lunedì 10 settembre 2012

Passer du coq-à l’âne



Uno dei più classici fraintendimenti dei felici cervelli in decrescita riguarda l’incomprensione totale di come funziona il capitalismo. Quando Latouche scrive: “trasformare gli aumenti di produttività in riduzione del tempo di lavoro e in creazione di posti di lavoro”, senza perciò trasformare i rapporti di produzione e di proprietà, significa che egli vive su un pianeta diverso e del nostro non conosce nulla. Chi lavora in fabbrica, per esempio, non è un semplice lavoratore, ma un salariato. La specifica determinazione del lavoro salariato e del suo impiego è di accrescere il valore delle merci contro cui tale lavoro si scambia, di produrre plusvalore.

Quando scrive che “i movimenti di merci e di capitali devono essere limitati all’indispensabile”, significa affermare una stupidità allo steso grado di Grillo. Cosa significa limitare all’indispensabile i movimenti di capitale? Il capitale emigra laddove trova le migliori condizioni per la sua valorizzazione; quanto alle merci possiamo fare a meno del mango, ma allora anche delle banane e del caffè. E chi lo dice ai produttori di camembert e di Champagne che non possono più esportare in Giappone? Si tratta di prodotti non indispensabili in una società che mira all’autoconsumo, al medioevo, allo sfruttamento antico velato da illusioni come queste.

Questi teorici di matrice francese, sono dei formidabili passer du coq-à l’âne.  Qualunque persona di buon senso, persino il liberista più sfrenato, è d’accordo che il perseguimento indefinito della crescita è incompatibile con un pianeta finito, ma il fatto determinante che questi teorici del banale fingono di dimenticare è il movente della produzione capitalistica ed il fatto che è con il sistema borghese che si devono regolare i conti.

Questi filosofi del troppo pieno, per eludere le reali contraddizioni del sistema, ossia per abbeverare il proprio orticello della decrescita, astraggono dalla base di tale modo di produzione e ne fanno una produzione regolata sul consumo immediato dei produttori. In ciò essi non vogliono ammettere che i produttori non si contrappongono come semplici possessori di “beni” o “prodotti”, ma come capitalisti. E che la prima ragione del conflitto riguarda il capitale e il lavoro, i borghesi e i loro schiavi.

Sennonché questi teorici si trovano alle prese con quel diavolo del denaro e nella loro falsa concezione qualcosa in merito devono pur escogitare. Essi lo concepiscono, conseguentemente, come semplice intermediario, medium, dello scambio di prodotti (“beni”), non quindi come una forma di esistenza essenziale e necessaria della merce, la quale deve rappresentarsi come valore di scambio. In tal modo essi possono negare al denaro la sua forma essenziale nel processo della metamorfosi della produzione capitalistica.

Viene meno anche la possibilità di spiegare le crisi nelle loro cause effettive, relegandole a fenomeni di “sovrapproduzione” che troverebbero soluzione nel sottoconsumo, nella decrescita e, udite, nella produzione di “beni”, “prodotti” di qualità, come se lo scopo della produzione capitalistica fosse, appunto come detto, quello di produrre “beni” e non l’appropriazione di valore, di denaro, di ricchezza astratta.

Pertanto, l’obiettivo che essi prefigurano, di là di certi puerili deliri, non potrà mai essere raggiunto a latere della trasformazione complessiva del modo di produzione capitalistico e cioè fintanto che i grandi mezzi di produzione sono di proprietà privata e l’organizzazione capitalistica del lavoro rimane inalterata.
  
Questo genere di babbei non sembra voler capire che le determinazioni del rapporto capitalistico si espandono a tutta la società riproducendo in essa i loro effetti distruttivi e che l’esistenza di “isole felici” dove produrre melanzane e pomodoro può rappresentare solo l’eccezione, precaria, e non la regola.

2 commenti:

  1. Sono babbei in malafede ... la peggior specie di babbeo.

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  2. Certo la versione della decrescita tipo:

    voi che siete forza lavoro in eccedenza e servite a tenere bassi i salari dato il vostro grande numero, meglio che vi togliete dai co...ni e andate a coltivare patate e fare piccoli lavori di sussistenza, invece che pretendere sussidi, protestare e chiedere cambiamenti. E soprattutto dai vostri anfratti lasciateci manovrare e aumentare i profitti.

    è bella comoda.

    Per i loro obiettivi rispetto alla società, invece, non potevi proporre analisi più puntuale.

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