Oggi ero a Venezia, non per il Leone d’oro.
Precisamente ero a Murano, ma sembrava di stare a Tokio. L'ora più bella l'abbiamo trascorsa in un baretto, seduti all’aperto, sotto un cielo terso e con quella luce
che c'è solo in laguna. C’era un tavolo occupato da giapponesi, ma in un altro sedevano
alcuni ometti maturi autoctoni. Parlavano di cibo, di scorpacciate e di bevute.
Era uno spasso starli a sentire in un silenzio quasi surreale. Murano però non
è sempre così, tra poco arriverà la nebbia e il freddo pungente, e in un posto ormai
spopolato dev’essere ben triste.
La gente se n’è andata e continua a trasferirsi in
terraferma perché le vetrerie chiudono, le opportunità di lavoro mancano e
tutto diventa più difficile in un’isola che per molti aspetti appartiene al
passato. Resta l’orgoglio di chi resiste o non ha scelta. Mi chiedevo chi
produca tutto quel vetro esposto in almeno cento botteghe, più o meno uguali.
Non può essere tutto vetro di Murano, c’è anche la produzione di terraferma,
peraltro eccellente e probabilmente di mano veneziana, poi le cose più minute spesso
vengono anche da più lontano.
Anche questa è globalizzazione, e difatti il Leone l’ha
vinto un coreano. Per fortuna.
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