venerdì 7 settembre 2012

Cavie


La notizia che la Bce ha deciso nella riunione dei governatori di avviare un nuovo programma di riacquisto di obbligazioni degli stati della zona euro in difficoltà, questa mattina era assente da Le Monde e solo con gli ultimi aggiornamenti essa compare dopo la performance elettorale obamiana. Anche su El Pais – quotidiano del paese più direttamente e immediatamente interessato alla decisione di Francoforte – la notizia appariva declassata. Solo la stampa italiana on-line, ieri sera, si mostrava euforica come del resto oggi nella versione cartacea.

Non c’è da essere per nulla contenti, a parte i creditori dei titoli di stato, circa l’acquisto sul mercato secondario di obbligazioni, cioè del debito pubblico, da parte della Banca centrale europea, poiché ciò potrà avvenire solo a particolari condizioni, le quali, tradotte in lingua corrente, significano solo ulteriori “sacrifici”, naturalmente per quelli che hanno già problemi.

Il punto centrale della questione però non è il debito, ossia non è solo di natura finanziaria e di politica monetaria, o di rigore fiscale. A monte c’è un problema ben più grave e che sta facendo sentire il suo peso ed è destinato ad aggravarsi drammaticamente e inesorabilmente. È quello della crisi economica, il problema che chiamano della “crescita”.

Le aziende, siano esse produttive che commerciali, chiudono. Le ragioni per cui chiudono quelle commerciali sono diverse, riguardano principalmente il calo della domanda e il peso fiscale. Per quanto riguarda la cessazione delle attività produttive, la ragione principale non riguarda la produttività come si favoleggia, anche se è vero che in molti settori l’Italia risente di una scarsa innovazione. Il primo motivo, com’è noto, riguarda la concorrenza da parte di paesi in cui le condizioni sociali permettono salari e costi alquanto inferiori. L’Italia non potrà mai raggiungere tali livelli salariali e di sfruttamento se non retrocedendo gli standard di vita di mezzo secolo (la strada all'indietro che stiamo percorrendo).

A complicare la situazione c’è il debito pubblico, quindi le politiche economiche restrittive, il minor gettito fiscale e insomma la storia del cane che si morde la coda. Questo governo e i partiti che lo sostengono, per esempio, non hanno approvato alcuna legge che riduca, come invece promesso, i costi e le ruberie della politica. I tagli riguardano solo le prestazioni sociali, peraltro senza intaccare l’enorme spreco a vantaggio delle solite lobby.

La strategia della classe proprietaria, di cui davo cenno nel post precedente, è quella di metterci gli uni contro gli altri, autoctoni contro stranieri, giovani contro anziani, disoccupati e precari in concorrenza con gli occupati, oppure come nel caso dell’Ilva che vede lo scontro tra le ragioni di chi non vuol morire avvelenato e il diritto degli operai ad avere un salario. La borghesia – il cui disprezzo classista per i salariati e i proletari è sempre stato uguale – non ci guarda molto diversamente da come guarderebbe delle cavie in lotta tra loro.

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