Parliamo della Polverini, pardon, di Picasso. A
Milano si è aperta la mostra dedicata all’icona dell’arte moderna del XX
secolo, ossia a colui che ci ha rivelato la terza dimensione sulla tela, il
modo di costruire oggetti semplici pur mantenendogli solidità e
profondità. E altri estatici esercizi di
bla, bla, bla.
Ernst Gombrich, nel suo La
storia dell’arte (p. 575),
ebbe a scrivere che “Non tutti gustano
questo gioco e non c’è ragione che lo facciano”. Appunto, negli esiti di cui dirò, si
tratta di un “gioco”. Ma guai a dirlo in
giro. Perciò, evviva Pablo, e tutti in fila alla cassa.
“La pittura
può servire all’analfabeta quanto la scrittura a chi sa leggere”, pare abbia detto Gregorio Magno sul finire del VI
secolo. Per millenni il volgo ha saputo leggere l’arte, comprenderla
nell’essenziale e, per certi aspetti, interpretarne significati che agli
odierni comuni mortali, così come agli dei della critica d’arte, restano
preclusi.
Noi oggi, invece, di fronte a uno “scarabocchio”
(espressione di Gombrich) di Picasso, a
una tela bianca con buchi e sbreghi di Fontana, ad assi di legno imbrattate di
vernice da Vedova, orinatoi, lische di pesce, eccetera, abbiamo bisogno
dell’interprete, dell’esperto, del fuoriclasse dell’esegetica Philippe Daverio
che ci spieghi l’Arte. E se, dopo aver percorso simili tunnel di semantica
artistica, non approdi a nuova luce, resti una talpa.
Sempre Gombrich, scrive: «Marcel
Duchamp acquistò fama e notorietà per aver preso un qualsiasi oggetto, che lui
chiamò “preconfezionato”, firmandolo con il suo nome. In Germania, Joseph Beuys
seguì le sue orme dichiarando di aver allargato o esteso la nozione di “arte”.
Spero sinceramente di non aver contribuito a questa moda».
Certo, tra Picasso o Klee e
Duchamp c’è una bella differenza. Sicuramente, Picasso e Klee non tenevano
l’orinatoio in salotto. Ma sorvoliamo su aspetti così “precofenzionati”.
Non può sfuggire che con la
rivoluzione industriale, ossia
nell'epoca della riproducibilità tecnica dell'opera d'arte, per
dirla alla Walter Benjamin, è iniziata a cambiare la definizione dell’arte. È
impossibile dipingere; copiare il “vero”, è diventato orribile e intollerabile.
Perciò non
contesto l’astrattismo e certa “arte”, ma la portata delle sue pretese,
naufragate miseramente, laddove
l’arte si è occupata del nulla, incapace a suo tempo di superare lo stadio di
denuncia di una certa cultura, limitandosi al compiacimento nichilista, come
Dada che nelle intenzioni e dichiarazioni avrebbe dovuto trasformare l’arte da
celebrazione della società e delle sue ideologie (politiche, religiose, ecc.),
in sovversione totale.
L’attenuante è che da sola l’arte non può
nulla. Ma per i suoi protagonisti e interpreti c’è tuttavia un’aggravante di
cui bisogna dar conto.
Lentamente e spesso inconsapevolmente,
non solo la nuova arte non si è sbarazzata della cultura borghese, ma le sue
trasformazioni rimangono del tutto immaginarie e in definitiva inoffensive. Da
negazione di tutti i vecchi valori, è divenuta essa stessa culto, puramente
mitico, del gesto artistico, prigioniera del mercato e del suo spettacolo, come
la personale di Milano e infiniti altri casi dimostrano.
Scriveva Artaud: “Mai come oggi si è sentito tanto parlare di civilizzazione e cultura,
mentre è la vita stessa che sta scomparendo”.
Philippe Daverio magistrale complice di questi stato di cose. Spero però che l'alternativa non sia il realismo socialista ... Arte e borghesia sono un tutt'uno da almeno sei secoli.
RispondiEliminaNon c'è bisogno che l'arte cambi il mondo.
Mi viene in mente l'artista sovietico Filonov. Personalmente lo considero allo stesso livello, se non superiore a Kandinski o Malevic (e perché no, Picasso). Però era pressoché sconosciuto fino agli anni settanta ... Non ha mai voluto esporre una sua opera. Morì di fame durante l'assedio di Stalingrado. Un uomo e il suo mondo travolto dalla (come vogliamo chiamarla?) storia.
Un post magistrale e... artistico.
RispondiEliminaCopiare il vero è divenuto orribile e intollerabile perché LA REALTA' è orribile e intollerabile. Anche in precedenza, naturalmente, c'erano aspetti orribili e intollerabili nella realtà, ma l'artista - quando ne faceva oggetto e soggetto d'arte - li trasfigurava. Oggi la trasfigurazione è bestemmia (e potenzialmente eversiva dell'ordine costituito), non c'è più nulla in cui credere se non la disperazione dell'immutabile esistente, del ciclo escrementizio della produzione capitalistica. L'arte si è arresa al reale, ovvero il reale l'ha comprata, e quindi non può che essere orribile.
mauro
Lo scarabocchio di Picasso puo' non essere congeniale ed apprezzato da tutti. Come le macchie di colore di Kandiski o gli ovali di Botticelli o le prospettive giottiane. Giudizi estetici. Ma l'artista, è noto, svolge anche ben altri ruoli nella società: non copia il vero ma lo vive, lo interpreta e lo ripropone inevitabilmente nello spirito e nel pensiero del suo tempo: questo in qualsiasi luogo, in qualsiasi periodo, qualsivoglia sia il suo strumento: pennello, violino, penna, bulino, ugola, scalpello. Poi, come molte altre azioni umane, l'arte puo' essere figlia della follia, dell'emarginazione, dell'anelito liberatorio o anche dei papi, dei facoltosi mercanti e della peggiore reazione. Il potere ha perseguitato, fino all'assasinio, i primi e allevato, incensato, arricchito i secondi. E' questa demarcazione fondamentale, a mio giudizio, la chiave interpretativa della questione: non scindere l'uomo dalla sua produzione creativa perchè questa non puo' e non deve divenire semplice merce, pena la perdita della sua vitale funzione reale.
RispondiEliminaConscrit