringraziarti, inoltre, di mantenere viva, grazie al tuo blog ed agli stimoli di riflessione che offri, una porzione di quella 'pietrosa Itaca' di cui parla Camus, in cui poter dire, con lui, "Resisto, dunque siamo".

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